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LA COMMEDIA DELL'ARTE E GOLDONI  

IL TEATRO ITALIANO AL TEMPO DI GOLDONI: LA COMMEDIA DELL'ARTE.

Il teatro italiano del Seicento è interamente dominato dalla cosiddetta Commedia dell'Arte, dove la parola "arte" significa  "mestiere": i comici dell'arte sono infatti dei professionisti.  La struttura tipica della commedia dell'arte è un'opera in tre atti, recitata da comici professionisti riuniti in compagnie sotto la direzione di un capocomico, che si spostavano di città in città e talvolta di nazione in nazione. La commedia dell'arte non aveva testi scritti.  L'autore, che di solito era anche un attore, scriveva dei "canovacci" o "scenari": trame di commedia in cui si indicava, scena per scena, quali personaggi partecipavano, e il riassunto dei  dialoghi. Spettava poi agli attori recitare quelle scene mprovvisando.

 

ELEMENTI CARATTERISTICI DELLA COMMEDIA DELL'ARTE:

E' importante individuare e descrivere brevemente le caratteristiche della commedia prima della riforma di Goldoni perchè, come vedremo, tracce di questo teatro "primitivo" e "naif" si ritrovano anche in certe scene della Bottega del caffè  che si può considerare un'opera di transizione verso quel teatro maturo nel quale Goldoni superò completamente il modello della Commedia dell'Arte.

1) L'improvvisazione: l'attore aveva però a disposizione degli "zibaldoni" in cui erano scritti dei modelli di scene di vario tipo  (dichiarazione d'amore, scena di gelosia, di disperazione, ecc);  l'attore, a seconda del pubblico presente in sala o delle battute degli altri attori, improvvisava la propria parte, che variava ogni volta. Questo genere di commedia non è mai scomparsa del tutto, e si trova, ad esempio, come costante nel teatro di Dario Fo. In questo genere di commedia l'attore è più importante  dell'autore e difatti di questo periodo ci sono stati tramandati solo nomi di attori famosi.

2) I lazzi: sono scene mimiche che servono a provocare il riso del pubblico. Ad esempio si immagini che un attore faccia scivolare un cubetto di ghiaccio giù per la scollatura a una dama e che questa si sforzi di liberarsene "in modo decoroso": è una comicità di tipo farsesco che è poi proseguita nel cinema muto (le comiche di Charlot). Tracce cospicue di lazzi si trovano anche nelle commedie popolaresche contemporanee e nel teatro di Dario Fo.

3) Le maschere: la parola maschera indica due cose: a) un travestimento grottesco che l'attore si mette sulla faccia;  b) un "tipo fisso", personaggio che, oltre ad avere sempre lo  stesso aspetto (vedi a) ha anche sempre lo stesso carattere o  comportamento. Le maschere esistono già dai tempi del teatro greco e latino e raffigurano varie figure della realtà sociale:  l'avaro, il servo astuto, la servetta vogliosa... Nel Seicento venne introdotta la maschera del soldato spagnolo vanaglorioso e arrogante, che peraltro riproduceva il "miles gloriosus" del  latino Plauto.  Molte di queste maschere erano regionali e rappresentavano gli abitanti di una certa città, di cui parlavano anche il dialetto; Pulcinella è napoletano, Arlecchino veneziano, Meneghino milanese; le commedie in cui c'erano le maschere erano perciò dei  curiosi impasti linguistici.

NB. Nella prima versione della Bottega del caffè, Ridolfo aveva la maschera di Brighella e Trappola quella di Arlecchino.

4) L'intreccio: la Commedia dell'Arte era legata ad intrecci  fantasiosi e inverosimili: figli illegittimi abbandonati in tenera età venivano riconosciuti e si sposavano felicemente; altri neonati venivano scambiati nella culla. Le commedie erano spesso ambientate in lontani paesi esotici. Nella Bottega del caffè si possono rintracciare resti di questa macchinosità nella fuga di Flaminio e nel suo riconoscimento da parte di Placida; nelle scene melodrammatiche in cui i mariti inseguono con la spada in mano le mogli e vengono fronteggiate da cavalieri pronte a difenderle, ecc.

5) La comicità: la comicità nella Commedia dell'Arte era spesso sboccata fino all'oscenità: si veda il doppio senso "flusso e riflusso dalla porta di dietro" nella Bottega del caffè. Comuni erano anche gli strafalcioni su argomenti scientifici e nell'uso  del latino, lungua dotta per eccellenza: si vedano gli scherzi su "sistole e diastole, due fibre digestive" e "lupus est in fabula,  il lupo pesta la fava".

 

       CARLO GOLDONI (1707-1793)

LA VITA.

