L'OMBRA DEL CORVO

Bella esperienza vivere nel terrore, vero?
In questo, consiste essere uno schiavo.
- Roy Batty

SS Vulture, Classe Scavenger.
Settore 159, spazio federale esterno.

La nave fluttuava pigramente al centro di uno schermo di computer, apparentemente dimentica di tutto ciò che le avveniva intorno.

"Rapporto sulla situazione?"

Harry Broderick, comandante della SS Vulture, si rivolse allo sparuto equipaggio raccolto nel piccolo ambiente che fungeva alternativamente da mensa, sala ricreazione e sala riunioni. La Vulture era di proprietà della Drake Incorporated, compagnia leader nel settore della ricerca e recupero di vascelli danneggiati e navi stellari abbandonate, ma a bordo della nave l'ultima parola era affidata a Broderick, una vera leggenda nel campo del recupero spaziale.

"Il relitto sembra essere in condizioni discrete. Lo scafo non presenta segni di danni o bruciature, il che significa che probabilmente non è stato coinvolto in alcun tipo di conflitto a fuoco." La risposta era venuta da Skip Carmichael, pilota spaziale ed ex-ufficiale della Flotta Stellare. Skip era una testa calda, il che non gli aveva attirato molte simpatie all'interno del Comando di Flotta. Così, quando Broderick gli aveva offerto un posto sulla sua astronave, l'uomo non ci aveva pensato due volte prima di salire a bordo. "La cosa strana," stava intanto continuando Skip, "è che lo scafo sembra completamente privo di segni di riconoscimento."

"Confermo. Anche le tecniche di assemblaggio utilizzate sono disparate, il che rende difficile identificare il tipo di produzione." Questa volta era stato il turno di Mack di parlare. Mack era l'ingegnere di bordo, oltre che l'esperto di logistica e l'operatore ai sensori. Su una nave piccola come quella, molte mansioni tendevano ad essere accentrate su una sola persona. "Le analisi preliminari non rilevano forme di vita a bordo, ma non posso dire molto di più. Nella migliore delle ipotesi l'equipaggio ha abbandonato la nave, nella peggiore... beh, oramai non possiamo più aiutarli."

L'ultimo membro permanente dell'equipaggio era Melanie Slozar: la donna era un'esperta dei reattori materia/antimateria, ed era suo compito monitorare le condizioni dei relitti per assicurarsi che fossero sicuri per il recupero e il trasporto. "Sembrano non esserci fonti di energia attive, tuttavia rilevo delle strane fluttuazioni quantiche nella zona che sembrano interferire con le letture degli strumenti. Oltretutto, il nostro motore ha subito due inspiegabili cali di potenza nelle ultime due ore, il che non mi rende particolarmente tranquilla riguardo questa faccenda."

"Qual è la posizione della nave della Flotta Stellare più vicina?" domandò il comandante.

Mack scartabellò tra i suoi tracciati sensori alla ricerca della risposta. "La USS Atrevida non potrà che essere qui tra cinque giorni. Un po' tanto per aspettare con le mani in mano."

Broderick sembrò soppesare a lungo la questione. In condizioni normali la riunione sarebbe finita lì, il comandante avrebbe preso la sua decisione e l'equipaggio si sarebbe messo in azione. Ma quella non era un situazione normale, perché sedute al tavolo insieme agli uomini e alla donna della Vulture c'erano tre personaggi ben noti, che avevano ascoltato con attenzione il discorso appena concluso. "E voi, pivellini, cosa ne dite?"

Vaarik, Renko e Dalton si esibirono nella loro migliore espressione pensierosa, soppesando la risposta da dare.

In realtà, la definizione di pivellini stava loro un po' stretta, in quanto quei tre particolari cadetti della Flotta Stellare potevano insieme arrivare ad un numero di anni che superava le tre cifre. Tuttavia, almeno per quanto riguardava il lavoro di bonifica spaziale, loro tre erano davvero dei pivellini e Broderick, una vera e propria leggenda nel settore, non perdeva occasione per farglielo notare.

Il motivo della loro presenza a bordo della Vulture risaliva a tre settimane prima, quando ognuno di loro aveva fatto domanda per partecipare ad uno stage di attività extraveicolari organizzato da una compagnia privata, la Drake Inc., appunto. Come spesso succedeva in questi casi, non era facile risalire a chi fosse stato il primo a proporre quell'idea: ognuno di loro aveva le sue buone ragioni per essere lì, oltre alla semplice necessità di accumulare un po' di esperienza in quel particolare corso. A sentire Luke, era tutta colpa di Renko: era stato lui infatti a lamentarsi che Sherman, che l'aveva eletto da tempo suo 'progetto speciale', non gli avrebbe dato pace finché i suoi risultati nelle attività extraveicolari non fossero migliorati sensibilmente. A sentire Renko, la colpa era tutta di Luke: era stato lui infatti ad introdurli alla Drake Inc., con la quale aveva già collaborato qualche volta come pilota part-time per raggranellare qualche credito extra, come spesso faceva da quando aveva deciso di mettere su casa con Lam. A sentire Vaarik, non gli importava di chi fosse la colpa: l'unica cosa che gli importava era che qualcuno avrebbe pagato caro per quello, ma come al solito nessuno faceva molto caso alle sue minacce.

Così, alla fine si erano ritrovati in coda davanti all'ufficio di Jerome Drake, proprietario e fondatore della compagnia omonima, e grazie alla raccomandazione di Luke erano riusciti a farsi accettare nonostante non rientrassero esattamente nei parametri di età richiesti dallo stage.

Sotto lo sguardo indagatore di Broderick, i tre cadetti si scambiarono un'occhiata furtiva, come per stabilire una strategia comune: Luke fece una smorfia, a significare che tutta quella storia non gli piaceva per niente; Vaarik si strinse nelle spalle, come a lasciar intendere che la cosa non lo riguardava più di tanto; infine Renko annuì saggiamente con il capo, si schiarì la gola e dichiarò con voce tranquilla:

"Signor Broderik, perché non andiamo a vedere cosa c'è a bordo? Ci offriamo volontari per la squadra di sbarco."

Accanto a lui, Luke e Vaarik si passarono contemporaneamente una mano sul volto, scuotendo il capo con malcelato sconforto.

Mercantile non identificato, Condotto 75, Sezione centrale.

Vaarik contemplava in silenzio il corpo steso a terra di Melanie Slozar, abbandonato sul posto come una bambola spezzata. Chiunque avesse fatto quella cosa aveva agito in maniera efficiente, come un professionista. Nessun rumore, nessuna reazione, solo uno schiocco secco e il collo della donna si era spezzato come un ramoscello, portandosi via i sogni e le speranze di un'intera esistenza.

