FRIEDRICH WILHELM NIETZSCHE

La Vita

Friedrich Wilhelm Nietzsche, (Röcken 1844 - Weimar 1900) era figlio di un pastore luterano. Rimase orfano in tenera età e venne allevato dalla madre; dopo essere stato ammesso alla celebre scuola teologica di Pforta, contrariamente alle aspettative della madre, che l'avrebbe voluto pastore protestante, Nietzsche studiò filologia classica alle università di Bonn e Lipsia, diventando docente di lingua e letteratura greca presso l'Università di Basilea a soli 25 anni; in quell'epoca si delinearono sempre più chiaramente le sue inclinazioni filosofiche. Fu amico del musicista Richard Wagner, ma in seguito il loro rapporto degenerò progressivamente e si ruppe nel 1878. Da alcuni anni, Nietzsche era malato e sofferente di crisi nervose; la salute cagionevole lo aveva costretto al congedo dall'insegnamento nel 1876. Visse errando per l'Europa e soggiornando a lungo anche in Italia, spesso ospite di amici e protagonista di complesse vicende sentimentali. Nel 1889 fu colto da una grave forma di pazzia da cui non si riprese più. Ricoverato dapprima in clinica e poi curato dalla sorella Elisabeth, morì nel 1900.

Tra le sue opere si ricordano: La nascita della tragedia dallo spirito della musica (1871), Considerazioni inattuali (1872-1874), La gaia scienza (1882), Così parlò Zarathustra (1883-1885), Al di là del bene e del male (1886), Genealogia della morale (1887), L'Anticristo (1888), Ecce Homo (1889). Dopo il crollo psichico del 1899, la sorella manipolò le carte inedite di Nietzsche, accostando arbitrariamente aforismi e pubblicando un'opera intitolata La volontà di potenza (1901). Tale opera ebbe un successo vastissimo negli ambienti letterari e poetici tedeschi del primo Novecento, favorendo però anche alcuni fraintendimenti del pensiero di Nietzsche, non ultimo la lettura che ne fecero alcuni ideologi del nazionalsocialismo. A partire dagli anni Sessanta, per opera di due studiosi italiani, Giorgio Colli e Mazzino Montinari, è stata avviata l'edizione filologica italo-tedesca delle opere complete di Nietzsche, che ha consentito di ristabilire l'ordine cronologico e il testo integrale degli inediti.

L'ideologia

Le premesse

La produzione filosofica di Nietzsche, compresa tra il 1869 ed il 1889, coincide con la crisi di fine Ottocento: crisi prima di tutto economica e sociale, ma segnata anche dal venir meno delle certezze positivistiche in ambito scientifico e da una radicale ridefinizione dei valori. La critica di Nietzsche può essere paragonata a quella di Marx, sebbene sia sbagliato conferire ad essa un'interpretazione politica. Il suo pensiero esprime in modo emblematico la demolizione delle convenzioni tradizionali, e sottolinea la necessità di una rifondazione della stessa concezione dell'uomo: può essere letto in questo senso uno degli aspetti più noti e discussi della sua filosofia: la teoria del superuomo.

La critica della morale

Nel suo primo saggio filosofico, La nascita della tragedia, Nietzsche muove da un'analisi critica delle certezze dell'Occidente, riportando le origini della morale alle sue radici greche. Nella Grecia convivevano due modelli antitetici: l'apollineo, fondato sulla ragione e sulla giusta misura, ed il dionisiaco, basato sul predominio degli impulsi vitali. Lo spirito apollineo è quell'istinto estetico per cui l'uomo si sente appagato dalla dimensione esterna così come gli appare, in una sorta di contemplazione estatica (non dimentichiamo che Apollo è appunto il dio del bello e della contemplazione). Lo spirito dionisiaco vede il bello come slancio esistenziale; il dramma e l'irrazionalità ne sono le due manifestazioni principali, proiettate nel mondo esterno, dalle quali ne appare fortemente influenzato. Questa teoria dei due spiriti ricorda molto da vicino quella del rapporto eros - thanatos in Freud. Nella tragedia greca, essi avevano trovato una sintesi conflittuale: sotto l'equilibrio esteriore si nascondeva il dionisiaco di istinti e passioni che esprimevano l'aspetto più inquietante dell'animo umano. Questo equilibrio fu definitivamente rotto con Socrate e con il prevalere dell'apollineo, che, non più vivificato dal dionisiaco, divenne con il cristianesimo la morale della rinuncia, al morale degli schiavi, usata per reprimere, insieme con gli istinti vitali, la potenza ed il predominio dei più forti. La morale degli schiavi, contrapposta a quella dei signori, è la morale dominante nella società ottocentesca.

Il dionisiaco

E così potrebbe valere per Apollo, in un senso eccentrico, ciò che Schopenhauer dice dell'uomo irretito nel velo di Maya (Mondo come volontà e rappresentazione, I): "Come sul mare in furia che, sconfinato da ogni parte, solleva e sprofonda ululando montagne d'onde, un navigante siede su un battello, confidando nella debole imbarcazione; cosi l'individuo sta placidamente in mezzo a un mondo di affanni, appoggiandosi e confidando nel principium individuationisf . Si dovrebbe anzi dire di Apollo che l'incrollabile fiducia in quel principium e il placido acquietarsi di colui che da esso è dominato, hanno trovato in lui la loro espressione più sublime, e si potrebbe definire lo stesso Apollo come la magnifica immagine divina del principium individuationis, dai cui gesti e sguardi ci parla tutta la gioia e la saggezza della "parvenza", insieme alla sua bellezza. Nello stesso luogo Schopenhauer ci ha descritto l'immenso orrore che afferra l'uomo, quando improvvisamente perde la fiducia nelle forme di conoscenza dell'apparenza, in quanto il principio di ragione sembra soffrire un'eccezione in qualcuna delle sue configurazioni. Se a questo orrore aggiungiamo l'estatico rapimento che, per la stessa violazione del principium individuationis, sale dall'intima profondità dell'uomo, anzi della natura, riusciamo allora a gettare uno sguardo nell'essenza del dionisiaco, a cui ci accostiamo di più ancora attraverso l'analogia con l'ebbrezza. O per l'influsso delle bevande narcotiche, cantate da tutti gli uomini e dai popoli primitivi, o per il poderoso avvicinarsi della primavera, che penetra gioiosamente tutta la natura, si destano quegli impulsi dionisiaci, nella cui esaltazione l'elemento soggettivo svanisce in un completo oblio di sé. [...]

