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IL SENTIERO DEI NIDI DI RAGNO, di Italo Calvino.

 

Note critiche di Sergio Roedner

 

L’AUTORE.

Italo Calvino nacque a Cuba nel 1923, dove i suoi genitori risiedevano per lavoro. Tornato in Italia nel 1925 e stabilitosi a Sanremo, conseguì la licenza liceale e si iscrisse alla Facoltà di Agraria dell’Università di Torino; nel 1943 si trasferì all’università di Firenze. Il suo antifascismo diventò sempre più convinto. Renitente alla leva della Repubblica di Salò, dopo aver passato alcuni mesi nascosto, entrò nelle Brigate partigiane Garibaldi con le quali partecipò alla Resistenza sulle Alpi Marittime. Finita la guerra si iscrisse al Partito Comunista e iniziò a lavorare per la casa editrice Einaudi. Nel 1947 si laureò in Lettere con una tesi su Conrad.

Nel 1947 pubblicò il primo romanzo, Il sentiero dei nidi di ragno, una rivisitazione della sua esperienza partigiana, vista attraverso gli occhi di un bambino, Pin, seguito da molti altri che lo imposero all’attenzione della critica e del pubblico.

Nel 1957 uscì dal PCI dopo i fatti d’Ungheria ma restò sempre su posizioni di sinistra.

Dal 1964 al 1980 visse a Parigi collaborando sempre a vari giornali italiani quali Il Corriere della sera e Il Giorno.

Nel 1980, tornato in Italia, si stabilì a Roma. Morì improvvisamente a Siena nel 1985.

 

SINTESI DEL ROMANZO.

Cap.I.  Presentazione di Pin, un ragazzino orfano che abita nel vicolo (“carrugio”) con la sorella Rina, una prostituta, e lavora di mala voglia alla bottega del ciabattino Pietromagro, un disgraziato che passa metà dell’anno in prigione. Più che i coetanei, Pin frequenta gli adulti dell’osteria, che si divertono ad ascoltare le sue canzoni oscene e le sue battute pungenti. Ma un giorno essi, che sono immersi in una misteriosa conversazione con uno sconosciuto (un partigiano), accusano lui e la sorella di “farsela” coi tedeschi e coi fascisti e gli propongono, per riscattarsi ed entrare insieme a loro nei “GAP” (un gruppo partigiano), di rubare la pistola di un marinaio tedesco cliente della sorella e di portargliela.

Cap.2. La sorella si è occupata distrattamente di Pin dopo la morte della madre; il padre era un marinaio che ha diradato sempre più le sue rare visite fino a scomparire del tutto. Ora Pin ruba la pistola al marinaio tedesco mentre questi fa l’amore con la sorella, e contempla il suo “tesoro” nel sottoscala, impugnandola e inventando “storie meravigliose”. Poi porta l’arma nell’osteria ma per i suoi amici la questione sembra aver perso importanza. Pin, deluso e pieno di rabbia, scappa via dopo averli insultati e va a nascondere la pistola in un posto noto a lui solo, “dove fanno il nido i ragni”. E’ una scorciatoia sassosa che scende al torrente, dove Pin si rifugia quando è triste o arrabbiato e si diverte “a disfare le porte delle tane e a infilzare i ragni sugli stecchi”. Pin punta la pistola contro un nido e senza volere spara; poi spaventato e felice  nasconde la pistola e se ne va col cinturone. Viene però sorpreso dai tedeschi e arrestato.

Cap.3. Pin viene interrogato e malmenato dai tedeschi dopo che Miscèl (un “amico” dell’osteria) gli ha raccomandato di non denunciarli. Quando lo picchiano Pin piange tanto che l’interrogatorio viene sospeso. Uscito dall’ufficio Pin rivede Miscèl che gli racconta di essersi arruolato nelle brigate nere. In prigione Pin incontra “un ragazzo grande e grosso, con la faccia più gonfia e livida della sua”. E’ Lupo Rosso, un giovane partigiano la cui fama è arrivata fino a Pin. E’ stato condannato a morte ma ha un piano per fuggire dalla prigione. Pin gli chiede di portarlo con lui, Lupo Rosso dapprima rifiuta ma vuole sapere dov’è la sua cella.

