C'ERA UNA VOLTA IN ACCADEMIA

 

"Ormai abbiamo passato abbondantemente il ridicolo, siamo entrati diritti nella fantascienza più spinta" borbottò Dalton, mentre a braccia conserte osservava il palco.

"Per quanto mi sembri ben poco logico, devo darti ragione" rispose il vulcaniano seduto alla sua destra.

L'umano fece una specie di smorfia divertita. "Questo mi ripaga d'essere costretto a partecipare all'ennesima trovata balorda di De Leone; 'Dobbiamo promuovere una nuova immagine dell'accademia, bisogna modernizzarsi, attirare nuove leve' diceva, e guarda la sua brillante idea..."

"Costringere i cadetti a fare i buffoni in diretta olovisiva, con tutto il corpo insegnante a fare da giuria, ovviamente tutto in base volontaria" concluse per lui L'Amico Andoriano mentre sedeva, dando all'ultima parte della frase tutto il tono sarcastico che poteva.

"Già, e poi chiamare la manifestazione 'Amici di De Leone'... ridicolo" continuò a lamentarsi Luke.

"Un vero ossimoro" precisò Vaarik. "Ah, puoi smettere di battere quel piede, lo trovo decisamente... disdicevole."

"Va bene, va bene, mica voglio innervosirti."

Spettacoli presi da programmi olovisivi di quarta categoria, e questa dovrebbe essere l'accademia militare più prestigiosa del quadrante? Tzé... forse i romulani assumo, ma anche i packled potrebbero essere dei datori di lavoro più dignitosi.

"Dov'è andato Renko? Credevo fosse con voi" chiese l'andoriano incuriosito; Dalton si voltò e gli disse che era andato un momento in bagno, circa mezz'ora fa.

Il nuovo arrivato stava per dire qualcosa, ma fu interrotto dall'arrivo sul palco di Cobledick, scelto dall'ammiraglio in persona per essere il presentatore della serata.

Salutata calorosamente la folla (la quale capì giusto un quarto di quello che aveva detto), cominciò l'estrazione dei 'fortunati' cadetti che avrebbero perso quel minimo di dignità che era rimasto loro.

-Dai, ragazzo, le possibilità sono a tuo favore, ormai ti è capitato di tutto... il fulmine non cade due volte nello stesso punto,- pensava Luke, mentre incrociava le dita talmente forte che il sangue aveva difficoltà ad affluire.

"VengasulpalcoDalton" disse gioviale l'el-auriano, sfoggiando un sorriso sincero ed un entusiasmo quasi contagioso.

-D'altro canto, se la fortuna è cieca la sfortuna ci vede benissimo.-

L'unica magra consolazione era che insieme a lui, c'era il suo compagno di stanza, anche lui sorteggiato per esporsi al pubblico ludibrio.

Per alcuni secondi rimasero immobili, limitandosi a fugaci sguardi tra di loro, come per chiedere all'altro cosa fare.

"Possiamo sempre rifiutarci di salire su quel palco" disse con calma e sottovoce il vulcaniano.

"Per poi passare per conigli? Mai." Lentamente la voce di Dalton si fece più aggressiva, quasi rabbiosa. "Ho combattuto gli incrociatori Minbari, le orde Drakh e tutta la dannatissima burocrazia militare per anni. Ho visto leggende nascere e civiltà millenarie cadere. Ma questo è veramente troppo. Sono un ufficiale pluridecorato, non diventerò certo lo zimbello per degli obesi olodipendenti in vestaglia e con i bicchieri colmi di birra gelata." Pronunciando questa frase si alzò lentamente in piedi, mani sui fianchi e mento leggermente alzato, come se dovesse sfidare l'universo a mandargli contro il peggio che aveva, tanto lui era pronto.

"Dalton, non starai pensando di fare una cosa estremamente stupida, mi auguro?" domandò Vaarik, la sua più che una domanda era un avvertimento, visto l'ampia conoscenza che possedeva del soggetto.

Questi dal canto suo gli fece segno di non preoccuparsi, e che avrebbe risolto tutto con calma, dignità e classe.

Sebbene non molto convinto di questo, l'amico non disse o fece nulla per dissuaderlo, in quanto cominciava a trovare questa situazione esasperante oltre ogni sopportazione, e sapeva bene che il suo compagno di stanza aveva il difetto, o pregio, di far impazzire chiunque... mal comune mezzo gaudio, dicono gli autoctoni.

Intanto Cobledick faceva incessantemente segno ai due di venire verso di lui, così da venir sottoposti alla prova.

Con un sorriso tirassimo Luke e Vaarik (quest'ultimo invece con la solita espressione di fastidio esistenziale) salirono sul palco, accompagnati dallo scrosciante applauso dei loro compagni, ben felici di essere scampati a quella ridicola tortura.

Arrivati al centro del palco, le luci si attenuarono tranne un paio che si concentrarono sui due 'volontari', facendo così in modo che nessuno potesse perdere alcun particolare della loro esibizione.

"AlloracominciamodaleisignorDalton" annunciò un sempre sorridente Cobledick, mentre tirava fuori un piccolo biglietto da una busta che Ailoura, qui in veste di valletta, gli aveva appena dato.

"Scusi, prima di cominciare potrei dire qualcosa?" domandò Luke con assoluta innocenza.