Ora lo schiavo è uomo libero, ora s'infrangono tutte le rigide, ostili delimitazioni che la necessità, l'arbitrio o la "moda sfacciata" hanno stabilito fra gli uomini. Ora, nel vangelo dell'armonia universale, ognuno si sente non solo riunito, riconciliato, fuso col suo prossimo, ma addirittura uno con esso, come se il velo di Maya fosse stato strappato e sventolasse ormai in brandelli davanti alla misteriosa unità originaria. Cantando e danzando, l'uomo si manifesta come membro di una comunità superiore: ha disimparato a camminare e a parlare ed è sul punto di volarsene in cielo danzando. Dai suoi gesti parla l'incantesimo. Come ora gli animali parlano, e la terra dà latte e miele, così anche risuona in lui qualcosa di soprannaturale: egli sente se stesso come dio, egli si aggira ora in estasi e in alto, così come in sogno vide aggirarsi gli dei.

La nascita della tragedia, 1, in Opere, vol. III, tomo I, pp. 24-25.

Nel saggio Su verità e menzogna, del 1873, Nietzsche nega l'esistenza di presunti dati oggettivi rispecchiati dall'intelletto: ogni conoscenza avviene sempre a partire da un punto di vista particolare, preferito rispetto ad altri, ed appartiene all'ambito pratico. Non esiste perciò una verità: è considerato vero o scientifico ciò che è conforme alla prospettiva scelta da una determinata epoca. Teoresi e prassi sono di conseguenza ricondotte su uno stesso piano ed entrambe sottratte ad ogni pretesa di universalità. Questa concezione è fondamentalmente opposta a quella positivistica.

Nelle Considerazioni inattuali, Nietzsche pone la sua attenzione anche alla questione storica: secondo lui l'utilità della storia è limitata alla conoscenza di grandi imprese che, in quanto avvenute, sono possibili per l'uomo e possono spronarlo all'azione. Un eccesso di storia inibisce l'azione, poiché sostituisce al presente, all'attimo, un passato sempre più concreto ed importante di quanto si possa nell'immediato realizzare. Ancora più pericolosa è la divinizzazione della storia operata da Hegel. Essa spinge all'accettazione acritica del presente, considerato come la necessaria realizzazione di una razionalità immanente al divenire storico. Di fronte al procedere dello spirito nel mondo, il ruolo dell'individuo ed il suo agire appaiono necessitati ed irrilevanti. La storia si sostituisce alla vita.

Contro la filosofia hegeliana

Credo che in questo secolo non ci sia stata nessuna deviazione o svolta pericolosa della cultura tedesca, che non sia diventata più pericolosa ancora per l'enorme influenza, fino a questo momento ancora dilagante, di questa filosofia, ossia della filosofia hegeliana. In verità, la credenza di essere un epigono di altri tempi è paralizzante e deprimente: terribile e distruttivo deve però apparire il fatto che un bel giorno una tale credenza divinizzi con ardito capovolgimento questo frutto tardivo come il vero senso e scopo di tutto quanto è precedentemente accaduto, il fatto cioè che la sua sapiente miseria venga equiparata a un compimento della storia del mondo. Una tale maniera di considerare ha abituato i Tedeschi a parlare del "processo del mondo" e a giustificare il proprio tempo come il risultato necessario di questo processo del mondo; una tale maniera di considerare ha messo la storia al posto delle altre forze spirituali, l'arte e la religione, come unicamente sovrana, in quanto essa è "il concetto che realizza se stesso", in quanto essa è "la dialettica degli spiriti dei popoli" e il "giudizio universale".

Sull'utilità e il danno della storia per la vita, in Opere, vol. III, tomo 1, pp. 70-72.

La demistificazione dei valori della propria epoca diviene sistematica nelle opere del cosiddetto "periodo illuministico" di Nietzsche, aperto da Umano, troppo umano (1878), opera significativamente dedicata a Voltaire. I fondamenti della morale, proiettati, da Platone in poi, in un mondo trascendente, vengono ricondotto da Nietzsche alla loro radice umana, individuando, sotto l'apparenza dell'ideale e della sacralità, gli istinti e le dinamiche storiche che li hanno prodotti. La critica investe anche le costruzioni della metafisica, dell'arte, della religione e della scienza. Il mondo della scienza non ha validità oggettiva, ma è soltanto un'immagine che l'uomo ha costruito come meccanismo di sicurezza di fronte alla fluidità dell'esperienza. Tale mondo è quello della rappresentazione e Nietzsche si richiama a Kant e Schopenhauer. Contro Kant però, sostiene che esso non è prodotto da strutture trascendenti, bensì da errori storici, che si sono accumulati e sedimentati, dando luogo ad un modo di percepire la realtà distorto, ma simile nei diversi individui e quindi sostanzialmente stabile.

L'uomo capace di ritrovare la radice umana delle cose ideali è lo spirito libero, che ha ripreso possesso di se stesso. La critica che affranca l'uomo dalle interpretazioni falsanti prodotte dalla morale e dai pregiudizi, non lascia il vuoto: rimane l'uomo che si accetta come singolo, rinunciando a spiegazioni e giustificazioni che si pongono come universali, ma di fatto cancellano l'individuo in quanto tale.

In Aurora, del 1881, Nietzsche nega la possibilità stessa di poter parlare di morale a proposito del comportamento umano. La conoscenza intellettuale di un'azione, anche da parte del soggetto che la compie, è fenomenica come ogni altra, è cioè una ricostruzione a partire da un determinato modo di vedere. L'azione umana non è libera né voluta, bensì determinata da cause riconducibili all'istinto ed al corpo.

Nella Gaia scienza viene nuovamente attaccata la corrente del positivismo e segnatamente la sua pretesa scientificità. Ogni conoscenza è interpretazione, è scegliere una prospettiva, e quindi non esiste nessuna oggettività che possa fondare la conoscenza o la morale, ma l'uomo stesso deve farsi fondamento di entrambi. Occorre negare ogni metafisica che ponga dei fini o dei significati esterni alla vita. Il senso della vita è nella vita stessa e la scienza deve cercare di conoscere l'immediato come tale. Riconoscere tutto ciò equivale ad eliminare ogni punto di riferimento assoluto, rappresentato in passato dalla figura di Dio, come garante dell'assolutezza dei valori e dell'ordine razionale e finalistico del mondo: vuol dire uccidere Dio.