Cap.4. In cella Pin incontra Pietromagro, molto malato, che sembra contento di incontrarlo. E’ pentito della sua esistenza inutile e gli chiede di giurare che combatterà per tutta la vita “perché non ci siano più prigioni”. Poi arriva Lupo Rosso che, con la scusa di aiutarlo a trasportare un barile di immondizie, fa uscire Pin dalla cella e poi evade con lui dopo aver immobilizzato la sentinella. Scappano attraverso il parco e si nascondono dietro un grande serbatoio d’acqua. Pin parla a Lupo Rosso della sua pistola ma rifiuta di consegnargliela. Lupo Rosso per ingannare il tempo traccia scritte propagandistiche sul serbatoio mentre Pin fa disegni osceni. Quando è buio Lupo Rosso va “in esplorazione” promettendo di tornare a prendere Pin, che si addormenta e si sveglia a notte fonda, ancora solo. Decide di andarsene, ritrova la strada del torrente. La pistola è ancora al suo posto, e Pin decide di lasciarla lì. Mentre cammina piangendo, incontra un uomo “grande e grosso, vestito in borghese e armato di mitra”, che dice di essere uno che va ad ammazzare la gente di notte. Ma Pin non ha paura, e quando gli racconta la storia di Lupo Rosso, l’omone (“Cugino”) decide di portarlo con all’accampamento partigiano dal quale proviene. 

Cap.5. Dopo aver dormito nel bosco, Cugino e Pin arrivano all’accampamento, accolti dal cuoco Mancino che gli riferisce che gli altri partigiani sono andati incontro a tre autocarri di tedeschi. Pin incontra anche il falchetto Babeuf e Giglia, moglie di Mancino, appena arrivata, accolta con malumore da Cugino che odia tutte le donne. Mancino e Giglia litigano; lei gli dà del troschista, lui la rimprovera per la sua infedeltà. I partigiani tornano, zitti e seri, anche se hanno vinto. Dritto, il comandante, si lamenta perché li hanno messi dall’altra parte della valle e non gli hanno fatto sparare un colpo, forse perché non si fidano di loro. Tra gli uomini “colorati, luccicanti, barbuti, armati fino ai denti” Pin riconosce Lupo Rosso, che si giustifica per averlo abbandonato e gli dice che nel distaccamento del Dritto “ci mandano le carogne”.

Cap.6. Pin trova che i partigiani sono diversi dagli uomini dell’osteria perché “hanno un’amara voglia di nemici” e vogliono solo i loro canti pieni di sangue e di bufere; riempiono Pin di ammirazione. Ci vengono presentati alcuni partigiani. Il Dritto è un giovane magro, che di professione fa il cameriere, combattuto tra la pigrizia (“preferirebbe starsene sdraiato tutto l’anno al sole”) e “una furia che lo tiene sempre in moto”. E’ coraggioso ma al comando di brigata non si fidano di lui perché fa sempre di testa sua.

Pelle “ha due passioni che lo divorano: le armi e le donne”; conosce tutte le prostitute della città e anche la sorella di Pin. Ogni tanto parte, va in città e torna carico di armi, che non vuole dividere con i suoi compagni. Quando il Dritto gli proibisce di partire per una di queste spedizioni e lo schiaffeggia, Pelle se ne va per sempre ed entra nelle brigate nere.

Duca, Marchese, Conte e Barone sono quattro cognati calabresi che “fanno banda un po’ per conto loro”. Zena il Lungo detto Berretta-di-Legno ha la passione della lettura; è capace di leggere col libro posato sul serbatoio del mitragliatore aspettando i tedeschi.