In fondo al suo cuore, il vulcaniano sapeva che in quel momento avrebbe dovuto provare dolore per la morte di quella donna che conosceva ormai da qualche settimana, ma per quanto assurdo potesse sembrare, in quel momento tutto quello a cui Vaarik riusciva a pensare era il fatto che lui sapeva perfettamente come era stata uccisa Melanie. Poteva dirlo dall'inclinazione peculiare del suo collo, o dalla disposizione degli ematomi sulla sua pelle là dove il suo aggressore l'aveva afferrata con brutale efficienza: Melanie era stata uccisa da una letale tal'shaya, una forma di esecuzione vulcaniana. Data la complessità della tecnica e la precisione necessaria per praticare efficacemente la tal'shaya, questo poteva solo significare una cosa: con ogni probabilità, ad uccidere Melanie era stato un vulcaniano.

"Dove sono gli altri?" domandò Luke, guardandosi furiosamente attorno, alla ricerca di indizi su dove si trovassero gli altri componenti della squadra. "Perché diavolo Mel si è staccata dal gruppo?"

"Forse non l'ha fatto," rispose Renko esaminando il suo tricorder. "La 'scia di briciole' che Broderick stava seguendo conduce qui."

"E allora dove diavolo sono?"

Come risvegliato da quella frase, Vaarik si riscosse dalla sua immobilità. "Sotto."

Luke lo guardò senza capire. "Prego?"

"La sala motori è sotto di noi. Dobbiamo scendere per il condotto."

Renko e Luke si guardarono perplessi, poco propensi ad infilarsi in quel pozzo ancora fumante. Ma per una volta il vulcaniano aveva ragione, e così seguirono le sue indicazioni.

Uno alla volta, i tre cadetti discesero la scala a pioli che correva lungo il condotto, lentamente, respirando a fatica l'odore dei circuiti bruciati.

Renko fu il primo a mettere piede nella sala motori: torcia in una mano e phaser spianato nell'altra, il delta gammano si mosse con rapidità e discrezione, assicurandosi che la zona fosse sicura prima di fare cenno agli altri di entrare; Vaarik si ritrovò a pensare che Sherman sarebbe stato fiero di lui, se l'avesse visto.

La sala motori, grande almeno il doppio rispetto a quanto si sarebbero aspettati in un mercantile del genere, era avvolta nell'ombra e nel silenzio come il resto della nave, rischiarata solo dai piccoli incendi che ardevano dietro alle consolle divelte, ai pannelli squarciati. Qualunque cosa fosse successa a quella nave, doveva essere stata una bella botta. Le radiazioni impregnavano l'ambiente, ma il tessuto speciale delle loro giacche era sufficiente a tenerli al sicuro, almeno per il momento: non c'era modo di sapere cosa sarebbe successo però se l'esposizione fosse stata troppo prolungata. Guardandosi intorno, Vaarik fece cenno con la torcia verso una grata metallica. "Il nucleo dovrebbe essere dietro quella paratia."

Sporgendosi oltre l'apertura indicata dal vulcaniano, Luke e Renko si trovarono di fronte a qualcosa che non aveva spiegazione nella scienza per come la conoscevano: il nucleo di curvatura era lì di fronte a loro, illuminato da un inconsueto bagliore rossastro, perfettamente funzionante... e perfettamente silenzioso. La luce emessa dalla reazione materia/antimateria ne disegnava la sagoma come la colonna di fuoco uscita da un racconto dell'antico testamento, ma neanche un suono giungeva alle loro orecchie, né tantomeno una vibrazione passava attraverso le paratie della sala motori: se non fosse per il fatto che era lì, davanti ai loro occhi come un'apparizione spettrale, non avrebbero mai creduto a quello che stavano vedendo.

Luke fu il primo a spezzare il silenzio sbalordito in cui erano sprofondati. "Questa nave sembra uscita dall'inferno."

"E difatti è così."

Renko e Luke si voltarono a guardare Vaarik, che era rimasto dietro di loro a fissare il nucleo con gli occhi immersi nell'ombra della sala.

"Che intendi dire?" domandò Renko, resistendo all'ultimo momento alla tentazione di puntare la sua torcia direttamente verso di lui.

"Ora so cos'è successo."

Poi, come mosso da un impulso irrefrenabile, il vulcaniano si diresse con decisione verso il nucleo, inginocchiandosi di fronte ad esso come se stesse cercando qualcosa. In pochi istanti, Vaarik individuò un pannello del pavimento che sembrava diverso dagli altri. Senza perdere tempo a cercare gli strumenti adatti, Vaarik afferrò i bordi del pannello e lo strappò via a mani nude, apparentemente incurante del fatto che fosse strettamente inchiavardato al pavimento. Sotto di esso, pulsava silenziosamente un dispositivo a forma di clessidra che sembrava attingere energia direttamente dal nucleo di curvatura. Da esso si diramavano una serie di guide d'onda che avevano l'aria di percorrere l'intera struttura della nave come un secondo sistema nervoso.

"Visto che sembri sapere così bene cosa è successo qui, sai anche come tirarcene fuori?" interloquì Luke, sempre interessato al lato pratico della questione.

Per un attimo, i lineamenti di Vaarik si ammorbidirono, permettendo ad una smorfia ironica di risalire in superficie. "Uno su due non è male." Poi, come se si preparasse ad affrontare uno dei suoi peggiori incubi, il vulcaniano indossò nuovamente la sua maschera di autocontrollo. "Questo vascello è equipaggiato con un dispositivo di dislocamento dimensionale, non dissimile da quello ideato dalla mia compagna e da noi utilizzato per fuggire dall'universo dello specchio."

"Intendi dire che questo rottame è stato costruito da quei simpaticoni del tuo universo?" domandò Luke, preoccupato da quello che sapeva sull'universo di Vaarik.

"È una possibilità. Il dispositivo che abbiamo usato era un prototipo, e T'Eia è stata molto prudente nel distruggere o portare con sé tutti i piani di costruzione, ma non posso escludere a priori l'ipotesi che qualcuno abbia ritrovato parti del suo lavoro e sia riuscito a costruire un secondo prototipo, per quanto meno affidabile del primo."

"Meno affidabile?"

"Il passaggio dimensionale non è stato completato correttamente. La nave esiste contemporaneamente in entrambi gli universi, intrappolata tra le realtà in uno stato di dislocazione quantica. Questo potrebbe spiegare le strane letture che abbiamo rilevato da quando siamo in zona, i cali di potenza e i malfunzionamenti degli strumenti. Posto che parte dell'equipaggio del vascello sia sopravvissuto al trasferimento dimensionale incompleto, perfino le inquietanti... apparizioni di cui siamo stati testimoni una volta a bordo del vascello acquistano ora una spiegazione perfettamente razionale."

"Sarebbe a dire?"

