Fino a quel momento, il viaggio era andato piuttosto bene. Dopo il commiato ironico degli altri cadetti e quello orgoglioso degli istruttori, si erano teletrasportati direttamente dall'Accademia di Flotta a bordo di una navetta in partenza per il settore angosiano. Due giorni di viaggio piuttosto monotoni, in una navetta che sembrava costruita apposta per poter alloggiare dieci persone riuscendo a dare ad ognuna di esse la possibilità di invadere la privacy di ognuna della altre nove. A parte Renko e Dalton, coinvolti insieme a lui nella faccenda della selezione 'guidata' dei componenti della squadra, Vaarik conosceva solo di vista gli altri sette cadetti scelti per il campus di perfezionamento, ma durante il viaggio aveva avuto modo di conoscere ognuno di essi.
"...e alla fine Sherman si è voltato verso di me e ha detto: brava, hai colpito il bersaglio proprio nel centro. Peccato che quello fosse il bersaglio del tuo compagno."
Nella piccola saletta multifunzionale della navetta, un coro di risatine accolse la storiella moderatamente divertente raccontata da Per'Losicah, una philosiana del dipartimento medico la cui incapacità con il phaser era divenuta leggendaria.
"Non capisco come tu faccia a scherzarci sopra," stava intanto dicendo K'Lah, un klingon tarchiato e con uno scarsissimo senso dell'umorismo. "L'uso delle armi è fondamentale per un ufficiale di flotta."
La philosiana scrollò le fronde con aria filosofica. "Potrei ribattere che l'esercizio della medicina è altrettanto fondamentale. Soprattutto quando in giro c'è gente che prende troppo sul serio l'uso delle armi."
"Su, avanti non bisticciate come al solito," li esortò amichevolmente Elianna Elionn, una betazoide piuttosto avvenente della sezione ingegneria, consapevole che le diatribe filosofiche tra il klingon e la philosiana potevano diventare anche molto accese. "Se avete fame possiamo ordinare qualcosa al replicatore."
"A proposito, angelo, hai pensato al mio invito per una cena una volta arrivati su Angosia?"
La ragazza scosse la testa con rassegnazione: quel tipo non mollava proprio mai, eh? "Mi dispiace, Luke, ma te l'ho già detto più di una volta: le tue intenzioni sarebbero palesi anche se non fossi betazoide. Se un certo tipo di pensieri fossero luminosi, in questo momento tu staresti brillando come il sole a mezzogiorno."
"E allora?" domandò Dalton con il suo migliore sorriso da canaglia. "Hai paura di abbronzarti troppo?"
Scuotendo la testa di fronte ai poco dignitosi tentativi di approccio di Dalton, Vaarik sprofondò nuovamente nella lettura del libro di dinamica vettoriale che si era portato dietro per l'occasione.
Non riuscì a leggere un paragrafo che la sua concentrazione fu di nuovo interrotta da qualcuno.
"Fcufa, ti difturbo?" disse una voce leggermente impastata, e Vaarik sollevò lo sguardo dal suo libro per trovarsi di fronte il muso peloso di Minsk, il melmakiano del primo anno, che lo fissava pieno di speranza. Come tutti gli esponenti della sua razza Minsk era alto circa un metro, con un muso allungato con grandi orecchie e grandi occhi neri ed era completamente ricoperto da un folto pelo dorato.
"Sì," rispose Vaarik con voce fredda, abbassando nuovamente lo sguardo sul suo testo.
"Ah, ok," disse Minsk con aria delusa. Il melmakiano si accasciò sospirando su una sedia poco distante, lasciando dondolare le corte gambette a diverse decine di centimetri dal pavimento.
Il vulcaniano continuò la lettura per qualche secondo quando un secondo, rumoroso sospiro richiamò nuovamente la sua attenzione. Minsk lo stava osservando con aria infinitamente triste, con le grandi orecchie penzoloni e gli occhi lucidi.
Vaarik abbassò di nuovo lo sguardo e lo tenne caparbiamente sul testo.
Dopo pochi secondi arrivò un terzo sospiro afflitto, seguito a breve da un quarto ancora più straziante.
Con un leggero senso di frustrazione Vaarik abbandonò il libro e lo poggiò su un tavolino poco distante. "D'accordo. Che cosa vuoi?"
Il melmakiano si illuminò di gioia, facendosi più vicino al vulcaniano. "Fenti, ma quefti angofiani, non faranno tipi pericolofi? Ho fentito un facco di brutte ftorie ful loro conto."
Vaarik soppesò le informazioni che aveva sul conto dei loro ospiti, informazioni che provenivano per la stragrande maggioranza da un angosiano in particolare.
"Mortalmente pericolosi," disse infine, con una voce che fece rizzare il pelo dietro la nuca al povero melmakiano.
La scena non era sfuggita a Renko, che si avvicinò incuriosito alla sedia del vulcaniano. "Di cosa state parlando?" domandò con gentilezza.
"Minsk mi stava chiedendo informazioni sui nostri ospiti di Angosia," rispose il vulcaniano.
Il delta gammano, solitamente serafico, si incupì al solo sentirne parlare. "Le loro strade si snodano ancora all'ombra dei platani della violenza," disse con profondo rammarico. "E finiscono per farti del male anche quando vorrebbero aiutarti."
Se il suo scopo era tranquillizzare Minsk, bisogna dire che non ci riuscì particolarmente bene.
A quel punto la loro discussione fu interrotta da Dalton, che si lasciò letteralmente cadere su un divanetto poco distante. "Ragazzi, una volta potevo chiedere un appuntamento ad una ragazza per due settimane di fila senza dare segni di cedimento," disse scuotendo la testa. "Guardatemi ora: due giorni e sono sfinito. Dev'essere la vecchiaia." Poi sul suo volto si allargò un enorme sorriso. "Di che cosa stavate parlando?"
"Angosia," disse Vaarik, che evidentemente aveva calcolato come comunicare l'argomento della conversazione con il minor numero di parole possibile.
"Ah!" disse l'umano storcendo il naso. "Angoscia avrebbero dovuto chiamarlo, non Angosia! Vi dico solo una cosa. Sapete come chiamano l'Accademia Militare?"
Vaarik, Renko e uno spaventatissimo Minsk scossero la testa con energia.
"Il Mattatoio. E ho detto tutto"
"Ho bifogno di federmi," li informò il melmakiano appena prima di perdere i sensi, piombando con la faccia in avanti sul pavimento della navetta.
Angosia non è un pianeta freddo. Anzi, il suo clima generale è ampiamente entro la norma per i pianeti di classe M. Certo, come su tutti pianeti anche su Angosia esistono zone dove la temperatura esterna non sale mai sopra lo zero, ma in queste zone si concentra una piccolissima parte della popolazione.
I primi sospetti li avevano avuti quando i piloti della navetta, prima di teletrasportarli, avevano consigliato loro di indossare sopra l'uniforme i giacconi di ordinanza, progettati per proteggere il corpo da temperature anche decine di gradi sotto lo zero.
L'operatore li aveva poi avvisati che si sarebbero materializzati di fronte all'ingresso principale e non direttamente all'interno del campo, dal momento che per scongiurare il pericolo di ospiti inattesi gli angosiani mantenevano uno scudo atmosferico a basso potenziale attorno all'accademia (e questo la diceva lunga sulla loro predisposizione alla paranoia...).
Comunque, una volta materializzati, si trovarono di fronte ad uno spettacolo affascinante e inquietante insieme.
L'intera zona, l'enorme cancello di metallo, l'alto muro di cinta sormontato da una fitta rete di filo spinato, le torrette di difesa blindate sparse ad intervalli regolari lungo il muro e perfino il folto bosco che sorgeva a poca distanza dalla strada principale, tutto era completamente ricoperta da una fitta coltre di neve, che si stendeva fino a dove lo sguardo poteva arrivare. La neve non era molto alta, una ventina di centimetri al massimo, ma bastava a dare al paesaggio un'atmosfera surreale.
