di
Claudio De Stasio
SOMMARIO
Il problema preliminare di ogni disciplina storica è quello relativo all’iden-tificazione delle fonti di cognizione: tutti sanno quanto limitata sia l’attendibilità delle notizie che i classici registrano per la più antica storia di Roma. Di ciò ne avevano coscienza anche gli storici dell’età di Augusto come Livio nel suo ab urbe condita. Inoltre, proprio studi recenti hanno confermato che il ricordo degli avvenimenti antichissimi sia stato turbato da storici troppo propensi a magnificare le gesta dei loro avi. Numerose falsificazioni derivano pure dall’orgoglio cittadino che volle presentare come primordiali le istituzioni politiche più popolari, quali il comizio centuriato e le tribù rustiche, attribuiti l’uno e le altre al mitico re Servio Tullio. Altro fenomeno che turba la storia dell’antichità è il cosiddetto concentramento storico per il quale, anche inavvertitamente, si accentrano intorno ad un individuo – reale o fittizio – o intorno ad un avvenimento saliente, tutti gli istituti e le azioni che si reputano conformi al carattere dell’individuo o dell’avvenimento[1]. A ciò si aggiunga la scarsa entità, per l’epoca più antica, dei fasti consulares[2], e i dubbi sulla loro attendibilità in tale epoca.
Un interessante indizio sull’inizio di una documentazione attendibile ci è dato dai fasti trionfali[3] che la tradizione voleva fossero stati esposti sin dalle origini. In realtà, le eclissi solari – fenomeno quanto mai adatto a colpire l’immaginario collettivo – si trovano ricordate solo a partire da quella del 288 mentre nessuna menzione è fatta per quelle del 310 e del 297. Per conseguenza, bisogna ritenere che soltanto fra le due date del 297 e del 288 ebbe inizio in Roma una redazione scritta dei principali avvenimenti contemporanei.
La storiografia moderna è in grado di fornire un quadro abbastanza preciso dei primi secoli di Roma grazie ad altre discipline – come l’archeologia – e vari altri elementi per la ricostruzione tra i quali ricordiamo:
Non è tuttavia da credere che i problemi della conoscenza storico-giuridica siano propri della sola epoca primitiva. Anzitutto ci sono periodi storici in cui le fonti sono comunque scarse o di seconda o terza mano[5]. Del resto, anche dove le fonti sono copiose nei rispetti della storia politica, possono essere insufficienti allo storico del diritto. Infatti, l’immaginazione degli scrittori antichi veniva più facilmente colpita da fatti di poco interesse per lo storico del diritto, mentre le notizie di maggior significato giuridico non venivano poste nel dovuto risalto.
Sia Livio che Dionigi di Alicarnasso raccontano di Enea e di suo figlio Ascanio, fondatore di Alba Longa. L’ultimo re di Alba ebbe due figli, Amulio e Numitore; Amulio detronizzò Numitore, ma dalla figli di quest’ultimo, Rea Silvia, nacquero due gemelli, Romolo e Remo. Romolo, esule da Alba Longa, avrebbe fondato Roma, ponendole a capo un Rex e suddividendone la popolazione in tre tribù (Ramnes, Tities, Luceres). A lui risalirebbero anche i comizi curiati, il Senato composto da 100 membri e la divisione della popolazione in patrizi e plebei. Egli avrebbe governato come i magistrati repubblicani, vale a dire, presentando le leggi ai comizi e rispettando i pareri del Senato. Altrettanto avrebbero fatto i suoi successori latini: Numa Pompilio (cui sono attribuite le istituzioni religiose), Tullo Ostilio (che fondò Ostia e distrusse Alba Longa), Anco Marzio (che ingrandì la città). Alla morte di quest’ultimo sarebbe salito al trono Tarquinio Prisco, di origine etrusca, che avrebbe dato alla regalità gli attributi esteriori del comando e governato dispoticamente. Successivamente avrebbe regnato Servio Tullio, non etrusco, al quale sono attribuite alcune riforme di carattere popolare. Infine sarebbe salito al trono Tarquinio il Superbo che avrebbe governato da tiranno. Quest’ultimo avrebbe recato offesa ad una matrona e sarebbe stato perciò detronizzato (509 a.C.) demarcando il passaggio dall’età monarchica a quella repubblicana. In realtà i primi due re non sono mai esistiti ma sono eroi eponimi. Il numero di re che ci è stato tramandato è un numero sacro ma in realtà sono senz’altro stati più numerosi. A partire dalla dominazione etrusca la città si popola notevolmente e si assiste ad un cambiamento in senso commerciale dell’economia locale (trattato commerciale con cartagine). Non c’è ancora espansione coloniale in quanto la città antica è “città-stato”[6].
Sulle origini storiche di Roma sono state avanzate molte ipotesi basate su ricerche archeologiche e glottologiche. Alcuni studiosi sostengono l’esistenza di Roma già prima della dominazione etrusca; altri propendono per l’origine etrusca.
Per gli studiosi che sostengono tale ipotesi, i primi stanziamenti nella zona latina risalgono al X secolo e la città sarebbe sorta, non per associazione, ma per successivi ampliamenti di un nucleo primitivo durante i secoli IX e XIII a.C.
Per i sostenitori di tale ipotesi esistono tracce di stanziamenti pre-etruschi sul Palatino ma questi rappresentavano solo confederazioni fra villaggi. Furono gli etruschi i primi a introdurre il tipo della “città-stato” in Italia. Comunque, se Roma non è propriamente di origine etrusca, è etrusca senz’altro la Costituzione cittadina.
La storiografia moderna pone come organismo originario la familia, facendo derivare da questa organismi più ampi come la gens[7] e la civitas. Questa opinione non tiene conto della circostanza che l’organizzazione primitiva non era la famiglia, ma la comunità indifferenziata. L’ipotesi più probabile è quindi quella gentilizia – cioè di una federazione di gentes – che, pur non disconoscendo la possibilità di una formazione delle gentes nell’ambito di più vaste comunità, né la compresenza di organismi minori, riconosce alla gens il carattere di una organizzazione politica sia perché in essa si verificava il primo limitato fenomeno di divisione in classi, sia perché essa non aveva vincoli di sangue ma etnici.
Osserviamo i fatti: si ha una città stato solo se esiste una economia commerciale; infatti ad un’economia agricola corrisponde una struttura gentilizia, aristocratica, gerarchica, territoriale, che non conosce lo schiavo, ma solo il cliente[8] che ne è elemento estraneo con esclusivi compiti di difesa. La città-stato è un modello etrusco. Nel 754 a.C. gli etruschi ebbero la loro massima espansione territoriale a sud, e giunsero al Tevere; all’altezza dell’isola Tiberina fondarono la loro più avanzata base commerciale, trovandovi però una popolazione locale a struttura tribale (gentilizia). Nacque così un lunghissimo conflitto tra il modello etrusco importato della città-stato e quello latino locale (gentes). In una prima fase la struttura gentilizia ebbe la meglio perché più solida (è il periodo in cui le assemblee sono divise per curie); nella seconda fase i re acquisirono maggior potere ed entrarono in contrasto con il Senato di origine gentilizia (è il periodo dei comizi centuriati divisi per censo). Si ebbe dunque un cambiamento sociale, politico ed economico, insomma il passaggio da un modello politico statico ad uno dinamico. Il quel periodo i clienti si staccarono dalla gens e si unirono al resto della plebe di origine alluvionale.
L’elemento razziale può perciò essere preso in considerazione per spiegare la differenza tra patriziato e plebe, ma solo riguardo alla maggiore omogeneità del patriziato[9]. Oltre alla struttura socio-politica, il divario tra patrizi e plebei era dovuto ai diversi culti[10] e al “connubium”[11].
L’età monarchica si presenta divisa in due fasi[12]. Nella prima fase si ritiene che non esistesse una vera e propria città ma un “sinecismo”, cioè una riunione di villaggi; solo nella seconda fase si ha una vera città-stato sotto l’influenza etrusca.
Nella prima fase lo stato è federativo raggruppando numerosi insiemi di individui (gentes); in questa struttura il re deve esistere in quanto costituisce la forma più semplice di legame federativo[13]. Tale figura va intesa come coordinatrice di funzioni religiose e militari.
Nella seconda fase i re vengono presentati come figure dispotiche poiché la storia di questo periodo è scritta da elementi aristocratici contrari al potere regio. I re etruschi immettono nel diritto romano il concetto di “imperium”. L’attribuzione del potere al re avveniva con la “lex curiata de imperio” in un primo tempo rappresentata da un giuramento di fedeltà e successivamente un vero e proprio atto di sottomissione al sovrano[14]. L’unico ostacolo era rappresentato dal Senato comunque notevolmente indebolito a partire dalla dominazione etrusca.
Il comizio curiato, costituito da tutto il popolo, rappresenta il più antico organo che la storia di Roma ricordi. Secondo la tradizione fu Romolo a dividere la popolazione in tre tribù ed ogni tribù in 10 curie. Quanto alle competenze possiamo certamente escludere le funzioni elettorali, legislative e giurisdizionali. In effetti, anche per quanto riguarda la lex curiata de imperio occorre precisare che non si tratta di una lex o di una investitura ma di un semplice atto con cui il popolo riconosce l’autorità del magistrato supremo e si obbliga a sottostare al suo imperium.
Il Senato era l’assemblea dei patres o degli anziani. La dottrina ritiene che il Senato avesse un carattere originario e fosse depositario della sovranità che veniva, solo in un secondo tempo, delegata al rex. Le tre funzioni più antiche del Senato erano:
Creazione regia furono anche i comizi centuriati, attribuiti tradizionalmente a Servio Tullio. Essi erano ordinati in 193 centurie, ordinate gerarchicamente per censo, che erano al tempo stesso distretti di leva e unità di voto. Risultavano:
Classe |
Centurie |
Milizia
|
Censo in assi |
Equestre |
18 |
Cavalleria |
100.000 |
I° |
80 |
Fanteria pesante |
100.000 |
II° |
20 |
Fanteria pesante |
75.000 |
III° |
20 |
Fanteria pesante |
50.000 |
IV° |
20 |
Fanteria leggera |
25.000 |
V° |
30 |
Fanteria leggera |
11.000 o 12.000 |
Extra classem I° |
2 |
Aggregati
alla I° classe |
|
Extra classem V° |
2 |
Aggregati
alla V° classe |
|
Extra classem |
1 |
Proletari
esclusi dal servizio militare e dai diritti politici |
Nella giurisdizione civile i poteri del re riguardano la legis actio sacramento mediante la quale egli decideva su una causa tra due individui che avevano giurato[15].
Nella giurisdizione penale i due reati principali sono la codardia che – in quanto reato militare riguarda sempre il re – e l’omicidio. Quanto a quest’ultimo, se riguardava l’uccisione di un uomo – in quanto soggetto politico – era di competenza del re; se riguardava l’uccisione di una donna era di competenza della famiglia. In quest’età primitiva alla base del processo penale stava il concetto di espiazione sacrale. I tipi di espiazione erano due: la consecratio, cioè l’esclusione dell’individuo dalla collettività; il deo necari, cioè l’uccisione del colpevole per reati molto gravi quali la proditio (il tradimento), la seditio (la ribellione), la defectio (la diserzione), la perduellio (alto tradimento) e il parricidium.