Cap.7. Giglia suscita i desideri degli uomini del distaccamento. Oltra alla smania di donne, essi ogni tanto fucilano qualche prigioniero, e una volta “per scherzo” il Dritto da trovare a Pin un cadavere. Un giorno i fascisti uccidono Marchese e i tre cognati superstiti lo fanno seppellire a due prigionieri, che poi eliminano, lasciandoli nella stessa fossa che hanno scavato. Nel frattempo, travolto dalla passione per Giglia, (mentre Pin deride Mancino, il marito tradito, che finge di non capire), il Dritto gettando troppa legna nel fuoco provoca un incendio nel casolare, che i partigiani sono costretti ad abbandonare. Il Dritto sa che l’errore gli costerà il posto e forse la vita, ma dirige con calma e autorità l’evacuazione.

Cap.8. Il nuovo accampamento è un fienile; Pin è felice del contatto della natura ma si sente attirato ancora dal mondo malsano degli uomini. Familiarizza col Dritto, che avverte il rancore degli uomini contro di lui, e sa che Pin “è l’unica persona con cui si può stare in compagnia”. Gli altri uomini “sono ispidi e distanti”. I partigiani espongono le loro teorie sulla guerra. Carabiniere dice che sono gli studenti che l’hanno voluta; Mancino dà la colpa alla borghesia che fa la guerra per la spartizione dei mercati. Ma Mancino “è antipatico a tutti perché sfoga la sua rabbia a parole e ragionamenti, non a spari”. Giacinto, il commissario di brigata afflitto dai pidocchi, dice che loro fanno i partigiani per tornare a fare i lavori di prima, “e che ci sia il vino e le uova a buon prezzo, e che non ci arrestino più e non ci sia più l’allarme”. Cugino invece sostiene che “la guerra l’han voluta le donne”, che le donne sono tutte traditrici e spie come sua moglie, che l’ha denunciato ai tedeschi per toglierselo di torno.

Cap.9. Il capitolo “ideologico” dedicato alla discussione tra il comandante di brigata Ferriera e il commissario Kim. Ferriera è un operaio nato in montagna, per il quale la guerra partigiana è una cosa esatta e perfetta come una macchina; Kim invece è uno studente  con un enorme interesse per il genere umano: studia gli uomini per capirne le motivazioni e le reazioni. Kim riferisce ai partigiani che Pelle ha tradito, si è presentato alla brigata nera e ha denunciato gli ex-compagni. Ferriera aggiunge che Lupo Rosso è già sceso in città per organizzare i GAP contro di lui. Poi il Dritto si assume la responsabilità dell’incendio, Ferriera gli dice che può riscattarsi nella battaglia dell’indomani ma il Dritto fa capire che non ci sarà perché è “molto malato”.

Poi Ferriera e Kim discutono del distaccamento: Ferriera sostiene che è stata un’idea sbagliata farne uno tutti di uomini poco fidati, con un comandante meno fidato ancora; invece Kim dice che è il. distaccamento di cui è più contento, perché il lavoro politico consiste proprio nel dare un senso al furore di gente senza ideali, che combatte per riscattare “l’offesa della loro vita, il sudicio della lolro casa, la fatica di dover essere cattivi”. Secondo Kim, basta un nulla e ci si ritrova, come Pelle, nelle brigate nere. L’unioca differenza è che i fascisti combattono per perpetuare l’ingiustizia, mentre i partigiani sono “dalla parte del riscatto”. Pin (pensa Kim) combatte per non essere più fratello di una prostituta, i quattro cognati combattono per non essere più “terroni”, Cugino per vendicarsi di una donna che lo ha tradito. Solo Lupo Rosso non ha frustrazioni da vendicare.

