TEOREMA D'ACCUSA

PARTE UNO: MOVENTE

Caffetteria dell'Accademia della Flotta Stellare, San Francisco, Terra.
Dieci giorni fa.

Vaarik stava seduto con i gomiti appoggiati sul tavolo e i polpastrelli uniti di fronte alle labbra. Quella posizione non aveva nessun significato particolare, dava però l'impressione che il vulcaniano stesse riflettendo su qualcosa di molto profondo, e lo proteggeva quindi dagli inopportuni tentativi di conversazione di tutti gli altri cadetti.

"Ohilà, beccamorto. Come va quest'oggi?"

Be', quasi tutti. "Fino a qualche secondo fa avrei potuto dire che andava tutto bene, Dalton. Ora purtroppo non è più così."

"Simpatico come sempre, eh?" lo rimbeccò l'umano con una smorfia. "Per tua fortuna sono uno spirito allegro, altrimenti una volta o l'altra potrei anche offendermi."

Vaarik stava per rispondere all'affermazione di Dalton quando qualcosa, o meglio qualcuno, attirò la sua attenzione. Sollevò lo sguardo, trovandosi di fronte ad un alieno dall'aspetto piuttosto bizzarro che lo fissava.

"Sei tu Vaarik il vulcaniano?"

La voce dell'alieno era bassa e distorta, come se fosse stata sottoposta ad un effetto di riverbero. Il tono era freddo e impersonale, ma non meccanico come quello di una macchina: istintivamente Vaarik visualizzò l'immagine di qualcosa di molle, viscido e bianchiccio, come la pelle di una seppia.

"Chi lo vuole sapere?" domandò Vaarik in tono accuratamente neutro, studiando però con attenzione il suo interlocutore.

"Io," rispose l'alieno, che evidentemente non era disposto a rivelare molto di più su di sé. "Dobbiamo parlare."

La sua apparizione aveva intanto attirato l'attenzione di tutti quelli che erano seduti vicino al vulcaniano: l'alieno lanciò quindi un'occhiata significativa agli altri cadetti, proseguendo sottovoce. "Meglio soli."

Vaarik osservò per qualche secondo l'alieno con tale intensità quasi da penetrare direttamente nella sua testa, poi si alzò lentamente dal tavolo.

"Andiamo," disse, e nulla più.

Gli altri cadetti osservarono il vulcaniano allontanarsi verso un angolo del locale insieme all'alieno, scambiandosi alcune occhiate perplesse.

Intanto Renko stava tornando al tavolo portando alcune tazze di caffè. "D'accordo, Luke, proviamo la miscela che decanti tanto..." poi vide gli sguardi degli altri e li seguì fino all'angolo dove Vaarik e l'alieno stavano discutendo a bassa voce. "Chi è quel tizio? Non è un cadetto."

"Mai visto prima," rispose Luke, cupo. "È venuto qui dicendo di voler parlare in privato con il beccamorto."

Intanto però la conversazione tra i due si stava surriscaldando. L'alieno era sempre più concitato, e stava gesticolando in maniera significativa in direzione di Vaarik. Al contrario il vulcaniano sembrava sempre più impassibile e sempre più freddo, ma chi lo conosceva bene sapeva che quello non era affatto un buon segno. Da quella distanza non potevano sentire chiaramente cosa si stessero dicendo, ma da alcuni brandelli di frase dell'alieno non sembrava affatto una conversazione amichevole.

"Ho scoperto il tuo gioco," stava infatti dicendo lo sconosciuto. "Negare non servirà a nulla."

"Non so di cosa tu stia parlando," aveva risposto Vaarik, infastidito.

"Davvero? Non ti interessa il fatto che potrei rivelare a tutti chi sei realmente? Potrei rovinarti la carriera."

Renko e Dalton si scambiarono uno sguardo allibito, ma prima che potessero sentire altro Vaarik era già scattato in avanti come un serpente a sonagli, afferrando l'alieno per il bavero della tunica e sbattendolo contro il muro alle sue spalle. "Ti consiglio caldamente di interrompere questa conversazione," sibilò il vulcaniano con voce pericolosa, premendo l'avambraccio contro la gola dell'alieno fino quasi a soffocarlo. "Altrimenti potrei essere costretto a prendere dei provvedimenti per impedirti di importunarmi nuovamente."

Di fronte a quella scena ogni conversazione nelle vicinanze si interruppe bruscamente, facendo calare nel locale un silenzio innaturale mentre ogni singolo cadetto si voltava ad osservare i due con sguardo sbalordito.

Dalton e Renko si alzarono in piedi per intervenire, ma nel frattempo Vaarik aveva già lasciato andare l'alieno, allontanandosi di un passo.

"Ora me ne vado," disse lo sconosciuto, con la voce ancora più arrochita per il trattamento subito. "Ma non finisce qui," sibilò, poi girò sui tacchi e uscì dalla porta della caffetteria senza guardare in faccia nessuno.

Intanto Vaarik si stava sistemando l'uniforme con gli occhi bassi, come se con il suo comportamento tentasse di convincere chi lo stava guardando che non era successo nulla di importante. Prima che potessero aprire bocca passò di fianco a Renko e Dalton senza avere il coraggio di guardarli in faccia, ma sentendo comunque il loro sguardo severo e preoccupato.

Il vulcaniano si voltò dall'altra parte, avvicinandosi ad un replicatore ed ordinando la sua colazione come se niente fosse: tre fette di pane, una porzione di marmellata di gespar e una tazza di tevesh fumante.

"Allora?" domandò l'umano, quando fu chiaro che il vulcaniano non avrebbe rivolto loro la parola per primo.

"Allora cosa?" rispose Vaarik, tentando di girare attorno ai due cadetti per tornare al suo tavolo.

"Chi era quel tizio?" rincarò Dalton, marcando stretto il vulcaniano.

"Non ne ho idea."

"Come sarebbe a dire che non ne hai idea? Che cosa voleva?"

Vaarik si costrinse a guardare negli occhi l'umano mentre rispondeva. "Te lo ripeto, Dalton: non ne ho idea. Sicuramente mi ha scambiato per qualcun altro. Ora se permetti vorrei consumare la mia colazione, visto che finora ho già perso fin troppo tempo."

Detto questo il vulcaniano si chiuse dietro ad un ostinato mutismo, rifiutando di dire alcunché mentre spalmava metodicamente la marmellata di gespar sulle sue tre fette di pane.

In quello stesso momento, dall'altro lato del tavolo, un'altra persona aveva osservato con estrema preoccupazione tutta la scena, una persona che si trovava di fronte alla concreta possibilità che tutto ciò per cui aveva lavorato da tre anni a questa parte fosse sul punto di andare in frantumi.

Da qualche parte nella città di San Francisco.
Quello stesso giorno.

Non le era mai piaciuta l'oscurità. Era una cosa strana per una della sua razza, da sempre più a suo agio nelle tenebre rispetto che alla luce del sole.

Per lei non era così. Amava la luce, il sole, l'estate, sentire i raggi del sole sulla faccia, avvertire la carezza del vento caldo e profumato sulla pelle.

Eppure aveva scelto di lavorare nell'ombra, di dedicare ad essa la sua vita. Poteva sembrare un paradosso, ma non era così. Come aveva avuto modo di osservare, allearsi con le tenebre era spesso l'unico modo per riportare la luce nei luoghi dove si era spenta.

"Benvenuta. La stavamo aspettando." La voce priva di ogni inflessione sembrò provenire da ogni lato, come se si fosse materializzata dal buio che la circondava come ombra liquida.

"Grazie, Signore. Suppongo che abbiate ricevuto il mio rapporto."

"Certamente. La Commissione è molto preoccupata per quello che è successo."

"Lo immagino, Signore. Siamo in presenza di una situazione potenzialmente esplosiva."

"Dice bene, operativo," intervenne una seconda voce, anch'essa proveniente dalle tenebre ma dal tono più duro e rabbioso. "L'intera sicurezza del progetto potrebbe essere stata compromessa!"

"Io non sarei così rapido nel saltare alle conclusioni, Generale," disse una terza voce, femminile questa volta, completando così il coro delle voci disincarnate, "È improbabile che un singolo sia riuscito a individuare da solo gli obiettivi del nostro progetto partendo da qualche notizia di seconda mano. L'ipotesi più probabile è che questo individuo abbia semplicemente fiutato qualcosa di grosso e che ora voglia tentare di ricavare il più possibile da quello che ha scoperto."

"Sono d'accordo," disse la prima voce. "Tuttavia non dobbiamo dimenticare che in qualche modo questo individuo è riuscito quantomeno a risalire al soggetto, il che significa che ci troviamo di fronte al rischio concreto di una fuga di notizie."

"Questo è uno scenario molto preoccupante," disse la voce del Generale, dopo un momento di esitazione. "La segretezza è alla base del nostro progetto. Se il nostro piano venisse allo scoperto, tutto ciò per cui abbiamo lavorato per anni sarebbe perduto."

"Ne siamo tutti consapevoli, Generale. Se non interveniamo al più presto, altri potrebbero venire in possesso di quei dati. Persone molto pericolose. La nostra priorità è rintracciare la falla nella nostra rete di sicurezza, ed eliminarla nel più breve tempo possibile."

Qualcosa le diceva che quelle ultime parole erano rivolte a lei.

"Quali sono i miei ordini, Signore?"

"Trovi quell'alieno. Al momento è la nostra unica traccia per risalire alla fonte della fuga di notizie. Prenda contatto con lui, e scopra come ha avuto accesso alle informazioni."

"E nel caso non si riveli disposto a collaborare?"

"Usi qualunque mezzo le sembrerà necessario. Le raccomando comunque la massima prudenza: la Commissione è ansiosa di chiudere questa faccenda nella maniera più silenziosa possibile."

"Sì, Signore. Le ricordo però che la discussione è avvenuta di fronte a parecchi testimoni, e sarà quindi piuttosto difficile evitare un po' d'attenzione da parte degli altri cadetti. Soprattutto di un paio di questi."

La voce esitò impercettibilmente, come se si fosse già fatta da sola molte altre volte quella stessa domanda, e avesse infine trovato la risposta che cercava. "Abbiamo già avuto modo più volte di osservare la tendenza del soggetto di finire in un modo o nell'altro al centro dell'attenzione," rispose quindi, quasi con condiscendenza. "Ma in definitiva è proprio per questo che è stato scelto per i nostri scopi. Per dirlo con una metafora terrestre: non si può forgiare una spada senza aspettarsi di bruciarsi ogni tanto," disse, mentre le sue parole si tingevano dell'ombra di un sorriso.

"Il suo lavoro è proprio di tenere sotto controllo questa tendenza, ed evitare che questa possa avere risultati spiacevoli."

"Ho capito, Signore. Farò del mio meglio."

"Sappiamo che sarà così. Ci avverta non appena scopre qualcosa di nuovo."

<Fine trasmissione,> la informò la voce sintetica del computer, mentre il buio che la avvolgeva come un bozzolo si dissolveva rapidamente intorno a lei.

In pochi istanti si ritrovò da sola, in piedi al centro della piccola sala olografica.

Aveva una missione da compiere. E come sempre avrebbe fatto tutto quello che era necessario per portarla a termine.



PARTE DUE: CRIMINE



{Corri! Scappa, finché sei in tempo!}

Stava scappando. Non riusciva a pensare con chiarezza, ma sapeva che doveva allontanarsi da lì il più velocemente possibile.

{Sono dietro di te! Corri, corri!}

Non sapeva da chi stava scappando, ma dovevano avergli fatto qualcosa. Le sue gambe erano deboli e incerte, e la testa gli girava vorticosamente.

{Non devono prenderti! Non devono prenderti!}

Con la forza della disperazione tentò di muoversi più velocemente, ma il suo corpo non sembrava voler rispondere ai suoi comandi.