"Il dispositivo è integrato nella struttura stessa della nave, e quando il processo di dislocazione è stato interrotto il mercantile è stato come 'sdoppiato' tra i due universi. Al contrario, tutto ciò che era a bordo della nave, ma che non faceva parte della struttura, ha preso a fluttuare erraticamente da una realtà all'altra. Equipaggio compreso."

"D'accordo, basta con le spiegazioni," intervenne Luke, sicuro. "Dobbiamo riuscire a completare il salto dimensionale, altrimenti non usciremo mai fuori da questa situazione." Un sorriso stanco affiorò sul suo volto. "Del resto, non mi sono mai piaciute le cose a metà."

Alcuni minuti dopo, i tre cadetti presero posizione nella sala macchine del vascello. Non era stato facile rimettere on-line il dispositivo, lavorando nella semioscurità e con il pericolo di essere sorpresi da un momento all'altro, ma grazie all'aiuto di Renko e Dalton erano finalmente riusciti a completare i preparativi. Rimaneva solo da vedere se avrebbe funzionato a dovere.

"Connessioni quantiche?"

"Attive."

"Curve di assorbimento di energia?"

"Nominali."

"Dispositivo di dislocazione?"

"Operativo."

"Bene." Il vulcaniano si avvicinò ad un pannello alla destra del nucleo di curvatura. "Pronti al completamento del trasferimento dimensionale. Trovate qualcosa a cui aggrapparvi: potrebbe essere piuttosto... sgradevole."

Con un movimento secco, Vaarik afferrò una leva e la spinse verso il basso, chiudendo il circuito. Per un attimo fu come se un lampo di energia passasse attraverso lo scafo della nave, spezzando l'oscurità e il silenzio, come una spada scagliata contro una lastra di vetro iridescente. Il vulcaniano si sentì percorrere da una vertigine, e la sua mente ritornò all'istante nel quale aveva fatto il salto, il suo salto; l'istante che aveva segnato la fine della sua vecchia vita, e l'inizio... beh, l'inizio di qualsiasi cosa stesse vivendo da allora.

Dopo quel primo momento di riallineamento, la nave iniziò a tornare alla vita. Le vibrazioni del nucleo a curvatura si sparsero per tutta la sala, le consolle che non erano esplose si riattivarono, e le luci tornarono ad un livello di luminosità normale. Fu soprattutto grazie a quell'ultimo particolare che i tre cadetti si accorsero del corpo di Broderick che dondolava lentamente, impiccato a vari metri da terra ad una conduttura di energia vicina al soffitto della sala motori.

Renko fu il primo a reagire: con un unico, fluido movimento il delta gammano estrasse la sua arma e si gettò a terra rotolando, mentre sulla paratia si abbatteva un colpo di phaser nel punto esatto dove fino ad un secondo prima c'era la sua testa.

Mercantile non identificato, Intersezione D-34, Sezione di poppa.

Se da un lato il fatto di aver eliminato gli uomini che avevano ucciso i loro compagni di equipaggio poteva dare loro un qualche senso di giustizia, la strada che dovevano percorrere per mettere la parola fine alla loro tragica avventura era ancora molto lunga.

Vaarik percepì lo sguardo di Renko come se il delta gammano gli stesse puntando contro una luce accecante. "Il fatto che anche i nostri aggressori vengano dall'altra parte dello specchio non significa necessariamente che ci assomigliamo," disse gelidamente il vulcaniano, anticipando le domande del suo compagno di corso.

"Hanno usato lo stesso dispositivo di dislocazione dimensionale che hai usato, e tu non hai idea di chi possano essere?" domandò Renko, facendo quanto gli era possibile per assumere un'aria scettica.

"Il dispositivo con cui io e T'Eia siamo passati da questa parte era un prototipo, non ne esistono altri."

"Non ne esistevano vorrai dire," fece notare il delta gammano.

"Questo è ovvio, dato quello che abbiamo visto qui. Ma non ho idea di chi possa averne costruito uno identico, tantomeno per quali scopi."

Quando Renko parlò di nuovo, non c'era traccia di sdegno o di disprezzo nella voce del delta gammano, solo una serietà disarmante: "Troppe persone sono già morte, Vaarik. Vuoi dirci una volta per tutte cosa sta davvero succedendo?"

"Non lo so!" rispose il vulcaniano, lasciando trasparire per un attimo la frustrazione. "Non lo so," ripeté più sommessamente, mentre la sua mente correva a Broderick, Melanie e Mack, ammazzati senza alcuna colpa per il semplice fatto di essersi trovati al posto sbagliato al momento sbagliato, in maniera spietata, efficace, brutale. Nonostante le sue affermazioni di poco prima, Vaarik sentiva intensamente la colpa per quelle morti: era come se qualunque colpa attribuita a qualche abitante dell'universo specchio lo riguardasse di persona, e ricadesse in qualche modo su di lui.

Era folle addossarsi le colpe di un'intero universo, Vaarik lo sapeva, ma il vulcaniano sapeva anche che se non fosse stato per lui Broderick, Melanie e Mack in quel momento sarebbero stati ancora vivi.

"Dobbiamo tornare alla navetta," disse Luke pragmaticamente, intromettendosi nella discussione. "È l'unico modo per uscire vivi da qui."

"E lasciargli il mercantile?" chiese Renko, che evidentemente non vedeva di buon occhio l'idea di ritirarsi senza aver risolto il mistero.

"L'Atrevida sta arrivando, questa carcassa ha subito troppi danni per poterle sfuggire," rispose l'umano. "Personalmente preferisco andarmene da qui con le mie gambe ed aspettare i rinforzi, piuttosto che restare e guadagnarmi un bel funerale di stato."

D'improvviso le loro discussioni vennero interrotte da un suono lontano. Vaarik, Luke e Renko si voltarono all'unisono nella direzione da cui proveniva il suono, ma le loro torce non illuminarono nulla se non un corridoio vuoto e in fondo ad esso l'intersezione con un secondo condotto a T. I tre rimasero immobili per quella che sembrò loro un'eternità, finché a poco a poco il suono si fece più distinto: sembrava una voce, la voce di una bambina che ripetesse senza sosta una sorta di filastrocca infantile. Da qualche parte nella sua mente Vaarik pensò che gli sembrava una melodia familiare, ma solo quando le parole diventarono audibili il vulcaniano si rese conto che quello che stava sentendo proveniva direttamente dai più profondi recessi della sua memoria.

"Vaahril o'miir eldarin herr, o khab pah'lar rre'hel ti mherr... Una spada spezzata può ancora tagliare, e una fiamma sopita tornare a bruciare..."