Nel 509, secondo la tradizione, si passa dalla monarchia alla Repubblica. Secondo alcuni (Arangio Ruiz) tale passaggio fu lento e graduale e il re divenne “sommo sacerdote” (rex sacrorum). Oggi si ritiene comunemente che il passaggio alla Repubblica fu traumatico. La tradizione parla di un oltraggio ad una matrona da parte di Tarquinio il Superbo e di una conseguente rivolta popolare. Questa sarebbe stata seguita immediatamente dall’elezione della prima coppia consolare, che avrebbe mantenuto ogni prerogativa regia (imperium) con in più il diritto di veto sulle decisioni del collega. In realtà, nel 524 ad Ariccia vi fu una battaglia che segnò il declino irreversibile degli etruschi. Roma – con la cacciata dei Re – si scrollò di dosso il dominio regio di origine etrusca, estraneo ai propri schemi politici. In quest’ottica vanno visti gli scontri con Porsenna, re di Chiusi, che cercava di ripristinare a Roma la monarchia sostenuto dalla plebe urbana, da sempre monarchica e antiaristocratica.
Nel 494 il contrasto tra patrizi e plebei causò la creazione dei tribuni della plebe: è la prima secessione plebea. La plebe faceva giuramento (sacramentum) ai suoi magistrati (tribuni plebis) e creava le leggi sacrate[16].
In età monarchica i tribuni erano esistiti come tribuni militum[17], le forme di magistrati più vicine al popolo. La plebe si impegnava a difendere in armi i propri magistrati (coniuratio). I tribuni portavano aiuto alla plebe (auxilium) minacciando nuove secessioni e con il potere di intercessio[18]. La prima secessione si concluse con l’ambasceria di Menenio Agrippa[19]. Oltre a nuove terre e al riconoscimento delle proprie magistrature i plebei chiedevano l’accesso a tutte le magistrature dello Stato e l’abolizione del connubium[20].
Nel 451 sarebbero state soppresse, secondo la tradizione, tutte la magistrature, e sarebbe stato creato, su proposta del tribuno Trentilio Arsa, un collegio di 10 magistrati con il compito di legiferare (decemviri legibus scribundis). L’anno successivo, in un secondo collegio, sarebbero stati eletti anche alcuni plebei, ma a causa del loro comportamento tirannico i secondi decemviri sarebbero stati rovesciati. Lo scopo delle leggi delle XII tavole – opera dei decemviri – era quello di mettere alla pari tutte le classi dei cittadini: infatti le leggi contenute nelle tavole non erano nuove, ma essendo scritte erano certe. Quanto alla natura del decemvirato, secondo il De Martino si tratterebbe di una magistratura permanente, e perciò avrebbe preso il posto dei consoli e dei tribuni della plebe[21]. Le XII tavole si possono dividere per argomenti:
TAVOLA |
ARGOMENTO |
I, II e III |
Processo |
IV |
Diritto di famiglia |
V |
Eredità |
VI |
Negozi giuridici |
VII |
Norme sulla proprietà immobiliare |
VIII e IX |
Delitti e processo criminale |
X |
Norme di carattere Costituzionale |
XI e XII |
Appendici |
La prima legge delle tavole riguarda l’estinzione del debito e la punizione del debitore moroso (con garanzie per il debitore). Seguono leggi che riguardano l’emancipazione dei figli, la manus sulla moglie, la tutela di minori e incapaci, l’interpretazione restrittiva degli atti del contratto, la mancipatio[22] e la in iure cessio[23]. Vi sono poi leggi sui piccoli fondi, contro i procedimenti magici, contro il furto e l’omicidio, sulla sovranità del popolo.
Le norme a carattere costituzionale riguardano:
Le leggi Valerie Orazie – dal nome dei consoli del 449 – sono favorevoli alla plebe:
Con la successiva legge Canuleia del 445 cadono le tavole inique e si attua l’unità cittadina. Dal 449 al 367 non vi fu il consolato, che fu sostituito dal collegio dei tribuni militum con potestà consolare, tra i quali due erano eponimi (i loro nomi cioè, venivano scritti nei fasti capitolini). A partire dal 367 esistono per la storia del diritto romano dati sicuri.
Le leggi Licinie Sestie del 367 reintroducono il consolato – al quale venivano ammessi ora anche i plebei – introducono la nuova magistratura della pretura[25], stabiliscono l’estensione di agro pubblico che ogni privato può possedere, e dettano norme riguardanti l’aes alienum. Si è ormai arrivati alla completa fusione della classe dirigente patrizia con quella plebea: nasce così la nobilitas che sarà comunque una casta chiusa. Vediamo più da vicino le leggi Licinie Sestie.
Il tentativo di far rimanere le formule giudiziarie nell’ambito gentilizio termino nel 337 con l’elezione alla pretura del plebeo Publio Filone[29].
Magistrature importanti furono poi i censori[30], gli edili[31] e i questori. Quanto al tribunato, esso non era ormai altro che il primo gradino della carriera politica. Con il principio della collegialità, infatti, la carica contestataria del tribunato decadde, perché, potendo ogni tribuno opporre il veto alle proposte di un collega, all’aristocrazia bastava controllarne uno.
I magistrati supremi avevano la potestas e l’imperium:
Le caratteristiche degli organi dell’ordinamento romano non devono essere intese come immutabili durante tutto il periodo repubblicano. Dal 367 al 283 si assiste infatti ad un periodo di assestamento caratterizzato dalla necessità di eliminare gli ultimi contrasti fra patrizi e plebei; tra il 283 e il 146 i vari organi di governo si armonizzarono e dettero vita al governo repubblicano; fra il 146 e il 27 la lunga crisi della repubblica determinò la corruzione e la scomparsa della armonia e dell’equilibrio del periodo precedente.
Il Senato nell’età repubblicana assume una posizione di notevole importanza: mentre teoricamente il suo parere non vincolava i magistrati, di fatto essi risultarono i meri esecutori di una volontà politica che si formava indipendentemente da loro nell’ambito senatorio. La trasformazione più importante del Senato riguardò il fatto che entrarono a farvi parte anche i plebei. Il numero normale di senatori fu di 300 finché Silla non li portò a 600. I poteri rimasero sostanzialmente immutati: tuttavia alcune leggi stabilirono che l’auctoritas patrum doveva precedere e non seguire la votazione comiziale delle leggi.
Le magistrature altro non furono che la prosecuzione e lo sviluppo di cariche che già si erano costituite nei momenti della crisi dello Stato Quiritario. Fra i magistrati si distinguevano i maiores, forniti di potestas e di imperium, e i minores, forniti della sola potestas. Quanto alle modalità di elezione, alla regola secondo cui “il magistrato crea il magistrato” si sostituì quella dell’elezione popolare dei magistrati.
Fra tutte le magistrature il consolato emerge per il carattere illimitato delle sue competenze. I consoli sono forniti di imperium ma tale potere non è illimitato come quello regio bensì sottoposto a tutti quei vincoli propri di tutte le magistrature (annualità, collegialità, esistenza di altri magistrati, limiti della provocatio, ecc.) [33]. I consoli erano due, esercitavano il potere collegialmente, duravano in carica un anno e all’anno stesso davano il nome. Erano nominati dai comizi centuriati, presieduti da un magistrato con potere maggiore o uguale al loro, di regola il 15 marzo.
I comizi curiati ebbero attribuzioni di carattere religioso, anche perché continuarono ad esistere solo per rispetto alla tradizione. I comizi centuriati mantennero la loro origine militare; vennero convocate dai magistrati cum imperio e si riunirono nel campus martius secondo rigorose formalità. Le loro attribuzioni furono:
I comizi tributi erano l’assemblea deliberativa dell’intero populus, ordinato per tribus, su convocazione e sotto la presidenza dei magistratus maiores. Le attribuzioni di tale assemblea furono:
Infine, in epoca repubblicana, rimasero di preminente importanza i concilia plebis, cui si ricorse soprattutto per la votazione delle riforme agli istituti dello ius civile. Le attribuzioni furono:
L’evoluzione degli organi dello stato romano è accompagnata dall’evoluzione di fattori esterni. Riguardo all’espansione romana, una tesi del 1800 afferma che si trattò di un espansionismo difensivo. In realtà la spiegazione risiede nel fatto che la società romana non aveva un equilibrio interno. L’economia agricola è povera e dissestata dalla circolazione di denaro che provoca continui debiti; il commercio crea una nuova aristocrazia, quella dei cavalieri. L’espansione verso sud è di tipo imperialistico e comporta una grossa spesa:
I rapporti con le città sottomesse sono diversificati: i Romani infatti:
Nel 282 scoppiò la guerra contro Pirro, che nel 272 permise a Roma di occupare tutta l’Italia peninsulare[35].
In questo periodo la contrapposizione sociale non è più ormai tra patrizi e plebei ma tra nobilitas e resto della popolazione: si pensi che la legge Ogulnia del 300 permette ai plebei l’accesso anche al pontificato.
La lex Publilia Filonis del 339 prevede che i plebisciti abbiano valore di legge se autorizzati preventivamente dal Senato. La completa parificazione plebisciti-leggi si avrà con la lex Hortensia del 286. Da allora le leggi saranno votate quasi solo dal popolo, ma i tribuni, che devono proporre le leggi, appartengono anch’essi alla nobilitas, perciò no vanno contro gli interessi della propria classe.
Il riconoscimento alle assemblee del potere legislativo
dette luogo all’inclusione, tra le fonti del diritto romano, delle leges publicae populi romani. Leges
erano tutte le deliberazioni
comiziali, quindi anche quelle relative alla creatio dei magistrati e
quelle interferenti negli iudicia
criminali. Solo più tardi il
termine di “leges” fu riservato alle sole deliberazioni a
carattere normativo.
Alla fine della prima guerra punica diviene definitiva la riforma del comizio centuriato e nasce accanto al pretore urbano il pretore peregrino[36]. La riforma del comizio centuriato è volta a dare maggiori poteri ai possessori di capitale mobile. Il senso di questa riforma è quello di riprodurre all’interno di ciascuna tribù la stessa divisione delle classi esistente nella società. Ciò comportava una ridistribuzione artificiale della popolazione mediante l’equiparazione tra il capitale mobiliare e la proprietà terriera. Effetto politicamente significativo di questa nuova assemblea fu quello di equiparare in modo totale patriziato e plebe, e di far decade il principio timocratico rigidamente sancito nell’originaria struttura centuriata.
La Sicilia non entra a far parte dell’Italia: la vera Italia è quella peninsulare, tutto il resto è provincia[37]. Anche in Sicilia si riproduce la solita casistica degli accordi tra Roma e le singole città che potevano essere:
La lex Ieronica (di origine ellenistica) prevede che il suolo delle Province sia proprietà dello Stato e chi lo coltiva debba pagare una decima[38]. I profitti delle decime portano a Roma fiumi di denaro. La circolazione monetaria però non trova sbocchi non esistendo attività in cui il denaro possa essere investito: ciò comporta il depauperamento di larghi strati sociali e il dissesto dell’economia.
Nel 218 comincia la seconda guerra punica[39], che avrà un costo umano altissimo. Ad essa appartengono le figure di Quinto Fabio Massimo – fautore di una politica di temporeggiamento, vuole difendere l’Italia e vuole combattere Annibale in Italia – e Scipione l’Africano – fautore di una politica aggressiva, vuol portare la guerra in Africa e conquistare Cartagine. Avrà la meglio quest’ultimo e al termine della guerra Cartagine perderà la Sardegna, la Corsica e la Spagna, che formeranno nuove province Romane. L’espansione romana continua nel 198 con la guerra macedonica e nel 190 con la guerra siriaca, ma tale espansione presenta un aspetto differente rispetto al passato: non è più una espansione territoriale ma commerciale, in quanto nel 198 verrà proclamata la libertà delle città greche senza che si proceda ad annessioni, e la guerra del 190 ingrandirà solo gli stati alleati (Pergamo, Bitinia, Rodi).
Con le battaglie di Pidna (nel 168 e nel 148), la distruzione di Cartagine (146) e la riduzione a provincia di tutta la Grecia, la tendenza a formare nuove province si stabilizza e si ricerca solo il monopolio del commercio marittimo.