{Attento! Sono davanti a te! Sono davanti a te!}

D'improvviso i suoi occhi misero a fuoco una sagoma scura in piedi di fronte a lui. Paura e confusione si mescolarono nella sua mente, moltiplicando la sua forza e la sua energia.

{Colpiscilo! Colpiscilo subito, prima che lo faccia lui!}

Si gettò come una furia sulla figura che aveva di fronte, ruggendo e artigliando come un animale ferito. Il suo avversario rimase spiazzato dalla violenza della sua reazione, e dovette retrocedere sotto i suoi colpi caotici.

{Uccidilo! Non devono prenderti! Uccidilo, uccidilo, uccidilo!}

Con tutta la sua paura e la sua forza strinse le mani attorno al collo dell'aggressore, cercando di strangolarlo. Questo però lasciò il suo avversario libero di fare lo stesso con lui.

{Attento! Non farti toccare! NO!!!}

Troppo tardi. Le mani del suo avversario si strinsero attorno al suo collo, chiudendo il mortale circuito. D'un tratto la sua testa si ritrovò piena di immagini e sensazioni che non riconosceva, un fiume in piena di emozioni e di ricordi che lo travolgevano da ogni lato, senza possibilità di scampo.

Fu come scoccare una scintilla in un tubo al neon. La luce esplose nella sua mente e nelle sue mani, mentre la scarica elettrica sbalzava il suo corpo all'indietro come una bambola di pezza, facendolo volare letteralmente, sempre più lontano, sempre più lontano, sempre più lontano...

Accademia della Flotta Stellare. San Francisco, Terra.
Oggi.

Vaarik si svegliò di soprassalto, ritrovandosi nel suo alloggio. Rapidamente perlustrò con lo sguardo il perimetro della sua stanza, alla ricerca di eventuali pericoli che potevano essere in agguato nelle tenebre; una vecchia abitudine che aveva acquisito nell'universo dello Specchio, e che non era mai riuscito ad eliminare. Ma, almeno apparentemente, tutto era tranquillo: la stanza era vuota, e lame di luce dorata filtravano pigramente attraverso le serrande socchiuse, illuminando le minuscole particelle di pulviscolo che fluttuavano nella stanza come pagliuzze luminose.

Il vulcaniano rilassò i muscoli, sdraiandosi nuovamente sul suo giaciglio. Rimase in quella posizione qualche minuto, controllando il ritmo del suo respiro, ma c'era qualcosa che continuava ad infastidirlo: una strana sensazione, come una mancanza, ma non riusciva a capire di cosa si trattasse. Istintivamente gli vennero in mente i primi mesi del suo soggiorno in Accademia.

Allora capì: Dalton. Il suo compagno di stanza sembrava volatilizzato, così come tutti i suoi oggetti personali, compresa la sua adorata Sara Jane, il barbaro strumento di tortura che l'umano si ostinava a classificare come strumento musicale.

Se fosse stato un tipo fantasioso, Vaarik avrebbe potuto baloccarsi con l'idea che i quasi due anni passati con Dalton come compagno di stanza non fossero altro che un sogno, un incubo che si era volatilizzato alle prime luci dell'alba, ma non era così: il vulcaniano ricordava distintamente ogni momento di quella forzosa convivenza, ogni screzio, ogni discussione.

Scuotendo la testa con malcelata ironia si mise a sedere sulla sponda del letto, appoggiando i piedi sul pavimento.

Provando un certo grado di stupore, Vaarik si rese conto che quelle che stava osservando erano le sue scarpe. Una rapida occhiata al resto del suo abbigliamento lo informò che era completamente vestito, casacca dell'uniforme compresa. Sentendosi improvvisamente molto stupido, il vulcaniano si chiese per quale motivo la sera precedente si fosse coricato vestito di tutto punto, scoprendo di non avere nessuna risposta adeguata. In effetti, adesso che ci pensava, non aveva nessuna memoria di essere andato a letto la sera precedente.

Era una situazione surreale: non gli era mai capitata una cosa del genere. Cercò di schiarirsi le idee, ma non riusciva a ricordare nulla. Alzandosi velocemente dal letto, Vaarik ispezionò palmo a palmo la sua stanza, alla ricerca di qualcosa che potesse spiegare questo vuoto di memoria. Ad una più accurata analisi, il vulcaniano riscontrò altre anomalie: non solo erano scomparsi tutti gli oggetti personali del suo compagno di stanza, ma anche i suoi. Certo, il colpo d'occhio non era lo stesso rispetto alla mancanza dell'enorme batteria di Dalton, ma lo sportellino della dispensa sembrava infinitamente vuoto senza il suo barattolo di miscela di tevesh non replicata, e senza la sua tazza preferita, quella completamente nera.

Fortunatamente le sue uniformi erano al loro posto, ma mancava il comunicatore. Anche i suoi abiti civili erano spariti, e cosa assai più preoccupante, anche il suo piccolo d'k tahg, una versione rimpicciolita del tipico pugnale klingon che teneva sempre con sé per autodifesa.

Proprio mentre stava frugando nei cassetti della scrivania alla ricerca dei suoi preziosissimi padd con i suoi appunti del corso del capitano Stark, Vaarik notò distrattamente il cronometro inserito nel terminale del computer. All'inizio pensò ad un errore nella data riportata sullo schermo, ma, dopo aver richiesto conferma al computer, anche il vulcaniano dovette arrendersi alla verità: nella sua mente c'era un buco di dieci giorni. I suoi ricordi erano molto chiari fino alla mattina di dieci giorni prima, poi... solo buio.

Vaarik stava ancora fissando stupidamente il cronometro del suo terminale quando la porta del suo alloggio suonò improvvisamente.

Precipitandosi ad aprire, il vulcaniano si trovò di fronte il contrammiraglio Garf, che lo osservava con occhi carichi di sdegno.

Era un evento più unico che raro vedere il corpulento tellarite in giro per i corridoi dell'Accademia, in quanto il suo ruolo di Vice-rettore lo costringeva a rimanere per la maggior parte del tempo rintanato nel suo ufficio, impelagato in tutti quei problemi burocratici che il Rettore era troppo impegnato per sbrigare. E, a quanto si raccontava in giro, le rare volte che era uscito dal suo ufficio non era mai stato per portare buone notizie. In quanto a Vaarik, era la prima volta che vedeva il contrammiraglio così da vicino, e la cosa non lasciava presagire nulla di buono. Accanto al Vice-rettore c'era il professor Patrick Six, un docente civile dell'Accademia, e dall'altra parte un alieno dall'aspetto piuttosto bizzarro.

"Allora, cadetto, ha deciso di finirla con questa commedia?" lo apostrofò con rabbia il Vice-rettore, facendo un passo dentro l'alloggio prima che il vulcaniano lo invitasse ad entrare.

Vaarik fece in tempo a sollevare un sopracciglio che Six si mise tra loro, come se temesse che il tellarite gli sarebbe saltato addosso da un momento all'altro.

"Si calmi, contrammiraglio. Ricordi che tutti sono innocenti fino a prova contraria."

Garf si limitò a dilatare le narici, ma la sua mole sembrò aumentare di diversi centimetri. "E lei si ricordi che io faccio le veci del Rettore fino a nuovo ordine, e che sono disposto a tutto pur di non trascinare l'Accademia nel fango insieme a questo... questo individuo." Gli occhi di Vaarik si restrinsero percependo con estrema precisione gli insulti nascosti dietro a quell'epiteto apparentemente neutro, ma il contrammiraglio fece dietro front e sparì oltre la porta prima che potesse dire alcunché.

Six si avvicinò a Vaarik, sfoderando un sorriso di circostanza. "Cadetto, le presento Koghaiss. Anche lui ha studiato all'Accademia, prima di dedicarsi alla Xenodiplomazia."

Il vulcaniano ricambiò lo sguardo con aria truce. "Adesso qualcuno potrebbe dirmi che cosa è successo?"

"Proprio non ricorda?" domandò con voce metallica l'alieno che gli era stato presentato come Koghaiss, guardandolo con curiosità. "Ha ucciso un axdat!"

* * *

Vaarik sbatté le palpebre un paio di volte, confuso. "Come ha detto, prego?"

"Ho detto che lei ha ucciso un axdat," rispose Koghaiss, senza scomporsi.

Le sopracciglia del vulcaniano scomparirono nella frangia di capelli corvini. "E cosa sarebbe un axdat?"

"Sarebbe più corretto dire chi. Gli axdat sono un popolo che è entrato in contatto con la Federazione solo pochi mesi fa. Lei è accusato di aver ucciso un loro cittadino."

"Questo è assolutamente impossibile," rispose Vaarik, incrociando le braccia.

"Perché impossibile?" intervenne il professor Six, lanciando un'occhiata incuriosita al vulcaniano.

"Perché io non ho mai visto un axdat in vita mia. Per quale motivo avrei dovuto uccidere uno di loro?"

"Non lo so. Me lo dica lei."

Vaarik lanciò all'umano un'occhiata che avrebbe sciolto un iceberg. "Non faccia questi giochetti con me, professor Six."

"Non sto giocando, cadetto Vaarik," replicò Six con aria severa. "Sono stato nominato suo legale, e se vuole davvero che l'aiuti lei deve dirmi esattamente quello che è successo."

"Lo farei volentieri, ma purtroppo non ricordo assolutamente nulla di quello che è successo negli ultimi dieci giorni."

L'umano si grattò la testa con aria meditabonda. "Ero stato informato di questa sua presunta amnesia. Ma andiamo con ordine. Vediamo se riesco a rinfrescarle la memoria," aggiunse, prendendo posto su una sedia nell'alloggio del vulcaniano e facendo cenno a Vaarik e a Koghaiss di fare altrettanto.

"Non ricorda di aver incontrato un axdat di nome Rossamanu?"

Il vulcaniano scosse la testa. "Nella maniera più assoluta."

"Sfortunatamente, non è questo che dicono i testimoni. Secondo il loro racconto, lei e questo Rossamanu vi siete incontrati ad ora di colazione alla caffetteria dell'Accademia dieci giorni fa."

Vaarik continuava a non capacitarsi. "Non ho alcun ricordo relativo a quell'incontro. Cos'è successo?"

"L'axdat ha chiesto di parlare con lei, e vi siete allontanati verso un angolo del locale. Avete iniziato a discutere, poi la discussione è degenerata e lei l'ha aggredito, sbattendolo contro il muro alle sue spalle."

"Io ho fatto cosa?" domandò il vulcaniano, senza preoccuparsi di celare la sua incredulità.

"L'ha appiccicato al muro come un pupazzo di stracci," rispose Koghaiss con la sua voce metallica, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

"Questo è davvero troppo," disse Vaarik incrociando le braccia con aria severa. "I vulcaniani non vanno in giro ad aggredire la gente."

"Però tutti sanno che, se provocati sufficientemente, perfino i vulcaniani possono perdere la pazienza. In ogni caso, dopo questa sua reazione, l'axdat se n'è andato, minacciando che, cito testualmente, 'la faccenda non sarebbe finita qui'. Apparentemente non ci sono stati altri contatti tra voi, almeno fino alla scorsa notte."

"Ossia la notte in cui l'avrei ucciso," disse sarcasticamente il vulcaniano.

