STORIA DEL KARATE A OKINAWA.

 

Okinawa, l’isola principale dell’arcipelago delle Ryukyu, si trova proprio al centro di quel gruppo, che si estende dal Giappone (a nord) ai confini della Cina (a sud). Gli abitanti di Okinawa assomigliano ai giapponesi più che agli altri popoli asiatici, ma molti di loro hanno sangue malese e polinesiano.

I primi contatti tra la Cina e le Ryukyu avvennero verso il 608 durante una delle spedizioni all’est organizzate dall’imperatore Yang Chien alla ricerca della leggendaria “terra dei felici immortali”. I Cinesi scoprirono invece le Ryukyu (Liu Ch’iu in cinese). L’enciclopedia ufficiale giapponese dice che il kung-fu cinese fu probabilmente portato a Okinawa dalla Cina durante la dinastia T’ang (618-906), donde il primitivo nome di to-te (mani di T’ang).

Nel 1372 il re di Okinawa Satto divenne tributario e vassallo dell’imperatore cinese Ming, aprendo così le porte di Okinawa ad una maggiore influenza culturale cinese. Nei secoli seguenti il kung-fu entrò nelle Ryukyu combinandosi con una forma genuinamente indigena di combattimento coi pugni chiusi. Questo antico stile di lotta di Opkinawa è denominata tode.

Nel 1393 l’imperatore cinese donò a Okinawa l’aiuto di un gruppo di artigiani e mercanti, che fecero gruppo a sé e furono chiamati le “36 famiglie”: ad esse la tradizione attribuisce grande merito nella diffusione del kung-fu nelle Ryukyu.

Nei secoli XV e XVI due grandi città di Okinawa, Shuri e Naha, divennero famose come centri di commercio di beni di lusso, acquistati in India e in Asia del sudest ed esportati in Cina, Corea e Giappone. Gli abitanti di Okinawa ebbero così rapporti con arabi, malesi, indonesiani e tailandesi, il che implica la possibilità di scambi di “informazioni”, spesso cruenti, sulle rispettive forme di lotta a mani nude.

Nel 1609 il grande clan giapponese Satsuma, battuto nella guerra civile dal clan Tokugawa, ricevette dai rivali il “permesso” di marciare contro le isole Ryukyu. Il risultato fu la perdita dell’indipendenza da parte di Okinawa e la confisca di tutte le armi. Questo forzò gli indigeni a perfezionarsi nella tecnica di lotta a mani nude e cogli attrezzi che usavano nel lavoro quotidiano: il bo (bastone lungo), il nunchaku (due attrezzi legati da una corda, che servivano per battere il riso), il kama (falcetto), il tonfa (attrezzo a T per fare i buchi per terra), il remo, ecc.
Nel 1629 i vari gruppi di kung-fu e di tode di Okinawa si riunirono segretamente creando un nuovo stile di combattimento chiamato semplicemente te (mano). La pratica del te nelle tre scuole principali (Shuri, Naha e Tomari) si sviluppò clandestinamente sviluppando le due caratteristiche della segretezza (perché era proibita) e dell’estrema violenza, dato che l’unico scopo dei praticanti era di uccidere il nemico.

Quel che abbiamo di quel periodo sono solo leggende. Una di esse parla di Sakugawa di Shuri, che nel 1724 fece un viaggio in Cina e tornò dopo molti anni divenuto esperto dei kata di kung-fu, dando così origine alla Scuola Sakugawa di karate. A parte queste leggende c’è poco di certo sulla cronologia del karate fino al 1903, data della prima dimostrazione pubblica a Okinawa. Tra il 1784 e il 1903 la parola karate sostituì te per designare la lotta senza armi. Nel 1904 il karate fu ufficialmente introdotto nelle scuole pubbliche di Okinawa come parte del programma di educazione fisica. Il segreto sul karate avrebbe dovuto cessare nel 1875 con la fine dell’occupazione militare e l’annessione delle Ryukyu all’impero giapponese, ma l’intensa rivalità tra le scuole tenne la pratica semi-segreta fino al 1903.

Il karate di Okinawa è tradizionalmente diviso in tre grandi scuole, che prendono nome dalla città in cui si diffusero: Shuri-te, Naha-te, Tomari-te.

Lo Shuri-te (antenato dello shotokan e del wado-ryu) comincia con Sakugawa, e prosegue col suo allievo bushi (guerriero) Matsumura, inventore di una variante del kata Bassai. Tra gli allievi di Matsumura, Itosu e Asato, entrambi maestri di Gichin Funakoshi, il fondatore dello shotokan, che verso il 1930 si trasferì in Giappone per diffondere il karate nell’arcipelago. Caratteristiche dello Shuri-te: tecniche grandi, veloci, posizioni ampie, respirazione naturale.

Il Naha-te ha il suo capostipite in Higashionna che dopo aver studiato Shuri-te compì un viaggio in Cina e al suo ritorno, dopo 30 anni, mise a punto il naha-te. Il suo allievo Chojun Miyagi è il vero fondatore della scuola che chiamò goju-ryu (scuola della forza e della cedevolezza) e mise a punto il kata respiratorio Tensho. “Quando si prepara a parare il corpo è morbido e si inspira. Quando si attacca o colpisce, diviene duro e si espira”.