In questo periodo, tre fattori, uniti alla prime deroghe costituzionali, provocano mutamenti dell’assetto dell’ordinamento e la trasformazione del processo criminale[40]:
Quanto agli effetti giuridici di questa evoluzione politica, la visione tradizionale degli autori romani è unanime: con la lex Hortensia l’assetto costituzionale è perfetto; in seguito inizia la decadenza[42].
Un periodo di grande sconvolgimento fu l’età graccana, che fu descritta da Diodoro, Appiano e Plutarco. Uno dei più importanti motivi di crisi della Roma di questo periodo consiste nell’espropriazione dei piccoli proprietari terrieri, cui aveva fatto seguito lo spopolamento delle campagne e la crisi demografica. La famiglia dei Gracchi si fa interprete delle istanze della plebe che più di chiunque scontava le conseguenze di tale crisi[43].
Nel 133 Tiberio Gracco, figlio di Tiberio Sempronio Gracco, viene eletto tribuno e presenta una legge sulla misura dell’agro pubblico secondo la quale quest’ultimo doveva essere diviso in lotti non superiori a 500 iugeri. Chi ne possedeva di più doveva restituirli affinché una commissione (detta “dei tresviri”) procedesse all’assegnazione a favore della plebe nullatenente. Il tribuno Ottavio oppose il proprio veto. Tiberio, non riuscendo a far togliere il veto, fece deporre Ottavio dall’Assemblea[44].
La legge viene quindi approvata ma la sua attuazione incontra mille difficoltà opposte per far terminare l’anno di carica di Tiberio che tuttavia, al termine del mandato, ripropone la sua candidatura[45]. Questo fa scoppiare dei disordini in cui Tiberio trova la morte[46]. A questo punto dovranno trascorrere dieci anni prima del secondo tribunato graccano.
Caio Gracco (123) si preoccupò di garantire una funzione costituzionale alla neonata ordo degli equites proponendo una legge sul trasferimento delle corti giudicanti dai Senatori ai cavalieri, assicurando così a quest’ultimi il compito di giudicare nelle quaestiones extra ordinem. Propose inoltre numerosissime altre leggi, tra le quali:
L’esperienza graccana si protrasse per i due tribunati del 123 e 122. Dopo i tentativi di far abrogare la lex Rubria, il Senato votò un provvedimento senza precedenti, il senatus consultum ultimum, che aboliva le garanzie costituzionali e dava ordine al console Lucio Opimio di operare la repressione dei tumulti. Roma fu occupata militarmente e i graccani, ritiratisi sull’Aventino, furono in gran parte uccisi, compreso Caio. La morte di Caio segna l’inizio effettivo delle guerre civili.
Dopo la repressione graccana si assiste alla formazione della factio in seno alla nobilitas, un gruppo ristretto della classe dirigente che accentra tutte le magistrature e le posizioni di governo[47]. I poteri dei tresviri vengono ridotti da tre leggi:
Nel 106 Servilio Cepione reintroduce i Senatori nella quaestio de repetundis, la cui giuria deve essere quindi composta per metà da Senatori e per metà da cavalieri.
In seguito alla guerra di Numidia e all’ascesa al trono di Giugurta (figlio illegittimo del re di Numidia ma appoggiato da Roma), si creano in Roma due fazioni, una interventista – guidata dai cavalieri – e una non interventista – guidata dal Senato. Una strage di mercanti romani operata da Giugurta a Cirta fa scoppiare la guerra. Caio Mario – successo al comando delle operazioni in Numidia a Quinto Cecilio Metello – riesce a catturare Giugurta grazie anche all’aiuto del suo luogotenente Silla. Contemporaneamente alla guerra in Numidia, le popolazioni barbare dei Cimbri e dei Teutoni invadono l’Italia settentrionale infliggendo una pesante sconfitta ai romani. Mario – che era stato eletto console – vide prolungato il suo mandato dal 104 al 101, anno in cui sconfisse gli invasori. Le gravi perdite di quegli anni indussero Mario ad arruolare anche la plebe urbana non iscritta nelle centurie e gli italici[48].
Nel 100 Mario si ripresenta al Consolato, alleandosi con Apuleio Saturnino[49] e con Servio Glaucia[50]. A questi ultimi si dovettero:
Durante i comizi elettorali Gaio Memmio, candidato avverso a Glaucia, viene ucciso in un tumulto: il Senato vota quindi un senatus consultum ultimum e ordina a Mario di attaccare Apuleio, Glaucia e i loro seguaci. Mario, consapevole che ciò avrebbe compromesso il suo credito e il suo potere politico, esegue suo malgrado l’ordine. Le leggi di Apuleio e Glaucia saranno abrogate e sarà così stroncato il secondo tentativo di cambiamento.
Riguardo al senatus consultum ultimum, molti studiosi romanisti affermano che il Senato compì un abuso, ma non considerano che presso gli antichi non esisteva una costituzioni scritta ma solo una prassi costituzionale determinata da rapporti di forza.
La quaestio de maiestate è la seconda quaestio perpetua dopo quella de repetundis, ma al contrario di quest’ultima è attivata per conto dello Stato, e l’accusa viene esercitata solo da cittadini romani.
La produzione normativa di questo periodo è molto vasta e si sente il bisogno di proteggerla: nasce così la sanctio legis di Saturnino la clausola propria delle leggi che si prevede saranno fortemente osteggiate dagli oligarchici.
Nel 92, il tribuno Livio Druso propose che il numero dei Senatori fosse raddoppiato e che i nuovi Senatori fossero equites. Tale misura era di carattere conciliativo: si sarebbe così arginato lo strapotere degli equites con l’immissione nel Senato dei membri più influenti e sarebbe terminata la lacerante contesa per il controllo delle quaestiones perpetue[51]. In campo popolare Druso concesse la cittadinanza agli italici per porre rimedio alla loro contrarietà alla distribuzione delle terre.
La morte di Druso lasciò aperta una situazione di estrema tensione che sfocerà nel 90 nella guerra sociale. In tale anno insorgeranno contro Roma tutti gli alleati italici che creeranno una vera e propria “civitas Italia” contrapposta alla “civitas romana” con una propria organizzazione indipendente. La guerra sarà sanguinosissima (oltre 300.000 caduti per parte) e terminerà con l’emanazione di tre leggi:
Nonostante l’estensione della cittadinanza, il modello romano non cambia: tutte le città d’Italia diventano municipi “optimo iure”.
Intanto nell’88 scoppia la guerra contro Mitridate re del Ponto. Il tribuno Sulpicio Rufo propose due leggi, una delle quali toglieva il comando delle operazioni di guerra a Silla – che aveva già radunato il suo esercito a Napoli – e l’altra che iscriveva gli italici in tutte le 35 tribù. Silla – che sarebbe stato sostituito da Mario – marciò su Roma, cacciò Mario e fece abrogare le leggi di Sulpicio; dopodiché partì per la guerra.
Mentre Silla vinceva Mitridate a Cheronea e a Orcomeno, Cinna – eletto console nell’87 – instaurò a Roma, per tre anni, un potere dispotico e antinobiliare: nacquero le liste di proscrizione. Silla, conclusa la pace con Mitridate, tornò in Italia nell’83 e sconfisse i cinnati nella battaglia di Porta Collina dell’82.
Roma vive ora uno dei momenti più drammatici della sua storia: le proscrizioni hanno ridotto il Senato da 300 a 100 membri; 100.000 veterani di Silla chiedono terre, e Silla concede loro di occupare le terre italiche dove vogliano all’interno di determinati confini.
Silla ebbe dopo l’82 una formale investitura perpetua[52] a dittatore per la riorganizzazione dello Stato. Il Senato fu portato a 600 membri, e i nuovi Senatori furono in massima parte equites, forse scelti direttamente da Silla. La lex Villia “de annalis” del 180 ripristinò gli intervalli regolari tra le magistrature. Una legge permise ai soli Senatori di rivestire il tribunato e vietò a chi era stato tribuno di rivestire cariche successive. Con Silla le quaestiones perpetue divennero 6 o 7 (o addirittura 9). Si conoscono:
Con le quaestiones scompare il potere giudiziario delle assemblee popolari e conseguentemente dei tribuni, che dinanzi ad esse portavano l’accusa.
Ogni quaestio era attivata da un’accusa che un cittadino portava avanti dopo una richiesta a un giudice che valutava il fondamento dell’accusa. In antichità un fatto non poteva essere sottoposto due volte al giudizio dello stesso organo: ciò favoriva la prevaricatio, la collusione fra accusato e accusatore. Silla spogliò infine il tribunato di ogni potere: la lex Hortensia fu abrogata e fu ripristinata la lex Publilia Filonis.
Gli storici antichi non hanno mai parlato di “costituzione sillana”, ma solo di Silla come uomo e riformatore. Per quanto riguarda la storiografia moderna, il Carcopino dice che Silla segnò l’inizio di un potere monarchico; altri parlano di Silla come restauratore. In realtà egli fu un riformatore in chiave oligarchica e antipopolare.
Dopo la morte di Silla iniziò il periodo delle “grandi personalità”: ciò rispecchia la decadenza del sistema oligarchico. Il Senato – organo dell’oligarchia – aveva cessato di essere la guida dello Stato al tempo delle guerre civili. Le assemblee popolari, inoltre, avevano perso gran parte del loro significato politico e rappresentativo con l’estensione della cittadinanza agli italici.
Nel 76 Pompeo ottenne il comando della guerra contro Sertorio, che durava dall’80, e la portò a termine nel 72, ricevendo poi il comando nella guerra contro Spartaco[53]. In questa guerra apparve la figura di Licinio Crasso con cui Pompeo divise il consolato nel 70.
Nello stesso anno inoltre:
Nel 67 scoppiò la guerra piratica e la lex Gabinia affidò il comando dell’esercito a Pompeo, attribuendogli poteri enormi. Terminata la guerra piratica, Pompeo fu inviato contro Mitridate nel 66. Qui non si limitò a concludere il conflitto ma conquistò ingiustificatamente anche la Siria e la Palestina che organizzò a suo profitto.
Con Pompeo, dunque, i poteri militari vengono prolungati indefinitivamente, e ciò sarà un elemento di disgregazione dello Stato, perché un tale tipo di imperium è contrario ai principi repubblicani.
Nel 64, appoggiato da esponenti dei Senatori e dei cavalieri, si candida al consolato Catilina, esponente della nobiltà più antica. Ma fu proprio la factio che temeva Catilina per i suoi progetti innovatori, ad opporgli l’homo novus Cicerone, che infatti ottenne il consolato. Durante il consolato di Cicerone la situazione precipitò: Catilina venne accusato di gravi misfatti, il Senato emanò un senatus consultum ultimum, Catilina si rifugiò a Pistoia dove venne sconfitto e ucciso.
Nel 60 venne stipulato un accordo privato per la guida dello Stato fra tre personaggi: Crasso, Pompeo e Cesare. Quest’ultimo era nato nel 100 dalla gens Iulia, antichissima ma con un patrimonio dissestato. Era stato governatore della Spagna e era diventato console nel 59. In quest’anno Cesare propose moltissime leggi:
Nel 59 un tribuno di fiducia di Cesare, Vatinio, fece approvare una legge che concedeva a Cesare il governo della Gallia Cisalpina per 5 anni.
L’anno successivo un altro tribuno, Clodio, fa approvare numerose leggi fra cui:
Clodio fece anche esiliare Cicerone per aver fatto uccidere i catilinari senza un regolare processo e solo in base ad un senatus consultum ultimum. Si trattò dello scontro fra due principi: quello aristocratico, secondo il quale un senatus consultum ultimum autorizzava ad uccidere i cittadini romani dichiarati nemici pubblici; e quello democratico, secondo il quale ogni cittadino poteva essere condannato a morte soltanto dopo un processo. L’esilio di Cicerone non durò comunque a lungo: nel 57 fu richiamato a Roma in quanto Cesare aveva bisogno di riconciliarsi con il mondo Senatorio e quello equestre.