"Esattamente. Secondo quanto abbiamo ricostruito, ieri sera lei ha preso una navetta di trasporto per Marte diretta a T-Recall, una vecchia installazione a cupola pressurizzata nell'Argyle Crater, risalente ai primi tempi della colonizzazione marziana, non esattamente il posto migliore dove girare di notte senza un buon motivo per farlo. Ha rintracciato un albergo di nome Four Fingers, ha domandato in quale stanza alloggiasse un axdat di nome Rossamanu e si è allontanato verso le scale. Il portiere, preoccupato per quello che poteva succedere, ha pensato bene di chiamare una pattuglia di sicurezza, che si è teletrasportata sul posto un paio di minuti dopo. Proprio mentre stavano parlando con il portiere gli agenti hanno udito un urlo provenire dall'alto. Non hanno fatto in tempo a voltarsi che hanno visto il corpo dell'axdat volare giù dal ballatoio del terzo piano, sfracellandosi a terra pochi istanti dopo."

Six osservò attentamente le reazioni di Vaarik, senza però ottenere alcuna risposta.

"Gli agenti sono accorsi immediatamente, ma l'axdat era già morto. A quel punto hanno chiamato i rinforzi e sono saliti al terzo piano con le armi in pugno. Secondo il loro rapporto, l'hanno trovata in corrispondenza del punto dove è precipitato l'axdat, accasciato contro il muro e in evidente stato confusionale. Una volta verificata la sua identità e appurato che si trattava di un cadetto, la centrale di sicurezza marziana ha provveduto ad informare l'Accademia e a farla venire a prendere."

Vaarik aveva ascoltato tutto il racconto di Six con espressione indecifrabile. Alla fine, il vulcaniano scosse la testa con decisione. "Tutto questo non ha senso," disse. "Non posso aver fatto una cosa così stupida."

"Capisco benissimo che per lei sia difficile da accettare, cadetto, ma..."

"Sono spiacente di contraddirla, professore, ma lei non ha capito niente," replicò il vulcaniano, fissando Six con quegli occhi così neri che sembravano pozzi senza fondo. "Se davvero avessi voluto uccidere l'axdat... non mi avrebbero mai scoperto."

Da qualche parte nella città di San Francisco.
In quello stesso momento.

Quando le tenebre la avvolsero per l'ennesima volta, non poté evitare che un brivido le corresse lungo la schiena. Questa volta non c'erano solo le voci dei suoi superiori ad attenderla oltre il buio, ma anche le conseguenze del suo fallimento.

"Abbiamo provveduto ad organizzare questo incontro appena ricevuta la sua comunicazione," esordì la solita voce priva di inflessione senza tante cerimonie. "Può spiegare il motivo di tanta urgenza?"

"Ci troviamo di fronte ad un grosso problema, Signore," disse, senza frapporre tempo. "L'axdat è morto, e il soggetto è stato arrestato dalle autorità federali con l'accusa di omicidio."

"Che cosa?" intervenne la seconda voce, non preoccupandosi minimamente di dissimulare la rabbia. "Come ha potuto permettere che accadesse una cosa del genere?"

"Non ho giustificazioni, Generale. Mi assumo piena responsabilità per l'accaduto."

"Lei si assume piena responsabilità? E crede che questo possa bastare?" rincarò la voce del Generale, crescendo sempre più di intensità. "La sua missione era quella di tenere il soggetto sotto controllo e di proteggere la sua identità ad ogni costo! E ora mi viene a dire che è stato arrestato per omicidio! Si rende conto che la sua inettitudine potrebbe avere compromesso l'intero progetto?"

"Condividiamo tutti la sua preoccupazione, Generale," si intromise terza voce, quella femminile, mostrando un vago tono di rimprovero. "Ma le sue esternazioni non ci aiuteranno di certo a risolvere la situazione."

"Sappiano tutti che il Generale tende ad essere piuttosto... colorito nelle sue espressioni," rispose la prima voce, riportando al silenzio la stanza. "Ma ciò non toglie che spesso abbia ragione. La situazione è molto grave. Per prima cosa dobbiamo stabilire l'esatta dinamica dei fatti. Prego, continui il suo rapporto," disse poi, rivolgendosi direttamente a lei.

"Grazie, Signore. Come da ordini ricevuti, ho fatto delle ricerche per localizzare la posizione dell'axdat. L'obiettivo si era preoccupato di coprire le sue tracce, e le indagini sono state tutt'altro che facili. Alla fine sono riuscita a rintracciarlo in un albergo piuttosto malconcio in una vecchia colonia marziana, dove aveva preso in affitto una camera. Alla prima opportunità mi sono recata su Marte per incontrarlo, ma in quel momento l'axdat non era in sede. Allora, utilizzando un documento fittizio, ho preso in affitto la stanza accanto a quella dell'obiettivo, aspettando l'occasione propizia per poterlo incontrare. Dopo alcune ore di attesa l'obiettivo è finalmente rientrato, e con la scusa di voler acquistare alcune informazioni sono riuscita ad avvicinarlo."

"Continui."

"Una volta nella sua stanza, l'axdat ha tentato di vendermi alcune notizie di nessuna utilità, senza mai però menzionare la sua fonte di informazioni. Quando ho insistito a fare domande in tal senso, l'axdat si è insospettito ed ha tentato di scappare. A quel punto, sono stata costretta a ricorrere ad un espediente chimico che potesse renderlo più... collaborativo."

"Una droga?"

"Esatto. Avevo preventivato una situazione del genere, e quindi mi ero munita di un tampone di ovatta micro-porosa imbevuto con una dose di veritazina. Come sa, la veritazina agisce sui centri cognitivi, piegando la volontà della vittima e rendendola più disponile a rivelare le informazioni di cui è in possesso. Inoltre non lascia tracce nei tessuti a meno che non vengano fatti degli esami tossicologici estremamente mirati, e anche in quel caso è impossibile distinguerla dalle altre droghe psicogene, come la trilaxina e l'icorazene."

"Conosciamo tutti la procedura. E quali sono stati i risultati?"

"Disastrosi. La biochimica dell'axdat deve aver interagito in maniera inaspettata con la veritazina, che invece di renderlo più docile e collaborativo l'ha reso violento e molto più aggressivo. Prima che potessi reagire si è ribellato, mi ha colpito e si è precipitato fuori dalla stanza, gridando come un pazzo. È a quel punto che è successo il vero disastro."

"Si spieghi."

"Appena pochi metri fuori dalla stanza, l'axdat si è scontrato con il soggetto, che stava sopraggiungendo proprio in quel momento lungo il ballatoio esterno."

"E cosa diavolo ci faceva il soggetto lì in quel momento?!?"

"Non lo so, Generale. Quando sono partita per Marte, alcune ore prima, il soggetto si trovava in Accademia, come al solito. Posso solo immaginare che in quelle ore anche lui sia riuscito a rintracciare la posizione dell'axdat e che stesse venendo a cercarlo, forse per parlargli. Fatto sta che l'axdat, completamente fuori di sé a causa della droga, l'ha aggredito prima che potesse reagire. C'è stata una breve colluttazione, ma prima che potessi intervenire si è verificata una specie di esplosione, o una scarica di energia. Entrambi sono stati investiti in pieno dall'onda d'urto: il soggetto è stato sbalzato ad alcuni metri di distanza, sbattendo contro la parete opposta, mentre l'axdat è stato proiettato oltre il parapetto del ballatoio, precipitando tre piani più sotto."

"Da cosa può essere stata causata questa scarica di energia?"

"Non ne ho idea, Signore. Non avevo mai visto nulla del genere. Forse l'axdat aveva con sé una specie di detonatore ad energia, ma non posso esserne sicura. Purtroppo l'arrivo intempestivo di una squadra delle forze di sicurezza marziane mi ha costretto ad allontanarmi immediatamente dalla zona per evitare di essere coinvolta e dover spiegare troppe cose. Ho cancellato le prove della mia presenza con un disgregatore a bassa intensità e mi sono infilata in un condotto d'aerazione che sbucava nella stanza a fianco, una via di fuga che avevo studiato proprio nel caso qualcosa andasse storto. Da lì mi sono calata fuori dall'edificio e mi sono allontanata prima che arrivassero i rinforzi."

"Almeno in questo ha avuto ragione," disse il Generale. "Dobbiamo limitare al minimo i contatti con le agenzie di sicurezza federali, o potrebbero nascere dei sospetti sulle nostre attività."

"Qual è la situazione attuale del soggetto?" intervenne la voce femminile.

"In questo momento è agli arresti domiciliari nel suo alloggio. L'accusa è già stata formalizzata. Non sono permessi contatti con nessuno ad esclusione dei suoi legali, che sono già stati nominati."

Le tenebre sembrarono soppesare per alcuni lunghissimi istanti le sue parole, come per emettere un giudizio.

"Abbiamo capito. La situazione è incresciosa. Dobbiamo ponderare accuratamente le nostre azioni, se vogliamo risolverla con il minimo dei danni."

"Potremmo semplicemente inviare una squadra d'assalto e recuperarlo con la forza," propose il Generale, come se stesse dicendo la cosa più ovvia del mondo.

"Una squadra d'assalto nel Quartiere Generale dell'Accademia della Flotta Stellare?" disse la voce femminile, con tono quasi divertito. "Sappiamo che non vede l'ora di far entrare in azione i suoi uomini, Generale, ma questa è lungi dall'essere la soluzione più semplice al nostro problema."

"Concordo," disse la voce priva di inflessione. "La nostra priorità è la salvaguardia del soggetto, ma non sarebbe saggio da parte nostra intraprendere azioni così plateali. Non ancora, almeno."

"E cosa proponete di fare, allora? Aspettare che il soggetto venga gettato in un centro di riabilitazione per il resto della sua vita? Come se gli stizzacervelli non avessero già pasticciato abbastanza con la sua testa..." ribatté il Generale, come se stesse facendo riferimento ad una persona in particolare.

"Con tutto il rispetto, Generale, chiedo di essere io a portare avanti l'operazione," disse facendo un passo avanti, anche se non c'era nessuno di fronte a lei. "La sicurezza del soggetto è una mia responsabilità. Con la mia copertura inoltre posso muovermi molto più liberamente di qualsiasi altro agente."

"E come pensa di fare?" domandò la prima voce, severamente.

"Il processo, Signore. L'udienza si terrà tra cinque giorni. Se durante il processo riusciremo a dimostrare che la morte dell'axdat è stata un incidente, le accuse cadranno da sole. E in questo modo eviteremo ogni coinvolgimento diretto da parte del progetto."

"Un'idea interessante, non c'è che dire," disse la voce femminile dopo un momento di riflessione. "Come pensa di risolvere il problema degli organi di informazione?"

"Potremmo fare pressione sul rettorato affinché mantenga il silenzio sulla faccenda. In un caso così delicato, una richiesta di riserbo non dovrebbe destare troppi sospetti. E ci aiuterà a recuperare un po' di tempo."

"C'è però ancora un problema," disse la voce del Generale. "Come diavolo pensa di riuscire a dimostrare l'innocenza del soggetto? Non può certo andare a raccontare come si sono svolti davvero i fatti!"

"Cercherò di essere... creativa."

Un lungo silenzio accolse la sua richiesta, come se l'ombra stesse ponderando su quello che aveva sentito. Infine la prima voce tornò a farsi sentire, ed era come sempre priva di ogni inflessione. "E sia. Ma faccia molta attenzione: questa volta il fallimento non è un'opzione accettabile. Il soggetto è troppo importante per rischiare di perderlo in questa maniera. Se la sua missione non dovesse ottenere i risultati sperati, la sua posizione potrebbe diventare oltremodo... scomoda."

"Si fidi di me, Signore. Questa volta non fallirò."

"Me lo auguro sinceramente. Ci contatti non appena avrà nuove informazioni. E si ricordi: nessuno ci delude una seconda volta."

<Fine trasmissione,> annunciò come sempre la voce del computer mentre l'oscurità intorno a lei scompariva, senza però riuscire a dissipare l'ombra che invece in quel momento regnava dentro di lei.

Accademia della Flotta Stellare. Blocco J.
Tre giorni al processo.

"Buongiorno, cadetto. Mi scusi per il ritardo."