Le sue pupille si dilatarono per un istante, rendendosi conto che non solo conosceva quelle parole, ma che quella canzone era uno dei primi ricordi della sua infanzia, quando la ascoltava dalla voce roca e strascicata di nonno Jenak, l'anziano vulcaniano che si occupava dei bambini nati come lui in uno degli sconfinati altiforni che sorgevano sulla superficie di Vulcano, del suo vulcano, dall'altra parte dello specchio. Solo quando era cresciuto aveva scoperto che quella che credeva una ninna nanna era in realtà parte di un'antica canzone vulcaniana, tramandata di generazione in generazione fin dai tempi precedenti all'ascesa di Surak il Magnifico, il generale-filosofo che aveva riunito l'intero Vulcano sotto l'insegna della sua spada scintillante ed aveva posto le basi della società vulcaniana moderna. Quella canzone parlava di orgoglio e di riscatto, di libertà e di vittoria. Libertà. Vittoria. Libertà.

Quasi senza rendersene conto, Vaarik iniziò ad avanzare nella direzione da cui proveniva la voce, come sopraffatto da un richiamo irresistibile. "Seguiamola," disse ai suoi compagni, accelerando l'andatura.

Renko cercò di richiamarlo, senza sortire alcun successo. "Vaarik, aspetta! Dove stai andando? Dobbiamo tornare alla baia d'attracco!"

Ma pur essendo distante solo pochi metri, ormai il vulcaniano era lontano anni luce, mentre davanti ai suoi occhi balenavano immagini fugaci del suo passato: Nonno Jenak aggrappato al suo bastone, i magazzini della fonderia dove tante volte da bambino si era nascosto dai sorveglianti, le lezioni all'Istituto di Preparazione per Vulcaniani, il suo gabinetto di analisi scientifica sul vascello del Reggente, la base spaziale dove era avvenuta la costruzione del vascello trans-dimensionale, e infine la fuga e la morte di T'Eia. A Renko e Luke non restava altro che seguirlo, cercando di tenere il passo, ma il vulcaniano avanzava sicuro tra quei corridoi sconosciuti, forse guidato dal suo udito eccellente o forse da un altro tipo di senso, più profondo ma altrettanto attendibile.

"Vaahril o'miir eldarin herr, o khab pah'lar rre'hel ti mherr... Una spada spezzata può ancora tagliare, e una fiamma sopita tornare a bruciare..."

Solo dopo molte decine di metri e molte svolte sconosciute Luke riuscì ad afferrare il braccio del vulcaniano: Vaarik sembrò risvegliarsi per un attimo, e guardò il suo compagno con uno sguardo smarrito che l'umano non gli aveva mai visto. "Conosco questa canzone," disse semplicemente. Luke guardò intensamente il vulcaniano per un secondo, come per valutare la sua espressione: infine sembrò prendere una decisione e lo lasciò andare. Vaarik riprese immediatamente il suo inseguimento, tallonato dagli altri due.

La corsa li condusse alla sezione delle stive: in quella parte della nave non avevano trovato altro che stanze vuote, ma era chiaro guardando i loro occhi che questa volta i tre cadetti non erano certi di trovare la stessa cosa. Vaarik si fermò davanti ad una porta chiusa: la bambina era là, seduta in terra con lo sguardo fisso nel vuoto, ripetendo ossessivamente la filastrocca come se fosse l'unica cosa che potesse tenere lontani i mostri che di certo popolavano i suoi incubi.

"Apriamo."

Vaarik spinse da parte le pesanti porte della stiva, spalancandole con forza di fronte a sé. Dietro di lui, Renko e Dalton stavano con le armi spianate, pronti a colpire qualunque cosa si parasse di fronte a loro. Ma ciò che si trovarono di fronte li lasciò senza parole.

Di fronte ai loro occhi vi era un gran numero di persone, addossate le une alle altre contro le pareti della stiva, alcune in piedi, altre rannicchiate sul pavimento come animali intrappolati. Come avveniva in certi sogni, Vaarik riusciva a distinguere chiaramente il volto di ognuno di questi, come se fosse a meno di mezzo metro di distanza: erano umani, vulcaniani, trill, andoriani, e membri di altre razze note; i loro abiti erano laceri e strappati, e i loro volti erano segnati dalla fatica e dal terrore. Alcuni si coprivano il viso con le braccia come per proteggersi, mentre altri li fissavano con gli occhi sgranati, incapaci di distogliere lo sguardo da quelle tre figure armate che erano apparse di fronte a loro. Nel silenzio innaturale che era calato su di loro, interrotto solo dal crepitare dei circuiti bruciati, perfino la bambina che con la sua voce li aveva guidati fino a quel luogo, ora stretta tra le braccia di una donna, li fissava muta, in attesa.

L'attesa sembrò durare in eterno, mentre ciascuna delle due le parti aspettava di vedere come avrebbe reagito l'altra. Poi, inaspettatamente, uno dei prigionieri si staccò lentamente dalla folla che era dietro di lui. Era un vulcaniano incredibilmente vecchio, che sembrava schiacciato sotto il peso del dolore e degli anni; sul suo volto si leggeva chiaramente la lotta per controllare le emozioni che scorrevano nel suo animo. Con fatica avanzò di qualche passo, avvicinandosi ai tre cadetti, che intanto osservavano la scena come mesmerizzati da quello che stava accadendo davanti ai loro occhi. Lentamente il vecchio si portò davanti a Vaarik, che nel frattempo era rimasto immobile e imperscrutabile come una statua di se stesso, oscuro e silenzioso come la sagoma di una spada conficcata nel terreno.

Poi, rapida come il vento che spazza via le nuvole davanti al sole, l'incertezza lasciò il posto alla commozione, e il vecchio allungò una mano tremante verso il volto del vulcaniano, quasi con tenerezza. Le sua labbra rugose si mossero appena, formando una parola che non avevano pronunciato da anni, più di quanti volesse ricordare: "Vaarik..."

Il suono della sua voce colpì Vaarik come un lampo, e il vulcaniano prese la mano del vecchio tra le sue, gentilmente, con un rispetto che nessuno gli aveva visto usare prima di allora. La sua voce era poco più di un sussurro.

"Nonno Jenak..."

Luke e Renko si scambiarono uno sguardo sbalordito, ma non dissero una parola.

Poi, inaspettatamente, il volto del vecchio mutò espressione, e l'anziano vulcaniano abbassò la testa in segno di deferenza. Con la lentezza dettata dagli anni ma con enorme dignità, il vecchio si abbassò per poggiare un ginocchio in terra di fronte al vulcaniano più giovane, reggendosi alle sue mani. Vaarik era evidentemente troppo sorpreso per fare alcunché, e una volta in ginocchio il vecchio pronunciò a voce più alta una sola parola, una parola che nessuno dei presenti avrebbe più dimenticato: "Vaarik... va'hral."

Lentamente, quella parola passò di bocca in bocca, come se tutti i presenti nella stanza, uomini, donne, giovani, vecchi, si stessero svegliando a poco a poco da un incubo che era durato tutta la loro vita, come se di fronte a loro fossero apparsi dal nulla i protagonisti di una leggenda che avevano ascoltato da bambini, e a cui una volta cresciuti avevano fatto finta di non credere più. "Va'hral..."