Nel 56 i triumviri stipularono a Lucca un secondo accordo: Pompeo e Crasso avrebbero avuto il consolato nel 55 e Cesare avrebbe avuto il comando della Gallia per altri cinque anni[54]. Dopo il consolato Crasso andò a governare la Siria e a combattere i parti; Pompeo, che sarebbe dovuto andare in Spagna, restò a Roma. Crasso morì nella battaglia di Carre del 53; Pompeo venne eletto console senza collega.
Nel 52 terminò la guerra gallica con la romanizzazione di tutta la Gallia.
Nel 49 il mandato di Cesare scadeva ma questi non volle deporre l’imperium per non finire sotto processo. Nel 49 Cesare passò il Rubicone con l’esercito contravvenendo alle leggi di Silla; il Senato emise un senatus consultum ultimum ma Cesare giunse a Roma e la occupò. In seguito inseguì Pompeo e lo sconfisse a Farsalo nel 48. Tornato in Italia si fece eleggere dittatore per 10 anni nel 46, console unico nel 45, dittatore a vita, imperator, tribuno a vita, pontefice massimo e padre della patria nel 44. Portò il Senato a 900 membri, estese la cittadinanza romana alla Gallia Cisalpina, fece votare una legge sull’unificazione dei municipi. Nel 44 venne ucciso.
La prima grossa novità, risalente al 242, è l’introduzione del pretore peregrino. Davanti a questi non erano esperibili le legis actiones e nasce così il processo formulare nel quale il pretore invia al giudice una specie di “biglietto di istruzioni” nel quale si mette in evidenza il punto centrale della controversia. Con la lex Aebutia viene esteso il processo formulare anche alle controversie tra cittadini romani.
L’uso delle formule, però, rende il diritto estremamente frammentario e perciò la giurisprudenza si occupa soltanto della casistica. Tutto ciò porterà alla creazione dell’Editto pretorio, un albo di formule fisse proposte da ciascun pretore, che si ripete di anno in anno e si arricchisce grazie all’intervento di alcuni pretori più esperti.
Il diritto pretorio che così nasce non può derogare dallo ius civile, ma lo può interpretare favorendone un’applicazione meno meccanica, perché il pretore è il “dominus” del processo. Nascono con il tempo nuove formule:
le formule in factum, per situazioni concrete non previste dallo ius civile;
le formule fitticiae, con cui si da per esistente un certo presupposto per rendere possibile l’esperimento di un rimedio giudiziale;
le actiones utiles, con cui si adattavano i principi civilistici a casi non contemplati.
Vengono inoltre introdotti i principi della bona fides e quello opposto del dolus. Giuristi come Manio Manilio e Giunio Bruto ricercano la possibilità di interpretazioni in base a leggi posteriori a quelle decemvirali, mores e principi equitativi. In seguito nasce l’attività definitoria che tende a determinare i singoli istituti. In tal senso, Quinto Mucio Scevola fu il primo a comporre un trattato giuridico unitario.
Mentre in tutta l’età repubblicana il giurista è sempre stato un uomo politico, nella tarda repubblica si assiste al suo progressivo distacco dalla vita politica, con un notevole incremento della produzione dottrinale.
Alla morte di Cesare, le classi sociali si trovarono di nuovo in conflitto. Alla guida dei democratici, degli equites e dell’esercito, troviamo Marco Emilio Lepido e Marco Antonio. Quest’ultimo era riuscito a farsi attribuire il governo della Gallia dall’assemblea e non dal Senato che, dunque, gli mandò incontro i due consoli con un esercito: entrambi i consoli morirono nella battaglia di Modena. Nel frattempo Cicerone credette di aver trovato in Gaio Ottaviano – figlio adottivo di Cesare – un campione da opporre ad Antonio. Ma Ottaviano, eletto console, strinse un accordo con Antonio e Lepido: nacque allora il secondo triumvirato, questa volta legalizzato da una lex Titia che nominava i tre triumviri rei publicae constituendae. Essi si divisero il governo delle province che – dopo la legge di Silla che scindeva l’imperium domi dall’imperium militiae – era l’unico modo per aver a disposizione un esercito: Ottaviano ottenne l’Africa e le isole, Lepido la Gallia Narbonese e la Spagna, Antonio la Gallia Cisalpina. Subito dopo la costituzione del triumvirato, Cicerone venne inserito nelle liste di proscrizione; Bruto e Cassio furono uccisi nella battaglia di Filippi del 42 dall’esercito di Antonio e di Ottaviano. Dopo Filippi vi fu in Italia un enorme sconvolgimento: 170.000 veterani furono lasciati liberi di occupare il suolo italico e l’agricoltura dopo questo colpo non si risollevò più.
Lepido fu tolto di scena, mandato prima ad amministrare la Sicilia e poi eletto pontefice massimo; rimanevano Antonio e Ottaviano che si divisero l’impero: a Ottaviano l’Occidente; a Antonio l’Oriente con l’incarico di far guerra ai Parti. Mentre Ottaviano riusciva a ripristinare il potere degli organi repubblicani, Antonio invece di far guerra ai Parti si trasferì in Egitto dove legò con la regina Cleopatra. Nel 32 Ottaviano rese noto il testamento di Antonio che lasciava alcun territori romani all’Egitto: il Senato affidò quindi ad Ottaviano il compito di muover guerra all’Egitto e ad Antonio, dichiarato nemico pubblico[55]. Ottaviano sconfisse Antonio ad Azio nel 31 e fece dell’Egitto un suo possedimento personale che trasferì ai suoi successori.
Ottaviano fu console dal 31 al 23 e fino al 28 rimase triumviro senza colleghi. Nel 27 dichiarò di volersi ritirare a vita privata ma dietro supplica del Senato accettò l’amministrazione di alcune province; nel 23 deposto il consolato, accettò l’imperium proconsulare maius[56] e la tribunicia potestas[57], due cariche che successivamente mantennero tutti gli altri imperatori; nel 12 fu nominato pontefice massimo a vita. Infine cambiò nome: si fece attribuire i titoli di imperator in quanto governatore delle province e capo dell’esercito, Caesar in quanto figlio adottivo di Cesare, Augustus.
Egli conservò tutti gli istituti giuridici e le formule costituzionali repubblicane: ciò è scritto nell’epigrafe del Monumentum Ancyranum, una stele ritrovata ad Ankara, in cui Augusto parla in prima persona definendo le proprie azioni “res gestas divi Augusti”. Egli vuole essere considerato un restauratore che ha posto termine alle guerre e restaurato la Repubblica[58].
Quale capo dell’esercito, Augusto si preoccupò della sua riorganizzazione:
Si calcola che sotto le armi servissero almeno 500.000 uomini su 4.000.000 di cittadini: nasceva il problema della carenza di uomini.
In conclusione, non si può parlare di Augusto come di un magistrato con poteri straordinari; certo i suoi poteri non derivano da alterazioni violente della costituzione ma dall’introduzione di competenze nuove in materie nuove e dall’integrazione delle strutture preesistenti con nuove strutture che si erano rese necessarie:
Tutto questo nuovo apparato fa capo al princeps che naturalmente ha bisogno di numerosi collaboratori, scelti solitamente fra gli schiavi poiché privi di capacità giuridica. La struttura burocratica che si va formando è essenzialmente diversa da quella repubblicana: il magistrato repubblicano è investito dei suoi poteri dal popolo; il burocrate di questo periodo è un funzionario con poteri amministrativi legittimati dal principe[60]. Scelti dal principe, i magistrati persero molti poteri; i consoli divennero prima 4, poi 8 fino a 25, divisi in ordinari, eponimi e suffecti; i pretori divennero 16 con la creazione di nuovi pretori per singole materie; i proconsoli vennero inviati ad amministrare le province Senatorie; i Senatori vennero ridotti da 900 a 600[61]. Gli equites si orientano verso la carriera burocratica in quanto gli appalti delle province Senatorie sono ben poca cosa; la plebe ha perso il potere legislativo dei concilia in quanto le leggi sono presentate dai consoli o da Augusto stesso ai comizi centuriati.
Per quanto riguarda la giurisdizione, Augusto riorganizza la materia con le leggi Iulia iudiciorum privatorum e Iulia iudiciorum publicorum; fa inoltre votare una lex sumptuaria per la repressione del lusso e si occupa di legislazione in campo matrimoniale e relativa agli schiavi. In quest’ultimo campo tre leggi, la Fufia Caninia, la Aelia Sentia, la Iunia Norbana, pongono una nuova disciplina fondata sulla limitazione del diritto del padrone di manomettere (liberare) lo schiavo rendendolo così cittadino[62].
L’economia dell’epoca Augustea è di tipo monetario, basata sul commercio e non produttiva: si sarebbe dovuto alimentare il circuito monetario attraverso una politica di conquiste cui Augusto era però contrario; ciò porterà alla crisi economica del III secolo.
Se la vera legislazione finisce con Augusto, con lui nascono fonti normative diverse. In età repubblicana, il Senato non può emanare leggi, ma ne può raccomandare una determinata interpretazione: su questa base nascono in epoca augustea i Senato-consulti normativi, che integrano anche le antiche leggi comiziali.
L’imperium proconsulare maius conferisce ad Augusto la facoltà di emanare editti validi per tutte le province: uno degli esempi più importanti è l’Editto ai Cirenei con il quale viene modificata la lex Iulia de repetundis creando un tipo di processo più rapido, per questa materia, da svolgersi davanti al Senato. Gradualmente questa procedura si estende anche ad altre materie: in particolare il Senato viene reso arbitro della giurisdizione sui propri membri in campo criminale.
Viene estesa la nozione di reato maiestas alle lesioni dell’assetto costituzionale; la cognitio extra ordinem, che si estende al di fuori dell’ordo iudiciorum delle quaestiones perpetue, finisce per assorbire in gran parte le loro competenze. Mentre nelle quaestiones perpetue il rito è accusatorio, nella cognitio extra ordinem è inquisitorio: un delegato di Augusto, ricevuta una denuncia, procede ad una inchiesta. Nei processi, Augusto si riserva il c.d. “voto di Minerva”, in caso di parità dei voti dei giudici, e l’appellatio, cioè l’intervento diretto per tutta una serie di casi.
In campo civilistico, la lex Iulia iudiciorum privatorum abolisce le legis actiones, già in disuso. Resta il processo formulare, caratterizzato dalla tipica forma contrattuale della c.d. litis contestatio[63]. Anche nell’ambito del diritto processuale privato interviene la cognitio extra ordinem, subentrando al processo formulare[64]: con la cognitio, la formula viene sostituita dalla domanda scritta di una delle parti al funzionario imperiale davanti al quale si svolgerà il processo. In questo periodo l’editto pretorio giunge ad un tale grado di perfezionamento che le formule in esso contenuto divengono fisse o quasi. Quanto alla giurisprudenza, c’è ora un istituto nuovo: lo ius respondendi, il diritto di dare risposte a quesiti giuridici completi suffragate dall’autorità dell’imperatore[65].
In epoca augustea si accentua anche il distacco dei giuristi dalla vita pubblica: si formano due scuole di pensiero, quella Proculiana, più tradizionalista, e quella Sabiniana, più aperta alle innovazioni.
Quanto alla natura del regime augusteo, gli storici hanno elaborato diverse teorie. Il Mommsen sostenne la teoria diarchica, o degli ordinamenti paralleli, secondo cui Augusto creò un ordinamento nuovo che si affiancava a quello repubblicano[66]; Arangio Ruiz ritiene invece che si tratti di una situazione di protettorato: Stato protetto è la Repubblica formalmente intatta, Stato protettore la Monarchia[67].