La morte di Dio

L'annunzio di Nietzsche riguarda la morte di Dio, non la sua inesistenza. La morte lascia un vuoto da colmare, pone un problema che all'ateo sfugge. Dio è stato ucciso dagli uomini poiché ha rappresentato storicamente la fede in punti di riferimento costanti ed indubitabili, relativamente al piano morale e dei valori, ma più in generale all'intero senso del mondo. La sua morte rappresenta la fine di ogni certezza e di ogni punto di orientamento, la fine della tranquillità derivante dal proiettare in un'entità esterna la sensatezza del mondo e della vita. La morte di Dio è descritta con toni tragici, come il venir meno del centro di gravità, di ogni punto di riferimento.

Gli uomini però, sebbene cause di quest'avvenimento cosmico, non si rendono conto di ciò che hanno compiuto. L'annuncio è dato, nel racconto di Nietzsche, da una folle che viene deriso dalla gente riunita nella piazza del mercato. Gli uomini continuano a vivere senza Dio, semplicemente ignorando l'evento, senza trarne le conseguenze. Coloro che hanno osato uccidere Dio, suggerisce Nietzsche, devono farsi essi stessi Dei. Uccidere Dio vuol dire uscire dallo stato di dipendenza da Dio stesso. Se il senso del mondo non è più dato da Dio, l'uomo deve farsi egli stesso senso del mondo, deve ritrovare in se stesso il fondamento di ogni valore, divenendo creatore di valori.

L'annuncio della morte di Dio

Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: "Cerco Dio! Cerco Dio! ". E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. "È forse perduto?" disse uno. "Si è perduto come un bambino?" fece un altro. "Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?" gridavano e ridevano in una gran confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: "Dove se n'è andato Dio? - gridò - ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare A mare bevendolo fino all'ultima goccia? Chi ci dette la spugna per strusciar via l'intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov'è che si muove ora? Dov'è che ci moviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all'indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dei si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatòri, quali giuochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un'azione più grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtù di questa azione, ad una storia più alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!".

A questo punto il folle uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch'essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense. "Vengo troppo presto - prosegui - non è ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo fi suo cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate. Quest'azione è ancor sempre più lontana da loro delle più lontane costellazioni: eppure son loro che l'hanno compiuta!". Si racconta ancora che l'uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem aeternamDeo. Cacciatone fuori e interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in questo modo: "Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?".

La gaia scienza, 125, in Opere, vol. V, tomo II, pp. 129-30.

L'oltre-uomo

La morte di Dio implica la nascita di una nuova umanità, di un "oltreuomo" (termine introdotto da Gianni Vattimo in sostituzione dell'abusato "superuomo"; entrambi i termini si adattano ala traduzione del tedesco "übermensch"). L'annuncio dell'oltreuomo costituisce il nucleo di Così parlo Zarathustra.

L'oltreuomo è l'uomo steso in quanto è consapevole del significato della morte di Dio e crea nuove tavole dei valori, che rovesciano i comandamenti divini. I nuovi valori sono quelli della naturalità, dell'affermazione degli istinti e della gioia, dell'accettazione totale della vita terrena, ma soprattutto dell'affermazione di sé, contro la morale della rassegnazione, della rinuncia, dell'umiltà. L'oltreuomo sta all'uomo come l'uomo sta alla scimmia; è il primo rappresentante di una nuova umanità in grado di autofondare l'esistenza, per il quale ogni singolo istante acquisisce senso in sé, senza rinviare ad altre realtà. si può dire che Nietzsche non voglia fondare una nuova morale, ma un nuovo modo di concepirla. Nel passato, l'individuo si inseriva in un mondo già provvisto di significato, datogli dalla religione, dalla tradizione o da latro, e la sua moralità consisteva nel conformarsi ad un determinato sistema di valori. La morte di Dio ha segnato la fine di ogni possibile riferimento morale, e non è possibile darne altri. L'oltreuomo fa a meno di legittimazioni esterne, è riferimento di se stesso.

Il superuomo deve diventare creatore di valori per sé, non da proporre od imporre a tutti. Il tema in questione si arricchisce di motivi anticipatori della psicoanalisi. I valori morali non possono essere semplicemente rifiutati o negati. Essi fanno parte di noi, ci hanno formato (o deformato), hanno prodotto un tipo d'uomo malato. Occorre scavare dentro di sé, per individuare come siano giunti in profondità, come siano il nostro modo di vedere il mondo, di pensare e di sentire, di considerare noi stessi. Negare la morale implica la negazione di se stessi, il tramontare.

Il superuomo e la fedeltà alla terra

Giunto nella città vicina, sita presso le foreste, Zarathustra vi trovò radunata sul mercato una gran massa di popolo: era stata promessa infatti l'esibizione di un funambolo. E Zarathustra parlò così alla folla:

Io vi insegno il superuomo. L'uomo è qualcosa che deve essere superato. Che avete fatto per superarlo? Tutti gli esseri hanno creato qualcosa sopra di sé: e voi volete essere il riflusso in questa grande marea e retrocedere alla bestia piuttosto che superare l'uomo? Che cos'è per l'uomo la scimmia? Un ghigno o una vergogna dolorosa. E questo appunto ha da essere l'uomo per il superuomo: un ghigno o una dolorosa vergogna. Avete percorso il cammino dal verme all'uomo, e molto in voi ha ancora del verme. In passato foste scimmie, e ancor oggi l'uomo è più scimmia di qualsiasi scimmia. E il più saggio tra voi non è altro che un'ibrida disarmonia di pianta e spettro. Voglio forse che diventiate uno spettro o una pianta? Ecco, io vi insegno il superuomo! Il superuomo è il senso della terra. Dica la vostra volontà: sia il superuomo il senso della terra!

Vi scongiuro, fratelli rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze! Lo sappiano o no: costoro esercitano il veneficio. Dispregiatori della vita essi sono, moribondi e avvelenati essi stessi, hanno stancato la terra: possano scomparire! Un tempo il sacrilegio contro Dio era il massimo sacrilegio, ma Dio è morto, e così sono morti anche tutti questi sacrileghi. Commettere il sacrilegio contro la terra, questa è oggi la cosa più orribile, e apprezzare le viscere dell'imperscrutabile più del senso della terra! In passato l'anima guardava al corpo con disprezzo: e questo disprezzo era allora la cosa più alta: essa voleva il corpo macilento, orrido, affamato. Pensava in tal modo, di poter sfuggire al corpo e alla terra.