Come ad un segnale prestabilito, i prigionieri imitarono il comportamento del vecchio, partendo dalle prime file e proseguendo verso il fondo, piegandosi in ginocchio, chinando il capo di fronte al vulcaniano, porgendogli il saluto riservato non agli uomini ma alle leggende, mentre il mormorio percorreva la stiva come un sussurro spettrale. "Va'hral. Va'hral. Va'hral..."

Di fronte a quegli uomini e a quelle donne, per la prima volta da quando aveva perduto il suo universo e la sua sposa, Vaarik sentì che forse la vita aveva ancora in serbo per lui qualche sorpresa.

Vascello da trasporto Yaashee Va'hral
Alcune ore dopo.

Sollevando lo sguardo sui prigionieri ammassati nei vari compartimenti della stiva, Renko pensò che quei prigionieri erano molto più silenziosi di quanto si fosse aspettato. Alcuni di loro erano rimasti feriti durante il passaggio dimensionale, altri invece erano stati contaminati dalle radiazioni fuoriuscite dal nucleo di curvatura; la maggior parte erano semplicemente denutriti e spossati a causa della prolungata prigionia. Tuttavia, nessuno si lamentava o dava voce al proprio disagio: la maggior parte di essi si limitava a stare lì, come inebetita, aspettando quasi con indifferenza di sapere quale sarebbe stato il loro destino, come se la cosa non gli importasse più di tanto.

Il delta gammano stava curando un andoriano con una gamba fratturata: la strumentazione medica che aveva a sua disposizione era completamente inadeguata, e così tutto quello che aveva potuto fare era stato immobilizzare la frattura con alcune stecche di fortuna. Una volta terminato, Renko aveva congedato l'andoriano con un sorriso di circostanza, ricevendone però in cambio solo uno sguardo vuoto. Rassegnazione: ecco cosa leggeva Renko nei loro occhi, e il delta gammano aveva i brividi a pensare a cosa dovessero aver passato quelle persone per spegnere fino a quel punto la voglia di vivere di un intero popolo, di un'intera nazione.

Era stato solo con grande fatica che erano riusciti a raccogliere nelle stive tutti i prigionieri fuggiti dopo il disastroso passaggio dimensionale. In tutto si trattava di più di un centinaio di persone, sparse per tutta la nave, molte delle quali si era nascoste in quei livelli che non avevano ancora esplorato. Non era stato facile: i prigionieri erano spaventati, confusi; non avevano idea di quello che era successo. A causa del malfunzionamento del dispositivo di trasferimento dimensionale, si erano trovati a passare senza saperlo da una realtà all'altra, perdendo ogni punto di riferimento in una nave che si era trasformata inspiegabilmente in un labirinto infestato di fantasmi. Come se non bastasse, si erano formati gruppi, fazioni, e come spesso succedeva in questi casi, avevano iniziato a lottare tra loro, cercando cibo, vestiti, o semplicemente un modo per fuggire.

Se erano riusciti a porre termine a quei conflitti e a riportare l'ordine sulla nave non era certo merito della loro pazienza o delle loro capacità diplomatiche: il merito era unicamente dello strano effetto che l'apparizione di Vaarik aveva su di loro. Svariate volte aveva visto ripetersi la scena a cui avevano assistito nella stiva: uomini e donne, trovandosi di fronte al vulcaniano, si erano inginocchiati di fronte a lui, come se riconoscessero qualcuno o qualcosa alla quale dovessero immediata e incondizionata deferenza. Quali che fossero le sue conclusioni a riguardo, per il momento Renko aveva preferito tenersele per sé: avrebbero avuto tempo di discuterne ampiamente quando la situazione si fosse fatta meno instabile: la nave era ancora in pessime condizioni, e anche se l'energia era tornata su tutti i ponti i danni subiti durante il passaggio dimensionale avrebbero richiesto molti giorni di lavoro per essere tutti riparati, sempre che fosse stato possibile.

Il delta gammano avvertì alle sue spalle il sibilo della porta automatica. Non ebbe bisogno di voltarsi per sapere chi fosse entrato nella stiva: il mormorio dei prigionieri era cessato immediatamente, sostituito da un silenzio reverenziale. Vaarik e Luke fecero il loro ingresso nella stanza, attirando gli sguardi di tutti i presenti. L'umano sembrava infastidito da quel comportamento; cosa ne pensasse Vaarik, invece, solo lui poteva saperlo. Per prima cosa il vulcaniano si diresse verso l'anziano vulcaniano che l'aveva riconosciuto per primo, quel Nonno Jenak che l'aveva cresciuto per i primi anni della sua vita insieme ai figli di tanti altri schiavi. Era strano vedere Vaarik mostrare quel grado di attenzione verso qualcuno, ma era chiaro che l'anziano rappresentava una figura molto importante per il vulcaniano. Sfortunatamente, la salute del vecchio era tutt'altro che florida: era ammalato e denutrito, e il suo corpo aveva subito troppi stenti per troppi anni perché potessero fare ipotesi sulla sua sopravvivenza. Renko non poteva che sperare per il meglio.

Appena assicuratosi che stesse bene, Vaarik si riavvicinò a Luke, e quest'ultimo con un'occhiata fece cenno a Renko di avvicinarsi: rapidamente il delta gammano li raggiunse, impaziente di essere aggiornato sulla situazione.

I prigionieri li videro parlare tra loro per alcuni minuti, ma nemmeno quelli tra loro dotati di un udito straordinario riuscirono a comprendere una parola di quanto si stessero dicendo: alla fine, l'umano si staccò dal gruppo, dirigendosi con decisione verso i prigionieri. Luke si piazzò di fronte ad un vulcaniano dall'aria pensosa, seduto in terra vicino ad altri prigionieri, e lo guardò con aria seria.

"Vieni con noi," disse con gentilezza, ma era chiaro che la sua non era una richiesta che potesse ottenere un 'no' come risposta.

Il vulcaniano sbatté gli occhi un paio di volte prima di rendersi conto che l'umano si stava rivolgendo a lui, poi si alzò e seguì l'umano senza fare domande, sforzandosi di nascondere la sua apprensione. Gli altri prigionieri li videro sparire dietro una porta secondaria senza ulteriori spiegazioni, lasciandoli ad aspettare con il silenzio e la speranza come loro unico conforto.

Attraverso un lungo corridoio i tre condussero il prigioniero in una stanza di servizio, che doveva essere servita come magazzino per l'equipaggio della nave. Senza dire una parola Luke fece cenno al vulcaniano di sedersi su una pila di casse. Tutto era estremamente silenzioso, come se le parole potessero in qualche modo rovinare l'importanza del momento. Ma era chiaro per tutti i presenti che quella situazione non sarebbe potuta durare a lungo.