"Macertamentevorràsalutareparentieamiciacasa."

-Magari potessi... bando alle tristezze, gringo, che lo show cominci!-

"No, i miei non sono i classici saluti. Volevo solo dire, di fronte a questo pubblico di gran classe, come la mia dignità di ufficiale e gentiluomo sia stata gravemente compromessa dal solo assistere a quest'orribile pagliacciata. Di come nessuna potenza seria ci prenderebbe in considerazione se vedesse i futuri ufficiali della Flotta Stellare comportarsi come dilettanti allo sbaraglio, non solo davanti a milioni di persone ma anche con il beneplacito degli istruttori. E che chiunque abbia avuto un'idea del genere dovrebbe essere appeso per i pollici al più alto pennone. In parole povere: questa manifestazione è una cagata pazzesca."

Luke aveva praticamente urlato le ultime parole talmente forte che lo avevano sentito anche sulla luna. Ci volle qualche istante perché il suo viso tornasse al colorito normale, perdendo il tono rosso fuoco che aveva prima, inoltre le vene sulla sua fronte tirarono un sospiro di sollievo, era mancato poco che esplodessero imbrattando tutto il circondario di sangue. Dopo aver fatto un respiro profondo, fece un piccolo inchino al pubblico ed alle olocamere e poi lasciò il palco, seguito a ruota da un perplesso Vaarik.

Intanto in tutta la sala regnava il silenzio più assoluto. Gli istruttori erano sorpresi e si guardavano a bocca aperta per capire cosa fare, i cadetti erano indecisi se applaudire le verità che il loro compagno aveva portato alla luce o evitare le rappresaglie che De Leone avrebbe fatto loro.

Quest'ultimo poi se ne stava silente alla sua scrivania, le mani unite a pugno su cui poggiava il suo mento, lo sguardo fisso su i due maturi cadetti che stavano tornando ai loro posti ed un sorriso cattivo stampato in faccia.

Il giorno dopo.

La bella giornata di sole aveva spinto un numero insolitamente alto di persone a fare una salutare passeggiata nel parco.

L'intera area brulicava di gente, l'aria era permeata dell'allegria dei bambini che giocavano e degli adulti che li sorvegliavano, cuccioli scorrazzavano liberamente per i prati, dove giovani coppie s'intrattenevano in romantici picnic.

Uno scenario idilliaco, almeno per quasi tutti; infatti si tende sempre a dimenticare coloro che rendono possibili questi momenti: gli indefessi lavoratori che con il loro sudore mantengono in ordine questi luoghi di divertimento.

Questi raramente riescono ad essere partecipi della festa che li circonda.

Un chiaro esempio sono i tre 'maturi' addetti alle pulizie che in quel momento stavano diligentemente ripulendo il prato dall'inquietante massa di rifiuti che lo ricopriva.

"Bambini, detesto i bambini" borbottava Luke, dopo aver urlato, per la centesima volta, a dei ragazzini di smettere di sporcare ovunque. "Ma i genitori insegnano l'educazione in questa dimensione?"

"Lo stavo pensando anch'io, comunque ti consiglio di risparmiare l'energia, siamo solo a metà dell'opera" lo redarguì il suo compagno di stanza, non distogliendo lo sguardo dal terreno nella sua incessante ricerca di rifiuti.

"Grazie per l'avvertimento" replicò l'umano in un tono che diceva esattamente il contrario.

Come al solito il vulcaniano non si degnò di ribattere.

"Per tutti i codici genetici guasti, perché sono costretto a fare questo lavoro ingrato!?" esclamò Renko, più all'universo che a qualcuno in particolare.

"Calma, dignità e classe" rispose il vulcaniano indicando poi Luke.

Quest'ultimo ribatté che al posto di lamentarsi avrebbe dovuto avere un'idea migliore, così non sarebbe dovuto venirgli dietro nel suo monologo.

-Se non lo conoscessi bene, direi che si stava divertendo a prendermi in giro... naaaaaa, dev'essere la stanchezza, il sole batte troppo forte,- pensò l'ex-pilota, osservando attentamente il suo amico.

"Va bene, ma io cosa c'entro? Non ero neanche presente eppure sono costretto a questo lavoro forzato" continuò a lamentarsi il delta gammano.

"Il capo supremo ha deciso di stare sul sicuro, così ha punito tutti gli 'impossibili', caruccio il nome che ci ha dato, anche se non credo che l'abbia inteso come un complimento... argh, e questo cos'è? Lasciate perdere non lo voglio sapere" e con una smorfia disgustata mise l'oggetto indefinito nel sacchetto dei rifiuti.

"Continuo a pensare che sia un abuso di potere" continuò Renko.

"De Leone preferisce chiamarlo 'regolare assegnazione di attività extra-scolastica obbligatoria', per me si tratta di un semplice ricatto in puro stile mafioso" sentenziò Dalton, riferendosi alle 'vaghe possibilità' d'essere bocciato paventate dall'ammiraglio se non si offriva volontario per questo compito.

"Perché non inoltri una lettera di protesta, magari in sei stili differenti; forse funzionerà" suggerì Vaarik con assoluta serietà.

"Lo farò" rispose l'amico in modo deciso e risoluto.