Surreale e decisamente fredda.
"Ma a quanti gradi saremo?" domandò uno dei cadetti, strofinandosi le braccia con le mani nel tentativo di conservare il calore corporeo.
"Direi che siamo un paio di gradi sopra lo zero," rispose un altro, e Vaarik sapeva che aveva ragione, anche perché dentro di sé avrebbe voluto urlare per il freddo.
Ne aveva patito tanto di freddo, durante la sua schiavitù nell'universo dello specchio. Per fortuna klingon e cardassiani amavano entrambi temperature piuttosto calde (anche se non calde come quelle a cui erano abituati i vulcaniani), ma non sempre gli edifici e le strutture progettate per dare alloggio agli schiavi erano provviste di un sistema di riscaldamento in buono stato. Alle volte, quando era ancora un ragazzo, l'unico modo per sopravvivere al freddo della notte su Vulcano era di stiparsi tutti vicini come un branco di bestie, sperando che il calore di più corpi avrebbe sconfitto il freddo esterno. Non era un comportamento particolarmente decoroso, ma Vaarik e con lui tutti i suoi compagni di schiavitù avevano imparato da tempo che di fronte alla pura e semplice sopravvivenza la dignità e decoro poteva anche andare a farsi friggere.
Poi, come sempre succedeva quando i suoi pensieri riandavano all'universo dello specchio, la sua mente cominciò a vagare, mentre altri ricordi si presentavano non invitati alla soglia della sua consapevolezza. Era una cosa imbarazzante per un vulcaniano, sempre abituato ad avere la sua mente perfettamente sotto controllo. Tuttavia, nonostante la sua severa applicazione della Disciplina, bastava un particolare, un'immagine, una sensazione, e puntualmente davanti ai suoi occhi si presentava il volto di T'Eia, la sua compagna, la sua sposa, morta ormai da più di tre anni. E come sempre, quell'immagine era accompagnata da un'ondata di dolore e di rabbia così immediata e primitiva che quasi barcollò fisicamente prima di riuscire a controllarsi.
Prima che potesse fare qualcosa per impedirlo, in una frazione di secondo Vaarik rivide tutti gli anni che aveva vissuto accanto a T'Eia, tutti i giorni in cui il pensiero di lei era l'unico rifugio in una realtà di umiliazioni e di sacrificio, tutte le notti in cui la sua presenza era stato l'unico conforto contro il freddo che attanagliava il suo corpo quanto la sua anima...
Non guardare, Vaarik. Non guardare.
Con un immenso sforzo di volontà il vulcaniano si impose di riacquistare il controllo dei suoi pensieri, ponendo termine al torrente dei ricordi prima che si trasformasse in una pericolosa rapida che l'avrebbe risucchiato nei suoi vortici.
Tuttavia la sua improvvisa tensione non poteva passare inosservata. Renko fu il primo ad avvicinarsi. "Tutto a posto?" domandò, lanciandogli un occhiata in tralice.
Anche se c'erano state altre occasioni nelle quali Vaarik aveva visto l'ibrido senza gli occhiali schermanti, era ancora strano per il vulcaniano vedere Renko senza le sue eterne lenti scure appoggiate sul naso. A quanto pareva il sole di Angosia aveva un spettro leggermente diverso da quello del sole della Terra, e non causava al delta gammano quel fastidioso fenomeno di fotosensibilità.
"Sì," mentì spudoratamente Vaarik, tentando di riguadagnare la sua compostezza sotto lo sguardo indagatore di quegli occhi tranquilli ma determinati. "Questo freddo improvviso mi ha... colto di sorpresa."
Come scusa era piuttosto plausibile, ma se poteva bastare per gli altri membri della squadra altrettanto non si poteva dire per Renko e Dalton che, suo malgrado, avevano imparato a conoscerlo piuttosto bene. I due infatti gli lanciarono uno sguardo perplesso, a cui però Vaarik non rispose, costringendosi invece a guardare fisso davanti a sé.
Dalton scosse la testa con malcelato disprezzo, continuando a chiedersi per quale oscuro motivo continuava a preoccuparsi quando invece quell'elfo troppo cresciuto non si meritava altro che di cuocere nel suo brodo. Al contrario, Renko lo guardò con un sentimento molto simile alla compassione, domandandosi non per la prima volta quali demoni avesse dovuto affrontare il vulcaniano per costringerlo a chiudersi in quello stato di completo isolamento pur di non soffrire ancora.
Fu invece una voce inaspettata a richiamarli immediatamente al presente.
"Altolà! Chi va là? Fatevi riconoscere!"
La voce sembrava arrivare da sopra le loro teste, seguita dal ronzio subliminale delle armi ad energia che venivano caricate alla massima potenza. Sulle torrette gemelle che affiancavano il grande cancello principale erano comparse alcune sentinelle, con le armi puntate su di loro.
"Siamo i cadetti della Flotta Stellare," esclamò K'Lah, autoeleggendosi portavoce della squadra senza nessun motivo apparente se non il suo innato egocentrismo. "Non eravate state avvertiti del nostro arrivo?"
Per qualche secondo non successe nulla, e non senza motivo qualcuno dei cadetti cominciò a chiedersi se non fosse il caso di iniziare a preoccuparsi. Di certo non li avrebbero vaporizzati lì sul posto... ma del resto, chi conosceva abbastanza bene gli angosiani per sapere cosa aspettarsi?
Fortunatamente la loro attesa e il loro timore non durò più di una decina di secondi. Senza alcun avviso i servomeccanismi dell'enorme cancello metallico si misero in funzione, facendo scorrere con esasperante lentezza il pesante battente.
Dietro di esso, si apriva il piazzale principale del campo d'addestramento, con attorno gli edifici dell'accademia militare e i depositi di mezzi e materiali. Al contrario del paesaggio esterno surreale e silenzioso, l'interno del campo brulicava di attività: allievi, ufficiali e graduati, avvolti nelle varie sfumature di grigio e di verde a cui facevano riferimento le loro uniformi, sciamavano da ogni parte, muovendosi tutti in linea retta, come a sottolineare che nulla avrebbe potuto distoglierli dal loro obbiettivo, mentre lo spiazzo intorno a loro risuonava del suono marziale dei loro anfibi tirati a lucido. Una compagnia di reclute, inquadrata in angoli retti come se fosse stata disegnata da un architetto zelante, correva a passo moderato lungo uno dei viali principali, sopportando stoicamente in maglietta il gelo esterno e cantando a ritmo con il rumore dei loro stivali un ritornello sguaiato che fortunatamente il traduttore universale di Vaarik si rifiutò seccamente di tradurre.
Un graduato venne loro incontro con passo cadenzato e una smorfia di disprezzo dipinta sul volto dalla pelle scura come l'ebano.
"Cadetti, at'ti!" gridò il militare con tutto il fiato che aveva nei polmoni fermandosi di scatto di fronte a loro. La squadra si mise in posizione con sufficiente celerità, domandandosi se doveva in qualche modo rispondere allo strano saluto che il soldato fece loro, portando la mano destra all'altezza della fronte ed allontanandola con un gesto secco.
Evidentemente il graduato non se ne preoccupò minimamente, perché continuò con voce stentorea. "Sono il luys Gosse Tunior," si presentò, e Vaarik suppose che il titolo significasse qualcosa come sergente o sergente maggiore. "Sono stato assegnato per indicare alla vostra squadra i vostri alloggi e le vostre mansioni. Quindi raccogliete i vostri bagagli e seguitemi. Forza, muoversi, muoversi, MUOVERSI!" aggiunse, spronandoli a compiere quanto era stato ordinato loro con maggiore rapidità.