Cap.10. Gli uomini si preparano per la battaglia. Il Dritto, dichiarandosi malato, resta nell’accampamento con Giglia e con Pin. Mancino è costretto dagli uomini a uccidere il falchetto, che dicono porti sfortuna e attiri i tedeschi. Pin rinuncia alla propria richiesta di andare a combattere con gli altri anche perché sa che “nel casolare succederanno cose cento volte più eccitanti della battaglia”. Il Dritto per levarselo di torno lo manda a prendere l’acqua e poi a seppellire il falchetto. Proprio mentre Pin sta deponendo Babeuf nella fossa, scoppia, vicinissima, la battaglia. Pin scappa invocando i nomi del Dritto e di Giglia, ma non li trova in casa, bensì tra i cespugli: due corpi sussultanti avvolti in una coperta.

Cap.11. La battaglia è stata lunga e sanguinosa e i tedeschi hanno subito delle perdite. E’ morto il commissario Giacinto e Ferriera ordina la ritirata. Pin incontra Gian, un vecchio amico dell’osteria, che lo informa che hanno fatto una retata nel carrugio: sua sorella è nelle SS e ha fatto arrestare tutti. Poi arriva Lupo Rosso e racconta come i GAP hanno ucciso Pelle. Pin chiede se tra le armi trovate in casa sua c’era anche una P.38 ma Lupo Rosso dice di no. La mattina seguente Pin prende in giro tutti i partigiani, “gente da scherzarci insieme fino a sfogare quell’odio che ha contro di loro”. Quando propone a Mancino di “dirigere il distaccamento dei cornuti”, suscita la reazione rabbiosa del Dritto, che gli torce le braccia. Pin gli morde a sangue un dito e se ne va insultando tutti. Mentre il Dritto fa per seguirlo, sulla porta incontra Ferriera e Kim che gli ordinano di seguirli, disarmato. E’ la resa  dei conti.

Cap. 12. Pin scappato dal distaccamento progetta di riprendersi la pistola e di fare il partigiano da solo: allora tutti gli uomini lo rispetteranno e lo vorranno con loro in battaglia e la Giglia non avrà altri amanti che lui. Pin cammina tutto il giorno, si ferma a mangiare in una casa dove due vecchini lo trattano bene e gli danno castagne e latte. Ma lui si trova a disagio perché non è abituato a trattare con la gente buona e se ne va. Supera un posto di blocco tedesco, arriva al suo torrente ma scopre che Pelle ha devastato i nidi e rubato la sua pistola. Pin piange, poi va a mangiare dalla sorella che gli propone di andare a lavorare con lei nelle brigate nere. Ma Pin scopre che la sua P.38 l’ha proprio lei, gliel’ha data Pelle dicendole “Così resta in famiglia”. Pin gliela porta via “ed esce sbattendo la porta”. Sulla strada del torrente incontra Cugino, al quale mostra la pistola e racconta la storia dei nidi di ragno. Cugino gli confida di aver bisogno di una donna; Pin gli indica la strada per andare dalla sorella e gli presta la sua pistola. Pin è deluso che anche Cugino sia come gli altri uomini, ma l’amico torna subito indietro e gli racconta che “gli è venuto schifo e se ne è andato senza fare niente”. Ora i due camminano per la campagna tenendosi per mano e sono davvero amici.


I PERSONAGGI DEL LIBRO.

 

PIN.

Due elementi concorrono a determinare le sue caratteristiche psicologiche: la solitudine provocata dalla carenza dell’affetto dei genitori e quella provocata dalla vicinanza, necessaria ma infida, di persone falsamente sostitutive dei genitori: figure di donne (la sorella, Giglia) che lo guardano con aria falsamente materna, e figure di uomini, che lo usano per i loro bassi scopi. In questo ambiente il bisogno di crescere di Pin è frustrato dalla mancanza della guida necessaria e dalla presenza di esempi da cui istintivamente rifugge. Questi sono i motivi per cui l’opinione che ha Pin degli adulti si riassume in due punti negativi: le donne ai suoi occhi incarnano un’incomprensibile e ripugnante bramosia sessuale, gli uomini sembra che sappiano esprimersi solo tramite la violenza bestiale. A tale convinzione, che nasce anche dalla sua esperienza di vita, Pin risponde con un atteggiamento di sfida e paura, di attrazione curiosa ma anche di repulsione.