-A volte non capisco se è serio o fa esperimenti sul senso dell'umorismo... boh?-

I pensieri di Luke furono poi interrotti dall'operato di un piccolo cane, che prese all'improvviso il sacco contenente tutto il maleodorante raccolto e poi lo portò in giro per tutto il parco, inseguito dai volontari obbligati intenti a limitare i danni. Ovviamente riuscirono a riprenderlo quando oramai tutto il contenuto era stato sparso, in modo molto artistico e creativo, per terra.

Ci volle molta pazienza e diplomazia, da parte dei proprietari, per convincere i cadetti che i chihuahua non sono da arrostire.

Con esasperante lentezza, anche per il malaugurato trio venne il momento di smettere di lavorare, così con passo pesante si diressero verso i loro alloggi.

"Cosa facciamo adesso?" esordì Luke, allargando le braccia fino al limite fisico, nel tentativo di sgranchire le sue povere ossa. "Non è poi così tardi e non mi va d'andare a letto; non sono così vecchio."

I suoi due compagni si guardano silenziosamente in faccia per qualche secondo, anche loro avevano avuto più o meno lo stesso pensiero.

"Niente Kilowattore, troppa gente, non mi va la folla... per molto tempo" dichiarò Renko; e gli altri non poterono che essere in assoluto accordo.

"Escludiamo anche Chun, oggi c'è la 'festa dei cento giorni', ancora non capisco perché i cadetti dell'ultimo anno festeggino il fatto che mancano 100 giorni all'esame finale, mi sembra irrilevante" aggiunse il vulcaniano.

Dalton tirò un sospiro divertito. "Uno di questi giorni ti svelerò questo arcano segreto. Comunque hai ragione, Chun è off limits per oggi. Inoltre Lam è di turno, perciò non potrà certo dedicarsi a noi... e questo potrebbe essere un bonus."

I suoi due amici, per educazione e diplomazia, tralasciarono di fargli notare come il suo tono fosse apertamente dispiaciuto, di come quel noi in realtà significasse io e del fatto che quella battuta finale era sembrata estremamente forzata.

Cosa abbastanza strana per uno che di solito scappava, appena si nominava la sua 'imposta' fidanzata.

Ma una delle cose che avevano capito quasi subito, quando erano arrivati sulla Terra, era che quando si tratta di faccende di cuore gli umani diventano ancora più strani di quello che sono già, per quanto sembri impossibile.

"Ponte Ologrammi?" propose Dalton.

Gli altri annuirono subito.

"Va bene, prima una doccia calda per toglierci questo disgustoso odore e poi via, verso nuove e mirabolanti avventure" concluse l'umano sorridendo.

Ci volle un ora circa perché il trio si preparasse ed arrivasse davanti alla sala ologrammi, ed un'altra mezz'ora per decidere che programma caricare.

Alla fine decisero per 'Watling ed il senso della vita', uno scenario di natura incontaminata e di pace assoluta. Cosa che in quel momento agognavano sopra ogni altro bene, così da allontanarsi, anche solo per qualche ora, dall'accademia e dalle iniziative al limite della razionalità.

All'interno della sala ologrammi

"Ahhhhhh questa è vita, sole, aria pura, uccellini che cantano e nessun ammiraglio con idee assurde, nessun tipo delle investigazioni temporali, niente importuni ma soprattutto... non toccherà pulire a noi!" esclamò Dalton, sedendosi stancamente sul fianco di un grosso albero dalle ampie fronde, così da usare la sua ombra per ripararsi dal sole e potere riposare.

"Devo essere concorde con te, Dalton, è da un periodo di tempo troppo esteso che non abbiamo, come dite voi? un momento di respiro" aggiunse il vulcaniano ponderando di copiare il compagno di stanza.

"Parole sante" concluse lui, facendo seguire quella frase da un enorme sbadiglio.

-Alla faccia del vecchietto arzillo, oh beh al diavolo.-

"Sapete, secondo il computer, nelle vicinanze dovrebbe esserci un accampamento indiano, non siete curiosi di vederlo?" domandò Renko, che in quel momento era di certo il più sveglio.

"Perché mai? Qui si sta da Dio" disse l'umano crogiolandosi nella frescura.

"Non sei almeno un po' curioso di rivivere un pezzo di storia della tua terra dei tuoi antenati?" continuò il delta gammanno, mentre cercava tracce del presunto villaggio.

"Il mio cognome si dovrebbe pronunciare Daltòn, mio nonno era belga; decise di modificarlo per integrarsi meglio su Orione, dove il 90% della popolazione proveniva dal Nord-America, perciò a meno che in quel villaggio non si cucini il cinghiale od arrivino un paio di legioni romane, non credo che m'interessi" e con quelle parole socchiuse gli occhi, cercando di portare la mente verso pensieri piacevoli.

Dal canto suo il 'frullato genetico' osservava a braccia conserte e con sguardo leggermente di rimprovero il suo amico.

"Puri, mai che riescano a vedere oltre il proprio piccolo giardino" borbottò fra sé e sé l'ibrido.

Proprio in quel momento, in cui la pace regnava e tutti avevano l'anima rivolta altrove, il destino fece capolino per rovinare tutto.