La philosiana entrò nell'alloggio con passo leggero, frusciando sommessamente.

"Non si preoccupi, dottoressa Leneorat. In questi giorni non devo andare da nessuna parte."

Il movimento delle fronde si arrestò per un attimo, quasi che la philosana stesse sorridendo. "Non credevo che i vulcaniani avessero il senso dell'umorismo. E soprattutto non credevo che l'avesse lei, Vaarik."

"Stare troppo tempo chiusi nello stesso posto può portare a comportamenti aberranti, non lo sapeva?" rispose il vulcaniano, senza dare alcuna indicazione se stesse scherzando o se fosse assolutamente serio.

"Un punto a suo favore," concesse la dottoressa. "Ha fatto gli esercizi di rilassamento che le avevo consigliato?"

Il viso di Vaarik si rabbuiò per un istante. "Sì. Ma la situazione non è migliorata rispetto a ieri. E all'altro ieri. E al giorno prima."

"Questa amnesia è veramente anomala. Le ho fatto tutte le analisi che conoscevo e ne ho studiate perfino un paio di nuove per l'occasione, ma non sembra causata da traumi fisici. Inoltre nel suo organismo non c'è traccia di droghe o altre sostanze psicosoppressive. La sua amnesia sembra più di tipo psicologico, come se le fosse capitato qualcosa che il suo cervello per qualche motivo si rifiuta di ricordare."

"Mi spiace, dottoressa, ma questo è impossibile," affermò Vaarik, incrociando le braccia severamente. "I vulcaniani non rimuovono i ricordi: li elaborano alla luce della logica al fine di destrutturarli nei loro componenti fondamentali e di integrarli nel proprio bagaglio di esperienze."

"Naturalmente. Come ho fatto a non pensarci prima?"

Vaarik sollevò un sopracciglio, a metà strada tra il perplesso e l'irritato. "Sta cercando di prendermi in giro, dottoressa?"

"Un pochino. Speravo di sollevarle un po' il morale."

"Allora sono dolente di informarla che il suo tentativo è indiscutibilmente fallito," rispose il vulcaniano con voce gelida.

La philosiana scrollò le fronde con un risolino. "Valeva la pena tentare. Ma torniamo alle nostre analisi," continuò la dottoressa, applicando un piccolo congegno elettronico sulla parte sinistra della fronte di Vaarik. "Questo scanner monitorerà la sua attività celebrale, avvisando se ci dovesse essere qualche problema. Adesso mi ripeta ancora una volta tutto quello che si ricorda, non importa quanto vago o indistinto possa essere. Si concentri sui vari sensi."

Vaarik chiuse gli occhi, tentando di focalizzare i suoi ricordi. "La cosa che ricordo più intensamente è la sensazione di stare fuggendo. Sono certo di avere corso per un breve tratto, mentre qualcosa o qualcuno si avvicinava alle mie spalle. Non riesco a ricordare cosa fosse."

"Questo è molto strano," disse la dottoressa, perplessa. "Secondo il rapporto degli agenti, lei non stava affatto fuggendo. Si trovava sul ballatoio esterno dell'albergo, e si dirigeva verso la camera dell'axdat."

"Non so cosa dirle," rispose il vulcaniano, permettendo ad una vena di irritazione di trasparire nella sua voce. "La sensazione è molto forte, molto precisa. Non posso essermi sbagliato. Eppure quando tento di concentrarmi tutto diventa indistinto, come se guardassi attraverso gli occhi di qualcun altro." Scosse la testa con energia, mentre la spia dello scanner celebrale lampeggiava sul rosso. "È una situazione snervante."

"Se continua a intestardirsi su questo punto finirà solo con il farsi venire il mal di testa," tentò di confortarlo la philosiana, facendo alcune regolazioni sul suo scanner. "Ricorda altri particolari?"

Vaarik tornò a concentrarsi, mimando lentamente con le mani ciò che stava raccontando. "Ricordo di aver toccato qualcosa di simile all'ovatta, ma molto più ruvido... mi viene premuto contro la bocca..." ebbe un attimo di esitazione, come se non fosse sicuro della sensazione. "O forse contro il collo, è difficile da dire. Emana un odore molto strano, intenso, come di muschio selvatico, con uno strascico di anice."

La dottoressa osservò il suo tricorder medico con aria perplessa. "Anche in questo caso i suoi ricordi sembrano in contrasto con il rapporto della sicurezza. Se qualcuno le avesse premuto contro la bocca un tampone imbevuto di una sostanza chimica, questo sarebbe dovuto risultare dalle analisi effettuate su di lei subito dopo il suo arresto." Scrollò le fronde. "È certo che questo sia successo la sera dell'omicidio? Non potrebbe essere un ricordo che risale ad uno dei giorni precedenti?"

"Non saprei... ma ho la sensazione che si riferisca a quella sera."

"Ricorda altro?"

"Ricordo un suono: acuto, prolungato, simile a quello prodotto da un un'ocarina. Viene dall'alto, ma non sembra un suono artificiale. Ma non mi chieda da cosa possa essere stato prodotto."

"D'accordo," disse Leneorat chiudendo con un uno scatto il suo analizzatore. "Per adesso forse è meglio fermarci qui. Magari domani avremo più fortuna."

"A questo punto, dottoressa, la fortuna è tutto quello che mi è rimasto."

Accademia della Flotta Stellare. Blocco J.
Due giorni al processo.

"Potenzialità psichiche?"

"Esattamente," rispose seraficamente Koghaiss con la sua voce metallica. Vaarik non sapeva a quale specie appartenesse l'alieno, ma era certo di non aver incontrato nessuno come lui prima d'ora. Koghaiss si era assunto l'incarico di studiare con lui i particolari della cultura axdat, in modo da chiarire quello che era successo la fatidica sera. In un processo come quello, anche il più piccolo particolare poteva essere importante. "Secondo i rapporti del servizio xenodiplomatico, alcuni axdat sono dotati di potenzialità psichiche, anche se la loro portata e intensità variano da soggetto a soggetto."

"Che tipo di potenzialità psichiche?" domandò il vulcaniano, perplesso. "Sono telepati?"

"Non esattamente. Nei rapporti i loro poteri vengono definiti più precisamente psicoelettrici. A quanto pare sono in grado di percepire e manipolare a volontà i campi elettromagnetici naturali, anche se con effetti diversi." Koghaiss si mise a cercare nella montagna di PADD che avevano davanti, finché non trovò quello che gli interessava. "Ecco qui. Alcuni possono creare scariche elettriche di una certa intensità, un espediente davvero utile sviluppato dai loro progenitori per difendersi dai predatori. Altri sono in grado di percepire la presenza di un essere vivente grazie al debole campo elettrico generato dal loro corpo, un po' come fanno gli squali della Terra o i falchi-freccia di Epsilon Sagittae. I più dotati in questo senso posso perfino riconoscere gli schemi neuroelettrici delle altre creature, in qualche modo quindi 'rilevando' i loro pensieri."

Vaarik aveva ascoltato quella dissertazione sperimentando una sensazione di turbamento crescente. Tutte quelle informazioni gli sembravano in qualche modo familiari, come se avesse già saputo quello che stava dicendo Koghaiss prima ancora che lo dicesse.

"Tutto bene, cadetto?" domandò l'alieno, notando il suo disagio.

"Non proprio. Ho come la sensazione di dovermi ricordare qualcosa a proposito, ma non so che cosa. Mi domando cosa possa significare."

"Non saprei. La psicologia non è il mio campo. Se vuole posso chiamare la dottoressa Leneorat."

"Preferirei evitare," rispose Vaarik, immaginando già come sarebbe stato passare un altro pomeriggio sotto le fronde della philosiana. "Sarà meglio tornare alla nostra ricerca."

"Come vuole," rispose Koghaiss, senza scomporsi. "Ho qui giusto alcune notizie sul sistema sociale degli axdat che forse le potrebbero interessare."

Accademia della Flotta Stellare. Blocco J.
Un giorno al processo.

"Professor Six, posso farle una domanda?" Il docente sollevò lo sguardo dall'enorme tomo del Codice Uniforme di Giustizia della Federazione, trovandosi di fronte lo sguardo corrucciato di un vulcaniano dall'aria ancora più cupa del solito.

"Mi dica, cadetto."

"Come è stata presa la notizia del mio arresto? Intendo... fuori di qui." Il vulcaniano fece una gesto vago con la mano, come ad indicare tutto il mondo che si trovava all'esterno della sua stanza che ora era diventata la sua cella.

"Beh, ci sono state reazioni... discordanti." Vaarik sapeva riconoscere un uomo che si muoveva in una casa di vetro quando ne vedeva uno. "Il rettorato ha emesso uno stringato comunicato stampa in cui si informava che un cadetto era stato arrestato con l'accusa di omicidio, ma che per proteggere la sua incolumità e la reputazione dell'Accademia i suoi dati non sarebbero stati diffusi fino all'eventuale dichiarazione di colpevolezza. C'è stata un po' di agitazione in merito a questa decisione, e alcune persone, tra cui mi spiace dirlo anche molti cadetti, si sono lanciati in una sorta di caccia all'uomo nel tentativo di identificare l'indiziato. Per sua fortuna la sua vita sociale era quasi del tutto inesistente anche prima dell'arresto, quindi in pochi hanno fatto caso alla sua assenza in questi giorni."

Da quando era capitato in questo bizzarro universo, era la prima volta che qualcuno gli diceva che il suo disinteresse per la vita sociale era una fortuna. Una parte di lui avrebbe voluto registrare quella frase per farla sentire al consigliere Memok quando tutto questo sarebbe finito. Perché prima o poi tutto questo sarebbe finito, in un modo o nell'altro.

"Chi è informato della mia... situazione?"

Six sembrò pensarci su per qualche secondo. "A parte gli istruttori e gli ufficiali di sicurezza qui in Accademia, che per ovvi motivi sono a corrente della sua situazione, credo che gli unici ad essere informati siano stati alcuni suoi compagni di corso. Il signor Dalton e il signor Renko, se non ricordo male."

Vaarik assimilò l'informazione con espressione studiatamente neutra. "E loro come hanno... reagito alla notizia?"

Six lanciò un'occhiata significativa a Vaarik. "Mi sta domandando se credono che lei sia colpevole?"

"Naturalmente no," rispose in maniera secca il vulcaniano, forse un po' troppo secca. "Lei sta travisando la mia domanda."

"Guardi che non c'è nulla di male in questo. Sono i suoi amici, è normale che lei si preoccupi di quello che pensano."

"Io non ho amici," rispose Vaarik con voce fredda come il ghiaccio, fissando Six direttamente negli occhi.

"Non ne sia così sicuro, cadetto," rispose l'umano, scuotendo la testa e tornando con lo sguardo ai suoi testi. "Potrebbe avere delle sorprese."

Il vulcaniano sollevò un sopracciglio. "Che intende dire?"

Six fece un gesto di insofferenza. "Ascolti, Vaarik. Lei è stato arrestato sul luogo del delitto, senza essere in grado di spiegare i motivi per cui si trovava lì. Aveva il movente, il modo e la capacità di uccidere Rossamanu. Le parlo come avvocato: la giurisprudenza federale è estremamente garantista, ma, se non verranno a galla nuove prove da qui al processo, lei verrà condannato."

Vaarik non mutò minimamente espressione. "E questo cosa c'entra?"

"C'entra, perché nonostante la sua colpevolezza sembri certa al di là del ragionevole dubbio mi è giunta voce che un paio di cadetti stiano portando avanti per conto proprio un supplemento d'indagine teso a dimostrare la sua innocenza, per quanto i fatti sembrino indicare altrimenti."

Il vulcaniano fece una pausa, come per assimilare quello che gli era stato detto. "Davvero stanno facendo questo?"