Nell’episodio decisivo, lo scoppio della battaglia (supremo momento di violenza) coincide con un rapporto sessuale tra il Dritto e Giglia. La saldatura tra i due avvenimenti risulta insopportabile per il ragazzo che per sfuggire all’incubo reagisce distruggendo le immagini di Giglia (falsamente materna) e del Dritto (privato dell’autorità e falsamente paterno). Alla fine Pin spezza il vincolo della solitudine prodotto dalla comunità nella quale non riesce a riconoscersi, e inizia un nuovo difficile cammino che lo porta, alla fine del romanzo, a recuperare l’immagine della madre ( “Anche la mia era brava”) e a trovare in Cugino la figura paterna.

 

RINA, “LA NERA”.

E’ la sorella di Pin, che lo ha accudito mal volentieri dopo la morte della madre e la partenza definitiva del padre. Anche se Pin è attratto morbosamente dai suoi incontri con gli uomini, non c’è vero affetto tra i due, e quando lei grida durante il pestaggio del fratello, Pin la giudica una bugiarda pensando “a quante volte lei l’ha picchiato”. Non la stima, non la difende quando gli amici dell’osteria la insultano e non si stupisce di sapere che collabora con le SS e fa arrestare i partigiani. In fondo le attribuisce la colpa del suo isolamento e, secondo Kim, lotta insieme ai partigiani per non essere più giudicato il fratello di una prostituta. Alla fine, quando le porta via la “sua” P.38, rompe definitivamente con lei (come con tutti gli altri) e se ne va sbattendo la porta e insultandola.

 

GIGLIA.

Anche lei, come la sorella, è una figura “falsamente materna” il cui affetto Pin respinge giudicandolo insincero e strumentale. Anche Giglia, come Rina, è dominata dall’istinto sessuale. La sua sola presenza suscita inquietudine e discordia nel campo dei partigiani, l’attrazione che il Dritto prova per lei lo porta alla rovina. Eppure c’è una forte ambivalenza nel disprezzo che Pin ha per lei: in fondo sogna di recuperare la pistola per poter dimostrare a Giglia di essere un uomo e di meritare anch’egli le sue attenzioni.

 

CUGINO.

E’ un omone grande e grosso, ma con le mani grandissime, calde e soffici, che dialoga con Pin e lo soccorre “prendendolo per mano” in due occasioni fondamentali: dopo la fuga da prigione e dopo la fine dell’esperienza partigiana. E’ il grande amico al quale Pin può affidare la sua pistola e parlare dei suoi sogni (i nidi di ragno). Come Pin, anch’egli è solo e infelice perché la moglie lo ha tradito e denunciato; da allora odia le donne e attribuisce loro la colpa della guerra. Rappresenta la sola possibile soluzione al rapporto contraddittorio di Pin col mondo degli adulti.

 

LUPO ROSSO.

Ha tutte le caratteristiche dell’eroe positivo: audace, determinato, generoso coi compagni, inflessibile coi fascisti. Ma allo sguardo acuto di Pin non sfugge il suo atteggiamento di superiorità, il suo sentirsi “più bravo” degli altri, tanto da poter lanciare giudizi sprezzanti su Pietromagro e sul distaccamento del Dritto. Calvino ha voluto ritrarre in lui il partigiano senza incertezze, che si nutre di poche idee schematiche imparate alla scuola di partito, ma che a causa della sua giovane età ha poca esperienza di vita.

 

MANCINO.

