Leggende
di
Montagna
Il Re piange
C'era una volta un Re.organizzava grandi feste
popolari ma i sudditi non erano felici.Dicevano che non c'era lavoro in
quel paese di montagna e andavano tutti ,chi per un motivo chi per un
altro,a cercare fortuna altrove.preoccupato dall'esodo,il Re convocò i
saggi del reame.Era gente sapiente.Dopo lunghe discussioni ritennero che
il primo problema da risolvere fosse quello dei sentieri:erano troppo
difficoltosi,non permettevano di arrivare lassù e salire ancor più in
alto.Il Re condivise ed acconsentì al rifacimento degli antichi
percorsi,fece allargare viottoli e mulattiere,abbattere alberi e
rocce,tracciare nuovi itinerari.Quando finirono i lavori constatò che i
sudditi ne approffitavano per andarsene ancor più velocemente e chi
saliva fin lassù,per andare verso le cime,se ne tornava al piano alla
sera.Deluso,il Re decise di convocare nuovamente gli stessi saggi.Rimasero
in riunione per più di tre giorni e stabilirono che un problema da
risolvere fosse sicuramente quello della luce.Proposero al Re di
installare decine di lampioni ad olio,per illuminare le strade e i
sentieri più frequentati.Il Re aderì di buona lena:l'intero paese
brillò sotto le stelle.Ogni giorno,all'imbrunire e all'all'alba,un
addetto passava ad accendere o spegnere la luce fioca e a pulire i vetri
opachi delle lampade.Era lui che,ogni sera,vedeva partire decine di
compaesani che,approffitando delle strade finalmente
illuminate,abbandonavano il paese per cercare lavoro altrove.Il
Re,allora,si arrabbiò.Convocò ancora una volta i consiglieri e
diede loro una settimana di tempo per trovare un vero antidoto all'esodo.I
saggi,preoccupati per le conseguenze che avrebbero potuto subire, |
stabilirono che la montagna sarebbe davvero
divenuta fantastica se abitata da animali di mille spesie.Il Re ne comprò
centinaia per farli correre liberamente tra le montagne del suo reame.I
pochi sudditi rimasti,saputa la notizia, si armarono di fucili a
pallettoni e divennero audaci cacciatori:il Re li sorprese e li scacciò
dal paese.I pochi che restarono,circondati da cervi e cinghiali in
libertà,preferirono abbandonare le terre coltivate e andare a vivere in
siti più tranquilli,giù in pianura.l Re,allora, mandò a chiamare un
mago.Gli promise mille monete d'oro se avesse trovato la medicina per far
restare la gente in montagna.Questi preparò un intruglio,bruciò cento
fascine e fece tagliare il gozzo ad un gallo.Disse che la stregoneria
avrebbe fatto crescere il grano più alto ed avrebbe evitato la
neve.Meravigliato da tante promesse il Re pagò il mago e attese i
risultati.Già nel mese di giugno furiosi temporali estivi,con fulmini e
saette,rovinarono impietosamente il raccolto dell'anno mentre ad ottobre i
primi fiocchi cominciarono a cadere copiosi.Molti pastori rimasero
isolati.Non c'erano più uomini a spalare la neve.L'esodo continuava
inesorabile.Il re scacciò i saggi e chiese ai nobili Signori di altre
terre di poterne conoscere di nuovi.Gli furono presentati sommi dottori e
fior di I studiosi:vennero al paese del Re e fecero lunghe
dissertazioni,ricostruendo le vicende del passato con i pochi abitanti
rimasti.Tutti continuavano a chiedere lavoro per vivere,ma gli studiosi
immaginarono altre soluzioni.Dissero che per sconfiggere l'abbandono era
necessario far rivivere la storia e la tradizione di chi era vissuto tempo
addietro.Su questo tema scrissero lunghi |
documenti.Affermarono che così facevano
tutti gli altri regnati.Il Re ne rimase affascinato.promise a se stesso e
ai suio vassalli che,prima di morire,sarebbe riuscito a cambiare il
destino del paese.Truppe di intellettuali entrarono in scena.Misurarono
tetti e balconi,travi e terrazzi,drizzarono muretti antichi che il tempo
aveva reso cadenti,ricostruirono modelli di porte e finestre come un
tempo,riscoprirono l'importanza della pietra e del legno,pianificarono
l'utilizzo esclusivo di fiori locali nelle decorazioni degli antichi
balconi o giardini.Il progetto,fino a poco tempo prima ritenuto
impossibile,divenne realtà.Quando il Re,ormai veccho,decise di fare una
grande festa per inagurare il paese restaurato,radunò nel suo castello
tutti gli studiosi,Furono pronunciati discorsi di elogio,premiarono
scritti eruditi,progetti dettagliati e relazioni importanti.Il fragore
degli applausi accompagnò l'intera giornata.Era autunno,ormai.Quando
tutti uscirono per avviarsi in corteo ad ammirare il paese,s'accorsero che
nelle case di pietra e legno,specchi fedeli della tradizione
montanara,impeccabili nelle linee architettoniche ricuperate dal
passato,non viveva più nessuno.Come ogni domenica,la gente se ne era
andata.Un silenzio irreale accompagnò la processione degli studiosi
che,entusiasti nell'intravedere un cervo o un capriolo,strusciavano i
piedi tra le foglie secche,sui sentieri intatti ma silenziosi ed
abbandonati.Il Re capì l'ennesima lezione e,senza farsi vedere ne dai
sudditi ne dagli studiosi,pianse d'amarezza.