Ma questa anima era anch'essa macilenta, orrida e affamata: e crudeltà era la voluttà di questa anima! Ma anche voi, fratelli, ditemi: che cosa manifesta il vostro corpo dell'anima vostra? Non è forse la vostra anima indigenza e feccia e miserabile benessere? Davvero, un fiume immondo è l'uomo. Bisogna essere un mare per accogliere un fiume immondo, senza diventare impuri. Ecco, io vi insegno il superuomo: egli è il mare, nel quale si può inabissare il vostro grande disprezzo. Qual è la massima esperienza che possiate vivere? L'ora del grande disprezzo. [...]

Non il vostro peccato - la vostra accontentabilità grida al cielo, la vostra parsimonia nel vostro peccato grida al cielo i Ma dov'è il fulmine che vi lambisca con la sua lingua! Dov'è la demenza che dovrebbe esservi inoculata? Ecco, io vi insegno il superuomo: egli è quel fulmine e quella demenza! -

Zarathustra aveva detto queste parole, quando uno della folla gridò: "Abbiamo sentito parlare anche troppo di questo funambolo; è ora che ce lo facciate vedere! ". E la folla rise di Zarathustra. Ma il funambolo, credendo che ciò fosse detto per lui, si mise all'opera.

Zarathustra invece guardò meravigliato la folla. Poi parlò così: L'uomo è un cavo teso tra la bestia e il superuomo, - un cavo al di sopra di un abisso. Un passaggio periglioso, un periglioso essere in cammino, un periglioso guardarsi indietro e un periglioso rabbrividire e fermarsi. La grandezza dell'uomo è di essere un ponte e non uno scopo: nell'uomo si può amare che egli sia una transizione e un tramonto. Io amo coloro che non sanno vivere se non tramontando, poiché essi sono una transizione. Io amo gli uomini del grande disprezzo, perché essi sono anche gli uomini della grande venerazione e frecce che anelano all'altra riva. Io amo coloro che non aspettano di trovare una ragione dietro le stelle per tramontare e offrirsi in sacrificio: bensì si sacrificano alla terra, perché un giorno la terra sia del superuomo.

Io amo colui che vive per la conoscenza e vuole conoscere, affinché un giorno viva il superuomo. E così egli vuole il proprio tramonto. Io amo colui che lavora e inventa, per costruire la casa al superuomo, e gli prepara la terra, l'animale e la pianta: giacché così egli vuole il proprio tramonto. Io amo colui che ama la sua virtù: giacché virtù è volontà di tramontare e una freccia anelante. [...]

Io amo colui l'anima del quale trabocca da fargli dimenticare se stesso, e tutte le cose sono dentro di lui: tutte le cose divengono così il suo tramonto. Io amo colui che è di spirito libero e di libero cuore: il suo cervello, in tal modo, non è altro che le viscere del cuore, ma il suo cuore lo spinge a tramontare. Io amo tutti coloro che sono come gocce grevi, cadenti una a una dall'oscura nube incombente sugli uomini: essi preannunciano il fulmine e come messaggeri

periscono. Ecco, io sono un messaggero del fulmine e una goccia greve cadente dalla nube: ma il fulmine si chiama superuomo. […]

Così parlò Zarathustra, Prefazione di Zarathustra, 3-4, in Opere, vol. VI, tomo I, pp.6-9.

L'eterno ritorno

Uno dei passaggi decisivi in quest'opera di superamento di sé, simboleggiata dal "tramontare", è il diverso modo di considerare il tempo e la successione delle azioni che compongono la vita. In questa prospettiva, Nietzsche formula una delle sue teorie più discusse: l'eterno ritorno. Recuperando la nozione greca della circolarità del tempo, egli afferma che ogni nostra azione è destinata a ripetersi uguale a se stessa infinite volte, per l'eternità. I critici concordano sulla difficoltà di interpretazione che questa teoria, anticipata nella Gaia scienza e sviluppata come nucleo dello Zarathustra, pone. La finalità principale sembra comunque essere il diverso modo di considerare l'azione umana.

L'eterno ritorno e la nascita del superuomo

Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue

Salivo, salivo, sognavo, - pensavo: ma tutto mi opprimeva. Ero come un malato: stremato dal suo tormento atroce, sta per dormire, ma un sogno, più atroce ancora, lo ridesta. Ma c'è qualcosa che io chiamo coraggio: questo finora ha sempre ammazzato per me ogni scoramento. Questo coraggio mi impose alfine di fermarmi e dire: "Nano! O tu! O io!". […]

Coraggio è la mazza più micidiale: il coraggio ammazza anche la compassione. Ma la compassione è l'abisso più fondo: quanto l'uomo affonda la sua vista nella vita, altrettanto l'affonda nel dolore.

Coraggio è però la mazza più micidiale, coraggio che assalti: esso ammazza anche la morte, perché dice: "Questo fu la vita? Orsù! Da capo!". Ma in queste parole sono molte squillanti fanfare. Chi ha orecchi, intenda.

"Alt, nano! dissi. O io! O tu! Ma di noi due il più forte son io: tu non conosci il mio pensiero abissale! Questo - tu non potresti sopportarlo! ". Qui avvenne qualcosa che mi rese più leggero: il nano infatti mi saltò giù dalle spalle, incuriosito! Si accoccolò davanti a me, su di un sasso. Ma, proprio dove ci eravamo fermati, era una porta carraia. "Guarda questa porta carraia! Nano! continuai: essa ha due volti. Due sentieri convengono qui: nessuno li ha mai percorsi fino alla fine. Questa lunga via fino alla porta e all'indietro: dura un'eternità. E quella lunga via fuori della porta e in avanti - è un'altra eternità. Si contraddicono a vicenda, questi sentieri; sbattono la testa l'un contro l'altro: e qui, a questa porta carraia, essi convengono. In alto sta scritto il nome della porta: "attimo". Ma, chi ne percorresse uno dei due sempre più avanti e sempre più lontano: credi tu, nano, che questi sentieri si contraddicano in eterno?".

"Tutte le cose diritte mentono, borbottò sprezzante il nano. Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo".