Carlo Goldoni nacque a Venezia nel 1707 e morì a Parigi nel 1793. Studiò legge a Pavia e venne espulso dall'università per aver  scritto una satira contro le donne pavesi. Si laureò in legge nel  '31. Si interessò di teatro fin da ragazzo (famosa la sua fuga da Rimini su una barca di comici) e incominciò a comporre in giovane età. Presto si allontanò dagli schemi della Commedia dell'Arte e  cominciò a concepire una propria "riforma teatrale". Lavorò dal '47 al '52 al teatro Sant'Angelo con il capocomico Girolamo Medebac. Nel '51, avendo avuto insuccesso una sua commedia,  promise di produrre l'anno successivo ben sedici commedie nuove,  e mantenne la promessa: la Bottega del caffè è appunto una delle 16 e senz'altro risente della redazione affrettata. Nel '52 passò  al teatro San Luca di Vendramin con cui rimase dal '53 al '62.  Nel '62 insofferente delle polemiche si trasferì a Parigi presso  la Comedie Italienne dove fu costretto a mettere nuovamente in  scena commedie dell'arte, e dovette ricominciare da capo la riforma.

 

LA RIFORMA GOLDONIANA.

La riforma goldoniana ha un duplice aspetto, tecnico e ideologico: dal punto di vista tecnico egli riformò i meccanismi della  commedia;  dal punto di vista ideologico egli riformò i temi del teatro.

RIFORMA TECNICA.

1) Goldoni sostituì le commedie improvvisate con commedie scritte. Il processo fu graduale: all'inizio solo la parte del protagonista era interamente scritta, mentre le altre erano improvvisate. E' del 1743 la prima commedia interamente scritta: La donna di garbo.

2) Nel quadro della ricerca del verosimile, procedette poi  all'eliminazione delle maschere: la prima commedia senza maschere è la Pamela Nubile del 1750.

3) Eliminazione degli Zanni (servi) che avevano un ruolo essenziale del gioco scenico: i Rusteghi, del 1760, è senza servi, mentre nella Bottega del caffè sopravvivono Trappola (con ruolo essenzialmente comico) ed altri servi, con parti parlate o mute.L'eliminazione dei servi allontanava la commedia goldoniana da tutte quelle precedenti. Completamente scritta, senza maschere nè servi, la commedia goldoniana era ora realistica, trasposizione scenica del mondo reale.

 

GRADUALITA' DELLA RIFORMA.

I cambiamenti furono graduali, perchè occorreva educare i gusti  del pubblico, avvezzo agli intrecci romanzeschi e alle avventure scontate delle maschere, e vincere la resistenza degli attori, poco favorevoli a mandare a memoria le loro parti e a vedere diminuita  la propria importanza rispetto a quella dell'autore. Occorre anche far riferimento alla situazione politica di Venezia, dove c'era una borghesia ricca, ma anche un'aristocrazia diffidente delle novità e gelosa del proprio potere.Goldoni dovette evitare ogni accenno che potesse insospettire i nobili e il governo; dovette rendere napoletani o toscani i nobili che voleva mettere in ridicolo, e dovette rinunciare a introdurre nelle scene i preti.

 

RIFORMA IDEOLOGICA.

Goldoni cercò di staccarsi dalla stilizzazione dei tipi fissi  rappresentati dalle maschere per portare alla ribalta caratteri  reali: un personaggio può essere anche simbolo di una categoria psicologica o sociale (si pensi a don Abbondio) ma è intanto un individuo concreto, il più concreto possibile.

Nelle migliori commedie di Goldoni il borghese - l'eroe dellea civiltà illuministica - viene posto in scena con i suoi  problemi concreti e attuali: ad esempio il contrasto tra la vecchia e la nuova concezione della famiaglia (nei Rusteghi) o i matrimoni tra classi sociali diverse (La locandiera), i nuovi vizi e le nuove mode della  società di Venezia (La bottega del caffè).

Protagonista delle commedie goldoniane è dunque la classe borghese,  idealizzata come modello di comportamento, imperniato su valori  come la famiglia, l'onestà, il decoro (rivalutazione della figura  di Pantalone). L'aristocrazia viene spesso derisa come portatrice di atteggiamenti di superiorità e di vanagloria non più giustificati dalla sua oggettiva decadenza (vedi la figura di Don Marzio).

 

LA LINGUA E LO STILE.

Nel linguaggio, egli trascrisse anche le parti dialettali delle sue prime commedie, passando dal plurilinguismo proprio della commedia dell'arte, al monolinguismo. Anche questa era una conquistadi realismo in quanto unificava i personaggi su un medesimo piano linguistico.  Il suo italiano non è una lingua letteraria ma riproduce l'italiano medio appreso sui libri e parlato da persone non appartenenti alla stessa regione. Non ha la scioltezza di una lungua viva ma è un contesto di frasi fatte. Molto più vivace invece il suo dialetto veneziano col quale riesce a esprimere il modo di parlare di tutte le classi sociali.