"Sarà meglio tornare a concentrarsi sui casi precedenti," consigliò Six, iniziando a leggere dal suo tomo, "vediamo questo: il popolo di Andoria contro Dalak Ivari, data stellare 1312.4. L'accusa è omicidio di secondo grado..."

Mentre ascoltava Six elencare le accuse e le prove a carico di uno sconosciuto caso giuridico di più di un secolo prima, Vaarik dovette lottare contro la curiosità di sapere cosa stessero facendo quei due in quel momento per tirarlo fuori da quel guaio.

Accademia della Flotta Stellare. Blocco J.
Il giorno del processo.

"È pronto, cadetto?"

Il professor Six e Koghaiss erano venuti a prenderlo nel suo alloggio, insieme a tre robuste guardie della sicurezza. Più che condurlo al processo, dalle espressioni dei suoi assistenti legali sembrava che lo stessero conducendo al patibolo, il che la diceva lunga sulle sue speranze di ottenere un verdetto favorevole.

"Possiamo andare," disse con voce ferma, guardando dritto di fronte a sé.

Se quello doveva essere il suo ultimo giorno da uomo libero, lui l'avrebbe vissuto a testa alta, senza dare a nessuno la soddisfazione di vederlo cedere di un millimetro dalla sua Disciplina.

Durante quell'ultima notte non aveva dormito molto, impegnato a meditare sull'ironia della sua situazione.

Per quasi tutta la sua vita Vaarik era stato uno schiavo, trattato più come un oggetto che come una persona. La sua unica fortuna era stata di esser considerato sufficientemente utile per l'Alleanza da valere lo spreco di aria e di cibo necessario a tenerlo in vita, o meglio appena necessario a tenerlo in vita. Aveva vissuto trentacinque anni in condizioni letteralmente disumane, privato dei più basilari diritti degli esseri senzienti, costretto a lottare ogni giorno contro la fame, la miseria, la violenza e il disprezzo.

Eppure, dopo soli... quanti erano? quattro? Dopo soli quattro anni nell'universo della Federazione, la sua visione della vita era completamente cambiata. Ora che aveva assaggiato il sapore della libertà, l'idea che fossero altri a decidere della propria vita gli sembrava la peggiore delle condanne.

Per un certo gusto del macabro, aveva fatto ricerche sui metodi detentivi della Federazione: anche quello che veniva considerato carcere duro era una passeggiata in confronto alle condizioni di vita nell'universo dello Specchio. Dal suo punto di vista sarebbe stata come una villeggiatura. Piuttosto monotona forse, ma pur sempre una villeggiatura. Un po' peggio sarebbe stato se il tribunale avesse deliberato di consegnarlo alla giustizia axdat, che per i reati gravi come l'omicidio prevedeva punizioni corporali piuttosto fantasiose e prolungate, ma non era quello il punto.

Solo alcuni mesi prima, durante il suo breve ritiro su Vulcano, durante le vacanze di fine secondo anno, aveva dichiarato per la prima volta di fronte al consigliere Memok di avere il diritto di decidere da solo di cosa fare della propria vita, senza alcuna interferenza da parte di nessuno. E con suo sommo stupore, aveva capito che quello che voleva fare era tornare a San Francisco per proseguire l'Accademia e completare i suoi studi.

E ora quella sua decisione, quella svolta epocale nella sua visione del mondo, rischiava di venire spazzata via senza lasciare traccia, come se non fosse mai avvenuta.

Non era giusto. Semplicemente non era giusto. E benché forse in quel momento non potesse fare nulla per impedirlo, lui non era più disposto ad accettarlo.

"Possiamo andare," ripeté ancora, con tono autoritario.

Se qualcuno fosse passato lì in quel momento, ciò che avrebbe visto non sarebbe stato un criminale portato via dalle guardie di sicurezza, ma un uomo libero accompagnato da una scorta d'onore.


 
 

PARTE TRE: GIUSTIZIA

Accademia della Flotta Stellare. Edificio Amministrativo.
Aula 49-B.

Vaarik non aveva mai assistito prima ad un processo federale, ma l'impressione che aveva avuto era che fosse di una noia mortale, perfino per chi doveva recitare la parte dell'imputato.

Secondo quanto gli aveva riferito Koghaiss prima di entrare in aula, non sarebbe stato presente alcun rappresentante del popolo axdat: a parte pochissime eccezioni, i membri di questa razza non dimostravano alcun interesse per ciò che avveniva all'esterno del loro sistema solare. Inoltre, secondo le informazioni che i suoi legali avevano raccolto nei giorni precedenti, la vittima lavorava per il proprio tornaconto personale, fuori dalla sfera di influenza del suo mondo natale, ed era quindi considerato una specie di outsider nella loro società.

Di conseguenza, gli axdat si erano limitati ad affidare il processo alla Federazione, riservandosi di chiedere l'estradizione del vulcaniano nel caso in cui fosse stato ritenuto colpevole, affinché potesse essere punito secondo i loro costumi.

Per decisione del Rettore, il processo si sarebbe svolto a porte chiuse. Oltre al personale di servizio del tribunale, sarebbero stati ammessi ad assistere solo alcuni ufficiali dell'Accademia, come l'ammiraglio DeLeone, il capitano Maxwell e la dottoressa Leneorat. Perfino il consigliere Memok, arrivato appositamente sulla Terra dalla USS Nemesis una volta saputo cosa era successo, aveva dovuto chiedere la restituzione di una buona quantità di favori per essere ammesso in quell'aula.

I due vulcaniani erano riusciti a scambiare solo due parole prima dell'inizio del processo, che però erano bastate loro per punzecchiarsi a vicenda come al solito. In realtà, Vaarik doveva ammettere di trovare stranamente tranquillizzante la presenza del consigliere: di tutta quella faccenda, l'unico lato positivo era che se fosse stato rinchiuso in una colonia penale per il resto della vita, almeno non avrebbe più dovuto sopportare quelle che Memok, con una certa dose di ottimismo, si ostinava a definire battute di spirito.

La decisione di tenere il processo a porte chiuse aveva attirato le critiche di chi già precedentemente si era lamentato del fatto che non fossero stati diffusi i dati dell'imputato. La gente ha il diritto di sapere, era la voce che si era levata da più parti, voce che però si era dovuta arrestare di fronte ai ripetuti dinieghi del rettorato di diffondere anche i più piccoli particolari riguardo la vicenda.

In quel momento il procuratore, un'alfacentauriana alta e dall'aspetto professionale, stava recitando la sua arringa introduttiva, raccontando con dovizia di particolari di fronte al giudice e ai giurati di quali nefande efferatezze si fosse macchiato Vaarik, di come fosse un individuo sinistro e malvagio, e di come un verdetto di colpevolezza avrebbe liberato la Federazione da una delle ultime mele marce della società.

Per la verità, era anche piuttosto brava. Se non fosse stato per il fatto che era l'imputato, forse perfino Vaarik le avrebbe dato ragione.

Dopo di lei sarebbe toccato a Six recitare la sua arringa, ma per quanto il professore si fosse preparato in vista del processo, non sarebbe mai riuscito a convincere i giurati ad emettere un verdetto di innocenza: il vulcaniano partiva da una posizione semplicemente indifendibile, e la storia dell'amnesia non faceva altro che peggiorare la sua situazione. Il fatto che anche Vaarik fosse perfettamente conscio che il suo legale non avrebbe potuto fare nulla per evitargli una condanna non rendeva meno amaro il suo compito.

Fuori dalla finestra, la giornata era splendida, almeno da un punto di vista terrestre: il sole era alto sull'orizzonte, ma benché il cielo fosse disperatamente azzurro, aveva una limpidezza quasi vulcaniana. Di fronte ad uno degli ingressi dell'edificio amministrativo, situato in un'ala diversa rispetto a quella dove si trovava l'aula processuale, Vaarik notò un numeroso assembramento di cadetti e semplici passanti, probabilmente ansiosi di sapere come sarebbe andata a finire la storia del cadetto omicida. Alcuni avevano dei cartelli con la scritta 'Salvate il cadetto Ryan', una citazione da un vecchio film terrestre, ripescata a proposito dal momento che non si sapeva il vero nome dell'imputato.

Ad un tratto, l'attenzione del vulcaniano venne catalizzata da tre figure che, varcata la soglia dell'edificio, si stavano allontanando rapidamente, come se avessero qualcosa di molto importante da fare. Vaarik riconobbe immediatamente Renko e Dalton, che evidentemente stavano ancora portando avanti le loro indagini nonostante il processo fosse già iniziato. La terza figura era più piccola, minuta, probabilmente una donna. Il vulcaniano focalizzò la sua attenzione su di essa, mentre qualcosa nella sua mente gli diceva che avrebbe dovuto riconoscerla. Poi, finalmente, la donna sollevò lo sguardo verso l'alto, e per un attimo Vaarik riuscì a vederla bene in faccia.

Eru.

Fu come se improvvisamente un fulmine squarciasse l'oscurità nella quale erano avvolti i suoi ricordi, illuminandoli di una luce cruda e violenta. Colpito da un dolore intenso come il raggio di un phaser, il vulcaniano fu costretto a portarsi entrambe le mani alla testa, mentre le immagini iniziavano a saettargli davanti agli occhi, sempre più veloci e il dolore aumentava sempre più rapidamente. In un attimo, le immagini e i suoni di quei giorni di buio si riversarono nel suo cervello, e i ricordi che tanto a lungo gli erano sfuggiti apparvero di fronte ai suoi occhi con una limpidezza feroce.

"Cadetto, sta bene?" domandò Six, notando l'espressione di sofferenza sul volto del suo assistito. Il vulcaniano non gli diede retta, alzandosi invece in piedi senza alcun preavviso.

"Vostro onore, chiedo una sospensione temporanea del processo."

La voce del vulcaniano risuonò nell'aula come uno scoppio improvviso, tanto che alcuni giurati sobbalzarono sulla loro sedia, colti di sorpresa.

Il giudice, un anziano hindi dall'aria mite e dallo sguardo incredibilmente acuto, si rivolse al legale alla destra di Vaarik, senza nemmeno degnare il vulcaniano di uno sguardo.

"Avvocato Six, questa è un'aula di tribunale, non una piazza di mercato. Esistono delle procedure, e lei farebbe bene ad informare il suo assistito che queste non possono essere infrante con tanta leggerezza."

"Ma cosa diavolo le è saltato in mente?" domandò a mezza voce Six al vulcaniano, affrettandosi poi a scusarsi dell'interruzione. "Mi perdoni, vostro onore. Non succederà più."

"Sarà meglio per lei, avvocato," disse l'uomo, preparandosi ad ascoltare il resto della requisitoria del procuratore.

"Mi scusi, vostro onore, ma sono costretto ad insistere."

Questa volta il giudice guardò Vaarik come se gli avesse detto che in realtà era Shiva reincarnato. "Lei insiste?" domandò l'uomo, incredulo. Poi si rivolse a Six. "Avvocato, se non è in grado di controllare il suo assistito forse farebbe meglio a tenerlo lontano dall'aula mentre noi celebriamo il processo."

Six stava letteralmente annaspando come un pesce fuor d'acqua: in vent'anni anni di onorata professione non gli era mai capitata una cosa del genere. "Lo perdoni... lo stress... l'amnesia..."

"Professore, ho bisogno di parlare con lei immediatamente," disse a mezza voce Vaarik al suo legale, guadagnandosi uno sguardo allucinato da parte di Six, che bisbigliò in risposta:

"Ma cosa dice? Vuole essere sbattuto fuori dall'aula!?!"

"Mi ascolti bene: o mi fa concedere cinque minuti di pausa o io continuerò a interrompere la procedura finché al giudice non verrà un infarto, oppure verrà a lei, la cosa non mi interessa. A lei la scelta."