-Ora capisco perché questa gente piace tanto a Sherman,- pensò Vaarik, scuotendo la testa con aria più cupa del solito.
Cucina principale dell'Accademia Militare Angosiana.
Alcuni giorni dopo. Ora di pranzo.
Nonostante le sue riserve iniziali, Vaarik doveva ammettere che il soggiorno su Angosia non si era rivelato poi così tremendo come potevano aver supposto all'inizio del viaggio.
Il lavoro era duro, le lezioni estenuanti, e non c'era giorno in cui non tornasse dalle esercitazioni all'aperto con qualche nuova contusione o mezzo assiderato per il freddo... ma almeno nessuno si aspettava da lui che gli piacesse fare quello che stava facendo.
Sulla Terra, sembrava ci fosse sempre qualcuno interessato a rendergli più 'piacevole' la permanenza in Accademia. Questa categoria includeva Ilaij, impegnato da sempre a rendere più stimolante la vita sociale del vulcaniano, il tenente comandante Cobledick, nella sua veste di consulente psicologico dell'Accademia, e naturalmente il consigliere Memok, suo tutore e incubo personale.
Qui invece le cose erano ben diverse. Gli istruttori venivano, gli dicevano cosa doveva fare, se ne andavano, e se il lavoro svolto era soddisfacente non gli rivolgevano più la parola finché non era pronta per lui una nuova mansione. Stessa cosa per gli altri allievi: gli angosiani sembrava non si accorgessero nemmeno della sua esistenza, e quando proprio non potevano fare a meno di parlargli lo facevano in modo diretto e senza convenevoli.
La mattina, lo squillo della tromba che annunciava la sveglia lo coglieva alle prime luci dell'alba, e il vulcaniano apriva gli occhi con la consapevolezza che l'intero arco della sua giornata era già programmato e deciso senza che lui dovesse fare lo sforzo di pensarci.
La sera, lo squillo della tromba che imponeva il silenzio lo trovava già disteso sulla sua branda, dove la stanchezza accumulata durante l'arco di tutta la giornata lo faceva cadere addormentato come un sasso prima che i soliti, pericolosi pensieri cominciassero ad assalirlo, regalandogli così un sonno profondo e senza sogni.
Per Vaarik era la cosa più vicina alla tranquillità che finora avesse sperimentato.
In questo momento, la sua attenzione era totalmente concentrata sull'incarico che gli era stato assegnato per la giornata. Gli angosiani l'avevano chiamato 'corvée in cucina'.
Gli addetti alla preparazione delle vivande gli avevano detto che i replicatori della cucina erano predisposti per fornire solamente un certo numero di ingredienti base, e che poi sarebbe stato compito suo elaborare questi ultimi in maniera da rendere la pietanza fruibile dagli avventori della mensa.
Vaarik aveva tentato di domandare per quale motivo non avessero programmato i replicatori per confezionare le pietanze già cucinate e pronte da consumare, ma tutto quello che aveva ottenuto era stato un grugnito e l'affermazione: "perché in missione un soldato deve saper ottenere un pasto commestibile con qualunque cosa gli capiti sottomano."
Saggiamente il vulcaniano aveva preferito non domandare quale fosse il menù previsto all'accademia angosiana per il prossimo cenone di capodanno.
Comunque, nonostante questa politica alimentare spregiudicata, gli angosiani ostentavano una dieta rigorosamente vegetariana, probabilmente un retaggio della cultura pacifista e meditativa seguita dal resto della popolazione.
Fin dal momento che aveva messo piede sul pianeta, Vaarik era rimasto stupito dalla netta separazione esistente tra militari e civili, un baratro di diffidenza e pregiudizio come non aveva mai immaginato potesse esistere all'interno dello stesso popolo.
Ideologicamente gli angosiani erano contrari al concetto stesso di forza armata, ma la recente guerra con i confinanti Tarsiani li aveva costretti a recedere dalle loro posizioni filosofiche e provvedere in fretta e furia ad un esercito attrezzato ed addestrato. Tuttavia, nonostante fossero passati ormai più di dieci anni dalla fine della guerra, i soldati vivevano ancora rinchiusi nelle loro caserme, isolati dal resto della popolazione e considerati da questi alla stregua di paria.
Da parte del personale militare era invece ancora molto forte il rancore dovuto al tradimento del governo nei confronti dei super-soldati modificati, una ferita aperta nella società e che iniziava adesso a richiudersi.
A peggiorare la situazione, dopo tanti anni di isolamento dai loro simili i soldati avevano iniziato a guardare con altri occhi la struttura stessa della società angosiana, iniziando a giudicarla, forse non senza ragione, schiava di una convenzione sociale che li costringeva a reprimere tutti gli stimoli aggressivi e innovativi, incatenandoli in una vita grigia e monotona. Nonostante il recente ingresso nella Federazione, che aveva garantito ad Angosia nuovi interessi e nuove prospettive, quella angosiana appariva ancora una società fortemente disturbata.
Ma sfortunatamente queste osservazioni, che avrebbero fatto la felicità del docente del corso di Sociologia Evoluzionistica Comparata all'Accademia delle Scienze di Vulcano, non fruttarono nulla a Vaarik, il quale fu invece costretto a tirarsi su le maniche (sia metaforicamente che letteralmente) per il suo lavoro in cucina iniziando a spulciare il manuale di preparazione delle vivande accessibile dal computer della mensa. Dopo qualche minuto di ricerche, il vulcaniano aveva individuato una ricetta compatibile con il limitato numero di ingredienti che i replicatori potevano fornire.
Stava tentando di capire cosa intendesse esattamente il manuale di cucina con il termine 'scolare la pasta al dente' quando una voce nota richiamò la sua attenzione.
"Ehi, Vaarik! Vieni a vedere chi ho incontrato!"
Il vulcaniano sollevò lo sguardo, trovandosi di fronte Renko accompagnato da un andoriano dall'aria vagamente familiare con indosso l'uniforme verde e grigia degli allievi dell'accademia angosiana. Vaarik sapeva che non erano molti i non-angosiani che venivano ammessi all'accademia militare, ma la cosa non era così rara da spingere l'ibrido a portargliene uno da mostrare come trofeo.
Poi il vulcaniano concentrò il suo sguardo sul volto dell'andoriano e le cose andarono a posto.
"Ra'lar," salutò Vaarik inclinando leggermente la testa da un lato. "All'inizio non ti avevo riconosciuto."
"È colpa del mio nuovo taglio," confessò l'andoriano con aria rassegnata, passandosi una mano sui capelli candidi tagliati cortissimi. "Mia madre ci ha messo un anno ad abituarsi." Poi si avvicinò, rivolgendo a Vaarik un cenno del capo in segno di saluto. "Anche se mi sono trasferito su Angosia da un paio d'anni, è sempre un piacere rivedere un vecchio commilitone," disse con semplicità.
Adesso che aveva focalizzato bene i ricordi, Vaarik rammentò di aver visto Ra'lar abbastanza spesso durante il primo anno all'Accademia di Flotta, uno dei tanti cadetti che aveva incontrato a lezione o nelle esercitazioni. Se la memoria non lo ingannava, era uno degli amici di Renko alla sezione sicurezza, il che spiegava come mai l'ibrido sembrasse così lieto di aver ritrovato una sua vecchia conoscenza.
"Non sapevo che ci foste anche voi tra i cadetti in trasferta per il campus di perfezionamento," disse l'andoriano, "altrimenti mi sarei fatto sentire prima."
"La tua apparizione è stata comunque piuttosto tempestiva," ammise Renko, lanciando un'occhiata ad uno dei tavoli a cui erano seduti alcuni angosiani.
"Tempestiva è dir poco," raccontò Ra'lar al vulcaniano. "Sono arrivato appena in tempo per evitare che Renko infierisse un duro colpo all'amor proprio di uno dei ragazzi della mia squadra."