 

ANALISI DI UNA COMMEDIA: " LA BOTTEGA DEL CAFFE'."

E' una delle 16 che ha scritto nel '51. Le maschere sono state abolite dalle versione definitiva della commedia.      E' una commedia strana, l'unica delle sedici che non abbia un titolo che metta in risalto un personaggio. Il motivo principale è probabilmente che il personaggio che ha più risalto è Don Marzio, e Goldoni non voleva probabilmente intitolare la commedia a un personaggio negativo.Egli dichiara infatti che si tratta di una commedia di ambiente: in primo piano è dunque, nelle intenzioni dell'autore, l'ambiente (una piazzetta di Venezia con una bottega del caffè, una bisca, un negozio di barbiere, una locanda) e non un personaggio.

La commedia descrive un luogo caratteristico di un momento storico preciso e vuole mostrare i personaggi e le situazioni tipiche di questo ambiente. La scena è fissa. Nella prima scena Goldoni riesce bene a ricreare l'ambiente, il risveglio mattutino e l'apertura delle botteghe; poi prevalgono i  personaggi e l'intreccio e l'aspetto "ambiente" passa in secondo piano.

 

TEMI DELLA COMMEDIA.

 La commedia ha un taglio moralistico in quanto prende di mira alcuni dei vizi caratteristici dell'epoca, ma che sicuramente le sopravvivono. Nell'introduzione l'autore dichiara esplicitamente  di voler prendere di mira stavolta i vizi della borghesia:

 - In primo luogo il vizio del gioco, al quale Goldoni aveva già dedicato una commedia. Il gioco rovina le famiglie distoglie la gente onesta dalle proprie occupazioni portandola a dissipare il  patrimonio familiare e a rovinare i matrimoni (vedi Eugenio da un lato e Leandro dall'altro).

- Anche il "dongiovannismo", anche se in modo più sfumato, è  oggetto di critiche; esso ha il suo corrispettivo in         quell'inclinazione di certe donne (vedi Lisaura) a farsi  mantenere per amore della vita comoda.

- A questi modelli di comportamento Goldoni contrappone la figura del borghese onesto, che vive del proprio lavoro accontentandosi di un equo margine di guadagno, pronto ad aiutare il prossimo.

L'intonazione moralistica della commedia è dimostrata dal ruolo preminente che ha in essa Ridolfo, moralista e filosofo fino all'inverosimiglianza per un caffettiere! (vedi commento scherzoso di Eugenio).

- Nonostante le premesse iniziali permane un aspetto di critica antinobiliare nella costruzione del personaggio di Don Marzio (gentiluomo napoletano, giacchè la censura impediva di attaccare dei nobili veneziani!), descritto come squattrinato, scroccone,  intrigante, pettegolo, prepotente e vanaglorioso.

 

L'INTRECCIO.

E' relativamente semplice (il che non significa necessariamente lineare e verosimile); eccolo nelle sue linee essenziali: Eugenio, mercante di stoffe, travolto dalla passione del gioco,  sperpera il suo patrimonio nella bisca di Pandolfo giocando contro il baro Flaminio Ardenti, che è scappato da Torino e vive a Venezia sotto il falso nome di Conte Leandro;  Ridolfo cerca di aiutarlo a guarire dal suo vizio e al tempo stesso lo aiuta a vendere delle stoffe per pagare i suoi debiti  di gioco senza cadere vittima dell'interessata mediazione dell'avido Pandolfo, padrone della bisca;  la ballerina Lisaura, mantenuta da Flaminio, è oggetto delle maligne dicerie di Don Marzio, "la tromba della comunità" che sparla di tutto e di tutti;  la moglie di Flaminio, Placida, travestita da pellegrina, viene in cerca del marito e lo trova a Venezia. La scena in cui lei lo scopre a gozzovigliare mentre Vittoria, sposina di Eugenio,  sorprende il marito nella stessa festa, è molto movimentata,  melodrammatica, fatta di urla, inseguimenti e svenimenti, e si fonde male col resto della commedia; deve considerarsi come attinta pari pari al repertorio tradizionale della commedia dell'Arte da parte di un Goldoni molto frettoloso;  gli sbirri, che sospettano che Pandolfo sia un baro, lo colgono sul fatto grazie alle chiacchiere di Don Marzio, che dà loro informazioni molto precise ignorando la loro identità; Pandolfo viene perciò arrestato;  l'intera piccola comunità insorge contro don Marzio accusandolo di delazione; saltano fuori tutte le chiacchiere malevole con le quali lui ha messo i personaggi gli uni contro gli altri: Don Marzio deve andarsene da Venezia.