Six guardò Vaarik con gli occhi fuori dalle orbite, poi guardò il giudice, poi ancora Vaarik. Non aveva scampo. "Vostro onore, in base alle particolarissime condizioni di questo caso, le chiedo di essere comprensivo e di concedermi cinque minuti per conferire con il mio assistito."

Il giudice parve soppesare la cosa, poi prese la sua decisione. "D'accordo. Sono curioso di vedere cosa ne verrà fuori. Ma badi bene che se mi ha fatto interrompere il processo per una sciocchezza se ne pentirà amaramente."

"In piedi!" annunciò l'usciere, un sottufficiale in divisa della Flotta Stellare, mentre il giudice usciva dal tribunale.

"Spero che sia contento, cadetto," esordì Six non appena il giudice fu fuori dall'aula. "Si può sapere cosa c'è di tanto importante da rischiare di compromettere ulteriormente la sua già precaria condizione?"

"Mi sono appena ricordato cos'è successo."

"Ah," rispose Six rimanendo letteralmente a bocca aperta. Poi si riprese immediatamente. "E cosa aspettava a dirmelo?"

Accademia della Flotta Stellare. Edificio Amministrativo.
Aula 49-B.

"La difesa chiama a testimoniare il cadetto Vaarik."

L'annuncio, fatto con voce chiara dall'avvocato Six, venne accolto con un brusio di incredulità da parte della giuria e dallo scarno pubblico.

Anche il giudice apparve perplesso da questa scelta inaspettata. "Avvocato Six, può avvicinarsi alla corte?" disse quindi, facendo cenno al professore. Quando l'avvocato della difesa fu a portata d'orecchio, l'anziano giudice parlò senza preamboli. "Avvocato Six, data la particolarità di questo caso finora sono stato molto paziente con lei, ma se crede di potermi prendere in giro con questa uscita a sorpresa, io..."

"Vostro onore," disse Six con tutta la diplomazia di cui era dotato, "nessuno sta assolutamente tentando di prenderla in giro. Se lei fosse così paziente da ascoltare la testimonianza del mio assistito, tutto le sarà chiaro e potremmo venire finalmente a capo di questa incresciosa situazione."

Il venerabile giudice Sinrasha Sutre osservò per alcuni istanti l'avvocato Six di fronte a lui, poi lanciò un'occhiata verso il vulcaniano che sedeva cupo al banco degli imputati, con un'espressione di dolorosa determinazione dipinta sul volto. Si lasciò scappare un sospiro. "Le concedo dieci minuti. Ma badi: se non riuscirà a convincermi che questa testimonianza non è solo una perdita di tempo, le giuro la condannerò per oltraggio alla corte senza pensarci due volte. Sono stato chiaro?"

"Trasparente, vostro onore. Non se ne pentirà."

Il giudice Sutre fece un vago gesto con la mano, e Six si allontanò velocemente dal suo seggio, come se temesse che questo potesse cambiare idea e sbatterli entrambi in galera immediatamente. Poi fece cenno a Vaarik di avvicinarsi al banco dei testimoni.

Una volta al posto, il sottufficiale della Flotta Stellare che svolgeva i compiti di usciere gli si avvicinò. "Nome, patronimico e grado. Per il verbale."

"Cadetto Vaarik cha'Temnok, allievo ufficiale all'Accademia della Flotta Stellare, terzo anno."

"Giura di dire la verità, tutta la verità, nient'altro che la verità?"

"No, se posso evitarlo," sibilò Vaarik con aria seccata.

"Come dice, prego?" domandò l'anziano giudice, quasi divertito dalla piega che stavano prendendo gli eventi. "Credo di essere diventato un po' duro d'orecchie."

"Lo giuro," rispose il vulcaniano con calma, sapendo che a quel punto non aveva altra scelta che giocare con le loro regole.

Six si avvicinò al banco dei testimoni con studiata tranquillità. "Cadetto Vaarik, durante le indagini preliminari lei ha affermato di non ricordare nulla a proposito della morte dell'axdat di nome Rossamanu."

"È corretto."

"Era la verità?"

"Certo," rispose Vaarik. "All'epoca non ricordavo assolutamente nulla riguardo la morte dell'axdat, né riguardo i dieci giorni precedenti."

Con manierismo tutto vulcaniano, Six sollevò un sopracciglio. "All'epoca?"

"All'epoca," confermò Vaarik, senza alcuna espressione.

"Vorrebbe per favore spiegare alla giuria il significato di questa sua affermazione?" lo incitò l'avvocato, con un sorriso sornione.

"Significa che invece adesso ricordo esattamente quello che è successo."

Immediatamente un forte brusio invase l'aula, mentre i giurati e i pochi spettatori non potevano trattenere il loro stupore all'affermazione del vulcaniano.

"Potrebbe quindi raccontarci cosa è realmente avvenuto la sera della morte di Rossamanu?" domandò Six pochi istanti dopo, quando il brusio si fu acquietato.

"Certamente," rispose severamente il vulcaniano. E iniziò il suo racconto.

Colonia T-Recall, Marte.
Cinque giorni prima...

Vaarik entrò con passo deciso nella piccola costruzione che fungeva da reception. Dopo la piccola discussione avuta alla caffetteria dell'Accademia, il vulcaniano aveva iniziato a fare ricerche sulla rete di comunicazione civile per trovare il maggior numero di informazioni possibili sul conto di Rossamanu, ma quello che aveva scoperto era molto poco: apparentemente l'alieno era un commerciante di informazioni, una specie di informatore freelance che di volta in volta si rivendeva come giornalista, investigatore privato, spione. Finalmente dopo tante ricerche era riuscito a rintracciare il luogo dove alloggiava l'axdat, e l'aveva identificato in quello squallido albergo di quarta categoria. A quel punto aveva deciso che la cosa migliore da fare era andare a parlare di persona con l'axdat. Durante il loro colloquio, Vaarik si era sentito rivolgere da Rossamanu una serie di fantasiose accuse riguardanti la sparizione di grosse partite di attrezzature navali della Flotta Stellare in un sistema che non aveva mai sentito nominare, ma nonostante l'improbabilità di tali affermazioni il vulcaniano non poteva certo permettere a qualcuno di andarsene in giro a diffondere accuse sul suo conto. Per quello era venuto su Marte appena possibile. Quella faccenda andava chiarita una volta per tutte.

Il resto dell'albergo era costituito da due palazzine poste una di fronte all'altra davanti ad un piccolo spiazzo, ed ogni stanza era raggiungibile attraverso un ballatoio esterno.

Vaarik si rivolse al portiere, un vecchio terrestre dall'aria poco raccomandabile, il quale sollevò svogliatamente lo sguardo dal piccolo videoterminale sul quale stava guardando quello che aveva tutta l'aria di essere un quiz a premi.

"Cerca una stanza?" domandò il vecchio con voce lamentosa.

"In un certo senso," rispose il vulcaniano. "Sto cercando un axdat di nome Rossamanu. So che alloggia qui."

Il vecchio lo squadrò con aria cinica, poi rispose con una smorfia. "E io sto cercando la finalista di Miss Federazione del 2371. Ma non credo proprio che alloggi qui," disse, facendosi poi una grassa risata come se avesse appena detto una battuta particolarmente divertente.

Vaarik non era molto bravo a trattare con le persone. In quel momento avrebbe potuto tentare di convincere l'anziano portiere a dargli quelle informazioni, oppure avrebbe potuto cercare di corromperlo offrendogli dei crediti. Però come già detto il vulcaniano non era molto bravo a trattare con le persone, e così si limitò ad avvicinarsi al banco della reception, piantando uno sguardo di ghiaccio negli occhi del portiere e facendo scivolare fuori da una tasca il suo comunicatore della Flotta Stellare. "Sto cercando un axdat di nome Rossamanu. So che alloggia qui. Non mi costringa a ripeterlo una terza volta," sibilò.

All'inizio il vecchio non capì esattamente il motivo di quel gesto, poi il suo sguardo cadde sull'oggetto e di colpo il suo viso perse tutto il suo colorito. Considerata l'età di Vaarik e la sua aria pericolosa, il portiere non poteva certo sospettare che in realtà quello che gli stava di fronte era solo un cadetto, e che quindi la sua autorità come ufficiale era in realtà minima. Il suo unico pensiero fu che il vulcaniano era un membro della grande Flotta Stellare, e che quindi sarebbe bastata un sua parola per fargli passare una serie di guai che nemmeno lui si immaginava.

Consultò quindi in tutta fretta il registro delle camere, trovando quasi subito la risposta che gli interessava. "Stanza 347. Edificio di destra. Non può sbagliare."

"Grazie mille," rispose freddamente Vaarik, facendo scivolare nuovamente in tasca il suo comunicatore e incamminandosi verso le scale.

Nell'hotel tutto era estremamente tranquillo. L'unico suono che si udiva era una specie di nota musicale costante, come quella prodotta da un'ocarina. Una rapida occhiata rivelò che la fonte di quel suono era un piccolo nido di uccelli posto proprio sotto una tubatura. Sentendosi stranamente inquieto Vaarik proseguì lungo il ballatoio esterno, dirigendosi verso la camera dell'axdat. Ad un tratto udì come un urlo soffocato, e la porta della stanza si spalancò improvvisamente. L'axdat uscì caracollando, come se fosse stordito, o forse in preda ad una droga. L'alieno fece alcuni passi barcollanti nella sua direzione, come se cercasse di fuggire di fuggire da qualcosa che lo inseguiva. Quando fu a pochi metri da lui, però, Rossamanu sembrò accorgersi per la prima volta della sua presenza, e l'axdat gli si avventò contro come una furia, menando colpi alla cieca e ruggendo suoni inarticolati.

Il vulcaniano, colto alla sprovvista, arretrò sotto l'effetto di quei colpi furiosi, poi cercò di reagire in qualche modo all'aggressione. L'axdat era molto forte e molto spaventato, una combinazione che rendeva ancora più pericolosi ed imprevedibili i suoi colpi. Infine l'alieno, guardandolo con gli occhi sbarrati, strinse le sue mani attorno alla gola di Vaarik, tentando di strangolarlo. Sentendo l'ossigeno che faticava sempre più a raggiungere il suo cervello, il vulcaniano tentò di reagire, stringendo a sua volta le mani attorno al collo di Rossamanu e cercando i punti di applicazione per stordirlo con una presa vulcaniana.

A quel tempo Vaarik non poteva saperlo, ma quel gesto avrebbe potuto condannarlo.

Nei giorni successivi, in preparazione al processo, il vulcaniano aveva fatto insieme a Koghaiss delle ricerche specifiche sulla fisiologia degli axdat, scoprendo che erano una razza dotata di forti capacità psichiche. Molti avevano la possibilità di manipolare i campi elettrici a volontà, e in caso di pericolo i più dotati erano anche in grado di generare scariche di energia molto intense. Quest'informazione aveva suscitato il suo interesse, come se gli dovesse ricordare qualcosa, ma non era riuscito a comprendere cosa fosse. Ora invece, tutto era chiaro.

Nel momento in cui Vaarik riuscì a raggiungere i punti di applicazione sul collo dell'axdat, il potenziale psicoelettrico accumulato fino a quel momento si liberò tutto in un colpo.

Le loro menti si toccarono per un brevissimo istante, permettendo ai pensieri e alle sensazioni di entrambi di mescolarsi profondamente, al punto che nessuno dei due avrebbe saputo dire quali appartenevano a uno e quali all'altro. Nello stesso momento, un'onda di energia psicoelettrica li avvolse, come se si fosse verificato un'enorme cortocircuito psichico. La scarica scaraventò i due in direzioni opposte: Vaarik contro la parete dell'edificio, l'axdat oltre il parapetto e verso il suo destino.