Renko e Luke presero posizione accanto alla parete opposta della stanza, mentre Vaarik si avvicinava lentamente al prigioniero: in altri tempi il loro compagno di corso avrebbe insistito per essere lasciato solo con l'altro vulcaniano,sostenendo che quella faccenda non li riguardava direttamente; ma dopo tutto quello che avevano visto e che avevano passato insieme, era chiaro che i suoi due compagni non avrebbero lasciato quella nave maledetta senza aver ottenuto anche loro delle risposte.

Se però si aspettavano che Vaarik si sedesse anche lui per mettere l'altro a suo agio, si sbagliavano di grosso: il loro compagno si mise infatti a camminare lentamente in cerchio attorno al prigioniero, come per un interrogatorio. E difatti fu un interrogatorio quello che iniziò sotto i loro occhi.

"Come ti chiami?"

I due cadetti si guardarono perplessi: la voce di Vaarik non sembrava la solita. Quella del loro compagno di corso era dura, aspra e distante, una voce studiata apposta per tenere tutti alla larga. Quella che sentivano ora era invece pacata ma ferma, fredda ma intensa. Il cambiamento era a dire poco incredibile.

"Il mio nome è Sovak," rispose l'altro vulcaniano, non osando guardare in volto il suo interlocutore.

"Sai dove ti trovi, Sovak?" Renko notò come il suo compagno facesse uso del nome proprio per stabilire un contatto con l'uomo che si trovava con loro. Le lezioni di procedure di sicurezza davano i loro frutti, evidentemente.

"Mi trovo a bordo di un vascello da trasporto."

"Conosci quali sono le circostanze che ti hanno portato a bordo di questo vascello, Sovak?"

Il vulcaniano parve perplesso da quella domanda. "Certamente."

"Raccontami come è andata."

Sovak sembrò non capire il motivo di quella richiesta, ma aveva passato tutta la sua vita eseguendo ordini di cui non sapeva la ragione, e certe abitudini erano dure a morire. Il vulcaniano raccontò di essere uno schiavo addetto al trasporto minerario, e di essere stato assegnato come gli altri ad una nave di raccolta. Raccontò di come il loro convoglio era stato attaccato, e di come, dopo uno scontro a fuoco sorprendentemente breve, la loro nave era stata abbordata. Pensavano di essere condannati, e che sarebbero stati tutti uccisi mentre gli assalitori depredavano le preziose risorse dei loro carcerieri e invece, con loro grande sorpresa, scoprirono che gli assalitori non erano interessati ai minerali: erano lì per loro. Li avevano aiutati a fuggire dal comparto di detenzione e li avevano fatti salire a bordo della loro nave, poi si erano allontanati a gran velocità prima che potessero giungere i rinforzi dell'Alleanza.

Dopo la fuga, avevano viaggiato per giorni nelle profondità dello spazio, tenendosi alla larga dalle rotte seguite consuetamente dalle pattuglie dell'Alleanza. Durante quel tempo, i loro 'salvatori' li avevano trattati con un calore inaspettato, accogliendoli come fratelli accomunati da una passato comune: con loro grande sorpresa, infatti, scoprirono che anche i loro salvatori erano stati a loro volta degli schiavi, e che esattamente come loro erano stati a loro volta strappati alla morsa dei klingon e dei cardassiani. Quello infatti non era che l'ennesimo di una serie di raid messi a segno da tempo contro i convogli dell'Alleanza, grazie ai quali un vasto numero di schiavi erano già stati liberati.

Molti di loro avevano sentito in precedenza voci di questi attacchi, voci sussurrate di notte nei dormitori degli schiavi che parlavano di speranza e del ritorno di antiche leggende, ma la maggior parte si era rifiutato di credere a quelle voci, temendo che non avrebbe fatto altro che alimentare stupidamente delle false speranze destinate solo a rendere più dura la loro tremenda realtà. Ora invece quelle voci si stavano rivelando poco più che pallide eco di una realtà che sembrava perfino troppo bella per essere vera: secondo il racconto dei loro salvatori, di lì a poco si sarebbero dovuti incontrare con un vascello da trasporto, il quale si sarebbe occupato di portarli in un altro luogo, addirittura un altro universo, dove si sarebbero infine riuniti agli altri schiavi liberati in precedenza. Molti si erano mostrati increduli di fronte a quelle affermazioni, ma le prove mostrate dall'equipaggio e la convinzione che si leggeva nei loro occhi quando parlavano della loro missione erano infine riusciti a vincere anche il più accanito scetticismo: gli schiavi avevano bisogno di credere che potesse esserci un luogo migliore, e una volta liberata la speranza era un virus molto difficile da controllare.

Dopo il trasferimento sul vascello da trasporto, però, le cose erano cambiate: e quando diceva 'cambiate', intendeva 'cambiate in peggio'. Il nuovo equipaggio infatti non sembrava condividere nemmeno una scintilla del fuoco che aveva animato i combattenti della nave d'assalto: tutto quello che avevano fatto era stato chiuderli come merci in una stiva, non dissimile da quelle nella quali erano stati rinchiusi sulle navi dell'Alleanza. Presto la delusione e l'angoscia avevano iniziato a diffondersi tra gli schiavi: erano dunque stati ingannati? Non c'era nessuna libertà nel loro futuro, nessuna salvezza, nessuna speranza? Erano forse stati strappati all'Alleanza solo per finire prigionieri dei loro sedicenti 'liberatori'?

Quella situazione di dubbio angoscioso era però durata poco, perché appena un giorno dopo il trasferimento era successo qualcosa di inspiegabile: il vascello era stato scosso da una vibrazione violenta, che aveva causato una serie di esplosioni all'interno della nave e aveva gettato in terra la maggior parte degli schiavi. Sovak non rammentava molto di quello che era successo in seguito: i suoi ricordi erano confusi, frammentati, come se la realtà cambiasse continuamente davanti ai suoi occhi senza alcuna spiegazione apparente. Sapeva di essersi nascosto per ore in un angolo della sua cella, ma non ricordava altro. Solo dopo molte ore di attesa quella sensazione di 'sfasamento' era svanita, come se la realtà si fosse finalmente riallineata con se stessa.

Infine, proprio quando i prigionieri si stavano domandando con sempre più apprensione quale sarebbe stato il loro destino, la porta della loro cella si era aperta all'improvviso, mostrando finalmente loro la risposta alle loro preghiere.

Vaarik, che fino a quel momento era rimasto in piedi in silenzio ad ascoltare il racconto di Sovak, si portò di fronte a lui, abbassandosi fino a trovarsi con gli occhi allo stesso livello del suo interlocutore. "Spiega."