Gianni Aimar |
Il
Reopasso, una montagna di fascino e leggende
La montagna più caratteristica
della Valle Scrivia è indubbiamente il Reopasso, la cui vetta nord, detta
Carrega del Diavolo, a 957 metri di quota, fa bella mostra della
sua imponenza da qualsiasi parte la si osservi.
Il passo reo, cioè infido, malvagio, ha avuto in ogni epoca le sue
vittime, talvolta illustri come messer Agosto Spinola e Giovanni de
Salvareca, che precipitarono dalle ripide pareti nel 1585, oppure,
più spesso, comuni pastori intenti a riordinare il gregge, nel XVII
secolo.
Numerose sono le leggende create attorno ai personaggi che hanno legato la
memoria della propria esistenza alla montagna. Tra questi, Filippin il
suicida, forse vissuto alla fine del medioevo, la cui anima pare
vagasse tra l'Incudine e la Carrega. Alcuni carbonai
giuravano che spesso, la sera tornando a casa, incontravano un cane dagli
occhi roventi, come carboni accesi, che fuggiva alla loro vista, mentre
l'eco del suo lamento risuonava contro le Rocche. |
Un'altra anima vagante sembra
essere quella di Rafaelin, uomo non certo della migliore specie,
che lasciò come ultima volontà quella di essere sepolto in un posto
inaccessibile: venne accontentato facendone precipitare i resti in uno
strapiombo.
Nel bosco del Bellomo si racconta che un boscaiolo, di nome Ometto,
abbia chiamato il diavolo in aiuto per risalire i ripidi sentieri con il
suo pesante fardello di legna.
Fantasmi, spiriti e fate, invece, si dice che da sempre si diano
appuntamento nei valloni del Fobè.Una notizia certa é che
l'ultimo eremita del Reopasso fu sicuramente il Pajarito, uno
strano emigrante tornato, senza aver fatto fortuna, dall'America Latina,
intorno agli Anni Venti. Visse alla capanna del Romito vestendo pelli di
coniglio e nutrendosi di quel poco che la natura gli offriva
spontaneamente; di rado raggiungeva il paese per vendere, o forse
barattare,funghi, erbe medicinali e conigli. |
Riportiamo, di seguito, un suo profilo
tracciato da don Alberti: Pajarito viveva da eremita nutrendosi di pane
che egli cuoceva sulla piastra di pietra e di fette di lardo cotte allo
spiedo, ma lo spiedo era rudimentale: un ramo di castagno. Pajarito era
innamorato del Reopasso. Aveva una chitarra e durante il periodo estivo
cantava per i gruppi di gitani che gli facevano cerchio attorno. Erano
semplici versi con la musica primitiva, ma ispirata all'amore per il
grande monte, un monte regale: Sua Maestà il Reopasso. La sua canzone
incominciava così: " Oh mio grande amato Reopasso...".
Verso la fine del 1942 un incendio cancellò ogni traccia dell'eremita e
della sua modesta dimora. Il 28 dicembre alcuni cacciatori di volpi videro
la sua capanna ridotta d un cumulo di ceneri; del povero Pajarito non
furono rinvenute che pochissime ossa portate in paese in una latta da
conserva. Aveva 83 anni.
Andrea Repetto
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