"Si è trattato solo di una... incomprensione filosofica," minimizzò Renko scrollando le spalle.
Tuttavia, Vaarik conosceva abbastanza bene l'ibrido da sapere che, nonostante la sua aria mite ed inoffensiva, Renko era in grado di mettere al tappeto avversari all'apparenza ben più pericolosi e agguerriti di lui.
"Pietra sopra," disse Ra'lar con noncuranza. "Così Meran impara a non sottovalutare mai i suoi avversari. In ogni caso," continuò poi l'andoriano cambiando argomento, "se doveste avere bisogno di qualcosa, non esitate a contattarmi. Come caposquadra dei De'shlok posso avere accesso a risorse che credereste impossibili," aggiunse, chiaramente orgoglioso del suo ruolo in quella che Vaarik aveva sentito nominare come la più famosa e ammirata squadra d'élite dell'accademia militare angosiana.
Il vulcaniano prese nota di quell'informazione con un cenno del capo, poi un'occhiataccia da parte di uno dei cucinieri angosiani dietro le sue spalle lo informò che aveva sottratto fin troppo tempo alla preparazione della sua pietanza. "Adesso devo tornare al mio lavoro," disse ai due colleghi della sicurezza. "Se volete scusarmi..."
"Naturalmente, il dovere innanzitutto," approvò Ra'lar. "Ci vediamo presto."
Il vulcaniano ricambiò il saluto e si predispose a continuare la sua ricetta, mentre dietro le sue spalle Renko diceva all'andoriano. "Vieni, adesso voglio presentarti Luke. Lui è entrato in Accademia dopo che tu ti sei trasferito..."
Vaarik non udì mai il resto della frase, perché in quel momento il vulcaniano si rese conto con orrore che la sua pasta aveva subìto un processo entropico chiaramente irreversibile, trasformandosi in un'orribile poltiglia acquosa dall'aspetto poco rassicurante.
Rovesciando il contenuto della pentola nel disintegratore di rifiuti, tutto ciò che Vaarik poté fare fu di raccogliere tutta la sua pazienza e la sua Disciplina e prepararsi psicologicamente ad iniziare tutto da capo.
Vaarik, Dalton e Renko percorsero con sufficiente celerità il piccolo corridoio sotterraneo che conduceva direttamente alla dispensa. Sotto al complesso dell'accademia si estendeva un'intricata rete di cunicoli scavati direttamente nella roccia, costruita presumibilmente come via di fuga in caso di emergenza.
E proprio di una via di fuga avrebbero avuto bisogno, se fossero stati scoperti a girovagare di notte dopo che era stato suonato il silenzio. Ad essere sinceri il motore di tanto ardimento non era dei più nobili, e consisteva per Renko e Dalton nella necessità di variare l'alimentazione strettamente vegetariana alla quale erano stati costretti durante da quando erano arrivati su Angosia, mentre Vaarik non era più di tanto interessato alla qualità del cibo ma alla promessa di Dalton di non percuotere più quell'attrezzo barbaro che si ostinava a chiamare strumento musicale durante le ore di meditazione giornaliera del vulcaniano in cambio di un aiuto in quella missione gastronomica.
A sentire quello che avevano raccontato a Dalton il rischio di essere scoperti non era molto alto, quei sotterranei non venivano piantonati e di notte la possibilità di incontrare qualcuno era estremamente ridotta. D'altro canto, gli istruttori non avevano la fama di avere la mano leggera con chi trasgrediva le regole.
Se all'inizio erano stati felici di sapere che durante la loro permanenza su Angosia il comandante Naren Gozar, loro vecchia conoscenza all'Accademia di San Francisco, sarebbe stato in missione lontano dal pianeta, proprio pochi giorni prima avevano avuto la dubbia fortuna di fare la conoscenza di una subhadar dalle trecce bionde e dal sorriso gentile, docente del corso di Sopravvivenza in Condizioni Atmosferiche Avverse II. Una subhadar che rispondeva al nome di Shayla Gozar.
A quanto pareva la soave fanciulla aveva seguito l'esempio del fratello maggiore arruolandosi nelle forza armate, e come lui era stata modificata per diventare un super-soldato.
Nemmeno da dire che il fratello non aveva mancato di raccomandarle di tenere un occhio aperto su tre cadetti un po' più anziani della media con una spiccata predisposizione a ficcarsi in guai decisamente più grossi di loro.
In ogni caso per il vulcaniano era tardi per recriminare, ormai era in ballo e tutto quello che poteva fare era sperare di non trovarsi senza sedia alla fine della canzone.
Appena furono in prossimità della porta della dispensa, qualcosa di insolito indusse uno di loro a fermarsi di colpo.
"Voci," disse sottovoce Vaarik, facendo cenno agli altri di attendere. Avvicinandosi alla porta di spesso metallo, il vulcaniano appoggiò delicatamente un orecchio appuntito sulla fredda superficie del battente, aspettando che le vibrazioni del metallo amplificassero ciò che veniva detto dall'altro lato della porta.
"Farò quello che volete, ma non fatemi del male." A meno che le sue sensibili orecchie non avessero iniziato a tradirlo proprio in quel momento, quella era la voce di Minsk, il melmakiano.
"Nessuno ti torcerà un capello se farai quello che vogliamo. Esegui, e verrai risparmiato; sgarra, e verrai punito. Meran sa come spiegare agli ottusi che stanno sbagliando."
Se fosse stato possibile, il cipiglio tetro di Vaarik si incupì ulteriormente: Ra'lar.
La voce dell'andoriano, la sinistra risata del suoi compagni angosiani, il rumore di una sbarra di ferro che si abbatte sulla lamiera.
L'immagine di ciò che stava succedendo dall'altra parte della porta si materializzò nella mente di Vaarik come se la stesse osservando con i suoi occhi: il melmakiano chiuso in un angolo, terrorizzato. Attorno a lui, la banda di angosiani, capeggiata da Ra'lar che osserva la scena con una smorfia di crudele soddisfazione sul volto. Ora molte delle cose che erano successe da quando aveva messo piede all'accademia militare su Angosia trovavano la loro spiegazione.
Delicatamente, il vulcaniano fece pressione sulla porta manuale, aprendo solo uno spiraglio tra di essa e il muro di pietra. Facendo ricorso a tutta la sua concentrazione, Vaarik riuscì a far percorrere al battente solo un millimetro alla volta, evitando così che i cardini non più nuovissimi mettessero in allarme gli angosiani. Dopo pochi istanti, il vulcaniano riuscì ad intravedere quello che stava succedendo dall'altra parte, avendo così la conferma di ciò che già sapeva.
In quel momento anche Dalton e Renko, vinti dalla curiosità, si avvicinarono silenziosamente alla porta, sbirciando a loro volta nello stretto spiraglio aperto dal vulcaniano.
Nonostante Minsk fosse completamente circondato dalle reclute, Vaarik poteva comunque vederlo tremare dalla paura, contorcendosi come un bruco prima di essere infilzato nell'amo.
"Non fatemi del male," continuava a ripetere come un mantra. "Non fatemi del male."
Era una scena patetica, e per un istante il vulcaniano desiderò ardentemente essere da qualche altra parte, da qualsiasi altra parte, pur di non assistere a quella scena che riportava a galla in lui ricordi che non aveva nessuna voglia di risvegliare.
Nell'universo dello specchio, Vaarik aveva assistito altre volte a scene del genere, e sapeva quindi per esperienza diretta che non avrebbe potuto fare niente per aiutare il povero Minsk. Se si fosse messo in mezzo, se avesse tentato di fermare gli angosiani, l'unico risultato che avrebbe ottenuto sarebbe stato di condividere il destino del melmakiano, qualunque esso fosse.