Assomiglia a Lupo Rosso in quanto è anch’egli nutrito di ideologia rivoluzionaria, ma le sue idee estremiste non incontrano il consenso dei compagni, perché Calvino lo ha ritratto come un codardo che combatte a parole ma evita le battaglie vere. La sua vigliaccheria risalta anche nell’episodio del tradimento di Giglia: si rifiuta di guardare in faccia la realtà perché non saprebbe affrontare da uomo la situazione e il rivale, pertanto finge di non capire le allusioni di Pin e vorrebbe impedirgli di dire la verità. Anche l’uccisione del falchetto Babeuf è un episodio che rivela la sua frustrazione: di fronte alle proteste dei compagni sfoga la sua rabbia (anche quella per il tradimento della moglie) su Babeuf incolpando poi gli altri.

 

GLI ALTRI PARTIGIANI.

I partigiani del distaccamento del Dritto sono scelti appositamente  per dimostrare la tesi di Calvino che  per lottare contro il nazifascismo non servivano degli eroi, ma solo delle persone disposte a lottare per superare le proprie frustrazioni, per diventare degli uomini attraverso l’impegno e la sofferenza. Così il Dritto non è un comandante esemplare, ma un cameriere pigro che però possiede l’energia febbrile e l’autorità che gli permette di farsi obbedire dai suoi uomini. Il lato oscuro del suo animo è però sempre in agguato, e lo tradirà facendolo cedere prima alla passione per Giglia, che causerà l’incendio del casolare e la sua rovina, e poi all’inerzia che gli impedirà di riscattarsi in battaglia. E Pelle, che tradisce i partigiani finendo nelle brigate nere e cadendo sotto i colpi dei GAP guidati da Lupo Rosso, non è buono cattivo: è un giovane violento, audace, sena certezze, con la passione delle donne e delle armi. Solo il caso può farlo approdare nel campo dei partigiani piuttosto che in quello dei fascisti. Gli altri partigiani non sono migliori: ognuno combatte la sua battaglia privata, accomunati solo, come dice Kim, dal fatto di trovarsi “dalla parte giusta della storia”, a fianco di chi lotta per eliminare i privilegi e ristabilire la giustizia e la libertà.

Kim e Ferriera servono all’autore per porre a confronto, nel capitolo 9°, due diverse opinioni della Resistenza. Ferriera, il comandante di brigata, un operaio, ne ha una concezione geometrica, esatta, militare, non ammette dubbi o incertezze. “Sta a sentire tutti e intanto ha già deciso per conto suo”. Invece Kim, il commissario,  è attento alle motivazioni, al lato umano della lotta. Per lui il distaccamento del Dritto è quello di cui è più contento, perché mettendo insieme tanti spostati è riuscito a trasformare il loro confuso ribellismo in lotta contro l’oppressore. Kim è riuscito a capire che con uomini simili non si può parlare di doveri e di ideali: la loro motivazione è “una spinta di riscatto umano, elementare, anonimo, da tutte le umiliazioni”.

 

LA PREFAZIONE DEL 1964.

Questa prefazione, scritta a diciassette anni di distanza dalla stesura del romanzo, è un vero e proprio saggio sulla “letteratura della Resistenza”. Eccone in sintesi i punti più significativi:

- Il libro nasce dal clima generale di un’epoca, da un’esperienza, quella della guerra, che aveva dato a tutti una storia da raccontare: alla storie vissute si aggiungevano quelle ascoltate da altri (la “tradizione orale”). La volontà dei giovani scrrittori neo-realisti era quella di esprimere “il sapore aspro della vita”.

- Importante per i neo-realisti era partire dal proprio lessico e dal proprio paesaggio. Quello di Calvino era la riviera di Ponente, San Remo: da quel paesaggio Calvino cancellò il litorale turistico per descrivere i vicoli della città vecchia, le mulattiere, le valli delle Prealpi liguri. “La Resistenza rappresentò per Calvino la fusione tra paesaggio e persone”, la possibilità di situare storie umane nel paesaggio.

- Calvino elenca a questo punto gli elementi immaturi nel suo romanzo: l’esasperazione dei motivi della violenza e del sesso, la smania di innestare la discussione ideologica nel racconto, la soluzione linguistica adottata del “dialetto aggrumato in macchie di colore”, il modo esasperato e grottesco di raffigurare la persona umana, deformando così anche l’immagine di tanti cari compagni di lotta.

