back

RICCARDO FREDA

FILMOGRAFIA

Don Cesare di Bazan

Non canto più

Tutta la città canta

O7 ...tassì

Aquila Nera

I Miserabili

Il cavaliere misterioso Guarany

Il conte Ugolino

Il figlio di D'Artagnan

Il tradimento

La vendetta di Aquila Nera

Vedi Napoli e poi muori

La leggenda del Piave

Spartaco

Teodora, imperatrice di Bisanzio

Da qui all'eredità

Beatrice Cenci

I vampiri

Agguato a Tangeri

Nel segno di Roma

Agi Murad il diavolo bianco

Caltiki il mostro immortale

I giganti della Tessaglia

Maciste alla corte del Gran Khan

I Mongoli

Caccia all'uomo

Il terribile segreto del Dr. Hichcock

Maciste all'inferno

Solo contro Roma

Le sette spade del vendicatore

Lo spettro

Il magnifico avventuriero

Oro per i Cesari

Giulietta e Romeo

Le due orfanelle

Trappola per l'assassino

Agente 777 missione Summergame

Moresque: obiettivo allucinante

La morte non conta i dollari

A doppia faccia

L'iguana dalla lingua di fuoco

La salamandra del deserto

Estratto dagli archivi di polizia di una capitale europea

Murder obsession (Follia omicida)

 

Riccardo Freda nasce ad Alessandria d'Egitto il 24 febbraio 1909, figlio di un direttore di banca con l'hobby del cinema; giovane dotato di grande talento nelle arti visive, tornato in Italia, a Milano, si dedica alla scultura ed alla pittura, prima di trovare un impiego stabile come giornalista-critico d'arte presso "Il Popolo di Lombardia", per approdare infine a Roma all'età di 23 anni, al cinematografo (come avrebbe detto lui), dapprima come editore ed organizzatore (per la Tirrenia e per l'Elica Film), poi come sceneggiatore e montatore, firmando numerosi copioni tra il 1937 ed il 1942, anno nel quale esordisce alla regia con il "Don Cesare di Bazan", film di cappa e spada, splendidamente interpretato da un giovane Gino Cervi, che rivela la sua grande maestria e le sue preferenze (particolarmente suggestivo è il duello finale). Regista di gran successo, si permette di resistere all'ondata di neo realismo tanto in voga nel dopoguerra, realizzando pellicole storiche e avventurose, arrivando addirittura ad inventare in Italia il genere horror, di gran moda all'estero ma misconosciuto da noi, firmando nel 1957 il geniale "I vampiri", film precursore del genere, anche grazie alla collaborazione di Bava ai trucchi (incredibile per il tempo l'invecchiamento della strega ottenuto in tempo reale, grazie al doppio make-up dell'attrice, in rosso e in blu, con il quale Bava, cambiando gradatamente il colore della luce della lampada puntata sul suo volto, simulava questa progressione improvvisa). Il film ottiene un buon successo all'estero, dove la pellicola (Les Vampires in Francia, Lust of the Vampire in Gran Bretagna, The Devil's Commandment negli stati Uniti) circola a lungo, più che in Italia, perché firmata da Freda con il suo nome, tanto da suscitare l'ilarità di critici ed addetti ai lavori, incapaci di pensare ad un italiano alle prese con un film dell'orrore (ritenendo forse un italiano capace solo di commedia e neorealismo!). L'incontro con Mario Bava è uno di quelli destinati a cambiare per sempre il corso del cinema italiano, anche se la produzione, dopo l'ennesimo litigio con Freda, che non vuole assolutamente cambiare il finale del film, impone a Bava di girare un classico lieto fine poliziesco. La lezione di esterofilia viene immediatamente imparata da Freda perché, quando si tratta di firmare il successivo  "Caltiki il mostro immortale" del 1959, sceglie lo pseudonimo di Robert Hampton. Il film bissa il successo de "I vampiri",  grazie anche ai notevolissimi (per l'epoca, valutateli sempre nell'ottica della genialità artigianale) effetti speciali, sempre curati da Mario Bava, come ad esempio il mostro informe, Caltiki appunto, creato con quantità industriali di trippa ribollente!. Tuttavia, Freda non ha mai riconosciuto questo film come un suo film, attribuendolo a Bava che, oltre a curare i trucchi e la fotografia, lo realizza materialmente, girandolo quasi tutto. Usa pseudonimi esterofili, come Robert Hampton, Robert Davidson, George Lincoln o Willy Pareto, perché il pubblico italiano non è ancora pronto per prodotti nostrani in campi dove i maestri si chiamano Alfred Hitchcock, Jacques Tourneur o Samuel Fuller, ma lo stile che caratterizza i suoi lavori, pur d'imitazione, è sicuramente "originale" (perdonatemi il paradosso); Freda passa come tutti per i generi più in voga a seconda del momento, peplum ([forse il suo preferito, avendo amato da giovane il primo kolossal italiano "Le nozze di Cabiria"] "Maciste all'inferno", interessantissima commistione di stili, ambientato com'è nella Scozia del XVII secolo o "I giganti della Tessaglia"), spionaggio ("Agente 777 missione Summergame"), thriller (il purtroppo deludente "L'iguana dalla lingua di fuoco"), poliziesco ("A doppia faccia"), western ("La morte non conta i dollari"), firmando il suo ultimo film nel 1980, con lo psico-horror "Murder obsession (Follia omicida)", un colossale flop che affonda la sua carriera, un film che lo stesso regista descrive come "una merda". Un carattere difficile, i suoi set sono caratterizzati da furibonde liti con tutti, spesso abbandonati per le divergenze con la produzione, Freda torna a dirigere un film nei primi anni novanta, raccogliendo le esortazioni di Bertrand Tavernier, suo grande estimatore, un classico della letteratura transalpina, quel "La figlia di D'Artagnan" con Sophie Marceau, ma abbandona il set dopo pochi giorni di lavoro, come al solito litigando con tutti, sprecando così l'ultima occasione della sua carriera. Riccardo Freda, l'uomo che dal cinema ha avuto donne, automobili (memorabili le sue apparizioni sui set alla guida della sua famosissima Rolls Royce bianca), fama e molto danaro (come confessa lui stesso nella lunga intervista rilasciata a Giuseppe Tornatore per Tele+) muore di vecchiaia a Roma il 20 dicembre 1999.