Qual era la logica di mettersi personalmente sulla linea del pericolo, quando nel farlo non vi era alcuna possibilità di ottenere il risultato sperato?
Qual era la logica di un gesto completamente inutile, compiuto solo per appagare un bisogno istintivo, il bisogno di opporsi all'ingiustizia, alla violenza, all'intimidazione?
Qual era la logica di avere una coscienza?
Vaarik stava già per allontanarsi dalla porta, pronto a tornare sui suoi passi e ad abbandonare il povero Minsk a chissà quali vessazioni degli angosiani, quando la scena di fronte a lui cominciò a tremolare, come un miraggio, sovrapponendosi ad un'altra molto nebulosa.
Il vulcaniano sbatté le palpebre, sperando che così la sua vista si schiarisse. Fu così, ma non nel senso che lui si aspettava. Vaarik sulle prime non riconobbe ciò che vedeva, ma poi a poco a poco la consapevolezza si fece strada nella sua mente.
Era l'immagine di un dormitorio, con le sue brande arrugginite disposte in bella schiera contro le pareti. Al suo interno c'era un gruppo di giovani, dai tredici ai diciassette anni, con addosso con i logori cenci che, non senza ironia, venivano chiamati abiti dagli schiavi nell'universo dello specchio. Alcuni erano distanti, defilati sullo sfondo, mentre un gruppetto più numeroso era disposto a semicerchio, come per bloccare qualcuno contro un muro. Il vulcaniano non dovette aguzzare la vista per vedere chi c'era all'interno del cerchio.
"Lasciatemi in pace."
A parlare era stato un ragazzo vulcaniano di massimo quattordici anni, il volto giovanile reso più vecchio dal dolore e dagli stenti. Contro il petto stringeva una stuoia e una misera coperta, che certamente non avrebbe potuto proteggerlo adeguatamente dal freddo della notte su Vulcano come dalla crudeltà dei suoi compagni di sventura.
Vaarik riconobbe se stesso vent'anni più giovane, il volto atteggiato ad una maschera di determinazione ma la voce spezzata da un leggero tremito. Era da poco entrato alla seconda fase di preparazione dell'Istituto, sul Vulcano speculare, circa un anno prima dell'attentato che aveva sventrato l'ala ovest dell'edificio, e quella doveva essere la sua cerimonia di benvenuto nella nuova sezione.
"Avete sentito? Il nuovo arrivato vuole essere lasciato in pace." Un ragazzo vulcaniano, più alto degli altri, lo squadrò con le braccia conserte. Si chiamava Srrelk, ed anche se aveva solo quindici anni era più grosso della maggior parte degli allievi più grandi. Gli altri ragazzini non sghignazzarono apertamente, molti erano vulcaniani e quindi abituati a non mostrare le loro emozioni, ma un mormorio divertito serpeggiò ugualmente tra di loro. "Chi credi di essere per avere diritto ad una brandina nel nostro dormitorio?" domandò ancora il primo ragazzo.
"I sorveglianti mi hanno detto di trovare un posto dove dormire. Nessuno mi ha detto che non potevo stare qui," si sentì rispondere, mentre alzava il mento in segno di sfida.
"Questo è un grosso problema," rifletté Srrelk. "Vorrà dire che saremo noi ad illuminarti sulle procedure in vigore in questo dormitorio." Vaarik vide se stesso irrigidirsi, consapevole che le cose stavano volgendo al peggio. Vide il giovane Vaarik stringere i pugni, mentre lottava per controllare le ondate crescenti di paura che si facevano strada attraverso la sua non ancora perfetta Disciplina.
"Avanti, spieghiamogli chi è che comanda," disse Srrelk. Gli altri ragazzi si avvicinarono minacciosamente, stringendo il giovane vulcaniano in un cerchio sempre più stretto, e mentre il suo cuore galoppava Vaarik capì che non poteva fare più nulla, che non aveva più via d'uscita. Quella consapevolezza spazzò via di colpo tutta la sua paura, facendo emergere al suo posto solo una rabbia primitiva e irrazionale.
"Perché ve la prendete con me? Che cosa vi ho fatto?" si sentì rispondere, con gli occhi nerissimi che gli brillavano di una luce fiera e incandescente. I suoi persecutori parvero spiazzati dalla domanda, come se si aspettassero solo di vederlo implorare. "Credete davvero che questo possa aiutarvi a migliorare le vostre miserevoli vite? È questo che vi insegna la logica dei nostri antenati?!?" sibilò furiosamente, fissando Srrelk direttamente negli occhi. "Perché te la prendi con me? Avanti, dimmelo se ne hai il coraggio! PERCHÈ?!?"
Srrelk esitò un istante, e in quell'attimo Vaarik vide sul volto dell'altro giovane vulcaniano il dolore, le umiliazioni, e soprattutto il rimorso per quello che stavano facendo, per quello che erano diventati. Ma poi i suoi occhi tornarono ad indurirsi, fino a diventare freddi e opachi come quelli di uno squalo.
"Perché quaggiù ci sono due regole," rispose infine Srrelk con voce atona, scrollando le spalle. "La prima è: c'è sempre una vittima; e la seconda è: non essere tu la vittima."
Poi qualcuno lo colpì alla nuca con qualcosa di duro, e Vaarik sentì il dolore esplodergli nella testa come il rintocco di una campana. Perse l'equilibrio, ma qualcuno lo afferrò saldamente, mantenendolo in piedi, mentre altri cominciavano a colpirlo ripetutamente, sul volto, sulle costole, allo stomaco. Vaarik sentì ogni pugno, ogni ginocchiata, sentì il sapore di rame del suo sangue in bocca, tentò di coprirsi il volto con le mani, ma le sue braccia erano saldamente bloccate dietro la sua schiena.
Con la coda dell'occhio vide gli altri ragazzi della sua età, che si tenevano in disparte, contro le pareti del dormitorio, con gli occhi dilatati dalla paura sulla scena a cui stavano assistendo ma senza avere il coraggio di intervenire.
"Vigliacchi!" riuscì a biascicare il vulcaniano, stentando a riconoscere la sua stessa voce da tanto era roca e stentata. Ma gli altri ragazzi non mossero un muscolo verso di lui, pur guardandolo con gli occhi sgranati. "Aiutatemi! Vigliacchi!" si sentì dire ancora, con rabbia, anche se ormai dubitava che potessero capire qualcosa dalle sue labbra gonfie e spaccate.
I suoi piedi persero ancora l'appoggio, e il giovane vulcaniano si ritrovò per terra, in posizione fetale, tentando di ripararsi dai calci che giungevano da ogni direzione, mentre dentro di lui una voce continuava a ripetergli che quella era la fine, che sarebbe morto lì, per terra come un verme, provando dolore e rabbia e vergogna per quei vigliacchi che stavano lì a guardare quello che succedeva senza muovere un dito, troppo deboli e codardi e...
"Lasciatelo in pace," disse un voce incredibilmente profonda, lacerando i suoi pensieri come una folgore inaspettata. Vaarik si riscosse di colpo dalle sue memorie, rendendosi conto con un vago senso di stupore che la voce era la sua.
Il suo corpo si era mosso in maniera automatica, senza alcun controllo da parte della sua sfera cosciente, spalancando la porta dietro alla quale stava origliando e frapponendosi tra il melmakiano e il gruppo dei suoi persecutori.
Con la coda dell'occhio poteva vedere Minsk che lo fissava a bocca aperta, mentre di fronte a lui Ra'lar aveva il volto distorto in una smorfia di rabbia.
"Non ti mettere in mezzo, corvaccio vulcaniano!" sibilò l'andoriano, la carnagione che andava scurendosi a causa dalla rabbia. "È una cosa tra noi e questo nird!"
"Fossi in te non ne sarei tanto sicuro, ragazzo," disse una voce alle spalle del vulcaniano, e Vaarik capì che anche Dalton si era unito a lui di fronte al gruppo di allievi anziani.
