Un buco nell'acqua - parte 1

“Non ti preoccupare. Penseremo noi a risolvere la situazione. Continua il tuo lavoro.”
Queste furono le ultime parole che Roeg Dub lesse sul visore del suo datapad, prima di spegnerlo per andare a dormire. Il viso grinzoso del neimoidiano era ancora più aggrottato per via dello spiacevole avvenimento della sera prima. Nella città sottomarina di Pavillion, una spia bothan era riuscita a origliare la conversazione tra uno dei suoi contatti e uno dei suoi fornitori e, prima di essere eliminata, era stata in grado di effettuare una comunicazione; era altamente probabile che quell’individuo lavorasse per la Nuova Repubblica, il che rappresentava la peggiore notizia possibile. Era solo qualche anno che la sua razza aveva ricominciato a produrre droidi da battaglia, in barba alle normative esplicite che vietavano ai neimoidiani e ai geonosiani di riprendere quella attività.
Per evitare spiacevoli sorprese, le varie fabbriche disseminate per la galassia erano state costruite in luoghi nascosti o inaccessibili; nel caso della base di cui Roeg Dub era il dirigente, situata sul pianeta oceanico di Iskalon, il metodo di occultamento era rappresentato dalle profondità marine. Il gruppo finanziario, che si era pomposamente rinominato “Federazione dei Mercanti”, aveva individuato una struttura sottomarina abbandonata, che una volta era stata una miniera, e l’aveva riconvertita a stabilimento per la produzione di droidi.
Mentre il ronzio dei piani inferiori rimaneva costante, Roeg si avviò verso i suoi alloggi privati, che costituivano buona parte del secondo livello della struttura; tale abbondanza di spazio non era dovuta alla sua carica di dirigente, bensì alla sua posizione di unico occupante vivente della fabbrica. La produzione era infatti totalmente robotica e, in caso di problemi, sarebbero stati attivati automaticamente i droidi necessari al ripristino delle funzionalità. La sua presenza serviva solo per casi di emergenze e per eventuali cambiamenti di programmazione.
Prima di coricarsi, guardò come ogni giorno fuori dal piccolo oblò che fungeva da finestra; come ogni giorno, tutto ciò che vide fu l’impenetrabile massa nera dell’oceano di Iskalon.

L’ewok sobbalzava di gioia ogni volta che vedeva qualche nuovo albero o qualche nuovo rappresentante della flora di Ord Mantell. L’umidità della foresta era notevole, se confrontata con gli altri microclimi presenti sul pianeta, ma rispetto alla luna boscosa di Endor, patria della sua specie, essa non era nulla più che uno spruzzo.
Essendo uno dei capitribù, la creaturina poteva permettersi di viaggiare per la galassia, in modo da esplorare e conoscere altre forme di vegetazione, che la sua razza venerava in modo quasi religioso. Nel suo viaggio su Ord Mantell, gli era comunque stato consigliato di munirsi di una scorta armata, poiché animali e soprattutto briganti infestavano le desolazioni rocciose che circondavano le sparute macchie di vegetazione di cui era cosparso il pianeta.
Il twi’lek dalla pelle azzurra assolveva il compito tenendo sfoderata la sua carabina blaster e volgendo lo sguardo in tutte le direzioni; un sorriso gli affiorava sul volto quando osservava l’ewok e il gigante che gli stava accanto.
L’enorme zabrak faceva anch’egli parte della scorta, ed era talmente grande che sembrava potersi infilare il suo protetto in tasca da un momento all’altro. L’idea, tra l’altro, lo aveva ripetutamente sfiorato, ma il pensiero della cospicua paga che avrebbe percepito era stato sufficiente a fargli pensare ad altro.
“Giuro che la prossima volta che mi si aggrappa alla gamba, lo appallottolo e lo tiro su un albero, o magari lo do in pasto a un savrip!”
La sua fronte corrucciata esponeva numerose appendici ossee, e il suo aspetto era reso ancora più truce dai tatuaggi blu che gli coprivano il corpo.
Sentendo un rumore elettronico, si volse verso il suo amico, e vide il twi’lek che riponeva il comlink in tasca, facendogli poi segno di avvicinarsi.
Senza perdere d’occhio l’ewok, lo zabrak coprì la distanza che li separava e disse:
"Kyrl, dimmi che era una buona notizia."
"Renci mi ha appena chiamato. Ha detto che potrebbe esserci un lavoro interessante per noi, e per saperne di più dovremmo recarci su Yavin 4, all’Accademia Jedi. Inoltre, usando le sue testuali parole: “Dì a Rea che il lavoro sarà ben retribuito”."
Rea ghignò e indicò il loro momentaneo datore di lavoro:
"Glielo dai tu un calcio o lo spedisco io nell’iperspazio? Non vedo l’ora di fare un po’ di movimento."
Kyrl sorrise:
"L’appuntamento è fra tre giorni, quindi direi che possiamo anche portare a termine questo lavoro, e poi dedicarci al divertimento."
Con una scrollata di spalle, Rea si riportò accanto all’ewok; guardando di sottecchi, Kyrl si rese conto che lo zabrak lanciava delle curiose occhiate alla piccola creatura che si stringeva entusiasta alle sue gambe.

Con un abile piroetta e un improvviso affondo, la spada laser di Sheen puntò decisamente verso la spalla dell’avversario. La lama verde sembrava aver colpito il bersaglio, quando un guizzante bagliore blu si mosse a contrastarla, sbilanciando il ragazzo, il quale riuscì però a riprendere la posizione d’attacco senza dare la possibilità all’altro di controbattere.
Sheen stava per ripartire in avanti, quando l’avversario, un ragazzo un po’ più grande di lui, protese la mano sinistra. L’attaccante sentì una specie di barriera costringerlo ad arrestare l’offensiva e, prima che potesse protestare per la violazione delle regole, una voce calma ma potente, proveniente da una delle balconate che si affacciavano sulla grande sala d’armi, esclamò:
"Kyp, questa è l’ultima volta che te lo ripeto. In un duello d’addestramento non è consentito l’uso della Forza, né a proprio favore né contro l’avversario. Ora, scusati con Sheen e recati immediatamente nei miei alloggi!"
Il ragazzo più grande disse:
"Sì, maestro Skywalker."
Poi, a voce che non era più di un sussurro, aggiunse: "Scusami, Sheen."
Detto ciò, si voltò e lasciò la sala a testa bassa.
Guardando sopra la spalla del suo avversario, Sheen vide appoggiata allo stipite della porta una ragazza bionda che lo guardava fisso, e non mutò espressione nemmeno quando Kyp le passò accanto. Sheen si avvicinò alla giovane e la salutò:
"Ciao, Dalia! Che ci fai qui? Hai deciso di iniziare l’addestramento con la spada laser?"
La ragazza era sensibile alla Forza, ma proveniva dal pianeta di Dathomir, in cui si seguiva una filosofia diversa rispetto a quella dei Jedi per quanto riguardava l’uso di tale potere; non meno importante, la società in cui era cresciuta era rigidamente matriarcale, e lei stava ancora cercando di abituarsi alle reazioni ammorbidite che doveva avere in presenza di così tanti maschi.
Mantenendo un’espressione indecifrabile, rispose:
"Non credo proprio. Tra un’ora dobbiamo recarci in una delle sale d’aspetto, perché ci sarà affidata una missione. Vedi di darti una pulita, puzzi come un rancor!" e ciò detto, si girò e si incamminò lungo il corridoio.
Gli occhi di Sheen seguirono l’avvenente figura della giovane mentre si allontanava, poi si portò una manica alle narici.
“Sì, Dalia ha proprio ragione.”

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