Lo fece nelle vesti di una freccia che si conficcò nell'albero dove si stava riposando Luke, per la precisione a pochi centimetri dal suddetto cadetto.

Immediatamente il trio uscì da quello stato di semi-torpore e rivolse tutta la sua attenzione a colui che aveva lanciato l'oggetto: un indiano vestito di pelle e con l'aria ben poco amichevole, che per l'appunto aveva incoccato un'altra freccia, per poi puntarla sui nuovi arrivati.

"Ma non doveva essere un programma tranquillo e rilassante?" sbraitò Luke verso il povero Renko, per poi accorgersi dell'espressione stupita che aveva stampata in faccia, ed anche il beccamorto sembrava a disagio, era come basito... almeno così l'interpretava lui.

"Dovete dirmi qualcosa?" domandò l'umano leggermente irritato.

Intanto l'intruso cominciava a comportarsi in modo molto strano, sembrava che li avesse riconosciuti o meglio sapeva da dove venivano.

-Questo non è bene.-

"Non l'avete riconosciuto? È Runs-in-the-rain Watling, possibile che non abbiate sentito la sua storia? Di come sia rimasto intrappolato nel ponte ologrammi? È una storia abbastanza famosa" disse Renko, non tentando nemmeno di nascondere l'eccitazione per quella scoperta.

-Ahia, adesso abbiamo contro pure le leggende urbane.-

"Avevo sempre pensato che fosse solo una fantasia, gli umani hanno un'insana passione per spaventarsi con storie dai risvolti orrorifici" rispose il vulcaniano con nonchalance.

"Ed adesso?" s'intromise il terzo, cercando di non maledire troppo l'universo che non permetteva neanche ad una piccola scampagnata nel ponte ologrammi di rimanere noiosa.

A rispondere fu Watling: "Ah, che bei tempi..." La sua espressione si era improvvisamente addolcita e l'arco ora puntava leggermente verso il terreno. "Ho nostalgia dell'Accademia. Portatemi con voi."

Renko tentò di parlamentare con lui, cercando di fargli capire che rischiava di scomparire, in quanto era un programma generato dal computer, purtroppo il soggetto risultava impervio ad ogni tentativo di ragionare. Voleva uscire da lì, ad ogni costo, anche la pellaccia di tre cadetti.

"Non ho paura di nulla" furono le sue ultime parole, seguite immediatamente dall'arco che riprendeva la sua posizione originale, cioè puntato verso di loro.

Questi, dal canto loro, dopo aver chiesto del tempo per farlo, cominciarono a confabulare cercando di trovare una scappatoia a questa situazione.

"Chiamiamo l'arco ed usciamo, soluzione semplice" propose Vaarik.

"Ma Watling? Se chiudiamo il programma potrebbe sparire" s'oppose Renko.

"Non è un mio problema" fu la risposta del vulcaniano.

"Puoi parlare tranquillamente al plurale" s'aggregò Luke, non distogliendo lo sguardo da Runs-in-the-rain.

"Cosa state confabulando? Ho detto di mostrarmi l'uscita" urlò minaccioso lui, tendendo ancor di più l'arco.

"Renko, i protocolli di sicurezza sono attivi?"

"Non ne sono sicuro, Luke, definire anomalo questo programma è dire poco."

"Non è necessario perdere la speranza adesso, dopotutto noi siamo in tre e lui è uno solo" sentenziò Dalton, già pronto a menar le mani.

Proprio in quel momento dai cespugli uscirono una dozzina di guerrieri indiani, tutti armati fino ai denti e con gli occhi puntati verso di loro.

-Le ultime parole famose... dio, come detesto questi momenti- pensò Luke, mentre desiderava sprofondare.

Decidendo che resistere era una mossa controproducente, i cadetti alzarono le mani e non opposero resistenza. Gli indiani, dal canto loro furono di ben poche parole, li legarono e li portarono senza complimenti al loro villaggio.

Bisogna dire che l'arrivo di tre stranieri vestiti in modo decisamente assurdo, almeno per i loro standard, fece molto scalpore nell'altrimenti quieto villaggio.

Gli adulti fermavano di colpo il lavoro, per osservare meglio i nuovi arrivati, il tutto con timore misto a curiosità. I bambini, d'altro canto, vedevano solo una piacevole novità e giravano intorno a loro (ormai legati a dei pali al centro di quel posto) con sguardi meravigliati, oltre che per schernirli e fare domande assurde e ripetitive. Infine le vecchie donne parlottavano tra di loro, alcune dando occhiate di disapprovazione nella loro direzione ed altre facendo segni che i cadetti interpretarono come scongiuri.

In fondo è comprensibile, piccoli villaggi come questo tendono ad essere universi chiusi in se stessi, isolati e superstiziosi ove le novità sono viste più che altro come un pericolo, cosa che non sfuggiva assolutamente né ai tre e né a Watling.

Ormai era quasi calata la notte, ed il consiglio degli anziani ancora stava decidendo cosa fare di loro.

Intanto la causa di tanta costernazione era anch'essa abbastanza impegnata...

"Credete che ci daranno da mangiare?" A parlare era stato Dalton, più per rompere il silenzio che ormai durava da troppo tempo che per avere una risposta effettiva, anche se a dire la verità il suo stomaco cominciava a brontolare.