 

STORIA DEL KARATE ITALIANO.  

1955: Il karate viene introdotto in Toscana da un marinaio, Vladimiro Malatesti, che lo aveva appreso nei suoi viaggi in Oriente.

1958: Compare, sempre in Toscana, il maestro Murakami che insegna lo stile Shotokai del maestro Egami. Il gruppo di Murakami fonda la FIK (federazione Italiana Karate).

1962: Si forma un nucleo di praticanti nel Lazio, che fa capo ad Augusto Basile, che ha imparato il karate in modo un po' avventuroso, seguendo il maestro Hiroo Mochizuki in giro per l'Europa. Basile fonda il "Kiai" (Karate International Academy of Italy).

Nel 1963 uno studente milanese, Roberto Fassi, che pratica judo al Jigoro Kano di Milano, si reca in Francia agli stages di Henry Plée e diventa 1° kyu; incomincia a insegnare karate al Jigoro Kano, lezioni basate più sulla durezza e la resistenza che sullo stile, ancora approssimativo. Ogni tanto Fassi chiama il M.Nambu.

1964: a Torino arriva Masaru Miura della JKA (shotokan) e fonda una propria federazione.
1965: Fassi scrive in Giappone e chiede un istruttore per l'Italia; nel novembre arrivano a Milano 4 maestri della JKA: Kase, Kanazawa, Enoeda e Shirai. Danno una dimostrazione formidabile nella sala secondaria del Palalido, poi Kase va in Francia, Enoeda in Inghilterra, Kanazawa torna in Giappone e Shirai, allora 5° dan, tre anni prima campione di kumite del Giappone, fonda nel 1966 l'AIK (Associazione Italiana Karate). Tra i primi nomi di spicco Fassi, Falsoni, Abruzzo, Possenti, Parisi, Baleotti.

1967: Un   tentativo  di  unificazione  tra  le   tre   maggiori organizzazioni fallisce per disaccordo sulla direzione tecnica.  Si uniscono  solo la FIK e il KIAI nella nuova FIK,  in cui comincia a intervenire  il  peso  politico dell'avvocato  Augusto  Ceracchini, uomo  del Judo e  del CONI,  che riesce a far entrare la FIK  nella WUKO,   l'organizzazione mondiale che raggruppava allora  tutti gli stili e tutte  le federazioni (compreso lo shotokan JKA).

1970: All'interno dell'AIK c'è una crisi determinata dal mancato riconoscimento politico della maggior abilità tecnica degli uomini del maestro Shirai. C'è una frattura e una componente, con alla

testa il maestro Shirai, fonda la FeSIKa.

1972: Ai mondiali di Parigi la squadra giapponese, rappresentata per intero dalla JKA di Nakayama, si ritira dalle gare giudicandosi danneggiata da una decisione arbitrale; squalificata, esce dalla WUKO creando un'organizzazione concorrente, la IAKF (International Amateur Karate Federation) con l'appoggio determinante della FeSIKa diretta dal conte Zoja. La IAKF pratica solo Shotokan ed ha un'emanazione europea, la EAKF. Da allora, si svolgono sempre due campionati mondiali e due campionati europei contrapposti, con alcune nazioni che partecipano a entrambi ed altre (Italia) in cui una federazione gareggia nella WUKO ed un’altra nella IAKF.

Alla fine del 1978 la Fesika e la FIK si scioglievano dando vita ad una nuova organizzazione con la direzione tecnica congiunta di Basile e Shirai, poi sostituito da De Michelis: la Fikda (Federazione

Italiana Karate e Discipline Associate). La convivenza tra le due componenti (tradizionalista e sportiva) durava tra alterne vicende fino al 1990 quando, scontenti della conduzione tecnica del M.Aschieri che non lasciava alcuno spazio alla loro visione del karate, i tradizionalisti uscivano (definitivamente?) dalla Fitak dando vita alla Fikta (Federazione Italiana Karate Tradizionale) sempre diretta dal M.Shirai. A livello internazionale, sulle ceneri della disciolta EAKF, veniva creata la lnternational Traditional Karate Federation, con la guida del M. Nishiyama.

A tutt'oggi (dicembre 1997) le principali e più serie organizzazioni italiane sono le seguenti:

1) La Filpjk (già Fitak), che raggruppa vari stili di karate, pratica karate sportivo ed è riconosciuta dal CONI (mentre il CIO ha sospeso il riconoscimento alla WUKO, in attesa di un’unificazione che potrebbe favorire l’ingresso del karate ai Giochi Olimpici).

2) La Fikta (quasi esclusivamente di stile shotokan) che pratica karate tradizionale ed organizza proprie competizioni, in grande espansione tecnico-organizzativa.

3) La SKI del Maestro Miura, uscito dalla JKA al seguito del M° Kanazawa, di stile shotokan.

4) Un pullulare di altre federazioni, piccole e piccolissime, le cui sigle variano di mese in mese assieme ai dan dei loro rappresentanti.

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