"O come diceva sempre il mio Maestro: 'Chi attacca un leone deve combattere un solo avversario, ma chi attacca una formica dovra' affrontare innumerevoli nemici.' Baolian, v. 223," concluse infine Renko, prendendo tranquillamente posto al fianco del vulcaniano.
"Si può sapere cosa credete di fare?" domandò ancora Ra'lar, rivolgendosi ai cadetti con rabbia. "Questa è una faccenda privata!"
"Mi dispiace, Ra'lar, ma non possiamo permetterlo." Renko si avvicinò all'andoriano, mantenendo però un atteggiamento esplicitamente non aggressivo. "Qualunque cosa stia succedendo qui, deve finire adesso."
"Non sono cose che vi riguardano!" ringhiò Meran, il più grosso degli angosiani. "Levatevi di mezzo, sporchi federhaxa!"
"Tu stai zitto, Meran," sibilò Ra'lar, lanciando all'angosiano un occhiata talmente incandescente da scorticarlo vivo. "Sono io che parlo."
Meran sembrò rimpicciolirsi sotto quello sguardo incandescente. "Sì, Ra'lar," rispose automaticamente, abbassando lo sguardo.
"In quanto a voi," disse ancora l'andoriano rivolgendosi ai cadetti della Flotta, "vi conviene andarvene di qui, se ci tenete a farlo con le vostre gambe."
"Ohi ohi," rispose Dalton, con un sorriso divertito ma pericoloso. "Qui volano parole grosse... sarai poi in grado di metterle in pratica?" L'umano fece un passo in avanti, minaccioso, fissando l'angosiano più grosso direttamente negli occhi.
"Meran," disse l'ibrido, guardandolo con un'aria severa negli occhi castani. "Forse la prima volta non mi stavi ad ascoltare. Te lo devo ripetere? Con la violenza non si risolve nulla."
"Tieniti per te le tue frasi ad effetto, Renko," lo apostrofò l'andoriano, stizzito. "Non capisci che non è proprio il momento?"
"L'unica cosa che non capisco, Ra'lar," domandò di getto l'ibrido, rivolgendo uno sguardo deciso verso l'andoriano, "è come tu possa parlare di forza e di onore e poi metterti a capo di una banda di codardi e di prepotenti."
"Attento, Renko," disse Ra'lar con uno sguardo rabbioso. "Anche se ti considero un amico non ti permetterò di insultare l'onore dei De'shlok!"
"Io non insulto nessuno," rispose Renko senza perdere la sua aria serafica. "Mai. Ma quello che vedo qui adesso è che il gruppo di cadetti che dovrebbe essere un esempio da seguire per tutti quelli dell'accademia militare si diverte a tormentare uno più debole di loro. Perché?"
"Non è così semplice, Renko," rispose Ra'lar, sforzandosi di far capire come stavano le cose. "È complicato, molto più complicato di quello che credi. Ti assicuro, vorrei anch'io che fosse così semplice."
"Al contrario, qui la situazione è semplicissima," intervenne Vaarik, prendendo la parola per la prima volta dopo il suo ingresso in scena. "Adesso noi ce ne andiamo," disse, attirandosi uno sguardo di approvazione da parte degli angosiani, "e Minsk viene con noi." Sfortunatamente, l'ultima parte della sua affermazione non riscosse lo stesso successo della prima.
"Questo è inaccettabile," disse Ra'lar. "Noi e questo nird abbiamo ancora un sacco di cose di cui discutere."
"Forse non sono stato chiaro," replicò il vulcaniano, scoccando verso l'andoriano uno sguardo che sembrò piantarsi direttamente nel fondo del suo cranio. "Ho detto che noi ce ne andiamo e Minsk viene con noi. Adesso."
Vi furono mormorii di protesta da parte degli angosiani, ma nessuno osò fiatare a voce alta, anche per paura di essere ripresi dal loro capo come poco prima era successo a Meran.
"Questa volta il beccamorto vulcaniano ha ragione," si intromise Dalton, con il solito sorriso beffardo sulle labbra. "O preferite risolvere la questione qui dentro, facendo tanto di quel chiasso da svegliare l'intera accademia? Perché, vedete... suppongo che neanche ai famosi e temuti De'shlok sia permesso violare il regolamento dell'accademia. Perciò, se anche voi trovate che sia poco saggio provocare una zuffa che attiri qui le guardie per vedere chi è stato tanto idiota da violare il coprifuoco per farsi uno spuntino di mezzanotte... direi che la discussione finisce qui."
Ra'lar sembrò riflettere per un tempo incredibilmente lungo, con lo sguardo che correva da Dalton a Renko a Vaarik, sondando con gli occhi alla ricerca di uno spiraglio di indecisione. Non ne trovò nessuno.
"Per ora ce ne andiamo," disse infine ai suoi compagni. Questi sgranarono gli occhi per lo shock di una decisione del genere, ma si guardarono bene dal replicare ad un ordine diretto del loro capo. "Ma la discussione non finisce affatto qui," aggiunse l'andoriano. "I De'shlok non dimenticano facilmente. Torneremo a farci sentire presto, statene certi. Soprattutto con te, feccia di un nird," concluse infine, rivolgendo uno sguardo di fuoco al povero Minsk, che nel frattempo era rimasto ben nascosto dietro al trio di cadetti.
Poi Ra'lar schioccò le dita, facendo segno ai suoi di seguirlo, non prima però di aver lanciato uno sguardo gelido verso Renko, il quale si rese conto con rammarico che la sua amicizia con Ra'lar era arrivata alla fine.
"Vi ringrazio di cuore, ragazzi," mormorò Minsk quando tutti gli angosiani se ne furono andati. "Fe non foffe ftato per voi..." il melmakiano deglutì, incapace anche solo di dare un nome a quello che gli angosiani avrebbero potuto fargli.
"Visto che siamo in argomento," intervenne Dalton, lanciando un'occhiataccia a Minsk, mentre la sua voce saliva di tono man mano che parlava, "vorresti gentilmente dirci che cosa cavolo hai fatto stavolta per far arrabbiare tanto i nostri cari ospiti?"
"Io non ho fatto niente, lo giuro!" rispose il melmakiano, allarmato dalla nota pericolosa che aveva assunto la voce dell'umano. Poi parve riflettere meglio sulla sua risposta. "Mi fono folo foffiato il nafo ful veffillo dei De'fhlok appefo a quel muro..."
Dalton roteò gli occhi, sconcertato, mentre Renko lanciava un'occhiata all'onorato vessillo militare come per accertarsi di quello che il melmakiano aveva appena affermato, trovando sfortunatamente una lampante e disgustosa conferma a ciò che aveva appena udito.
Nel frattempo, una vocina dentro la testa di Vaarik cominciò a ridacchiare ironicamente, sussurrandogli che quello che gli stava capitando era la giusta punizione per aver dato retta ai suoi due compari ed essersi fatto coinvolgere in quella assurda incursione di mezzanotte.
Vaarik andò al replicatore, ordinò la sua solita colazione e si diresse con passo misurato verso il tavolo dove lo stavano già aspettando i suoi due compari.
Renko e Dalton sembravano più scuri del solito quella mattina, e dopo quello che era successo quella notte Vaarik non poteva certo biasimarli. Minsk al contrario non era sceso a fare colazione, cosa quasi inconcepibile per un melmakiano e che la diceva lunga sul suo stato mentale.
I tre avevano discusso a lungo quella notte, cercando di giungere ad una soluzione, ma non erano approdati a nulla. L'unica certezza che erano riusciti a trovare è che quello a cui avevano assistito era frutto di un sistema complesso di consuetudini e gerarchie, e non un episodio isolato di intimidazione ad opera di un gruppo di bulli, la qual cosa rendeva la situazione ancora più delicata e pericolosa.