La considerazione globale è che nessun governo assoluto ha mai voluto presentarsi come tale, e si è sempre definito democratico: i regimi assoluti sono regimi fattuali, e tale è quello Augusteo. In conclusione si può affermare che durante periodo in esame l’affermazione di un nuovo organo dello Stato, il Principe, causò il graduale assorbimento, da parte di questo, delle antiche competenze dei vari organi, lasciando formalmente intatto, ma concretamente sempre più vuoto, l’ordinamento repubblicano.
Il frutto più importante del nuovo regime fu senza dubbio la pace che era, dopo decenni di sanguinose lotte, un’esigenza insopprimibile. La classe che trasse maggiore vantaggio dal nuovo assetto costituzionale fu il ceto medio, composto da professionisti, funzionari, ufficiali, impiegati ecc. Si moltiplicarono difatti gli impieghi a reddito fisso e quindi gran parte dei cittadini si trovavano ad essere mantenuti ma anche a dipendere dallo Stato.
Con la morte di Augusto si apre il problema della successione. Molti storici affermano che non si trattò di un potere monarchico perché non ci fu trasmissione ereditaria. Ma in realtà Augusto fece di tutto per rendere ereditaria la sua carica. Ebbe infatti tre mogli ma non una discendenza diretta maschile. Augusto pensò ai figli che Giulia – sua figlia con la moglie Scribonia – aveva avuto da Agrippa (uno dei tre mariti di costei): però due morirono giovani e uno fu esiliato. Rimase Tiberio, figlio di primo letto di Livia Drusilla (terza moglie di Augusto) e Tiberio Nerone, nonché marito di Giulia.
Con la morte di Augusto si apre l’età Giulio-Claudia; questa è un’epoca di profondi cambiamenti, in cui si sviluppano e si assestano le novità dell’epoca augustea[68]. Inoltre, l’età Giulio-Claudia è l’età dei primordi del Cristianesimo e delle sue prime persecuzioni.
Tiberio, come si è detto, è il successore designato di Augusto. Egli sa di non avere lo stesso carisma del suo predecessore e così cerca di operare in accordo con il Senato. Rifiuta di essere considerato oggetto di culto e rinuncia all’appellativo di padre della patria. Sotto Tiberio, gli equites escono dalle centurie che si occupano della “destinatio” dei magistrati, rompendo così l’equilibrio con i Senatori. Nel 31 il prefetto del pretorio Seiano, approfittando della lontananza da Roma di Tiberio, aveva cercato di instaurare una forma di coregenza con l’imperatore ma fu da questi fatto giustiziare come reo di tradimento.
In questo periodo vi fu un enorme afflusso di capitali in moneta pregiata in Italia, capitali che riprendevano la via delle province nel commercio di beni di lusso di cui usufruiva la classe Senatoria. Non vi erano infatti per questo denaro possibilità di investimento in quanto la maggior parte della popolazione viveva a livelli di sussistenza. Tiberio cercò di porre rimedio a tale situazione obbligando i detentori di capitali ad acquistare terreni italici: ma i terreni erano molti, i prezzi calarono e ciò provocò la rovina degli ultimi agricoltori e dei piccoli proprietari.
A Tiberio successe Caligola. La tradizione dice che egli fu per qualche tempo un buon imperatore ma poi impazzì. In realtà, mentre in un primo tempo Caligola accettò la tutela del Senato, successivamente cercò di sottrarvisi, tentando di dar vita ad una monarchia di stampo ellenistico.
Di Claudio, la tradizione dice che, schiavo delle sue donne e dei suoi liberti, visse più da liberto che da libero; fu acclamato dalle corti pretorie quando era già in età avanzata. Egli sviluppò l’apparato amministrativo e ciò necessitava dell’uso di schiavi e di liberti che acquistarono, così, poteri enormi. Fu ripresa inoltre la politica espansionistica in Britannia e in Mauritania, che servì a fornire i fondi necessari all’opera dell’imperatore. Sotto Claudio si ebbe la prima persecuzione cristiana: Svetonio narra che gli Ebrei che tumultuavano sotto l’impulso cristiano furono espulsi da Roma.
Nerone era figlio di Domizio Enobarbo e di Agrippina. Anche lui, come Caligola, fu inizialmente un buon imperatore ma tentò poi di instaurare una monarchia ellenistica di carattere assoluto. Concesse la cittadinanza romana ai Greci. Nel 64 si assiste alla svalutazione della moneta d’oro (impiegata per la tesaurizzazione) rispetto a quella d’argento (impiegata per i commerci): ciò comportò la rovina di molte famiglie Senatorie.
Il 69 fu l’anno dei “quattro imperatori”, Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano. Alla morte di Nerone, infatti, seguirono vari pronunciamenti, sia militari che Senatori, che ebbero il valore di una rivincita contro il regno di tipo ellenistico.
Galba era un vecchio Senatore, restò pochissimo al potere e morì in una sommossa. A lui la tradizione attribuisce un discorso – il manifesto ideologico della futura età aurea dell’impero – riguardo all’adozione del successore da parte del principe. Caratteristica di Galba è il tentativo di conciliare il potere Senatorio e la costituzione del Principato: ma i tempi non sono maturi e Galba verrà ucciso durante un tumulto della plebe urbana.
Otone, uomo ricchissimo, restò pochissimo al potere perché contemporaneamente si sollevarono gli eserciti stanziati sul Reno, che elessero imperatore Vitellio, e quelli stanziati in Palestina che elessero imperatore Vespasiano[69]. Vitellio sconfisse Otone nei pressi di Cremona ma a sua volta venne sconfitto da Vespasiano.
Vespasiano è il fondatore della dinastia dei Flavi: di origini modeste, è il prototipo dell’imperatore eletto dal suo esercito[70]. Con Vespasiano, a capo dell’apparato burocratico creato da Claudio cominciarono a trovarsi – affiancati dai liberti imperiali – i cavalieri. Nel 70 Gerusalemme fu conquistata e iniziò la diaspora ebraica.
Fu concessa la cittadinanza anche agli spagnoli e iniziò a delinearsi la divisione fra Occidente romano e Oriente non romano.
Vespasiano riassestò le finanze statali, applicando un severo regime di economie nelle pubbliche spese e vendendo i beni accumulati dai Giulio-Claudi; non si appoggiò ufficialmente all’esercito ma anzi tentò di farlo rientrare nei limiti della necessaria disciplina; non approfittò della forza militare, e restituì formalmente al Senato e ai comizi la potestà di eleggere i principi.
Risale a Vespasiano la famosa lex de imperio Vespasiani risalente al 69 o al 70:
Tito, figlio di Vespasiano, è noto come “delizia del genere umano”; la novità del suo regno è la penetrazione del Cristianesimo in ambienti molto vicini all’imperatore. Suo fratello, Domiziano, è stato dipinto invece come un principe crudele; fu nemico del Senato che indebolì concedendo sempre più potere al consilium principis, un organo senza importanza introdotto da Augusto con funzioni consultive. Riprese la politica espansionistica e creò i campi decumati, avamposti militari. Con Domiziano si ebbe la seconda grande persecuzione cristiana dove vi morirono personaggi illustri come Flavio Clemente, cugino dell’imperatore e console. Morì in una congiura di palazzo nel 96.
L’età aurea è caratterizzata dalla successione adottiva degli imperatori che, come si è detto, viene ascritta da Tacito a Galba per un discorso da questi pronunciato in occasione dell’adozione di Pisone. Ogni imperatore adotta il suo successore davanti al Senato e con il consenso del Senato.
Sotto Nerva – anziano Senatore eletto con l’iniziale opposizione dei pretoriani – si ebbe l’ultima attività legislativa delle assemblee. Egli cercò la conciliazione con il Senato, limitò la pratica dei processi per maiestas, fece applicare con minore rigore le leggi di Domiziano contro i cristiani e operò una politica di sgravi fiscali.
Traiano, adottato da Nerva, era spagnolo e fu il primo provinciale assurto alla dignità imperiale. Integrò il Senato con provinciali e concesse la cittadinanza a tutta la parte occidentale dell’impero. Riprese la politica espansionistica tant’è che sotto di lui l’impero conobbe la sua massima espansione con la conquista della Dacia[71], dell’Armenia, della Mesopotamia e della Siria. Le conquiste in occidente segnarono una forte ripresa dei traffici commerciali e infatti, in questo periodo, si svilupparono il diritto della navigazione e quello delle obbligazioni contrattuali.
Con Traiano abbiamo il primo documento imperiale che si occupa dei Cristiani. Plinio il giovane, in qualità di governatore della provincia d’Asia, chiede all’imperatore come comportarsi con i Cristiani. Traiano risponde che il governatore deve agire solo su denuncia e che i Cristiani vanno condannati non in quanto tali, ma per aver commesso reati comuni o per essersi rifiutati di far sacrifici davanti all’immagine dell’imperatore.
Con Adriano si ha la maggiore concentrazione di poteri nelle mani del principe. Egli fu alieno da conquiste esterne e si limitò a fortificare i confini. Egli tentò un avvicinamento tra il mondo occidentale e quello orientale; fu il primo imperatore filosofo, ammiratore della cultura greca.
Con Adriano l’editto perpetuo divenne definitivo, codificato dal giurista Salvio Giuliano nel 130: è la fine dello ius honorarium. Cessata l’attività normativa del pretore, rimasero quella del Senato e quella dell’imperatore, senza dubbio più importante, consistente nelle costituzioni. Quest’ultime vengono a specificarsi in una tipologia definitiva:
In Italia la giurisdizione venne divisa fra quattro consulares che si occupavano della giustizia amministrativa e civile.
Il successore di Adriano, Antonino Pio, si limita a continuare l’opera del suo predecessore salvo l’abolizione dei consulares. Maggiore importanza riveste Marco Aurelio, imperatore e filosofo per eccellenza. Sotto di lui viene codificato l’Editto provinciale che diventa la fonte unica del diritto per tutte le province. Egli introdusse al posto dei consulares cinque iuridici con il compito di amministrare la giustizia civile. Alla morte di Marco Aurelio, nel 180, gli succederà il figlio Commodo – anziché il suo associato Lucio Vero che morì nel 168 – e si perderà così il principio della successione adottiva.
In quest’epoca si assesta la riforma dell’ordinamento giudiziario iniziata da Augusto. Mentre in età repubblicana esistevano varie forme di repressione criminale[72], nell’età imperiale si afferma la cognitio extra ordinem quale tipo di repressione criminale proprio del principato. Le leggi istitutive delle quaestiones perpetuae sono leggi processuali: esse definiscono molto sinteticamente l’oggetto del reato e fissano un rito processuale particolare per ciascuna quaestio. Tuttavia la quaestio è un organo giudiziario che può funzionare solo a Roma mentre adesso i cittadini romani sono ormai in tutta Europa: cambia perciò il rito processuale che va unificandosi: i reati politici vengono assunti sotto la competenza del Senato; nelle province, la giurisdizione civile viene esercitata dai funzionari imperiali, in Italia dai consulares e in seguito dagli iuridici.
Con l’unificazione dei riti processuali, delle leggi istitutive delle quaestiones perpetue rimangono in vigore solo le definizioni dei reati, arricchite e specificate per mezzo dei Senatoconsulti. Una volta che la quaestio perpetua esiste solo come ipotesi di reato, decade il sistema accusatorio proprio dell’età repubblicana: ora il cittadino può solo sporgere denuncia al magistrato imperiale, che apre un’inchiesta. L’unificazione dei riti processuali rende inoltre possibile la contestazione di più reati davanti allo stesso organo giudicante; avviene anche una dilatazione enorme del concetto di interesse pubblico: così l’azione civile viene assorbita in parte da quella criminale.