C'è del moralismo anche nel finale, a lieto fine come è tipico nelle commedie goldoniane, e come era atteso dal pubblico: Eugenio si riconcilia con Vittoria e si ripropone di non giocare più, Flaminio ritorna a Torino con la sua moglie legittima,  Lisaura recita un atto di contrizione. Perfino don Marzio, pur protestando la propria buona fede, capisce che il proprio comportamento è stato fonte di guai per tutti e che non ha fatto buon uso della libertà di cui si gode a Venezia.

 

I PERSONAGGI.

DON MARZIO: come si è detto rappresenta la nobiltà presuntuosa ma improduttiva. E'il personaggio più riuscito artisticamente perchè l'umorismo e tutte le complicazioni della trama partono da  lui. Goldoni riesce a creare situazioni vivaci e divertenti mettendolo in coppia con altri personaggi in varie scene:

- in coppia con Ridolfo rappresentano un vivace contrasto di atteggiamenti opposti: altruista e discreto l'uno, egoista, malevolo e pettegolo l'altro; da notare che il nobile usa il "voi" per trattare col bottegaio, mentre quest'ultimo usa il "lei" per rivolgersi al nobile, sia pure spiantato;  - in coppia con Trappola, costituiscono una bella coppia di  "segretari": hanno infatti lo stesso vizio del pettegolezzo,  ma mentre il servo se ne rende conto, don Marzio no. - in coppia con Pandolfo, nasce una discussione divertente nella quale don Marzio non solo vuol avere ragione a tutti i costi, ma vuole anche dar torto all'altro, per quanto questi si sforzi di essere condiscendente. E' un personaggio "universale" (il tipo del pettegolo) e abbastanza verosimile: Goldoni stesso riferisce che qualcuno, credendo di riconoscersi nel personaggio, giunse al punto da sfidarlo a duello!

RIDOLFO: presentato come borghese modello, campione della nuova  classe emergente, manca di verosimiglianza perchè raduna in sè troppe qualità: troppo onesto, troppo altruista, e per di più  filosofo, la cui scelta di vita è di accontentarsi del giusto senza volere di più. Significativi i suoi contrasti con Pandolfo, portavoce di una ben diversa etica di vita, e sostenuitore di un  modo spiccio e poco scrupoloso di fare quattrini.

EUGENIO: Borghese "vizioso" in quanto mercante che non ha voglia di lavorare, dissipatore e "dandy": per quanto il personaggio non venga molto approfondito, rappresenta convincentemente una larga arte dell'umanità, debole ma non cattiva, che si lascia convincere e trascinare sulla via sbagliata. Ben riuscita poi la caratterizzazione del giocatore incallito che esulta per una piccola vincita (anche se il critico Baretti giudicava inverosimile quersto comportamento) e non riesce a resistere alla febbre del  gioco ed alle lusinghe degli altri giocatori.

PANDOLFO: di lui si è già detto. Esempio "negativo" di borghese senza scrupoli e affarista, alla ricerca di guadagni rapidi, barando, affittando i propri camerini a chiunque e praticando occasionalmente l'usura. "Anti-Ridolfo" nella morale di vita come don Marzio lo è nei rapporti umani.

FLAMINIO (CONTE LEANDRO):  senza scrupoli, interessato solo ad arricchirsi, compra l'amore della ballerina Lisaura, e quando Eugenio la corteggia, si proccupa più del suo credito che non  della possibile concorrenza. Ha un rapporto "mercantile" con le persone, ma quando è preda della paura, si lascia strapazzare da Don Marzio in un'altra scena spassosissima. E' tutto sommato un personaggio romanzesco e poco verosimile.

VITTORIA: rappresenta il clichè della moglie innamorata e disperata, tipo universale ma non verosimile, più che altro comune e tradizionale.

LISAURA: la ballerina che sta con il finto conte per amore e per soldi. Accusata ingiustamente di essere una prostituta da don Marzio, è comunque oggetto di satira sociale da parte del Goldoni, che colpisce in lei la figura della mantenuta. Non priva di qualche dignità, rifiuta le "castagne secche" e ribadisce la propria fedeltà al suo protettore.

PLACIDA: la moglie mascherata e disperata di Flaminio: rappresenta più che altro un personaggio patetico (una copia più sbiadita di Vittoria): anch'essa romanzesca e poco verosimile nel  suo vagabondaggio alla ricerca del marito fuggito.

TRAPPOLA: servo furbo, pigro e spiritoso, chiacchierone e spiritoso. Proviene dalla Commedia dell'arte, è utile al gioco scenico e fonte di battute di sapore tradizionale. E' l'unico zanno sopravvissuto, con un ruolo obabilmente ridotto, nel rifacimento maturo della commedia, rispetto alla prima versione,  nella quale vestiva i panni di Arlecchino. E' un personaggio tradizionale, proveniente dal teatro, non dalla vita.