Stordito dall'intensità della scarica e dall'inaspettato contatto mentale, il vulcaniano si accasciò al suolo, mentre l'energia psichica che ancora lo percorreva sovraccaricava i suoi tracciati neurali, costringendo i suoi meccanismi di difesa mentale a sigillarne alcuni per evitare che il sovraccarico si diffondesse. Tutto ciò che riguardava l'axdat, compresi i ricordi di quanto era avvenuto dal momento del loro primo incontro, venne rinchiuso in una parte sigillata della sua mente, alla quale il suo io cosciente non poteva accedere.

Pochi istanti dopo, richiamati dalle grida, sopraggiunsero armi in pugno gli agenti della Sicurezza Marziana, trovando Vaaik semi-svenuto contro la parete. Lo sollevarono di peso, immobilizzandolo contro la parete, senza sapere che non ne avrebbero avuto nessun bisogno. In quel momento Vaarik non avrebbe potuto opporre resistenza nemmeno se avesse voluto.

"La dichiaro in arresto," disse una delle guardie, mettendogli con destrezza un paio di manette a costrizione magnetica. "Ha il diritto di rimanere in silenzio, tutto quello che dirà potrà essere usato contro di lei in tribunale. Ha diritto all'assistenza di un legale da lei nominato, se non ne ha nominato nessuno gliene sarà assegnato uno d'ufficio."

"Portiamolo via," disse l'altro, e queste furono le ultime parole che sentì, prima che l'oscurità lo avvolgesse definitivamente.

Accademia della Flotta Stellare. Edificio Amministrativo.
Aula 49-B.

Il giudice e i giurati avevano ascoltato in silenzio assoluto la deposizione di Vaarik. Six non l'aveva interrotto nemmeno una volta, lasciando il vulcaniano libero di raccontare la sua versione dei fatti. Ora però era il momento di trarre le conclusioni.

"Quindi lei sostiene di non aver gettato intenzionalmente Rossamanu fuori dalla balaustra?"

"Assolutamente no," rispose Vaarik, incrociando le braccia. "La morte dell'axdat è stata un incidente. Non avrei potuto impedirla neanche se avessi voluto."

"Non ho altre domande," concluse l'avvocato Six, rivolgendosi alla corte.

"L'accusa può controinterrogare il teste," dichiarò il giudiche Sutre, facendo cenno al procuratore di avvicinarsi.

L'avvocato dell'accusa si alzò lentamente dal suo banco, raccogliendo le idee. Strofinandosi le labbra con aria pensosa, la donna si avvicinò al banco dei testimoni, dove Vaarik attendeva immobile come una statua di granito.

"Vediamo se ho capito bene: dopo giorni di ricerche sulla rete dati, riesce finalmente a localizzare la persona con cui, alcuni giorni prima, aveva discusso animatamente, di fronte a numerosi testimoni. Allora cosa fa? Prende il primo trasporto per Marte e, senza comunicare a nessuno le sue intenzioni, decide di incontrarlo di persona per chiudere la faccenda. È esatto?"

"Esatto."

"E perché non ha detto a nessuno dove stava andando?"

"L'axdat mi aveva accusato di non so quale illecito di fronte ai miei colleghi. La mia serietà e la mia condotta erano state messe in discussione. Non era una questione che desideravo discutere di fronte ad altri."

"O forse non voleva testimoni per poter procedere in santa pace all'eliminazione di Rossamanu."

"Obiezione, vostro onore!" esclamò Six alzandosi in piedi. "Questa è un'insinuazione, non una domanda."

"Ritiro la domanda," disse il procuratore con un sorriso, prima che il giudice potesse accogliere l'obiezione. "Torniamo a noi: lei si reca su Marte, solo per parlare naturalmente, rintraccia l'albergo in cui alloggia la vittima e si dirige verso la sua stanza."

"Ancora esatto," rispose Vaarik, senza fare una piega.

Il procuratore fece una smorfia. "Questo avveniva prima o dopo che lasciasse ad intendere al portiere dell'albergo che era un ufficiale della Flotta Stellare in missione autorizzata?"

"Io non ho lasciato ad intendere nulla," ribatté il vulcaniano, sempre impassibile. "Ho semplicemente mostrato al portiere il mio comunicatore, che come da regolamento posso utilizzare a mia discrezione anche fuori servizio e in abiti civili. Non ho fatto alcun accenno al fatto di essere in missione autorizzata. Se il portiere ha inteso qualcosa di diverso forse è perché aveva qualcosa da nascondere."

"Un'escamotage logico piuttosto interessante, non c'è che dire. Ma questo non cambia la sostanza delle cose. Ma andiamo avanti. Una volta arrivato nei pressi della stanza di Rossamanu, la vittima balza fuori dalla sua stanza in preda ad una strana follia violenta e la aggredisce senza alcun motivo. Corretto?"

"Sono lieto che mi abbia ascoltato con così tanta attenzione, procuratore. In genere i miei discorsi hanno la fama di essere piuttosto noiosi."

"Non faccia lo spiritoso e risponda alla domanda," incalzò il procuratore, perdendo per un attimo la sua aria affabile.

"Il suo riassunto è corretto," concesse Vaarik, senza scomporsi.

"A quel punto, lei cerca di difendersi come meglio può, e tenta una presa vulcaniana per stordire il suo avversario. A quel punto, avviene una sorta di cortocircuito psichico, cosa di cui nessuno ha mai sentito parlare finora, e l'axdat viene scaraventato tre piani più sotto, mentre lei perde conoscenza e dimentica tutto quello che è avvenuto dal momento in cui ha incontrato la vittima in poi. Mi corregga se ho detto qualcosa di inesatto."

"Nessun errore," rispose Vaarik dopo un attimo di esitazione. Dentro di lui si affacciò sempre più pressante la consapevolezza che essersi ricordato di quello che era successo era solo il primo passo. Ora, doveva semplicemente convincere tutto il resto della galassia.

Se fosse stato un tribunale vulcaniano, avrebbe potuto invocare il diritto ad eseguire una fusione mentale per poter confermare la sua testimonianza, ma quel tipo di procedura non era prevista dalla legislazione axdat. Oltretutto, nel suo caso, una fusione mentale sarebbe stata un'arma a doppio taglio. Forse avrebbe potuto scagionarlo dall'accusa di omicidio, ma avrebbe reso di pubblico dominio la sua storia e la sua provenienza, condannandolo forse a qualcosa di peggio che passare la vita in una colonia penale.

"Quindi, secondo la sua versione, lei ha agito per legittima difesa, e la morte dell'axdat è stata solo uno sfortunato incidente."

"Esatto."

Il procuratore fece una risatina divertita. "E lei sinceramente si aspetta che noi crediamo a questa storia?"

Per la prima volta dall'inizio dell'interrogatorio, Vaarik dimostrò la prima sfumatura emotiva. "Io non mi aspetto nulla, avvocato. Questo è quello che è successo."

"E naturalmente la sua parola è l'unica conferma a sostegno della sua teoria," disse il procuratore, puntandogli addosso uno sguardo di accusa carico come la canna di una pistola.

"Ehm, vostro onore..." intervenne Six schiarendosi la voce, dopo aver conferito brevemente con un messo appena entrato in aula. "Questo non è del tutto... esatto."

Il giudice Sutre aggrottò le sopracciglia candide. "Che intende dire, avvocato?"

Six si schiarì nuovamente la voce. "Apparentemente sono appena state presentate delle nuove prove che sembrano confermare la testimonianza del mio assistito."

Mentre molti dei presenti si lasciavano scappare un mormorio di stupore, chiedendosi cosa potesse essere successo, Vaarik sapeva già la risposta.

Renko e Dalton. Non poteva esserci altra spiegazione.

Accademia della Flotta Stellare. Edificio Amministrativo.
Qualche ora dopo.

"Signori giurati, avete raggiunto un verdetto unanime?"

"Sì, Vostro Onore."

"Molto bene. Usciere?" Il presidente del tribunale si rivolse ad un sottufficiale in divisa della Flotta Stellare, il quale gli allungò un padd sul quale si trovava scritto il verdetto dei giurati. L'anziano giudice lesse il verdetto senza muovere un solo muscolo, osservò Vaarik per un lunghissimo momento, poi riconsegnò il padd all'usciere.

"L'imputato e i suoi legali si alzino in piedi."

Vaarik, Six e Koghaiss si alzarono contemporaneamente dai loro posti. Se quello era il giorno in cui andava incontro al suo destino, pensò il vulcaniano, almeno lo avrebbe fatto in piedi.

"In merito all'accusa di omicidio, giudichiamo il cadetto del terzo anno Vaarik cha'Temnok..." annunciò il rappresentante dei giurati "...non colpevole."

Six non poté trattenere una piccola esclamazione di giubilo, mentre Koghaiss sventolava felicemente un'appendice sulla quale nessuno ebbe il coraggio di indagare. Dal canto suo Vaarik era impassibile come sempre, anche se un osservatore attento avrebbe notato che le sue mani, fino a quel momento strette a pugno, si erano finalmente rilassate.

"In base al verdetto della giuria," stava intanto dicendo il giudice, "questa corte assolve il cadetto del terzo anno Vaarik cha'Temnok dall'accusa di omicidio, e ne ordina l'immediato rilascio. Il caso è chiuso."

"In piedi!" annunciò l'usciere mentre il venerabile giudice Sutre lasciava l'aula del tribunale, anche se in realtà non sarebbe stato necessario: nell'aula erano già tutti in piedi, anche se questo aveva poco a che fare con il rispetto dovuto alla corte.

Six, Memok e Koghaiss si congratulavano a vicenda per la felice conclusione del processo; gli istruttori presenti, chiaramente sollevati, commentavano tra loro il verdetto della giuria. Perfino il vice-rettore Garf appariva soddisfatto, ma di certo il suo unico pensiero era quello di aver allontanato dall'Accademia lo spettro dell'infamia.

Al centro di tutto quel marasma, una figura tetra e dall'aspetto spettrale sembrava completamente immune all'aria di manifesta soddisfazione che permeava l'aula, come se nulla di ciò che stava succedendo intorno a lui lo riguardasse minimamente. Ma questa volta, la sua era solo apparenza.

"A quanto pare l'ha fatta franca anche stavolta, signor Vaarik," lo raggiunse da dietro le spalle un voce sarcastica.

Il vulcaniano si voltò, trovandosi di fronte il volto del consigliere Memok nei cui occhi brillava la solita scintilla di umorismo. "Detto fra noi, signor Vaarik, non si aspetterà certo ceh io creda anche solo per un momento alla sua innocenza" disse, smentendo con tono ironico le sue stesse parole.

"Detto tra noi, consigliere, non ci credo nemmeno io" replicò Vaarik, impassibile come sempre.

Il consigliere sollevò un sopracciglio divertito, poi fece un cenno del capo. "Andiamo. Credo che ci sia qualcuno che è impaziente di incontrarla."

Memok condusse l'altro vulcaniano verso il fondo dell'aula dove stazionavano due cadetti, gli unici ammessi ad assistere alla proclamazione del verdetto.

"Ciao, Vaarik. Sono felice di rivederti," esordì Renko, emanando come al suo solito un'aria di perenne entusiasmo, ma badando per cortesia a non avvicinarsi troppo al vulcaniano.

La sua si rivelò però una preoccupazione del tutto inutile, perché per la prima volta da quando lo conosceva, Vaarik posò una mano sulla spalla del suo compagno di corso, dandogli una rapida ma inequivocabilmente amichevole stretta. "Anch'io, Renko. Anch'io."

Poi il vulcaniano si voltò verso l'altro cadetto, trovando Dalton che lo osservava con curiosità. "Bentornato," lo apostrofò. Poi, con un sorriso da canaglia stampato in faccia, aggiunse: "Suppongo che non ci abbracciamo."