Vaarik si limitò ad inarcare un sopracciglio, Renko invece si degnò di rispondere: "Non credi che abbiamo problemi più pressanti?"

"Cerco di sdrammatizzare, non t'arrabbiare. Anche se bisogna ammettere che rischiare di crepare a causa di ologrammi impazziti, beh dopo quello che abbiamo passato è abbastanza ridicolo" concluse Luke abbozzando un sorriso, che sparì subito appena sentì una voce provenire dalle loro spalle.

Era Watling, cosa che non li sorprese affatto, venuto a liberarli in quanto unica sua speranza d'uscire.

Per questo aveva fatto allontanare la guardia con una scusa, e tra molte difficoltà li aveva portati in un piccolo tepee oltre la foresta. Un luogo che solo lui conosceva e dove sarebbero stati al sicuro, cosa che i cadetti apprezzarono molto.

"Preparate un fuoco, fra poco sarà freddo, inoltre credo che questi li preferiate cotti" disse l'indiano, tirando fuori da chissà dove un paio di bei conigli, pronti per essere divorati.

Sia l'umano che Renko non se lo fecero ripetere una seconda volta, ed in breve recuperano il necessaire per la cena. Il vulcaniano invece preferì rimanere in disparte, in quanto non gradiva il menù della giornata e preferiva occupare il suo tempo alla ricerca di qualche soluzione al loro problema.

"Ahhh, ragazzi, ci voleva proprio una cenetta vecchio stile... anche se è materia olografica mi è parsa buonissima" si pronunciò Luke mentre finiva di spolpare le ossa del coniglio.

Il delta gammano scambiò uno sguardo con Runs-in-the-rain e poi sorrisero

"È la fame quella che ti fa parlare" disse il primo "in una situazione diversa saresti stato un critico ben più severo."

"Probabile, ma per adesso rimango della mia opinione" e con quelle parole gettò per terra l'osso ormai pulito. "Dimmi, Watling, come diavolo sei finito qui dentro? Renko mi ha accennato qualcosa, ma è sempre materiale di seconda e forse terza mano, preferirei sapere tutto dal diretto interessato, se non ti dispiace naturalmente."

"No, no, in fondo ne avete tutto il diritto e poi mi farà bene raccontarla."

Così l'ex-cadetto, o qualsiasi cosa si credesse lui, cominciò a raccontare di come si sentisse perduto, fuori posto e di come fosse andato in sala ologrammi per cercare un momento di tranquillità. Poi l'incidente, non era sicuro di come fosse successo, forse aveva esasperato il Grande Spirito, o semplicemente era stato il destino, ma ora era qui e voleva tornare all'Accademia, dalla sua vera tribù.

Dopo aver concluso il racconto, uscì a prendere una boccata d'aria, anche perché seppur ricca di particolari, la storia non era riuscita a far venire in mente alcuna idea per farlo uscire da lì.

In breve fu seguito da Vaarik e da Renko, anche loro alla ricerca dell'illuminazione, così Luke rimase solo nella tenda, a rimuginare su quell'assurda situazione.

"La fa semplice il frullato. 'Bisogna aiutarlo' dice, ma come diavolo possiamo? Non sappiamo neanche noi come uscire senza farlo sparire e a momenti i suoi amichetti ci facevano la pelle... bella situazione." Parlava più con se stesso che ai suoi amici, lì a gambe incrociate a fissare il fuoco, quasi in trance.

"Povero diavolo, intrappolato in posto irreale, senza alcuna possibilità di tornare a casa, di completare la tua missione, di sapere qualcosa della tua famiglia... ti capisco, ragazzo, oh se ti capisco." Ormai la sua voce era un sibilo appena percettibile. "Tranquillo, ragazzo, non verrai abbandonato" e con quella che pareva una solenne promessa, s'accasciò per terra, addormentandosi all'istante e sognando un posto molto lontano eppur molto vicino.

Il suo sonno non durò a lungo, infatti fu svegliato in maniera abbastanza brusca. Aprendo gli occhi vide il loro ospite prendere in mano una specie di pipa e del tabacco, o almeno credeva che lo fosse.

"Fumiamo" annunciò.

"Adesso... cosa?" chiese Renko, preso in contropiede da quella strana offerta. Questo fece notare a Dalton che erano presenti anche i suoi compagni di mille disavventure.

-Oh mamma... santo John Ford, aiutami tu.-

Watling, mentre preparava la pipa pazientemente, spiegò come l'atto di fumare fosse un'offerta, in modo che le parole, portate in alto dal fumo, fossero ascoltate dal Grande Spirito.

La prima boccata fu ovviamente dell'indiano, dopo, con gesto lento e calcolato, passò la lunga pipa a Renko, questi aspirò profondamente per un paio di volte. Dopo aver inalato per bene la porse a Luke, ripetendo lo stesso gesto solenne con cui l'aveva ricevuta.

-Quando sei a Roma...-

Sfoggiando il sorriso delle grandi occasioni, Luke prese delicatamente l'oggetto e lo portò alla bocca, diede due boccate e quasi subito sentì il suo petto bruciare.

-Santo cielo che diavolo è questa roba?!?-

Con un notevole sforzo riuscì a non sputare i polmoni per terra, limitando i danni al colore rosso intenso del volto ed alla fronte imperlata di sudore, riuscendo anche a porgerla al vulcaniano senza problemi.