Nel campo del diritto privato, come si è detto, l’ingresso della cognitio extra ordinem provoca la decadenza del processo formulare: la formula viene sostituita dal c.d. libello, cioè da un documento scritto presentato dall’attore al magistrato.
Riguardo alla giurisprudenza assistiamo ad un cambiamento di tendenza: non si mira più a creare concetti giuridici attraverso un processo diairetico, ma si esalta la casistica. Ormai l’evoluzione del diritto dipende dalle costituzioni imperiali a dall’opera di interpretazione e armonizzazione dei giuristi che fanno parte del consilium principis. Tuttavia, attraverso quest’ultimo organo, ai giuristi non è dato solo di interpretare, bensì di creare norme[73].
L’età dei Severi è un periodo di transizione in cui si conclude il Principato e si preannunzia il Dominato. Nell’età dei Severi, le fonti normative romane tradizionali si vanno perdendo: restano solo le costituzioni imperiali. Anche l’epoca classica della giurisprudenza, iniziata con Augusto, volge al termine. L’unica opera della giurisprudenza del Principato che ci sia giunta direttamente sono le “Istitutiones” di Gaio: si tratta di una breve opera di esposizione, in forma scarsamente problematica, degli istituti privatistici del diritto romano.
Il giurista di quest’epoca non crea mezzi tecnici nuovi, ma partecipa, mediante il consilium principis, alla stesura delle costituzioni. Può inoltre emanare responsi, scrivere libri di diritto civile, digesti, commentari all’Editto, monografie e istitutiones. La giurisprudenza è ora una vera e propria fonte normativa, che si affianca alle costituzioni imperiali. Tuttavia dopo Ulpiano l’attività giurisprudenziale viene improvvisamente a cessare: ciò è dovuto alla difficoltà in cui viene a trovarsi il giurista di fronte al continuo gettito delle costituzioni imperiali spesso anche contraddittorie fra loro.
Dopo l’epoca dei Severi si sentirà l’esigenza della codificazione, al fine di contenere la dispersività delle costituzioni.
Con Commodo, figlio di Marco Aurelio, viene a cadere il principio secondo cui l’esercito deve essere composto solo da cittadini e provinciali e vengono arruolati circa 20.000 barbari. Dopo Pertinace, acclamato dal Senato e dai pretoriani, e Didio Giuliano, ricco banchiere che comprò il governo, fu la volta di Settimio Severo, primo imperatore della dinastia dei Severi.
Settimio Severo, legato della Pannonia, scese a Roma dalla sua provincia, sconfisse i suoi avversari e venne acclamato imperatore dalle sue truppe. Egli dette una connotazione nuova alla carica imperiale: volle essere dominus. Non aveva fiducia nei pretoriani italici; tutta l’Italia venne equiparata, dal punto di vista amministrativo, alle altre province. Settimio Severo si oppose fortemente alla diffusione dell’Ebraismo e del Cristianesimo, tanto da emanare un dogma (editto) contro il proselitismo cristiano e giudaico: nonostante questo, il Cristianesimo si diffonde notevolmente[74]. Settimio morì durante una spedizione in Britannia.
Caracalla, dopo aver fatto uccidere il fratello Geta nominato con lui successore dal padre Settimio, fu il nuovo imperatore. Il suo primo atto importante è la Costitutio Antoniniana del 212, con la quale si concedeva la cittadinanza Romana a tutti coloro che risiedevano entro i confini dell’Impero[75]: dopo l’errori causa probatio di Adriano e il diritto di connubio concesso da Settimio a tutti i soldati degli eserciti provinciali con cui le donne peregrine acquistavano la cittadinanza, la Costituitio Antoniniana era indispensabile. Il problema fondamentale della Constitutio Antoniniana stava nell’applicazione del diritto romano ai territori orientali: si cercò da un lato di rispettare le usanze locali, dall’altro si recepirono nel diritto romano istituti nuovi[76].
Dopo la morte di Caracalla vi fu un breve periodo di interregno Senatorio. Fu poi eletto imperatore Macrino che per primo abrogò alcuni decreti imperiali. Il suo successore, Elagabalo, operò una eticizzazione della titolatura imperiale: preferì i titoli di Pius e Felix ai “cognomina ex virtute” derivati dai nomi dei popoli vinti, e in genere seguì una politica di rottura nei confronti della tradizione romana tentando una sorta di “orientalizzazione”. Ucciso Elagabalo dai pretoriani, gli successe Alessandro Severo, ultimo esponente della dinastia dei Severi. Egli riassunse subito i cognomina ex virtute e seguì una politica reazionaria, che accentuò l’importanza dell’esercito e dell’elemento italico nella compagine statale ma che finì per travolgerlo. Affiorano in questo periodo le tendenze autonomistiche e nazionalistiche provinciali, causate anche dalla crisi economica e monetaria che ha come effetto la formazione delle economie locali.
Gli organi repubblicani che più rapidamente decaddero furono le assemblee popolari, per un duplice ordine di motivi:
Le loro funzioni vennero, durante il principato, quasi completamente abolite e quelle che sopravvissero si presentarono come un mero simulacro, necessario per far tacere gli scrupoli legalitari sul fondamento del potere dei magistrati e del principe. Per quanto riguarda il Senato, i suoi poteri furono – seppure formalmente – addirittura estesi:
In realtà, le continue ingerenze dell’imperatore sul numero dei senatori, sull’ele-zione dei nuovi senatori e sull’attività complessiva del collegio senatoriale, sminuirono progressivamente anche il prestigio del massimo organo repubblicano.
Con il principato venne fissata rigidamente la carriera magistratuale, e fu necessario osservare tutti i gradi del certus ordo delle magistrature. Le magistrature inferiori, ormai svuotate di significato, sopravvissero solo per consentire il passaggio a quelle superiori. Anche queste avevano perso il loro significato, ma aprivano la via al governo delle province e alla copertura delle cariche create dall’ordinamento imperiale. Conservarono vitalità i pretori, la cui funzione rimase sostanzialmente immutata.
Dopo la fine dell’età dei Severi, l’unico punto fermo nella compagine statale era l’esercito, e dell’imposizione militare fu un tipico prodotto Massimino Trace, primo imperatore del nuovo periodo. Gli imperatori che lo seguirono rappresentano la riscossa del mondo Senatorio, in particolare Pupieno e Balbino, primo e ultimo esempio di piena collegialità tra due imperatori. Filippo venne considerato dai Padri della Chiesa come il primo imperatore Cristiano. Gallieno tolse definitivamente ai Senatori il comando delle legioni, spezzando così l’unico tramite fra Senato ed esercito. Con Aureliano si assiste ad un vigoroso tentativo di ripresa sotto il segno della lotta contro i barbari: si creò una cerchia di mura intorno a Roma e i barbari che avevano invaso l’Italia settentrionale furono sconfitti nelle battaglie di Fano e Pavia. Probo permise ad alcune popolazioni barbare di stanziarsi entro i confini dell’impero, e pagò loro un tributo perché li difendessero. A Probo successe Caro e a questi i figli Carino e Numeriano. Quest’ultimo, cui era stato affidata la parte orientale dell’impero, fu ucciso e al suo posto fu acclamato Diocleziano. Contro questi mosse Carino che – dopo averlo sconfitto nella Mesia – fu però ucciso dai suoi soldati lasciando Diocleziano imperatore unico.
Le riforme di Diocleziano interessano numerosi campi, da quello istituzionale a quello economico e fiscale. La riforma tetrarchica prevedeva che l’impero fosse guidato da due Augusti, uno d’Oriente e uno d’Occidente. Questi avrebbero nominato dei Cesari che dopo un certo periodo di tempo sarebbero diventati Augusti e così via. Con Diocleziano venne sancita anche la divisione assoluta tra il potere civile, esercitato dai “praesides”, e quello militare, esercitato dai “duces”. La riforma fiscale consiste in una rinnovata politica di imposizione basata su due tasse: la capitatio, riguardante le unità lavorative, e la iugatio, riguardante le unità di superficie coltivabile. Le tasse vengono riscosse dai decurioni, rappresentanti della Curia locale, per i quali vale il principio della responsabilità collettiva, secondo cui essi rispondono personalmente per il gettito fiscale, autoritativamente fissato, del territorio loro affidato. Con l’editto dei prezzi venivano fissati i prezzi di tutte le merci, anche quelle più umili, ed erano validi per tutto l’impero[77].
Per rendere più incisiva la sua opera di persecuzione contro i Cristiani, Diocleziano emanò un editto secondo il quale tutti i cittadini dell’impero dovevano munirsi di un certificato che attestasse l’avvenuto sacrificio da parte loro all’immagine dell’Imperatore[78]. Inoltre egli fu il primo imperatore che operò le persecuzioni con il rito inquisitorio (senza attendere la delatio).
L’epoca diocleziana ci ha lasciato i primi due codici della storia imperiale:
Diocleziano avrebbe anche legato ogni individuo alla propria professione, creando una sorta di ereditarietà coatta dei mestieri: in un’età caratterizzata da una simile crisi economica, la società tende a serrarsi in corporazioni di mestieri, ai livelli più bassi per escludere la concorrenza e assicurarsi la sussistenza; a quelli più alti per assicurarsi il potere.
Ritiratosi a vita privata Diocleziano, dopo varie vicessitudini, prevalse la personalità di Costantino, figlio di Costanzo Cloro, il cesare di Diocleziano. Egli emanò l’editto di tolleranza nei confronti del Cristianesimo[79]. Costantino prende atto del fatto che ormai nell’Impero l’unica organizzazione efficiente è quella cristiana, e concede numerosi privilegi alle istituzioni ecclesiastiche[80].
L’amministrazione civile fu affidata a funzionari fissi:
La capitale fu spostata da Roma a Bisanzio, ribattezzata Costantinopoli[81]. Alla morte di Costantino restò sul trono il figlio Costanzo II a cui successe Giuliano l’Apostata, che tentò di riprendere la politica filopagana, ma morì dopo appena due anni di regno, durante una spedizione in Persia.
Con l’imperatore Graziano, il Cristianesimo divenne l’unica religione ammessa nell’Impero. Teodosio, fu l’ultimo imperatore a regnare su tutto l’impero: ai suoi successori, i figli Arcadio e Onorio, fu infatti assegato rispettivamente la parte orientale e quella occidentale. Ad Arcadio successe Teodosio II a cui si deve l’omonimo codice e la celebre “Legge delle citazioni”, che serviva a mettere ordine nella sterminata produzione giurisprudenziale.
Nella mente di Teodosio, la divisione aveva un carattere amministrativo, ferma restando l’unità dell’impero. Tuttavia furono esigenze reali a suggerire la divisione: l’occidente non era più in grado di difendersi[82], mentre gli eserciti dell’Oriente presidiavano efficacemente le frontiere.
Nell’ultima fase dell’impero, l’unica forma di costituzione rimasta in uso è l’editto. Gli atti normativi di una parte dell’Impero avevano valore nell’altra parte solo se comunicati mediante una “pragmatica sanctio”[83].
L’esigenza giuridica primaria, in questo periodo, è quella di eliminare le contraddizioni tra le varie costituzioni e di operare una distinzione tra leggi generali e leggi speciali, compito a cui cercò di far fronte il Codice Teodosiano[84]. Questo codice venne emanato anche in occidente, tanto che noi lo possediamo solo in quanto è contenuto nella Lex Romana Wisigothorum, una delle leggi romano-barbariche.
Quest’ultime sono:
Alla morte di Teodorico, il regno fu assunto da Atalarico, sotto la tutela della madre Amalasunta. Morta quest’ultima scoppiò la guerra greco-gotica, con cui l’imperatore d’Oriente Giustiniano cercò di impadronirsi dell’Italia. Durante questa guerra Roma fu saccheggiata 5 volte e la sua popolazione fu distrutta per i 4/5.