- Calvino afferma che al tempo in cui compose il libro, “scrivere il romanzo della Resistenza si poneva come un imperativo; questa responsabilità finiva per fargli sentire il tema come troppo impegnativo per le sue forze. Proprio per non lasciarsi mettere in soggezione, decise che l’avrebbe affrontato non di petto, ma di scorcio. “Tutto doveva essere visto dagli occhi di un bambino, in un ambiente di monelli e vagabondi”.

- L’autore voleva combattere contemporaneamente su due fronti: lanciare una sfida ai detrattori della Resistenza e nello stesso tempo ai sacerdoti di una Resistenza “agiografica” cioè combattuta solo da eroi e martiri. Ai primi rappresentò i “peggiori partigiani possibili” nell’intento di dimostrare che in loro agiva un’elementare spinta di riscatto umano, che li ha resi centomila volte migliori degli altri. Ai secondi, che volevano “l’eroe socialista” contrappose una storia in cui nessuno è eroe, nessuno ha coscienza di classe.

- Oltre alle esperienze di vita, dietro Il sentiero dei nidi di ragno c’è la lettura di opere come Per chi suona la campana di Hemingway, L’armata a cavallo di Babel, La disfatta di Fadeev.

- Fu Pavese a intuire nel romanzo anche gli echi favolosi dell’Isola del tesoro, e a parlare di tono fiabesco a proposito del romanzo. Forse, dice Calvino, il primo libro che si scrive è il solo che conta e la poesia è possibile solo nell’estrema giovinezza.

- Calvino ricorda le discussioni con un amico e coetaneo su cos’era stata la Resistenza. Il suo amico era un argomentatore analitico e freddo, raffigurato nel romanzo dal commissario Kim. Calvino ricorda anche tutte le sue riflessioni sulla violenza, da giovane borghese proiettato di colpo in mezzo alla violenza partigiana. Per molti suoi compagni era stato solo un caso a decidere da che parte stare.

- Calvino aveva provato invano a raccontare l’esperienza partigiana in prima persona. Ma solo quando cominciò a scrivere storie in cui non entrava lui, “tutto prese a funzionare”; il racconto diventava oggettivo, senza vibrazioni sentimentali e moralistiche. Quando comincò a sviluppare un racconto sul personaggio d’un ragazzetto partigiano conosciuto nelle bande, si accorse di identificarsi nel personaggio. L’inferiorità di Pin bambino di fronte agli adulti corrispondeva allo stesso sentimento del borghese Calvinmo; e la sua spregiudicatezza corrispondeva al modo “intellettuale” di non meravigliarsi mai, di difendersi dalle emozioni. Così quella storia tornava a essere la sua storia.

- Dopo la guerra Calvino si sentiva immaturo e impreparato alla vita, all’amore, al lavoro letterario. Il protagonista simbolico del libro fu dunque un bambino, al cui sguardo armi e donne apparivano lontane e incomprensibili.

- Già negli anmni Cinquanta la stagione del neorealismo era finita: Pavese morto, Vittorini silenzioso, Moravia aveva cambiato genere. Chi continuò su quella strada fu Fenoglio, che scrisse Una questione privata, “il libro” sulla Resistenza “che la nostra generazione voleva fare”. A questo romanzo Calvino rende omaggio dicendo che “è al libro di Fenoglio che voleva fare la prefazione, non al suo”.

- Scrivendo il primo libro Calvino dice di aver bruciato il tesoro della memoria: se ripensa a quella stagione, tutto è lontano, nebbioso, e le pagine scritte sono lì nella loro sfacciata sicurezza ingannevole.

“Un libro scritto non mi consolerà mai di ciò che ho distrutto scrivendolo: quell’esperienza che custodita per gli anni della vita mi sarebbe forse servita a scrivere l’ultimo libro, e non mi è bastata che a scrivere il primo”.