Quest'ultimo parve esitare, almeno per qualche istante ma poi accettò l'offerta e prese anche lui alcune boccate di fumo. Con il risultato di tossire via anche l'anima di fronte a tutti.

-Solo questo vale tutti i guai capitati,- pensò Dalton, trattenendosi dal ridere, non gli andava di infierire sull'amico e fu contento che anche Renko avesse avuto la stessa idea.

Vaarik comunque si riprese subito, stupito che nessuno avesse riso, e riconsegnò la fonte del suo malessere al legittimo proprietario. In breve l'intero tepee fu avvolto da una sottile nebbiolina, il cui odore acre e dolce allo stesso tempo permeava tutto.

Luke si ritrovò incapace di parlare, no, meglio, poteva parlare ma le frasi che pronunciava gli sembravano estranee, come se le dicesse qualcun altro, inoltre la sensazione di vertigine aumentava sempre di più. Fu un attimo, un momento era lì a guardare il fuoco e l'altro fu come trascinato fuori, fuori dal suo corpo e spinto in alto verso le stelle.

L'ultima cosa che vide prima d'ascendere fu il fuoco e coloro che gli stavano attorno, compreso se stesso.

-Sto ingrassando, credo dovrò mettermi a dieta.-

Il viaggio fu immediato ed eterno, ma finalmente finì quando si trovò ad uscire da sottoterra a mani nude.

-Ma non stavo salendo?-

Il cadetto si guardò attorno, cercando di scorgere qualche traccia di civiltà e vedendo solo un enorme distesa desertica estendersi quasi all'infinito, mentre il calore del sole infuocato cominciava a colpirlo spietatamente.

Voltandosi per dare un'altra vana occhiata rimase pietrificato nel vedere quello che sembrava un grosso cane, proprio davanti a lui; immobile, muto, i suoi grandi e profondi occhi neri era come se oltrepassassero la carne e puntassero diritto all'anima.

"Ehi, ma tu non c'eri prima, forse è il sole che comincia già a farmi vedere miraggi. Bel cagnolino, no scusa, tu sei un coyote... cosa vuoi?"

Luke non aveva mai visto quel genere d'animale prima d'ora, e non si preoccupò nemmeno di capire come l'avesse riconosciuto, si limitò a seguirlo quando questi andò via.

Non immaginava nemmeno da quanto tempo stesse camminando, il paesaggio era sempre uguale ed il sole sembrava non muoversi mai, non sapeva nemmeno perché stesse facendo quella passeggiata, sapeva solo di doverla fare.

Alla fine l'animale raggiunse un piccolo bosco, si fermò un momento, come per controllare che lo stesse ancora seguendo, poi vi si addentrò.

Dalton si bloccò al limitare del bosco, c'erano rovi di spine ovunque, talmente stretti che perfino l'aria aveva difficoltà a passare.

-Adesso?-

In quel preciso momento sentì un ululato, era strano, quasi un richiamo.

"Arrivo, arrivo" e con quelle parole s'addentrò nel verde; le terribili spine divennero come un denso fluido e gli sembrò come di nuotare nella melassa, ma alla fine superò tutto... per ritrovarsi davanti alla biglietteria di un cinema.

Il coyote era lì, davanti all'ingresso della sala in attesa di una sua mossa.

"Uno grazie" domandò alla bigliettaia, poi entrò nella sala con l'animale al suo fianco.

Sembrava essere presente solo lui.

-Avrà ricevuto delle pessime critiche. Forse avrei dovuto prendere del pop-corn.-

In quel momento le luci si spensero e Luke si sedette nel primo posto che gli capitò, con al fianco l'animale che intanto affondava il muso in un enorme cesto di popcorn.

"Vedo che tu sei stato previdente. Posso?"

Mentre allungava la mano, il coyote cominciò a ringhiare, facendo così capire al cadetto che non voleva dividere.

"Spilorcio. Oh beh, tanto il film inizia."

Lo schermo gigante s'illuminò ed apparve, a lettere cubitali, il titolo del film:



'Luke Dalton: vita, opere e misfatti'

regista, produttore e attore protagonista: Luke Dalton.



-Sembra interessante.-

La storia gli era familiare, come sempre. Velocemente passò l'infanzia, risalto fu dato agli anni scolastici dove il carattere del protagonista si formò. Inoltre i bambini che combinano scherzi, di solito cattivissimi, agli adulti fanno sempre cassetta, almeno dai tempi di Tom Sawyer.

-È sempre un piacere vedere come il povero preside s'arrabbiava, credo che sia una fortuna che non gli sia mai venuto in infarto.-

Il film proseguì fino alla turbolenta adolescenza, quando i figli mettono in discussione l'autorità dei genitori. Queste cose vengono solo esacerbate quando s'intromettono anche le questioni religiose.

Infatti sullo schermo si vedeva un giovanotto distruggere una specie di soprabito bianco, mentre un tipo grasso e pelato ed una signora da i lunghi capelli blu guardavano ammutoliti e scandalizzati.

I litigi divennero sempre più feroci e frequenti, fino a che l'eroe non lasciò casa e si arruolò nell'esercito.