"Tu, spirito di gravità! dissi io incollerito, non prendere la cosa troppo alla leggera! O ti lascio accovacciato dove ti trovi, sciancato - e sono io che ti ho portato in alto! Guarda, continuai, questo attimo! Da questa porta carraia che si chiama attimo, comincia all'indietro una via lunga, eterna: dietro di noi è un'eternità. Ognuna delle cose che possono camminare, non dovrà forse avere già percorso una volta questa via? Non dovrà ognuna delle cose che possono accadere, già essere accaduta, fatta, trascorsa una volta? E se tutto è già esistito: che pensi, o nano, di questo attimo? Non deve anche questa porta carraia esserci già stata? E tutte le cose non sono forse annodate saldamente l'una all'altra in modo tale che questo attimo trae dietro di sé tutte le cose avvenire? Dunque - anche se stesso? Infatti, ognuna delle cose che possono camminare: anche in questa lunga via al di fuori - deve camminare ancora una volta! E questo ragno che indugia strisciando al chiaro di luna26 e persino questo chiaro di luna e io e tu bisbiglianti a questa porta, di cose eterne bisbiglianti - non dobbiamo tutti esserci stati un'altra volta? e ritornare a camminare in quell'altra via al di fuori, davanti a noi, in questa lunga orrida via - non dobbiamo ritornare in eterno?".

Così parlavo, sempre più flebile: perché avevo paura dei miei stessi pensieri e dei miei pensieri reconditi. E improvvisamente, ecco, udii un cane ululare. Non avevo già udito una volta un cane ululare così? Il mio pensiero corse all'indietro. Sì! Quand'ero bambino, in infanzia remota: allora udii un cane ululare così. […] E ora, sentendo di nuovo ululare a quel modo, fui ancora una volta preso da pietà.

Ma dov'era il nano? E la porta? E il ragno? E tutto quel bisbigliare? Stavo sognando? Mi ero svegliato? D'un tratto mi trovai in mezzo a orridi macigni, solo, desolato, al più desolato dei chiari di luna. Ma qui giaceva un uomo! E - proprio qui! - il cane, che saltava, col pelo irto, guaiolante, - adesso mi vide accorrere - e allora ululò di nuovo, urlò: - avevo mai sentito prima un cane urlare aiuto a quel modo?

E, davvero, ciò che vidi, non l'avevo mai visto. Vidi un giovane pastore rotolarsi, soffocato. convulso, stravolto in viso, cui un greve serpente nero penzolava dama bocca. Avevo mai visto tanto schifo e livido raccapriccio dipinto su di un volto? Forse, mentre dormiva, il serpente gli era strisciato dentro le fauci e lì si era abbarbicato mordendo. La mia mano tirò con forza il serpente, tirava e tirava invano! non riusciva a strappare il serpente dalle fauci. Allora un grido mi sfuggi dalla bocca: "Mordi! Mordi! Staccagli il capo! Mordi! ", così gridò da dentro di me: il mio orrore, il mio odio, il mio schifo, la mia pietà, tutto quanto in me buono o cattivo gridava da dentro di me, fuso in un sol grido.

Voi, uomini arditi che mi circondate! Voi, dediti alla ricerca e al tentativo, e chiunque tra di voi si sia mai imbarcato con vele ingegnose per mari inesplorati! Voi che amate gli enigma! Sciogliete dunque l'enigma che io allora contemplai, interpretatemi la visione del più solitario tra gli uomini! Giacché era una visione e una previsione: - che cosa vidi allora per similitudine? E chi è colui che un giorno non potrà non venire? Chi è il pastore, cui il serpente strisciò in tal modo entro le fauci? Chi è l'uomo, cui le più grevi e le più nere tra le cose strisceranno nelle fauci?

- Il pastore, poi, morse così come gli consigliava il mio grido; e morse bene! Lontano da s sputò la testa del serpente: e balzò in piedi. Non più pastore, non più uomo, un trasformato un circonfuso di luce, che rideva! Mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise! Oh fratelli, udii un riso che non era di uomo, e ora mi consuma una sete, un desiderio nostalgico che mai si placa. La nostalgia di questo riso mi consuma: come sopporto di vivere ancora! Come sopporterei di morire ora! -

Cosi parlò Zarathustra.

Così parlò Zaratbustra, La visione e l'enigma, in Opere, vol. VI, tomo 1, pp. 191-94.

Se assumiamo una prospettiva lineare del tempo, ogni azione è conseguenza di quelle che lo hanno preceduto e determinerà quelle successive. Il senso di ogni azione è collocato nel fine verso cui l'intera sequenza tende. La concezione lineare è stata introdotta dal Cristianesimo contro la filosofia "pagana" delle scuole greche, ed è stata intenzionalmente connotata da un esplicito finalismo. Una concezione ciclica, per contro, non ha né un inizio, né una fine, né una causa prima, né uno scopo ultimo. Le singole azioni non ricevono perciò significato dalla sequenza che le comprende, ma ognuna deve fondarsi unicamente su se stessa. Nessuna finalità futura può riscattare un comportamento insignificante. L'eterno ritorno costringe a dare ad ogni azione un valore che possa reggere il confronto con l'eternità. Questa concezione del tempo impone, in definitiva, l'accettazione della vita e di se stessi, l'assunzione piena della responsabilità del proprio agire.
Il primo annuncio dell'eterno ritorno

Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: "questa vita come tu ora la vivi e l'ha vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L'eterna clessidra dell'esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere! ". Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: "Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina?". Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosil5e forse ti stritolerebbe; la domanda per qualsiasi cosa: "Vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte?" graverebbe sul tuo agire come il peso più grande! Oppure, quanto dovresti amare te stesso e la vita, per non desiderare più alcun'altra cosa che questa ultima eterna sanzione, questo suggello?

La gaia scienza, 341, in Opere, vol. V, tomo 11, pp. 201-2.

La volontà di potenza

La capacità di dare un senso alla vita sulla base di valori umani costituisce il fondamento della volontà di potenza, espressione che è il titolo di un'opera ricostruita dalla sorella Elisabeth dopo la morte del filosofo sulla base di appunti ampiamente rimaneggiati. Quest'opera, così riscritta, segnerà il destino postumo di Nietzsche, facendone uno dei punti di riferimento teorici del nazismo, che identificherà il superuomo con il rappresentante della razza ariana superiore e la volontà di potenza con il suo diritto ad affermarsi dominando gli altri. Le interpretazioni più recenti sostengono l'inconsistenza di questa identificazione e propongono una chiave di lettura profondamente diversa, alla luce dell'insieme degli scritti dell'ultimo periodo.