Dalton aveva attinto alla sua lunga esperienza in ambiente militare, nella quale si era necessariamente imbattuto più volte in episodi di 'nonnismo', cercando di spiegare anche a Renko in che cosa consistesse esattamente questo fenomeno, ma ancora non era certo che l'ibrido avesse compreso tutte le sfumature.
Da ragazzo Renko si era addestrato per anni al Castello di Kyôki, in un ambiente più simile ad un tempio shaolin che ad un istituto formale, dove la distinzione tra insegnanti ed allievi era molto sottile, quasi impalpabile, e dove il rispetto per gli allievi più anziani, i senpai, sorgeva spontaneo come un ramo dal tronco. 'Il miglior maestro e' colui che spinge gli allievi a chiedersi: cos'ha detto?' era uno dei motti del Maestro, e per quanto incomprensibile come tutti gli altri, dava comunque l'idea che l'impostazione del Castello fosse quando di più lontano dalla rigidezza del codice militare. In un ambiente come questo, a parte qualche caso isolato di comportamento scorretto, fenomeni come il 'nonnismo' erano completamente alieni.
Durante tutta questa discussione, Vaarik era rimasto perfettamente silenzioso, rifiutandosi di dare la benché minima indicazione su quale fosse il suo pensiero. Il vulcaniano era rimasto a rimuginare in silenzio sulla sua branda, valutando attentamente le varie prospettive.
Discuterne con gli ufficiali federali o angosiani era una cosa che avevano escluso a priori: 'i panni sporchi si lavano in casa', aveva succintamente riassunto Dalton, che poi si era trovato a dover spiegare quel modo di dire sia a Vaarik che a Renko, più avvezzi a dimostrazioni logiche e a proverbi più esotici rispettivamente.
Potevano affrontare direttamente Ra'lar e i suoi uomini, ma che cosa avrebbero potuto dire loro? 'Lasciate in pace Minsk o dovrete vedervela con noi?' Avevano il sospetto che gli angosiani gli sarebbero scoppiati a ridere in faccia.
D'altro canto, non potevano nemmeno sorvegliare Minsk ventiquattr'ore al giorno, e tantomeno tenersi d'occhio a vicenda allo stesso modo per evitare che uno di loro finisse sotto il mirino dei De'shlok. Avevano un corso militare da frequentare, e gli istruttori non sarebbero stati felici se invece di seguire i corsi e le esercitazioni si fossero appartati a fare i piccoli cospiratori.
Più ci rifletteva, e più il ventaglio delle loro possibilità si andava restringendo.
"La notte ha portato consiglio, mio caro vulcaniano?" domandò Dalton appena Vaarik si fu seduto al tavolo, azzannando un tramezzino vegetariano.
Vaarik non rispose, ma dal suo sguardo era facile dedurre cosa ne pensasse del fare dell'ironia in quella situazione.
"Se nemmeno la logica ha una risposta, allora cosa può fare un povero pilota solitario tanto tanto lontano da casa?" commentò ancora l'umano, pregustando la risposta del vulcaniano.
"L'unica certezza che la logica può dare, Dalton," rispose Vaarik con voce sepolcrale, "è che non saremmo dovuti scendere nel seminterrato durante la notte, in palese violazione del regolamento. Quello che è successo dopo non rientra più nell'ambito della logica ma in quello del caos, campo nel quale voi terrestri eccellete certo più di noi vulcaniani."
"Suona tanto come un 'io ve l'avevo detto', o sbaglio?" commentò Renko, bevendo un sorso del suo succo dal colore non ben identificabile.
"La tua osservazione non è del tutto lontana dalla verità, Renko," osservò il vulcaniano senza scomporsi. "Del resto, ad essere precisi, io ve l'avevo detto."
La discussione proseguì per alcuni minuti con varie illazioni sulle supposte capacità di Vaarik di calamitare eventi negativi quando si trovava nei paraggi. In realtà nessuno di loro badava davvero a quello di cui stavano parlando, ma trovavano molto più confortevole bisticciare tra loro per quelle sciocchezze piuttosto che preoccuparsi inutilmente per quello che sarebbe successo. In ogni caso, le loro scelte erano chiare. Avrebbero aspettato di vedere cosa facevano Ra'lar e i suoi uomini e se necessario avrebbero ribattuto colpo su colpo.
Era una gara di nervi, e non potevano permettersi di perderla.
La discussione che stavano sostenendo durò ancora qualche minuto, almeno finché non fu interrotta bruscamente dall'arrivo di Ra'lar, seguito a ruota da Meran e dagli altri angosiani.
Nella sala calò il silenzio.
Era incredibilmente raro che i componenti dei De'shlok si facessero vedere nella sala mensa centrale. Loro avevano il loro punto di ritrovo personale all'ultimo piano, e in condizioni normali non si sognavano neanche di mescolarsi con la plebaglia che frequentava le mense dei piani inferiori. Come l'avvistamento di uno gruppo di falchi in una piazza piena di piccioni, la loro apparizione in quella sala non poteva essere altro che portatrice di guai.
Con uno sguardo Ra'lar individuò la posizione dei tre cadetti, facendo cenno ai suoi uomini di seguirlo. Vaarik, Renko e Dalton li osservarono apertamente mentre si avvicinavano, attendendo di vedere cosa avrebbero fatto. Di certo non avevano intenzione di aggredirli in mezzo a tutta quella gente... ma di nuovo, chi conosceva abbastanza bene gli angosiani per sapere cosa avrebbero fatto in qualsiasi situazione?
Quando fu arrivato a pochi metri dal loro tavolo, il gruppo si fermò. Solo Ra'lar fece un passo avanti, appoggiandosi allo schienale di una sedia vuota di fronte a loro.
"Questa sedia è libera?" domandò in un soffio, con una cortesia che mise i brividi lungo la schiena a tutti e tre.
Vaarik visualizzò l'immagine mentale di Ra'lar che, dopo aver chiesto così galantemente il permesso, sollevava la sedia sulla sua testa per abbatterla su di loro come arma contundente. Poi scrollò la testa, infastidito. Stava diventando un po' troppo spesso preda dell'immaginazione, in quel periodo. Probabilmente era colpa del freddo.
O almeno così si augurava il vulcaniano
"Prego," rispose Renko all'andoriano, assumendosi il ruolo di portavoce in virtù della sua conoscenza con Ra'lar.
Ra'lar si sedette senza far alcun rumore, congiungendo le mani sul tavolo da pranzo, facendo risaltare il contrasto tra la pelle azzurrina e il bianco del piano di appoggio. Il vulcaniano pensò che aveva l'aria di qualcuno che sta per fare una dichiarazione di guerra.
"Abbiamo discusso a lungo," li informò l'andoriano, senza preoccuparsi di spiegare chi fossero stati i partecipanti alla discussione. "E alla fine sono riuscito a convincerli a riconoscere il vostro diritto a proteggere il vostro compagno, nonostante non riesca a capirne il motivo."
Nonostante le parole apparentemente innocue, a Vaarik non piacque per nulla il suono di quell'affermazione.
"Ma di conseguenza, da questo momento in avanti, dividerete con lui le conseguenze delle sue azioni."
"E questo cosa dovrebbe significare?" chiese Renko, indeciso sul senso esatto di quell'affermazione ma percependo benissimo il senso di minaccia celato dietro di essa.
"Significa che il ragazzino ci sta sfidando," spiegò Dalton, le labbra serrate in un sorriso duro e sottile.
"Non pensare che quei quattro capelli grigi ti rendano più furbo di tutti noi, zietto," lo schernì bruscamente l'andoriano, infrangendo per la prima volta l'aura di fredda cortesia che aveva manifestato fino a quel momento. "Ma questa volta hai quasi ragione. E vedremo se questi ragazzini possono ancora insegnarvi qualcosa."