Da qualche parte nella città di San Francisco.
Due ore dopo.

"La stavamo aspettando, operativo."

Eru prese posizione in piedi al centro della stanza vuota, completamente immersa nell'ombra. "Sono stata trattenuta," disse la chiropteriana, spiegando i motivi del suo ritardo. "Nonostante la situazione si stia lentamente normalizzando, ci sono ancora molte cose di cui devo occuparmi personalmente."

"Non ne dubitiamo," rispose la voce dal buio. "Quali sono le ultime notizie?"

"La sentenza è stata depositata, e il soggetto sta facendo rientro nel suo alloggio proprio in questi minuti. Secondo le informazioni che ho raccolto gli axdat hanno accettato il giudizio del tribunale federale, quindi non ci saranno strascichi giudiziari nei suoi confronti."

"Molto bene." Una pausa, tanto più lunga per la chiropteriana data la sua precaria posizione. Ma la sua attesa non durò troppo. "A quanto pare, dobbiamo concludere che è riuscita a portare a termine la sua missione con un discreto margine di successo. Anche la Commissione è soddisfatta del risultato." Nonostante fosse come sempre priva di qualunque inflessione, per un attimo la voce riuscì comunque a comunicate un certo senso di soddisfazione.

Poi esitò un istante, come se ascoltasse le parole di qualcuno che solo lei poteva udire. Quando riprese a parlare, lo fece con deliberata lentezza. "Ora che la situazione sta rientrando nei parametri normali, vi è però un'altra questione di cui è necessario discutere. Durante questa operazione, la sua copertura è stata infranta di fronte a due soggetti estranei. Nonostante in definitiva questo abbia contribuito al successo della missione, non possiamo trascurare il rischio che questa azione pone per la segretezza del nostro progetto."

Eru inclinò la testa da un lato, preoccupata dalla piega che stava prendendo quella conversazione. "I due cadetti che hanno collaborato con me durante le fasi conclusive delle indagini non sanno nulla del progetto, Signore. Non hanno motivo di dubitare della mia versione: per quello che sanno il soggetto fa parte del programma di protezione testimoni della Federazione e io sono l'agente incaricato di proteggerlo. Non costituiscono un rischio."

"Comprendiamo il suo punto di vista, ma sappiamo bene che se quei due avranno altre occasioni non esiteranno ad approfondire le indagini nei suoi confronti. La comune presenza in Accademia è un rischio troppo grande."

Un pensiero molto preciso e molto preoccupante prese a farsi strada nella mente della chiropteriana. "Signore, non intenderete..."

"...eliminarli?" la anticipò la voce, dissipando però rapidamente i suoi dubbi. "No davvero. Hanno entrambi grandi potenzialità, e una loro prematura scomparsa sarebbe un illogico spreco di risorse. Oltretutto, rischierebbe di scontentare numerose persone, persone che non abbiamo nessun interesse ad incomodare. La soluzione che avevamo in mente era del tutto diversa."

Eru provò l'impulso di deglutire nervosamente, ma si trattenne. Era un agente addestrato, e sapeva che mostrare debolezza in quel momento non avrebbe fatto altro che peggiorare la sua già precaria situazione. "Sapevo quali erano i rischi quando ho accettato l'incarico, Signore. Sono pronta a pagare il prezzo delle mie azioni."

"Ammiriamo il suo senso di responsabilità, operativo, ma non deve temere per se stessa. Come abbiamo premesso, siamo contrari allo spreco delle risorse. Per questo, abbiamo deciso di darle la possibilità di servirci ancora. Lei riceverà un nuovo incarico, lontano dall'Accademia, evitando così il rischio di ulteriori coinvolgimenti con i due cadetti in questione."

La chiropteriana espirò leggermente, accorgendosi solo in quel momento di aver trattenuto il respiro fino ad allora. Anche la sensazione di oppressione che aveva sperimentato fino a quel momento si allentò, anche se non del tutto. "Grazie, Signore."

"Non ci ringrazi," rispose la voce severamente. "La sua fortuna è stata che il soggetto non sia venuto a conoscenza dei motivi della sua presenza in Accademia. È fondamentale per la sicurezza del progetto che il soggetto non venga a conoscenza dei nostri piani prima che venga il momento. Se non fosse riuscita a portare a termine il suo incarico con successo, ne avrebbe pagato tutte le conseguenze di persona."

"Sì, Signore," rispose la donna dopo una breve pausa. "Quale sarà il mio nuovo incarico?" non poté fare a meno di domandare.

"Ancora non sappiamo in che modo l'axdat sia entrato in possesso delle informazioni che l'hanno portato al soggetto. La sua missione sarà di tracciare l'origine della fuga di notizie, ed ovviamente eliminarla nel più breve tempo possibile."

Un leggero sorriso si fece strada sulle labbra della chiropteriana, anche se cercò in ogni modo di nasconderlo. Dopo tre anni come 'angelo custode', passati a vivere sotto un'identità che non era la sua, era elettrizzante pensare di ritornare alla sua vecchia vita. Di nuovo in caccia, amica mia, pensò con una scintilla di eccitazione.

"Tutti i suoi effetti personali in Accademia verranno prelevati. Ufficialmente, il cadetto Eru sarà trasferito da questo momento in un'altra sede per uno stage di specializzazione. Gli ordini dettagliati per la sua prossima missione le verranno consegnati attraverso le solite procedure," concluse la voce. "Può andare."

"Sì, Signore." La donna fece per voltarsi, ma la curiosità prese il sopravvento. "Perdonatemi, Signore. Chi si prenderà cura della sorveglianza del soggetto?"

"Abbiamo già preso tutti gli opportuni provvedimenti, operativo, non si preoccupi," disse la voce, non nascondendo una punta di divertimento. "Il soggetto sarà... in buone mani."

Accademia della Flotta Stellare. Blocco J.
Nello stesso momento.

Vaarik rientrò finalmente nel suo alloggio, poggiando sul suo letto la scatola che conteneva tutti i suoi oggetti personali, sequestrati dalla sua stanza quando era stato arrestato (compresi naturalmente la sua tazza di ceramica nera e il suo barattolo di miscela di tevesh non replicata). Il vulcaniano si fermò un secondo per ascoltare il silenzio che regnava nella stanza, molto diverso da quello stesso silenzio che l'aveva accompagnato per tutti i giorni della sua detenzione. Si guardò intorno: apparentemente non era cambiato nulla da quando quella mattina aveva lasciato quella stessa stanza per recarsi al processo, ma ai suoi occhi essa appariva molto diversa. Fino ad alcune ore prima quella era stata la sua cella, un luogo che non poteva lasciare; mentre ora era di nuovo la sua casa, un luogo al quale poteva tornare.

Vaarik aveva appena terminato di sbrigare tutte le faccende burocratiche collegate alla fine del processo, e si era accomiatato da Six e Koghaiss che ancora si complimentavano tra loro per la felice risoluzione del caso. Infine aveva salutato anche il consigliere Memok, pronto per ritornare a bordo della sua nave, la USS Nemesis, che aveva dovuto lasciare in tutta fretta quando aveva saputo dell'arresto del suo protetto. Memok ovviamente non si era lasciato sfuggire l'occasione di rifilargli un bella paternale, domandandogli se per favore poteva tenersi alla larga dai guai, almeno per un po' di tempo. Il vulcaniano più giovane aveva provato l'intenso desiderio di dirgli dove poteva infilarsi la sua aria condiscendente, ma sapeva che il consigliere faceva semplicemente il suo mestiere, e che era sinceramente preoccupato per quello che sarebbe potuto succedergli. Entro qualche minuto sarebbe rientrato in alloggio anche Dalton, portando con sé la sua adorata Sara Jane.

Tutto sembrava quindi destinato a tornare alla normalità: le accuse contro di lui era state rigettate, il suo nome e quello dell'Accademia ne uscivano puliti, tutto è bene quel che finisce bene.

Ma non era così. C'era infatti una cosa che non era venuta fuori durante il processo, qualcosa si strettamente personale, che aveva preferito tenere per sé.

Come aveva spiegato durante l'interrogatorio, durante il contatto psichico che aveva dato origine a tutto quel guaio, la sua mente e quella dell'axdat si erano toccate per un istante, un brevissimo momento nel quale i loro pensieri si erano mescolati. Erano quindi i ricordi dell'axdat quelli che riemergevano di volta in volta nella sua memoria: la sensazione di essere inseguito, la paura, il suono simile ad un'ocarina, e soprattutto lo strano odore del farmaco che aveva alterato le sue funzioni mentali.

Fin lì tutto vero. Ma c'era un'altra cosa che aveva taciuto durante la sua testimonianza, una cosa che forse non avrebbe cambiato l'esito di quel processo, ma che sicuramente avrebbe generato uno strascico giudiziario e una serie di indagini che invece non aveva nessun interesse che fossero eseguite.

Perché lui infatti ricordava anche chi aveva iniettato il farmaco all'axdat, e soprattutto perché l'aveva fatto.

Nella sua mente, poteva rivedere attraverso gli occhi di Rossamanu le informazioni scoperte quasi per caso dall'axdat mentre era come di consueto a caccia di notizie che avrebbe potuto rivendere per un compenso. Ricordava come l'alieno si fosse sempre più convinto che dietro alla semplice scomparsa di materiale e rifornimenti navali ci potesse essere qualcosa di molto più grande di quello che sembrava, e molto più oscuro. Rammentava la ragnatela di contatti che aveva intessuto per scoprire quale potesse essere il piano così ben nascosto dietro a quella facciata, fino al momento in cui aveva scoperto in uno di quei file il nome di un cadetto vulcaniano che sembrava essere al centro di questa rete.

E naturalmente ricordava l'incontro con una misteriosa chiropteriana al Four Fingers, una donna in cerca di informazioni che aveva detto di chiamarsi Jaru Smith, ma che Vaarik aveva riconosciuto immediatamente come Eru, sua compagna di Accademia fin dal primo anno e con la quale aveva condiviso varie peripezie.

Rammentava poi come quello scambio si fosse a poco a poco trasformato in un interrogatorio, fino al momento in cui l'axdat aveva capito che lei era uno di loro, e aveva tentato di fuggire, con tutto quello che ne era seguito.

Sfortunatamente, l'axdat non sapeva chi o cosa ci fosse dietro a tutto quello, impedendo quindi a Vaarik di scoprire cosa stesse succedendo esattamente. Però, una cosa era ormai chiara: a sua insaputa, il vulcaniano si era trovato invischiato in qualcosa di molto più grande e complesso di lui. E cosa ancora più inquietante, Eru, una sua compagna di corso, una persona che credeva di conoscere da quasi tre anni, si era rivelata invece essere parte di questo gigantesco complotto che si muoveva alle sue spalle.

Vaarik si avvicinò lentamente alla finestra, scrutando cupamente il paesaggio all'esterno, come se potesse realmente vedere il pericolo che poteva nascondersi dietro ogni angolo, dietro ogni volto. A questo punto le sue scelte erano ben poche: poteva lasciare che lo manovrassero, oppure poteva tentare di sfuggire alla rete che si era tessuta intorno a lui, anche se pensava di aver poche possibilità di riuscita. Oppure, cosa molto meno pericolosa, poteva fare finta di non aver scoperto nulla, ma al contempo tenere d'occhio la situazione alla ricerca di indizi che gli avrebbero permesso di scoprire cosa c'era esattamente in ballo.

Restava solo una domanda, che premeva alle soglie della sua consapevolezza: in un mondo dove un volto amico può trasformarsi in un avversario in qualunque momento, di chi avrebbe potuto fidarsi?

La risposta era davvero molto semplice. Quasi esilarante. Di nessuno.

Per un momento, Vaarik si sentì quasi a casa.

FINE CAPITOLO