Nella Genealogia della morale, Nietzsche propone una spiegazione molto articolata della morale del risentimento. La morale è nata quando l'uomo, per evitare il rischio di una continua lotta con gli altri, ha represso i propri istinti vitali, interiorizzando questa proibizione. In seguito a ciò, tali istinti, non potendo più trovare libero sfogo, si sono rivolti contro di lui, producendo i sentimenti di colpa, di rinuncia, di sacrificio. Si è originata in questo modo la morale degli schiavi, che si è storicamente imposta su quella della libera espressione di sé, la morale dei signori. Si è così prodotta una scissione dell'individuo con se stesso, che ha costituito il primo caso di un essere vivente capace di torturare se stesso, di umiliarsi, di limitarsi. Questo paradosso aveva bisogno, per consolidarsi, di essere riferito ad una causa esterna. Parallelamente alla morale è nata allora la religione, e più in generale la fede in autorità superiori ed in un significato del mondo esterno all'individuo stesso, che egli dovesse accettare. Su questa base, la morale come rinuncia ed umiliazione poteva trovare una giustificazione.

La volontà di potenza implica il recupero di questo percorso storico, quindi il rifiuto della fede e di un'autorità esterna, il superamento della scissione tra naturalità e ragione, la consapevolezza che il senso del mondo è dato dal singolo individuo e non dal mondo stesso. È un processo che si presenta come una vera metamorfosi, una trasformazione possibile soltanto andando oltre ciò che si è, oltre l'uomo prodotto dalla morale, quindi con l'affermazione dell'oltreuomo. L'unico punto di riferimento dell'individuo è l'individuo stesso nella realizzazione di tutte le proprie componenti; l'unica finalità è l'accrescimento del proprio essere, della propria potenza vitale.

Quest'interpretazione è avvalorata dal fatto che Nietzsche ridefinisce in relazione alla volontà di potenza anche l'ambito conoscitivo. Ad una verità oggettiva e definitiva, che rispecchia la concezione secondo cui il mondo ha un significato in sé e l'individuo può soltanto accettarlo, Nietzsche contrappone la conoscenza come prospettiva. A differenza di quanto sostenuto del periodo illuministico, ora il prospettivismo non rimanda ad un diverso modo di conoscere. L'individuo stesso dà significato alle cose, e lo fa in quanto essere totale, inteso anche come istinti, passioni e volontà, non soltanto come intelletto. Inoltre, il significato che uno stesso individuo dà alle cose cambia nel tempo, vi via che egli stesso cambia. Il mondo, secondo Nietzsche, non si frammenta, ma viene espresso come sintesi di possibilità infinite.

I significati della volontà di potenza

Che cos'è buono? - Tutto ciò che eleva il senso della potenza, la volontà di potenza, la potenza stessa nell'uomo. Che cos'è cattivo? Tutto ciò che ha origine dalla debolezza. Che cos'è felicità? - Sentire che la potenza sta crescendo, che una resistenza viene superata. Non appagamento, ma maggior potenza; non pace sovra ogni altra cosa, ma guerra; non virtù, ma gagliardia (virtù nello stile del Rinascimento, virtù libera dall'ipocrisia morale). I deboli e i malriusciti devono perire: questo è il principio del nostro amore per gli uomini. E a tale scopo si deve anche essere loro d'aiuto. Che cos'è più dannoso di qualsiasi vizio? - Agire pietosamente verso tutti i malriusciti e i deboli - il cristianesimo. [...]

Il problema che io pongo qui non riguarda il posto che l'umanità deve prendere nella serie successiva degli esseri (l'uomo è una fine): bensì quale tipo umano deve essere allevato, deve essere voluto, in quanto tipo di superiore valore, più degno di vivere, più certo dell'avvenire. Questo tipo di superiore valore è già esistito abbastanza spesso: come caso fortunato, però, come eccezione; mai come qualcosa di voluto. Èstato proprio questo invece ad essere particolarmente temuto, esso è stato fino a oggi quasi la cosa terribile, e prendendo le mosse dal timore è stato voluto, allevato, raggiunto il tipo opposto: l'animale domestico, l'animale d'armento, l'uomo come animale malato - il cristiano. [...]

L'anticristo, 2-3, in Opere, vol. VI, tomo III, pp. 168-69.

Nietzsche ed il nazismo

Le premesse

Nietzsche è stato uno scrittore asistematico ed estremamente originale, la cui produzione si staglia solitaria nel panorama della storia della filosofia moderna e contemporanea. Le opere della maturità, in particolare, sono scritte con uno stile aforistico e poetico: lirismo, tono profetico e filosofia si mescolano in maniera inestricabile, rendendo spesso difficile e riduttiva l'interpretazione. Rimane costante nell’opera di Nietzsche un’ambiguità di fondo, un’ambiguità socio-politica che ha dato adito a contrastanti strumentalizzazioni politiche. Il filosofo, infatti, non specifica mai espressamente chi debba essere il soggetto della volontà di potenza, il superuomo. Molti critici hanno identificato il superuomo in una umanità vivente in modo libero e creativo, ma, molti altri lo hanno limitato ad un’élite che esercita la sua volontà di potenza non solo nei riguardi della caoticità del mondo, ma anche verso il prossimo. A ciò bisogna aggiungere il problema degli scritti postumi: la ricostruzione sistematica operata dalla sorella Elisabeth e da uno dei discepoli di Nietzsche, oltre a essere ideologicamente discutibile e largamente responsabile delle interpretazioni naziste del pensiero dei filosofo, va contro il suo rifiuto netto di ogni sistema filosofico e contro il fascino vivissimo per la forma del frammento e dell'aforisma. Abbiamo già citato alcune volte la sorella di Friedrich, nel prossimo paragrafo approfondiremo le principali tappe della sua vita e le influenze esercitate sull'opera del fratello.

Elisabeth Nietzsche

Oltre ai libri editi, Nietzsche ci ha lasciato una grande quantità di appunti manoscritti su quaderni e diari. I lasciti di scritti inediti dei filosofi celebri o anche solo noti costituisce sempre una fonte inesauribile di problemi veri o presunti. Da un lato, sorge la legittima attesa che uno studio attento di tali manoscritti porti a comprendere meglio ciò che il loro autore si sforzava di farci intendere. Dall'altro lato, un lascito di manoscritti inediti costituisce una ricchissima fonte di lavoro per la comunità scientifica, che ha costantemente bisogno di "scuse" per giustificare la stessa propria esistenza.

t quindi normale che l'esistenza di un lascito di un grande filosofo attiri uno sciame di studiosi che aspirano a prenderne possesso; e non è detto che coloro che infine ci riusciranno siano i meglio preparati o i più idonei. Nel caso di Nietzsche, per esempio, si dovette attendere quasi cinquant'anni perché il lascito potesse cominciare a essere studiato e preparato per la pubblicazione da mani esperte e in libertà di spirito; anche per questo è accaduto che per così tanto tempo egli sia stato in parte trascurato dalla filosofia accademica ufficiale (quella più tecnicistica, noiosa e conservatrice, ma insieme anche quella più attenta alla precisione e al rigore metodologico delle ricerche).