-Per adesso è il classico film di formazione, oltremodo prevedibile oserei dire.-

All'improvviso ci fu una serie di battaglie ed esplosioni: la guerra era arrivata.

La gente del protagonista era disperata. Il nemico, invincibile e spietato, mirava solo ad una cosa: la distruzione, la loro distruzione totale.

Ed eccoci arrivati nell'ora più buia, nel momento più disperato.

"La Battaglia della Linea" recitò la voce fuori campo "l'ultima battaglia della guerra contro i Minbari. Lo scopo di quei soldati non era vincere, anche perché impossibile, ma solo guadagnare tempo in modo che sacrificandosi altri sarebbero potuti scappare."

-Riposate in pace, amici miei, siete andati ma mai dimenticati.-

Eppure, quando tutto sembrava perduto, quando rimanevano solo un pugno di navi tra l'azzurro pianeta e la notte incombente, questa si ritirò.

La razza umana aveva un'altra possibilità.

Di seguito arrivarono le promozioni, la depressione e gli atti di ribellione.

-Tipico senso di colpa del sopravvissuto, aggiungiamoci anche il dover fare dello sporco ma necessario lavoro e completiamo l'opera. Comunque è una pessima ricostruzione, le rivolte marziane non andarono in quel modo... tsé, registi, cosa non farebbero per lo spettacolo.-

Quando l'eroe sembrava aver toccato il fondo, ecco arrivare l'amore.

-E ti pareva.-

Prima un immediata e salda amicizia che con il tempo sbocciò in un sentimento sincero, qualche piccola schermaglia, le solite incomprensioni e l'obbligatoria pace. Poi il grande giorno, quello che avrebbe dovuto essere il più felice della loro nuova vita.

Ma ovviamente deve diventare una tragedia, perché proprio quel grande passo aveva costretto la donna a fare una ricerca, quella di se stessa. Capendo che non era quello che voleva, che non era il suo vero io. Si stava sposando per la sua famiglia, perché era quello che s'aspettavano e perché temeva che non l'avrebbero accettata per quel che era veramente.

-Il cuore infranto, povero piccolo? Bleah, patetico e totalmente irreale.-

Il lavoro diventò il suo unico credo, poi l'incarico che avrebbe cambiato tutto.

Una stazione diplomatica, il suo nome nasce da una leggenda con la speranza che anche lei lo diventi.

E lo schermo venne riempito dall'immagine di un tubo di lucente metallo, circondato da piccole navi ed illuminato dai raggi di un antico sole.

-Più bella di quanto ricordassi, oh mio splendore, non hai idea di quello che hai fatto.-

E la storia prese un'altra piega: guerra, intrighi, tradimenti erano all'ordine del giorno, ma impallidiscono di fronte all'epico conflitto tra l'ordine ed il caos che presto dominò la trama.

E come in ogni buona storia i buoni vinsero, anche se a caro prezzo.

C'erano ancora guerre ed intrighi, ma c'era anche la speranza che il ciclo finisse.

Nell'ultima parte una nuova svolta, un'altra donna entrò nella vita del protagonista, anche se in modo molto fortuito e rocambolesco.

-Ma cosa ci vedrà quella dolce ragazza in un immaturo vegliardo che non vuole impegnarsi ancora, terrorizzato dall'idea che la storia si ripeta?-

Ma poi una nuova tragedia, servi dell'antico nemico, ebbri di sogni di gloria scatenarono il loro attacco.

La terra era in pericolo, contaminata da un virus di cui non si conosceva la cura. Ora la missione era una soltanto, trovarla ad ogni costo.

L'ultima scena che Luke vide fu un duello tra caccia e poi una luce abbagliante, il film finì così.

-Cosa?-

"Signore, dovrebbe uscire stiamo per chiudere"- la voce provenne dalle sue spalle, si trattava della maschera che gentilmente gli indicava l'uscita.

Il coyote lo precedette, saltando giù dalla sedia e correndo via, con Luke che si lanciava all'inseguimento.

Una volta lasciata la sala, il cadetto si ritrovò in un campo di grano. Davanti a lui c'era uno spaventapasseri con indosso la divisa dell'Accademia, ai suoi piedi stava accucciato, con aria annoiata, l'animale.

All'improvviso sentì una brezza provenire dall'alto, alzando la testa gli parve di vedere qualcosa di simile ad un drago, scagliarsi indomito verso il sole, ma fu solo un attimo. Una volta riportata la sua attenzione allo spaventapasseri, vide che sulla sua spalla si era posato uno strano corvo, nero come la notte, che fissava in modo strano il coyote. Questo dal canto suo fece un ululato, non di sfida, non aggressivo, ma quasi di rassegnata sopportazione; poi veloce com'era arrivato, l'uccello andò via.

-Ma cosa significa tutto ciò?-

Proprio in quel momento si sentì improvvisamente pesante, come se il peso del mondo ricadesse su di lui. Il paesaggio cambiò radicalmente, ora era come se fosse tutto composto di linguaggio macchina. Rimanevano solo i contorni, l'essenza era diventata una serie di stringhe verdi in continuo movimento.

-Ed adesso?-

La figura che assomigliava al coyote mutò, prendendo una forma vagamente umanoide, poi con la voce di Watling parlò: "Chi sono? Cosa voglio? Dove vado? Perché sono qui? Lo sai?"