L'altro vulcaniano sembrò faticare non poco per dare voce a quello che si agitava nel suo animo. "Parte di me esita ad accettare una cosa così illogica, ma non posso negare quello che vedono i miei occhi," disse. "Tutte le leggende che abbiamo sentito da bambini, tutte le storie che ci hanno raccontato, erano tutte vere: il va'hral è davvero tornato fra noi, e ora il nostro destino è nelle sue mani." Sovak abbassò il capo, come imbarazzato per l'intensità della sua dichiarazione.

Vaarik parve irrigidirsi, come se in quel momento un enorme fardello fosse stato appoggiato sulle sue spalle. Si alzò in piedi, lentamente, nascondendo le mani nelle pieghe del suo abito e le sue emozioni nell'ombra della sua frangia. Poi fece cenno a Luke di riaccompagnare l'altro vulcaniano nella stiva: qualcosa nella sua rigidezza fece pensare a Renko che il suo compagno di corso sembrava quasi troppo impegnato a lottare con le sue emozioni per farlo lui stesso.

Vaarik attese immobile che Luke tornasse nella stanza, poi quando l'umano rientrò si sedette sulla stessa pila di casse sulla quale Sovak aveva dipanato il suo racconto. Le spalle del vulcaniano erano rigide, e i pugni stretti per la tensione. Renko e Luke attesero qualche secondo che il loro compagno di corso riguadagnasse il controllo della situazione, poi si avvicinarono discretamente. Ora era il momento di Vaarik di rispondere ad alcune domande.

"Vaarik, che cosa significa va'hral?"

La voce del vulcaniano sembrò provenire da molto lontano. "Va'hral significa corvo."

Luke e Renko si scambiarono uno sguardo significativo, ma non dissero nulla, lasciando che il vulcaniano continuasse. "Come il suo corrispettivo terrestre, il va'hral è un simbolo potente nell'antica mitologia vulcaniania, associato da un lato alla morte e dall'altro alla vittoria in battaglia. Esiste una leggenda vulcaniana, una specie di profezia che risale ai millenni precedenti al Tempo del Risveglio. La leggenda racconta di un tempo di orrori e di barbarie, un tempo nel quale popoli interi soffrivano sotto il tallone di tiranni crudeli e sanguinari. Per lungo tempo gli uomini avevano invocato l'aiuto degli dei affinché li salvassero dai loro persecutori, ma le loro preghiere erano rimaste inascoltate. Alla fine gli uomini, non sapendo più a chi indirizzare le loro speranze, avevano rivolto le loro preghiere verso la più temuta tra tutti gli dei, la morte, affinché li liberasse delle loro sofferenze... in un modo o nell'altro. E la morte, colei che è priva di compassione, per la prima volta dall'inizio del Tempo si commosse di fronte a tanta disperazione: essa mandò quindi sulla terra il va'hral, suo araldo prediletto, affinché riportasse con sé i katra dei guerrieri dei tempi passati, affinché questi si unissero ai vivi nella battaglia contro gli oppressori. La leggenda non racconta di come finì la battaglia: tutto quello che dice è che un giorno, nell'ora più buia della storia, quando tutte le preghiere resteranno inascoltate e le speranze si spegneranno come candele di fronte alla notte incombente, quel giorno il va'hral sarebbe tornato a camminare sulla terra, riportando con sé il suo esercito nel quale combatteranno fianco a fianco i vivi e i morti, per scacciare nuovamente gli oppressori e ridare ai popoli l'orgoglio e la libertà che credevano perduta per sempre."

Un silenzio carico di significato accolse la conclusione del discorso di Vaarik. Fu Luke ad infrangere quel momento. "Mi stai dicendo che nel tuo universo, quando Pandora ha guardato sul fondo del suo vaso, invece della speranza... ha trovato la morte?" domandò Luke, come un'espressione vagamente afflitta.

Il vulcaniano sollevò un sopracciglio, come se la cosa non lo stupisse particolarmente. "Non conosco tutti i dettagli della mitologia terrestre, ma ritengo che l'analogia sia sostanzialmente esatta."

"Adesso sì che sono davvero depresso," rispose l'umano, passandosi una mano sul volto stancamente.

"D'accordo, tutto questo è molto interessante," si intromise Renko con voce aspra, come se sentisse ancora in bocca il sapore di tutto il sangue innocente versato in quel luogo, "ma questo cosa c'entra con quello che è successo qui?" Vaarik comprendeva il suo stato d'animo: al delta gammano non interessavano le leggende. Come ogni buon investigatore, Renko era interessato solo alla verità.

"È evidente che qualcuno sta liberando degli schiavi dal mio universo e li sta portando in questo," rispose, "anche se non sappiamo per quali scopi. Apparentemente, queste persone stanno usando la mia storia come strumento di propaganda per i loro scopi, sfruttando un'antica leggenda per creare una sorta di 'aura' messianica intorno alla mia figura."

"Basta con le illazioni," suggerì Luke. "Adesso dobbiamo pensare a cosa fare di questa gente. Riportarli indietro non è un'opzione praticabile, e non possiamo certo nasconderli nella stiva per sempre." Poi si rivolse direttamente al suo compagno di stanza. "Allora, quali sono le tue intenzioni... Mosé?" aggiunse infine, con un sorriso sornione stampato sulla faccia.

Vaarik lo guardò con un'espressione che non prometteva nulla di buono, ma prima che il vulcaniano potesse rispondere un trillo sommesso si fece sentire nella stanza. Il vulcaniano impiegò un paio di secondi a rendersi conto che si trattava del suo comunicatore, attivandolo rapidamente.

"Qui Skip a squadra di ricognizione, mi sentite? Squadra di ricognizione: rispondete, prego!" La qualità del suono era particolarmente bassa, ma non tanto da rendere incomprensibile la comunicazione.

Per Vaarik fu una vera sorpresa: dopo tutto quello che era successo si era completamente dimenticato del pilota ancora a bordo della Vulture. Fino a quel momento le interferenze elettromagnetiche erano state sufficienti ad impedire ogni forma di comunicazione da nave a nave, ma evidentemente ora la situazione era cambiata. I tre cadetti si guardarono in faccia con evidente preoccupazione: come fare per raccontargli tutto quello che era successo a bordo del mercantile? Come raccontargli dei suoi compagni, di Harry, Melanie e Mack, ammazzati brutalmente per il semplice fatto di essersi trovati al posto sbagliato al momento sbagliato?

Con voce sepolcrale, Vaarik attivò il canale di comunicazione, sotto lo sguardo attento dei suoi due compagni, che comprendevano perfettamente la delicatezza di quella situazione: "Qui squadra di ricognizione. Continua, Vulture."

"Dannazione, ragazzi, sono davvero felice di sentirvi!" disse la voce di Skip, sollevata. "Non so cos'è successo su quella dannata nave, ma qui c'è qualcuno che sembra avere molta fretta di parlare con voi."