Fin dal primo momento della pazzia conclamata di Nietzsche fu chiaro che l'intero patrimonio di scritti da lui lasciato, editi e inediti, si trovava in una situazione piuttosto delicata. Il filosofo errante non aveva alcun discepolo che potesse prendersi carico della cura dei manoscritti, e perfino la proprietà dei diritti delle opere già pubblicate era, dal punto di vista giuridico, estremamente controversa. Finché Nietzsche era stato cosciente, ciò non aveva costituito un grosso problema, soprattutto perché i suoi libri non garantivano alcun guadagno. Ma quando, agli inizi degli anni Novanta, essi si cominciarono a vendere in tutta Europa a un ritmo sempre crescente, gli appetiti e gli interessi delle parti in causa si fecero più consistenti. All'inizio del 1892 editori e familiari di Nietzsche raggiunsero un accordo e avviarono un'edizione completa delle sue opere curata dall'amico Peter Gast (alias Heinrich Köselitz), che tuttavia nulla conosceva dei criteri canonici del lavoro di edizione testuale. Gli inediti dovevano restare, per ora, nel cassetto. A questo punto irruppe però sulla scena la sorella. Elisabeth Nietzsche, nata nel 1846 e quindi dì due anni più giovane di Friedrich, nel 1885 aveva sposato Bernhard Förster, un noto attivista del movimento antisemita diffusosi in Germania negli ultimi decenni del secolo. Nel 1887 i coniugi Förster erano emigrati verso il Paraguay con l'obiettivo di fondarvi una colonia organizzata sulla base di pregiudizi ideologici ariani e razzisti. La colonia fu chiamata Nuova Germania. Il suo destino doveva però rivelarsi ben diverso da quello che si erano immaginati i fondatori. Anzitutto, il fatto stesso di basare una colonia non su calcoli economici di fattibilità, ma su principi ideologici, costituiva una grossa ipoteca sulle possibilità di riuscita. Inoltre, la presenza in essa di Elisabeth Förster-Nietzsche si sarebbe rivelata un fattore di forte instabilità sociale. In pochi anni, la situazione che si venne a creare fu la seguente: la terra non era fertile e mancavano gli sbocchi commerciali per i prodotti coltivati; la comunità si trovava quindi in un costante stato di povertà, e i coloni erano costretti a vivere in miserabili capanne. Unica eccezione era la coppia Förster, che abitava una villa coloniale e vi conduceva una vita fatta di agi e relazioni sociali. I coniugi avevano venduto ai coloni la terra che il governo del Paraguay aveva dato loro solo in affitto, e monopolizzato il commercio dei beni di prima necessità, l'unico che garantiva un buon introito. Quando tutto ciò venne a galla, nella colonia si creò un'ovvia situazione di tensione e conflitto, che Bernhard non riuscì a reggere. Il 3 giugno 1890 si tolse la vita, lasciando la moglie a capo di tutto. La prima preoccupazione di Elisabeth fu di mascherare ciò che era accaduto, cercando di cancellare le tracce del suicidio e di trasformarlo in morte accidentale. Ne andava della sua reputazione, e soprattutto della raccolta di fondi in Germania per finanziare la traballante colonia paraguaiana. Giunse persino ad esibire un falso certificato medico nel quale si attribuiva la morte di Bernhard a un colpo apoplettico dovuto a eccesso di lavoro. In ogni caso, alla fine del 1893 Elisabeth Förster-Nietzsche abbandonò definitivamente la nave paraguaiana che affondava, anche perché si era nel frattempo accorta che un'altra impresa, ben più comoda e redditizia, l'attendeva in Germania: la cura della memoria del fratello che stava ormai diventando famoso. Ella rilevò d'autorità il comando sulle operazioni di edizione delle opere di Friedrich, esautorando Peter Gast. Subito decise di fondare un Archivio Nietzsche che si prendesse cura della conservazione del lascito inedito e della pubblicazione delle opere del filosofo. Quindi, nel 1895, convinse la madre, attraverso una trappola ben congegnata, a cederle tutti i diritti derivanti dall'Archivio e dallo sfruttamento degli scritti del fratello. Da quel momento e fino alla propria morte (avvenuta nel 1935) divenne l'unica padrona di tutto ciò che accadeva intorno a Nietzsche e ai suoi scritti. In pratica, ne svendette l'immagine pubblica ai nazisti, che faranno del filosofo di Röcken uno dei principali riferimenti culturali della loro ideologia, fino all'evento clou della visita di Hitler in persona all'Archivio Nietzsche nel 1933. L'episodio della morte di Bernhard Förster perché esso precorre esattamente negli stessi termini ciò che Elisabeth farà alcuni anni dopo nei confronti del fratello: falsificherà la storia della sua malattia, attribuendo il tracollo di Torino a troppo lavoro e all'uso eccessivo di tranquillanti; così come falsificherà la storia della morte del padre, negando che fosse dipesa da problemi neurologici ed attribuendola a una banale caduta dalle scale. Purtroppo - e questo è il punto - Elisabeth non si è limitata a raccontare menzogne sulla biografia del fratello, ma ne ha falsificato anche le lettere e i manoscritti, con il duplice scopo di celare i sintomi della pazzia latente (nei suoi piani egli non doveva essere malato di mente, ma vittima di un tracollo improvviso) e di edulcorare i giudizi non certo teneri che aveva formulato su di lei (e che avrebbero ostacolato il suo progetto di presentarsi come l'unica legittima curatrice del suo lascito filosofico). Si legga quello che scrive Nietzsche - il Nietzsche quasi pazzo di Ecce homo - sulla madre e la sorella: "Se cerco qual è la più profonda antitesi di me stesso, la incalcolabile volgarità degli istinti, ritrovo sempre mia madre e mia sorella, - credermi imparentato con una tale "canaille" sarebbe un bestemmiare la mia divinità. Il trattamento che io ho subito da parte di mia madre e mia sorella, fino al momento presente, mi ispira un indicibile orrore: qui opera una perfetta macchina infernale, che conosce con infallibile sicurezza in quale momento mi si può ferire a sangue". Non sorprenderà sapere che nella prima edizione dell'opera, quella pubblicata sotto il diretto controllo di Elisabeth, questo brano non compare.