Giustiniano, come i suoi predecessori, volle preparare una legislazione conforme alle esigenze dei suoi tempi e tuttavia così aderente alla tradizione romana, da presentarsi come il coronamento dell’opera della giurisprudenza classica.
La grandiosa opera di compilazione – il cui risultato fu il Corpus Iuris Civilis – ebbe inizio con una raccolta di leggi progettata da Giustiniano e dal suo ministro Treboniano. Nel 528 Giustiniano, con una costituzione (Haec quae necessario) nominò una commissione di dieci membri con il compito di compilare un nuovo codice, nel quale fosse contenuto il materiale dei codici Gregoriano, Ermogeniano, Teodosiano e le ultime costituzioni imperiali. L’opera fu compiuta in brevissimo tempo e il codice venne pubblicato il 7 aprile 529.
Nel 530 Giustiniano, con la costituzioni Deo auctore, ordinò una compilazione dei digesta o pandectae. Si trattava di raccogliere i brani degli scritti dei giureconsulti muniti di ius respondendi. Tali brani, poiché dovevano essere necessari per la comprensione dell’ordinamento giuridico, dovettero essere modificati, eliminando ciò che era andato in desuetudine.
Mentre era ancora in corso la compilazione del digesto, Giustiniano ordinò la stesura di un trattato elementare di diritto ad uso scolastico da sostituire alle Istituzioni di Gaio.
Dopo la promulgazione del Digesto e delle Istitutiones, il Codice, compilato alcuni anni prima, apparve superato e una commissione, composta da Treboniano, Doroteo e tre avvocati, ebbe l’incarico di redigere una nuova edizione di esso che venne alla luce il 17 novembre del 534: il Novus Iustinianus codex repetitae praelectionis, diviso in dodici libri, a loro volta divisi in rubriche, che è giunto a noi.
Giustiniano non si limitò alla compilazione ma pubblicò anche numerose costituzioni delle quali alcune veramente innovatrici. Fondamentali furono quelle sulle successioni legittime e sui matrimoni.
Tre anni dopo la morte di Giustiniano l’Italia fu invasa dai Longobardi (568).
L’impero d’Occidente si dissolse definitivamente e Bisanzio – formalmente imperiale e romana – si allontanò sempre più dall’eredità dell’antica Roma e del suo Impero.
[1] Romolo, Numa Pompilio, Servio Tullio, sono i tre centri della pseudostoria costituzionale romana: al primo si attribuiscono tutte le istituzioni politiche primitive, al secondo tutti gli istituti sacri, al terzo tutte le garanzie di libertà.
[2] Lista di magistrati eponimi, che davano cioè il nome all’anno in cui erano in carica, risalenti fino al principio della Repubblica. Sono stati rinvenuti incisi nel marmo sulle pareti interne dell’Arco di Augusto nel Foro. Benché non molto antiche – dovrebbero risalire all’inizio del principato di Augusto nel 30 a.C. – è indubbio che liste analoghe esistevano già da tempo e furono utilizzate dagli annalisti del II secolo a.C.
[3] Condotti sugli annali dei Pontefici, tavole di legno imbiancato sulle quali i Pontefici stessi avrebbero segnato gli avvenimenti più importanti dell’anno.
[4] Ad esempio nella storia del ratto delle Sabine è adombrata la realtà storica dell’alleanza tra i Romani e i Sabini.
[5] Come relativamente al periodo dai Gracchi a Silla – povero di fonti – rispetto ad esempio all’epoca delle guerre Puniche.
[6] Una città che si forma concede sempre asilo e cittadinanza a tutti: nel mondo antico il diritto di cittadinanza era fondamentale, poiché solo attraverso questo si veniva tutelati dalle leggi della società.
[7] La gens è un’aggregazione naturale di famiglie a carattere chiuso. Facevano parte della gens coloro che nascevano da padre gentile e coloro che erano ammessi per voto dei gentili.
[8] La clientela rappresentava una classe subordinata costituita da ospiti poveri, da individui espulsi da altri gruppi, da piccoli proprietari cui non era sufficiente il reddito della loro terra, da stranieri che chiedevano protezione ed appoggio alla gens, la quale, a sua volta, si giovava di essi per estendere la sua sfera di influenza e di azione.
[9] La critica moderna propone varie tesi circa l’origine della differenziazione fra patrizi e plebei:
1. la differenza razziale (Arangio Ruiz);
2. i plebei sono clienti, divenuti plebei dopo la fondazione della città (Mommsen);
3. la distinzione si è creata solo dopo il periodo monarchico (non credibile storicamente);
4. la distinzione discende dalla stratificazione economica (De Martino).
[10] I patrizi e i plebei non avevano Dei diversi ma solo culti diversi. E in realtà non ebbero nemmeno bisogno di culti diversi fintanto che non furono due comunità separate (494).
[11] Il diritto di connubium era la facoltà di contrarre iuxtae nuptiae (matrimonio legittimo), e conseguentemente di riconoscere i propri figli. Il matrimonio poteva essere cum manu o sine manu a secondo che la moglie si sottomettesse alla potestà del marito (matrona) o rimanesse sotto quella del padre (uxor).
[12] In ciò trova la conferma della teoria del Girstadt che fa risalire la fondazione di Roma a non oltre il 550 a.C. Prima del 550 infatti non si trovano scavi che confermino l’esistenza di una città-stato.
[13] Parte della dottrina ritiene che il re ricavi la sua investitura da un potere di fatto, carismatico; altri vedono nel re un magistrato, cioè il titolare di un ufficio e organo dello Stato (Mommsen). Quanto alla nomina, alcuni autori propendono per il sistema ereditario o per l’elezione popolare; tuttavia la teoria più attendibile è quella secondo cui il magistrato crea il magistrato.
[14] Fra gli studiosi più moderni, alcuni hanno addirittura negato la storicità della lex curiata de imperio per l’inverosomiglianza della partecipazione attiva dell’assemblea degli armati alla investitura del rex.
[15] Poiché il re non poteva certo decidere di tutte le cause proposte, spesso si limitava a ricevere il giuramento e a rimandare il giudizio ad un giudice da lui designato.
[16] Fra le quali ricordiamo quella secondo cui i tribuni sono sacrosanti ( sacri = sanzione religiosa; santi = sanzione civile) e quella secondo cui nessun patrizio può aspirare al tribunato.
[17] I tribuni militum consulari potestate erano collegi di comandanti militari, nei quali era consentito l’accesso alla plebe. Per quanto concerna l’origine di tale magistratura, le fonti oscillano tra motivi militari – nel senso che il Senato avrebbe deciso di volta in volta se eleggere consoli o tribuni sulla base delle esigenze belliche – e un’interpretazione classista – nel senso che i plebei, non essendo riusciti ad occupare cariche consolari, impedirono l’elezione dei consoli ed imposero come magistrati i capi militari dell’esercito, che potevano essere anche plebei.
[18] Veto sulle decisioni contrarie agli interessi della plebe. Non era inizialmente un potere riconosciuto (lo fu solo 50 anni dopo) ma effettuale, in quanto sostenuto con le armi.
[19] E’ da notare che le secessioni della plebe e le relative concessioni da parte del patriziato erano legate ad eventi bellici.
[20] Queste due rivendicazioni erano legate al problema della cittadinanza: ora quest’ultima si poteva ottenere o con l’elevazione ad una magistratura o con il riconoscimento da parte del padre.
[21] Sempre secondo il De Martino, le tabulae iniquae (contenenti il divieto di connubium) – tradizionalmente attribuite al secondo decemvirato – sarebbero invece da attribuire ai consoli dell’anno 449. In realtà bisogna considerare che le XII tavole costituivano un documento compromissorio e quindi non incondizionatamente favorevoli alla plebe.
[22] Negozio solenne di trasferimento di beni davanti a testimoni.
[23] Forma legale di risoluzione di casi complessi.
[24] La provocatio ad populum era un procedimento comiziale d’appello contro le sentenze. Potevano avvalersene solo i cittadini di pieno diritto e – in linea di principio – solo avverso le sentenze di imperium domi e non quelle di imperium militiae.
[25] La pretura costituisce l’ultima magistratura riservata alla sola aristocrazia. Il pretore è “colui che dice giustizia”, cioè interpreta le leggi.
[26] Il 326 è l’anno delle Forche Caudine e i Romani cercavano l’unità e la pace sociale; inoltre allora andava diffondendosi la schiavitù di guerra e perdeva di importanza la schiavitù per debiti.
[27] L’imperium del pretore era qualitativamente uguale a quello dei consoli salvi i limiti derivanti dall’essere egli un collega minor.
[28] Nel processo affidato al pretore, questi imposta la controversia, poi rimanda le parti ad un giudice da lui designato; dopo un giuramento di sincerità delle parti, il giudice decide servendosi – dove possibile – del principio del precedente.
[29] Questi fece approvare tre leggi (leges Publiliae Philonis):
· de censore plebis, stabiliva che uno dei due censori dovesse essere plebeo;
· de patrum auctoritate, disponeva che l’auctoritas dovesse essere fornita prima dell’approvazione delle leggi e non successivamente come ratifica;
· de plebiscitis, equiparava i plebisciti alle rogationes magistratuali nel senso che le deliberazioni dei concilia plebis dovevano essere sottoposte al voto dei comizi centuriati e, quindi, dovevano funzionare come proposte.
[30] La censura era una magistratura ordinaria, non permanente, investita con una lex potestate cenosria che nacque per ragioni militari e tributarie quando divenne importante ottenere un inquadramento rigoroso dei cittadini.
[31] Secondo la tradizione gli edili sarebbero nati insieme al tribunato e sarebbero stati ausiliari dei tribuni. Oltre ad esercitare funzioni religiose, gli edili erano depositari degli archivi della plebe e avevano poteri di polizia nei quartieri della plebe. In seguito, insieme alla pretura, fu creata l’edilità curule: in seguito alla parificazione civile vennero aggiunti ai magistrati plebei due nuovi edili eletti fra i patrizi. Solo questi ebbero diritto alla sella curulis e furono detti perciò edili curuli.
[32] L’imperium comprendeva sia l’imperium domi – che si esercitava entro il pomerium – che l’imperium militiae – che si esercitava fuori dal pomerium non solo in guerra, ma anche nei confronti dei popoli soggetti. Rispetto alla potestas era caratterizzato da segni esteriori, dagli auspicia maiora e dalla coercitio.
[33] Tali limiti costituivano un sistema di garanzie e controlli tendenti ad evitare il pericolo di degenerazioni tiranniche.
[34] I municipi potevano essere:
· “optimo iure”, cioè con diritto di voto;
· “sine suffragio”, senza diritto di voto e i cui maggiorenti non potevano entrare a far parte della nobilitas.
[35] E’ da notare che il “casus belli” di Taranto e il fatto stesso che Pirro portasse la guerra contro Roma sono invenzioni degli storici romani: in realtà la spedizione di Pirro era diretta contro la Sicilia, allora in mano ai Cartaginesi, e probabilmente il mandante della spedizione era l’Egitto che già da tempo era in contrasto con Cartagine per motivi economici. Roma – in questo caso – era alleata di Cartagine.
Anche la prima guerra punica è stata tramandata con un falso “casus belli”. Essa è stata in realtà ispirata, contro il volere del Senato, dal nuovo ceto dei capitalisti (equites) dediti al commercio – mentre i Senatori erano la voce dei proprietari terrieri – che avevano interesse a fermare l’espansione commerciale cartaginese.
[36] Il pretore peregrino giudica nelle controversie tra stranieri o tra romani e stranieri. Egli non può usare le legis actiones: con parole libere scrive su un foglio le tesi delle parti, che manda poi di fronte al giudice (processo formulare). La formulazione del pretore è perciò casistica, e ciò comporterà una successiva esigenza di unificazione.