Luke, Vaarik e Renko si scambiarono uno sguardo preoccupato: vista la situazione nella quale si trovavano, era difficile immaginare come qualunque arrivo inaspettato fosse solo frutto di una coincidenza fortuita. Non fecero però in tempo a formulare nemmeno le prime ipotesi che una voce femminile scaturì dal comunicatore, fugando ogni loro dubbio in proposito: "Qui USS Atrevida a squadra di bonifica spaziale," disse la voce con naturalezza. Poi qualcosa cambiò nella sua intonazione, assumendo il tono di sottile divertimento che erano soliti associare alla sua proprietaria. "Salve, ragazzi," disse quindi la voce di Eru. "Ditemi, vi sono mancata almeno un pochino?"

USS Atrevida, classe Venture.
Poche ore dopo.

Eru era seduta alla sua scrivania, osservando con pazienza lo schermo del suo terminale mentre il sistema di trasmissione della nave stabiliva la comunicazione. Ufficialmente, la piccola nave era sotto il comando del capitano Filgar, un boliano di mezza età senza particolari meriti di servizio nella Flotta Stellare; ufficiosamente, era ovvio chi fosse realmente a dare gli ordini a bordo.

Il volto che comparve sullo schermo sembrava immune alla preoccupazione che certamente si era diffusa in seguito alla sua comunicazione. La chiropteriana si domandò se ci fosse qualcosa in grado di infrangere quella maschera di stoica determinazione. "Ho ricevuto il suo rapporto," disse la figura, tagliando corto con i preliminari. "La Commissione è già stata convocata per un'assemblea di emergenza. Abbiamo solo pochi minuti prima dell'inizio della riunione."

"La situazione è questa, Signore," disse la donna rapidamente. "Il soggetto è entrato in contatto diretto con i rifugiati, compromettendo seriamente la sicurezza dell'intera operazione: questa rivelazione prematura potrebbe avere conseguenze molto negative in futuro, e potrebbe rendere inutili tutti i nostri sforzi fino ad ora."

"Questo non possiamo assolutamente permetterlo," disse seccamente la figura, rigettando quell'ipotesi. "Abbiamo puntato troppo su di lui per permetterci di perderlo proprio ora che la realizzazione dei nostri piani è così vicina." Fece una pausa, come per soppesare la situazione. "Dobbiamo trovare un modo per guadagnare un po' di tempo, e accelerare le fasi finali del progetto."

"Forse c'è una soluzione," propose Eru, dopo una breve riflessione, "anche se un è po' azzardata. Abbiamo scoperto a bordo del vascello la presenza di una persona con cui il soggetto ha avuto contatti durante la sua vita nell'universo dello specchio: si tratta dell'anziano che l'ha cresciuto durante i suoi primi anni di vita, prima del suo trasferimento all'Istituto di Preparazione."

"Interessante," fu il commento dell'interlocutore. "Lei pensa che potremmo utilizzare questo fatto a nostro vantaggio?"

"Sì, Signore: quest'uomo è estremamente anziano, e il viaggio l'ha ulteriormente debilitato. Forse, se dessimo al soggetto la nostra assicurazione che faremo tutto quanto è possibile per salvare la sua vita, potremmo guadagnare abbastanza tempo per permetterci di portare a termine il nostro piano."

La figura sembrò soppesare l'idea per qualche tempo. "Un'ipotesi interessante, anche se effettivamente rischiosa: un ricatto potrebbe non essere la maniera migliore per assicurarci la lealtà del soggetto, almeno in queste prime fasi."

"Lo so, Signore, tuttavia potrebbe essere la nostra unica possibilità. Inoltre, sono certa di riuscire a farlo passare come un favore, piuttosto che come un ricatto."

"D'accordo. Ha l'autorizzazione ad agire come ritiene più opportuno," fu la risposta. "Per il resto dei testimoni come pensa di procedere?"

"La situazione è tutt'altro che semplice. Tre persone innocenti sono state uccise, tre cittadini federali, e questo complica enormemente le cose."

"Ho sempre sostenuto che l'impiego di mercenari per il trasporto dei rifugiati fosse una pessima idea," disse la figura, accigliandosi. "Ma ormai non possiamo cambiare quello che è successo. Però forse abbiamo già trovato una soluzione per limitare i danni."

"Davvero? Quale?"

"Abbiamo in mano nostra la controparte speculare del comandante della missione, un certo Harry Broderick. La sua preparazione è già ad un punto piuttosto avanzato, e potrebbe essere in grado di prendere il posto della sua controparte, fornendo quindi una spiegazione di comodo di cui nessuno avrebbe motivo di dubitare." Fece una pausa. "Il problema principale sono invece i cadetti Renko e Dalton: ormai hanno visto e capito troppe cose perché si possa riuscire a convincerli con una storia di copertura. D'altro canto come sa non sarebbe nemmeno nei nostri interessi eliminarli."

"Se posso permettermi, Signore, non credo che abbiano intenzione di andare a rivelare la nostra esistenza in giro, almeno per il momento."

Il suo interlocutore sollevò un sopracciglio. "Cosa le fa pensare questo?"

"Dimentica che li conosco personalmente, Signore. E secondo la mia opinione, sono troppo furbi per rischiare di esporsi direttamente in questa maniera, non prima almeno di essersi coperti sufficientemente le spalle."

"Quindi cosa suggerisce?"

"Suggerisco di non fare nulla e stare a vedere. In questo momento la paranoia potrebbe essere la migliore delle nostre armi a disposizione."

Dall'altra parte dello schermo, la figura si concesse un mezzo sorriso. "Come sempre, operativo. Come sempre..."

Intanto, in un alloggio a bordo dell'Atrevida.

Vaarik si sedette su una poltrona di fronte all'anziano vulcaniano. "Cantala ancora, nonno," disse.

Il vecchio sorrise stancamente sotto le rughe vecchie di secoli, intonando nuovamente il canto:


 

"Asch-na kalot'h whoi talh rebid,
asch-na karye-h el'us khel-bid..."

[Mai la notte dura in eterno,
né per sempre brucia il deserto...]

"Oy byrn vreekash go-lar zha ryl,
moir r'ans pree-loh zyan'tar mreentyl..."

[Dai campi arrossati si leva una voce,
il tempo squarciato da un urlo feroce...]

"Prah'lor jeerall pion-zha khel'mhor,
yaashee va'hral kant'oy gill-horr..."

[Di antichi guerrieri coperti di gloria,
il grido del corvo risveglia memoria...]

"Vaahril o'miir eldarin herr,
o khab pah'lar rre'hel ti mherr ..."

[Una spada spezzata può ancora tagliare,
e una fiamma sopita tornare a bruciare...]

"Vagh-te va'hral nyeh lonn amadh,
yesh 'ta we-relh: gaehril! valadh!!..."

[Con ali di corvo andrà incontro alla storia,
perché questo è il suo canto: libertà! e vittoria!!...]

FINE CAPITOLO