Lo studio di Friedrich Nietzsche dopo la morte della sorella

La morte di Elisabeth Nietzsche ha rappresentato una liberazione per gli studiosi del pensiero di Friedrich. Negli anni successivi si è iniziato infatti a riconsiderare il materiale inedito con sguardo meno partigiano e a trattarlo con metodo critico-filologico. In questa attività si è distinto in particolare uno studioso dell'Archivio Nietzsche, Karl Schlechta, che denunciò e dimostrò nel 1956 le manomissioni operate a suo tempo dalla sorella di Nietzsche.

Si trattava in particolare di tre tipi di interventi:

  1. menzogne nella ricostruzione della vita del filosofo;
  2. manomissioni ai suoi manoscritti inediti e all'epistolario (mediante la distruzione di lettere, l'invenzione di missive mai esistite, la modificazione del contenuto di quelle esistenti);
  3. la riorganizzazione di tutto il materiale inedito scritto a partire dal 1883 secondo l'idea (arbitraria) che Nietzsche avesse avuto fin da allora l'intenzione di pubblicare un'unica, grande opera sistematica, e che tutti i suoi appunti sarebbero stati concepiti e scritti con l'obiettivo ultimo di dover confluire in essa.
Fu in particolare quest'ultimo tipo di intervento sugli scritti di Nietzsche da parte della sorella a influire, più di ogni altro, sul modo in cui il suo pensiero è stato recepito e interpretato dagli studiosi e dagli altri filosofi. In pratica, tutta l'attività dell'Archivio Nietzsche sugli inediti nei primi decenni fu volta a ricomporre quell'opera sistematica e definitiva a cui Friedrich avrebbe lavorato soprattutto negli anni 1886-1888, e che avrebbe dovuto chiamarsi Volontà di potenza. 1 quaderni di manoscritti, e non di rado i manoscritti stessi, vennero smembrati, riorganizzati, tagliati e ricomposti nel tentativo di dare al materiale una veste almeno vagamente organica e sistematica. Della Volontà di potenza vennero fatte addirittura varie edizioni, differenti nel contenuto e nella lunghezza. Per molti decenni quest'opera "postuma", ma a rigore di logica inesistente, è stata considerata da tutti il vero capolavoro di Nietzsche.

Il merito di Schlechta è stato di aver chiarito definitivamente che non è mai esistita, nemmeno in nuce, un'opera sistematica dell'ultimo Nietzsche, e che la Volontà di potenza non è che una compilazione di frammenti tratti dai quaderni di appunti, approntata con scelte arbitrarie da mani (e da menti) che non erano quelle di Friedrich.

Il lavoro di Schlechta non metteva però ancora a disposizione del pubblico l'intero lascito nietzscheano in condizioni che fossero dal punto di vista filologico definitivamente accettabili, ossia depurato da tutte le manomissioni successive. Dobbiamo invece quest'ultimo servizio al lavoro di due studiosi italiani, Giorgio Colli e Mazzino Montinari, che negli anni Sessanta hanno avviato la pubblicazione dell'edizione critica delle opere complete di Friedrich Nietzsche, comprendente tutti i suoi scritti (editi e inediti) sistemati semplicemente secondo l'ordine cronologico. Essa è divenuta fin dal suo apparire l'edizione di riferimento per tutti gli studiosi nietzscheani, e rappresenta un modello di lavoro storicamente, criticamente e filologicamente ben condotto.

Le interpretazioni politiche

Oltre all'opera falsificatrice della sorella, Nietzsche ha costituito un importante punto di riferimento per l'ideologia nazista in seguito alla deformazione del suo pensiero nella postuma Volontà di potenza e dell'interpretazione che di essa viene data da Alfred Bäumler. Nel suo saggio, Nietzsche, la filosofia e la politica, la volontà mdi potenza è considerata il punto centrale del pensiero di Nietzsche. Essa è identificata con il divenire, è l'accadere stesso eretto a principio metafisico. Questa interpretazione lo costringe però a minimizzare la dottrina dell'eterno ritorno, considerata anteriore alla formulazione della volontà di potenza e da questa superata. Secondo Baümler, la volontà di potenza è la definizione di un ordine del mondo per cui ai più forti spetta il comando ed il potere e ai più deboli la sottomissione. Dal punto di vista politico, vengono ampliati i riferimenti nietzscheani agli uomini del Nord, identificati con i Tedeschi, cui spetterebbe la supremazia sul mondo.

Nel dopoguerra si tenta di operare una separazione netta tra la filosofia di Nietzsche ed il nazismo. Oltre all'opera già ricordata di Karl Schlechta, bisogna menzionare la proposta di György Lukács che, nella Distruzione della ragione, avanza un'interpretazione di Nietzsche come rappresentante dell'irrazionalismo che aveva accompagnato la crisi del capitalismo tardo ottocentesco. Si tratta di una lettura discussa e contestata, che paradossalmente conferma, nei risultati, la collocazione che al pensiero di Nietzsche aveva dato il nazismo, anche se con una valutazione rovesciata, di condanna invece che di approvazione.

Alle interpretazioni estreme, nazionaliste e razziste, si contrappone quella che vedrà in Nietzsche un rappresentante dell'ala rivoluzionaria del pensiero europeo, un demistificatore della cultura "borghese", soprattutto per aver sottolineato, come Karl Marx e Sigmund Freud le basi materiali (economiche o psicologiche) delle produzioni spirituali. Gli aspetti eversivi della sua riflessione verranno evidenziati soprattutto nella cultura francese legata al surrealismo, che trarrà ispirazione dalle riflessioni del filosofo sull'irrazionalità e caoticità dell'esistenza, sulla mancanza di un fine nella storia e sulla relatività di tutti i valori e di tutte le verità.

Conclusioni

Nietzsche ha elaborato il concetto filosofico del superuomo per esprimere il progetto di un nuovo essere in grado di accettare la vita, di rifiutare la morale tradizionale e di operare una trasvalutazione di valori, ponendosi di fronte alla realtà in modo critico. Il messaggio più profondo dell’opera di Nietzsche deve essere ricercato esclusivamente sul piano filosofico e non su quello politico. Nietzsche, infatti, critica tutti gli idoli politici del suo tempo, dallo statalismo alla democrazia parlamentare, dal nazionalismo militarista al socialismo. Le strumentalizzazioni e le diverse interpretazioni del nostro secolo non rendono giustizia al filosofo e hanno portato, non alla nascita di una nuova umanità liberata da tutte le autorità umane e divine, ma solo a crimini abominevoli a cui il vero superuomo non si sarebbe mai abbassato.