[37] In un primo tempo “provincia” è la sfera di competenza di un magistrato, poi per essa si intende il territorio amministrato da un magistrato.
[38] Poiché Roma non aveva un sistema tributario, la riscossione delle decime era affidata a compagnie di “pubblicani”, cioè appaltatori di “publica”.
[39] Inoltre nello stesso anno, con il plebiscito Claudio, si impedisce ai Senatori e ai loro figli il commercio marittimo e le speculazioni finanziarie.
[40] Il Senato amplia le proprie competenze anche all’ambito del processo criminale: in un primo tempo una commissione di Senatori compie un’inchiesta (cognitio), rimandando poi al giudizio comiziale; in un secondo tempo sarà la stessa commissione a giudicare (quaestio extra ordinem). Dal 171 il Senato è competente anche a giudicare i magistrati che hanno l’imperium nelle province
[41] Lex Calpurnia de repetundis.
[42] Gli storici romani affermano che la decadenza politica fu determinata da una parallela decadenza morale; ma questo è un effetto, non una causa.
[43] Per alcuni ciò avvenne perché i Gracchi intendevano riconquistare il prestigio perso dopo i contrasti con gli Scipioni.
[44] Nasce il problema della costituzionalità di tale deposizione: bisogna infatti considerare se il mandato attribuito ad un magistrato sia revocabile o meno dalla stessa assemblea che glielo ha attribuito.
[45] Anche questa candidatura pone problemi di ordine costituzionale: secondo Tiberio, tuttavia, il popolo è sovrano e quindi libero di eleggere una persona per quante volte voglia.
[46] Per giudicare i rei del tumulto in cui Tiberio Gracco trovò la morte, fu creata una quaestio extraordinaria Popilia. Essa condannò molti esponenti graccani sotto l’accusa di sedizione.
[47] Mentre gli equites avevano in mano il commercio, la nobilitas non aveva che i latifondi. L’unica fonte di denaro per la nobilitas era quindi la concussione da parte dei magistrati.
[48] Per l’attuazione di questa riforma non vi fu bisogno di una legge, perché la leva rientrava nei poteri del magistrato e, pertanto, fu sufficiente che un sanatoconsulto autorizzasse il console Mario ad arruolamenti eccezionali estesi alla classe dei proletari. Effetto del nuovo sistema di reclutamento fu che l’esercito era fedele solo al proprio condottiero e che tale fedeltà era ricompensata da questi con larghi e munifici donativi.
[49] Questi aspira al tribunato e segue la politica di Caio Gracco: fa votare leggi che riguardano frumentazioni, deduzioni di nuove colonie, una legge agraria per la sistemazione dei veterani di Mario.
[50] Questi è pretore e si presenta al consolato per il 99, contro la norma costituzionale che esigeva un biennio di intervallo tra una magistratura e quella di rango superiore.
[51] Le quaestiones perpetue erano tribunali permanenti che vennero istituiti per giudicare sui nuovi reati che la Roma repubblicana iniziò a conoscere con l’espansione extra-italica quali ad esempio gli illeciti dei magistrati provinciali.
[52] E non semestrale come si era soliti.
[53] La rivolta di Spartaco fu la grande rivolta servile: gli schiavi si costituirono come comunità indipendente e batterono moneta propria.
[54] Durante il loro consolato, Pompeo e Crasso fecero votare una legge contro i brogli elettorali.
[55] Poiché il mandato ad Ottaviano era nel frattempo scaduto, per affidargli il comando della guerra si ricorse ad un antico istituto, la coniuratio italiae, con la quale tutti i cittadini espressero un giuramento di fedeltà a Ottaviano.
[56] L’imperium proconsulare maius è un potere speciale per l’amministrazione delle province che metteva a disposizione di Augusto tutti gli eserciti. Le province non sottoposte a tale potere erano amministrate dal Senato. Nasce la distinzione fra province imperiali e province Senatorie: le prime sono amministrate da legati, cioè luogotenenti di Augusto; le seconde sono amministrate da governatori nominati dal Senato. Le tasse nelle province Senatorie sono riscosse dai pubblicani mentre in quelle imperiali dagli stessi legati, affluendo poi nel fisco imperiale, distinto dall’erario.
[57] La tribunicia potestas gli è attribuita a vita, contro il principio della temporalità delle magistrature. Inoltre egli può opporre il veto all’operato dei colleghi, mentre non può accadere il contrario: dunque la sua è una nuova magistratura, che ha la stessa potestas dell’antica magistratura tribunizia ma senza i suoi limiti, cioè la collegialità e l’annualità.
[58] Le “res gestae” sono un elenco minuzioso delle opere di Augusto con le quali questi – fra le altre cose – ricerca la legittimazione del suo potere. Quanto ai termini potestas e auctoritas che Augusto usa nelle res gestae, il primo significa competenza; il secondo è pura autorevolezza personale ed effettiva, che serve a mascherare il potere di Augusto.
[59] A capo di ogni legione c’è un Senatore, legato di Augusto; sotto di lui i tribuni di legione, di rango equestre, che si dividono in laticlavi e angusticlavi. Si crea così per la prima volta una regolare carriera per i Senatori e una per gli equites. Si parte dal servizio nell’esercito e si arriva per gradi a nuove dignità la più importante di queste è la prefettura, che non è una magistratura ma una ripartizione amministrativa. I prefetti, che sono sottoposti direttamente al princeps sono:
· il praefectus urbis, che deve essere un Senatore ;
· il praefectus vigilum;
· il praefectus annonae;
· il prefetto del pretorio.
Accanto a questi incarichi si creano delle curae con funzioni delegate per determinati settori (frumentaria, viaria, acquaria ecc.). Ai prefetti si affiancano poi i procuratori con funzioni amministrative.
[60] Perciò il principe non usurpa in nulla la competenza dei magistrati, del Senato e delle Assemblee, solo crea un apparato che riempie gli spazi lasciati dagli istituti ordinari; così, fino al tempo di Nerva si continuò a parlare di elezioni di magistrati da parte delle assemblee. In realtà queste non si tenevano più: lo è la prova la Tabula Hebana, ritrovata nel 1947 vicino a Magliano. Secondo quest’ultima al principe spettava la presentazione dei magistrati e alle centurie Senatorio-equestri l’attribuzione delle varie cariche.
[61] Da Augusto in poi lo status di Senatore implica competenze e privilegi ma non comporta un potere personale come in età Repubblicana.
[62] Il motivo delle frequenti manomissioni di questo periodo è da ricercare nel fatto che in quest’epoca un libero non è organizzato né protetto da leggi e perciò può essere sfruttato meglio di uno schiavo, in quanto lo schiavo deve essere mantenuto.
[63] Effetto del processo formulare è la novazione dell’obbligazione: dopo la litis contestatio le parti sono obbligate a comportarsi secondo le decisioni del giudica.
[64] Il processo formulare, inoltre, è efficace solo nell’ambito urbano, grazie alla presenza dei pretori; nelle province, invece, questo complicato processo cade presto in disuso.
[65] Arangio Ruiz ritiene che tale istituto sia una condizione necessaria per dare responsi, ma questo sarebbe assurdo. Certo è che l’autorità dello ius respondendi è molto più vincolante nei confronti del giudice. Comincia così a delinearsi una prassi interpretativa fondata sui responsi.
[66] In particolare, il Mommsen individuò nel nuovo regime una sorta di governo a due, del principe e del senato; tale situazione sarebbe dimostrata dalla sussistenza dei poteri senatoriali e dall’esistenza di province sottratte al principe e affidate appunto al Senato stesso.
[67] Tale rapporto sarebbe stato analogo a quello stabilito da Roma sulle civitates che entravano nella sua sfera egemonica, e fondato sul medesimo concetto giuridico: “la conservazione, sotto la custodia di una sovranità eminente, di quegli organi e funzioni che contraddistinguono la civitas”.
[68] La storiografia antica è fortemente sfavorevole a questi imperatori. Ciò è dovuto al fatto che la storiografia imperiale è di ambito Senatorio e il potere Senatorio veniva continuamente compromesso da quello imperiale.
[69] Per la prima volta si avverte il peso politico delle formazioni militari volute da Augusto: un peso che acquisteranno ogni volta che lo Stato darà segni di debolezza.
[70] Nel 1230 Cola di Rienzo riportò alla luce la lex de imperio Vespasiani un documento normativo che definisce le attribuzioni imperiali.
[71] La Dacia (l’odierna Romania) era ricca di miniere d’oro: ciò servì a rendere stabile il cambio oro-argento.
[72] Come la coercitio dei consoli, il processo popolare, le quaestiones perpetue e quelle extra ordinem, i Senatoconsulti.
[73] E’ il caso dell’erroris causa probatio. Questo istituto fu creato per venire incontro alle richieste dei legionari che chiedevano la cittadinanza per i loro figli avuti da donne peregrinae. Ciò sarebbe andato contro lo ius connubii e perciò i giuristi crearono il principio secondo cui, se il legionario poteva provare di aver procreato credendo che la sua donna fosse cittadina romana, egli poteva ottenere la cittadinanza per i suoi figli.
[74] Questo paradosso, cioè l’enorme diffusione del cristianesimo nonostante la forte repressione, può spiegarsi considerando il fatto che il meccanismo repressivo procede solo in seguito ad una denuncia; ma accusare un cristiano povero non interessa a nessuno, accusare un cristiano ricco può avere il vantaggio di ottenere un quarto dei beni del condannato, ma è sempre un rischio poiché si tratta certamente di una persona influente.
[75] Erano esclusi i dediticii, ovvero quelle popolazioni barbare che si erano arrese a Roma senza condizioni e risiedevano nel territorio dell’impero.
[76] Un esempio al riguardo è la conciliazione della patria potestas romana con quella orientale, secondo la quale quando il figlio raggiunge la maggiore età diventa indipendente. Per raggiungere ciò si estese la nozione di peculio ovvero il patrimonio del figlio sottoposto a potestas. Qualora il figlio avesse posto in essere negozi con denaro appartenente al peculio, il padre ne avrebbe risposto ma solo nei limiti dell’ammontare del peculio.
Altro esempio è quello della forma contrattuale: verbale ma attraverso formule nel diritto romano; scritta nel diritto orientale. D’ora in poi le formule verranno sempre trascritte.
[77] L’effetto immediato dei “calmieri” fu quello della scomparsa dal mercato di numerose merci.
[78] Nascono in questo periodo le prime teorie giuridiche sullo stato di necessità che vizia la volontà: molti cristiani, infatti, si munirono di falsi certificati o fecero veramente i sacrifici.
[79] Il Cristianesimo venne legalizzato ma non diventò religione di Stato. Lo stesso Costantino si fece battezzare solo in punto di morte.
[80] Si pensi alla facoltà di ricevere legati che avrà l’effetto di creare la “manomorta” ecclesiastica.
[81] Il baricentro dell’Impero era spostato definitivamente ad Oriente. Inoltre nessun imperatore da Marco Aurelio in poi, ad eccezione di Elagabalo, aveva più soggiornato a Roma.
[82] Si formano in questo periodo i regni Romano-barbarici.
[83] Ne è esempio la legge delle citazioni secondo la quale devono avere valore vincolante per il giudice i pareri di cinque giuristi (Papiniano, Paolo, Gaio, Ulpiano e Modestino). Sono da notare la tendenza alla canonizzazione, alla semplificazione delle norme e al tecnicismo. Nascono immediatamente i riassunti, o prontuari d’udienza, dei giuristi maggiori; queste opere devono contenere, oltre ai riassunti dei pareri, riferimenti estremamente precisi agli scritti dei giuristi.
[84] Questo raccoglie tutte le costituzioni in vigore emanate da Costantino in poi (quelle precedenti erano già raccolte nei codici Ermogeniano e Gregoriano).