Dalton pensò che fosse frutto della sua immaginazione, ma gli era parso di scorgere un sorriso in quell'essere.

Poi come era iniziata finì e si ritrovò nel tepee insieme ai suoi amici, stanco, sudato e soprattutto affamato.

Alcuni minuti dopo il trio si trovò a fissare le stelle, scambiandosi opinioni su quello che avevano visto.

Ora avevano la risposta alla domanda, purtroppo li eludeva come rivelarla al diretto interessato.

La decisione fu loro tolta quando Watling li raggiunse, ansioso di sapere cosa avevano visto. La sua speranza fu fatta in microscopici pezzi quando, nel modo più diplomatico possibile, gli rivelarono che lui non era il vero cadetto, ma un programma che aveva la maggior parte dei suoi ricordi. Il computer aveva poi sostituito quelli persi con quelli più somiglianti che aveva in memoria.

Come è ovvio che sia il poveretto non prese molto bene la rivelazione e si ritirò nella sua tenda fumante di rabbia.

"Cosa facciamo?" domandò Renko, ma purtroppo non ottenne nessuna risposta.

Per un tempo non definibile rimase chiuso nella sua tenda, ma quando ne uscì sembrava un uomo nuovo, quasi avesse avuto le risposte alle sue domande.

Aveva accettato il fatto di essere composto di materia olografica, aveva cercato di risolvere un 'piccolo' quesito: sapere in che mondo doveva vivere, se rimanere in un mondo fittizio o tentare di andare in un luogo che ormai non gli apparteneva più.

Dopo aver dato un'ultima occhiata alle stelle si voltò verso i cadetti.

"Ebbene la risposta è..." poi sparì, tutto sparì: gli alberi, il tepee, il cielo... tutto. Al loro posto ora ci stava la parete nera ed arancione del ponte ologrammi.

Lasciando così tre confusi cadetti a guardarsi tra di loro, cercando di capire cosa stesse succedendo.

La risposta venne nelle vesti di un paio di tecnici che entrarono in quel momento nella sala.

"State bene?" chiese uno dei due con aria serena.

Subito furono subissati dalle richieste dei tre di riaccendere il ponte, in modo che 'potesse fare la sua scelta'. Purtroppo quando dissero chi, i tecnici non riuscirono a trattenere un sorriso di scherno, a dir la verità non ci provarono neanche.

"Altri visionari" disse il più alto dei due.

"Già, c'è sempre qualche novellino che dice di aver visto il leggendario Watling od il suo fantomatico programma. Se date un'occhiata all'elenco, magari da sobri, vedrete che non è in lista nessuno con il nome 'Watling ed il senso della vita' " continuò a schernirli quello basso e grasso.

Purtroppo i continui tentativi di convincere i due che stavano dicendo la verità, servì solo a scatenare altri moti di scherno. Tanto che Renko e Vaarik furono quasi costretti ad impedire a Luke di praticare un operazione di chirurgia plastica, senza anestesia, sui due buontemponi.

Fortunatamente la discussione fu interrotta dall'arrivo del Rettore D'Elena.

Anche a lui fu raccontata per filo e per segno l'avventura con il cadetto scomparso, ed anche lui accolse la notizia con educato scetticismo e consigliò loro di tornare a casa: si sarebbe occupato lui di questa faccenda.

Certo il ricordo del fallimento nel salvare Watling era sempre doloroso, tutti questi 'avvistamenti' non facevano altro rigirare il coltello nella piaga. Nonostante questo diede ordine ai tecnici di fare un controllo approfondito di quella sala, così da trovare ogni anomalia. Questi protestarono, dichiarando che era inutile perché non avrebbero trovato nulla. Sebbene lo sapesse anche lui, il Rettore diede lo stesso quell'ordine, almeno la sua coscienza avrebbe avuto un po' di pace.

I cadetti dal canto loro decisero che era il momento di tornare nei loro alloggi, o meglio in un unico alloggio, in quanto si riunirono dalla strana coppia per bere qualcosa e discutere di quello che era successo.

Varie ipotesi furono fatte, su come era possibile che non ci fosse alcuna traccia, di come altri affermavano di averlo visto e che sembrava avesse una volontà propria, andando da coloro che si sentivano sconnessi con la realtà che li circondava.

L'ultima teoria l'ebbe Dalton, probabile risultato di troppi bicchierini di liquore. "E se fossimo noi la fantasia? Se tutto questo fosse un immenso programma volto a divertire qualcuno? Saremmo vivi? Reali?"

"Luke, credo che tu abbia alzato troppo il gomito" lo redarguì il delta gammano.

"Sono serio" disse mentre si versava un altro bourbon.

"Anch'io. Ma per rispondere alla tua domanda: pensiamo di essere reali, quindi siamo reali, almeno finché manterremo quest'idea. Almeno così sembrava pensarla il nostro amico."

"Se mi ferite non sanguino? Se m'insultate non mi dovrei offendere?" disse all'improvviso il vulcaniano.

"L'ho sempre detto che sei uno shakespeariano. Signori, un brindisi." Luke alzò il bicchiere al cielo, aspettando che i suoi compagni facessero lo stesso, poi con un sorriso triste inneggiò: "Agli amici assenti, ovunque siano."

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