"E se ci rifiutassimo?" domandò Vaarik con voce fredda, prima che Dalton potesse rispondere alle provocazioni di Ra'lar.
"In quel caso temo che non sarò più in grado di proteggere né voi, né tantomeno i vostri compagni cadetti della Flotta Stellare," confessò l'andoriano, scuotendo la testa con aria preoccupata. Nonostante il tono minaccioso, Vaarik ebbe la precisa sensazione che Ra'lar fosse sinceramente preoccupato per la loro incolumità, e che avrebbe preferito evitare tutti questi problemi. Per la prima volta Vaarik si domandò se l'andoriano, caposquadra e portavoce degli onorati e rispettati De'shlok nonostante non fosse originario di Angosia, non fosse intrappolato più di chiunque altro in mezzo a quella ragnatela di doveri, obblighi e punizioni che li stava a poco a poco avvolgendo tutti quanti. Ma la sua rimase solo una sensazione.
"L'appuntamento è per stanotte al cancello ovest," stava intanto spiegando l'andoriano. "Ore 00.23. E portate anche quel buffone di un nird."
"Mezzanotte e ventitre'?!?" domandò Dalton, quasi strozzandosi. "Che cavolo di appuntamento è mezzanotte e ventitre'?!?"
"Le nostre scelte non vi riguardano," tagliò corto Ra'lar, alzandosi di scatto. "Vedete di non mancare."
L'andoriano si allontanò in fretta, calamitando dietro di sé i suoi uomini con il consueto schiocco di dita.
Al tavolo, i tre cadetti guardarono cupamente i De'shlok che si oltrepassava le porte della mensa comune, sotto gli sguardi ammirati e un po' intimoriti degli altri allievi.
"E adesso cosa facciamo?" domandò Renko, lanciando al terrestre un'occhiata in tralice.
"Semplice," disse Dalton con voce piatta. "Andiamo all'appuntamento e li facciamo neri."
"E tu pensi che questo possa risolvere la situazione?" domandò a sua volta Vaarik con voce sepolcrale.
"Assolutamente no," rispose l'umano senza fare una piega. "Però questo non ci impedirà di farlo lo stesso."
Nessuno ebbe da obiettare a quella affermazione.
"Come fate ad essere così sicuri che Minsk non potrà causare ulteriori complicazioni, questa sera?"
Renko e Dalton si scambiarono un'occhiata complice. "Tranquillo, orecchie a punta, tranquillo," lo rassicurò l'umano. "Abbiamo pensato a tutto noi."
"Com'è che questa tua affermazione non fa altro che accrescere il mio scetticismo?"
"Perché sei il solito pessimista," lo rimproverò amichevolmente Dalton. "Devi avere più fede!"
"Questa volta Luke ha ragione," spiegò Renko sorridendo al vulcaniano. "Gli abbiamo dato un falso appuntamento a mezzanotte nello sgabuzzino della palestra. A quest'ora Minsk sarà già lì dentro, completamente al sicuro."
"E non pensate che non vedendo arrivare nessuno potrebbe insospettirsi e venire a cercarci?" domandò Vaarik, facendosi ancora più scuro in volto.
"A questo ho pensato io," rivelò Dalton, con l'aria di chi la sa lunga. "Ho accumulato nello sgabuzzino tante di quelle provviste da sfamare un intero plotone di soldati Narn durante il cenone di capodanno. Conoscendo Minsk a quest'ora si starà strafogando di cibo, dimenticandosi completamente del nostro appuntamento."
Il vulcaniano inclinò la testa da un lato, soppesando la situazione. Sapendo della passione dei melmakiani per il cibo, non era un piano completamente illogico.
In pochissimo tempo Vaarik, Renko e Dalton raggiunsero il cancello ovest, dove però trovarono solo il vento e la neve ad attenderli. I tre avevano passato molto tempo a discutere dello strano orario a cui era stato dato loro appuntamento, ma non avevano trovato nessuna risposta soddisfacente. L'unica ipotesi che avevano fatto era che si trattasse di una sorta di presa in giro nei loro confronti, ma di più non avrebbero saputo dire.
Quello che invece era chiaro a quel punto era che i De'shlok avessero in qualche modo l'appoggio di qualcuno all'interno della milizia angosiana, forse tra i graduati, se non addirittura fra gli ufficiali.
La spiegazione era semplice: a parte l'ovvia constatazione che un'organizzazione del genere difficilmente sarebbe potuta sopravvivere senza tutta una serie di connivenze e facilitazioni, i cancelli dell'Accademia erano ben sorvegliati, e la presenza di un nutrito gruppo di persone in vicinanza di uno di essi nel cuore della notte avrebbe come minimo insospettito le sentinelle. Ma se le sentinelle fossero state d'accordo con i De'shlok, avrebbero fatto finta di non vedere quello che stava succedendo.
Queste considerazioni gettavano una luce ancora meno rassicurante sulla loro situazione, ma a questo punto non c'era molto che i cadetti potessero fare, se non tentare di portare a casa la pelle, possibilmente intera.
Vaarik, Renko e Dalton stavano già soffiando da un paio di minuti sulle loro mani nel tentativo di scaldarle quando i fari delle due torrette di sorveglianza che si ergevano ai lati del cancello ovest si illuminarono improvvisamente, investendoli in pieno con la loro intensità.
Istintivamente i tre cadetti si misero spalla contro spalla, pronti a scattare nel caso le cose si mettessero troppo male. Grazie alla membrana protettiva che proteggeva i suoi occhi dall'eccessiva luminosità Vaarik riuscì ad intravedere qualcuno vicino al quadro comandi dei fari, ma se fosse un De'shlok o una delle sentinelle nemmeno lui avrebbe avuto modo di dirlo. Le sue perplessità passarono comunque in secondo piano quando sentì una voce provenire dalle sue spalle.
"Ben arrivati," disse una voce nota, e i cadetti si trovarono di fronte Ra'lar, che al contrario di loro tre sembrava perfettamente a suo agio nelle neve che arrivava a metà polpaccio. Dietro di lui, gli altri De'shlok si stavano disponendo a cerchio attorno ai cadetti, con un sorriso tutt'altro che raccomandabile stampato sul volto. Curiosamente indossavano tutti l'uniforme completa, con il simbolo della squadra ben in vista sulla parte alta del petto, all'intersezione con la spalla e il basco ben calcato sulla testa. Più che per uno scontro sembravano pronti per una cerimonia... probabilmente un funerale, non poté fare a meno di pensare il vulcaniano con una punta di ironia.
Vaarik contò infatti una quindicina di persone in tutto, per un rapporto loro/noi che si attestava intorno alle cinque unità a una. Le loro probabilità di vittoria stava scivolando pericolosamente sull'orlo dell'impossibilità statistica.
Ra'lar appariva però tutt'altro che compiaciuto dal suo spiegamento di forze. "Dov'è il nird?" domandò con voce stentorea, facendosi sentire sopra il rumore del vento.
"Questo non deve interessarvi," replicò Dalton, con lo stesso tono. "Noi siamo qui. Oppure siete capaci di prendervela solo con gente più piccola di voi?"
"Le tue sparate non ci spaventano, zietto," rispose l'andoriano, facendo pericolosamente un passo in avanti. "Diteci immediatamente dov'è il melmakiano!" Sembrava sinceramente infuriato questa volta.
"Ascolta, Ra'lar, non possiamo permettere che gli succeda qualcosa di male," spiegò Renko, tentando come sempre di non apparire troppo ostile. "Avevi detto che era nel nostro diritto proteggere il nostro compagno, volete rimangiarvi la parola?"
La frase dell'ibrido sembrò sortire un certo effetto, dal momento che un mormorio di disapprovazione serpeggiò tra gli angosiani.
"La parola dei De'shlok è sacra," rispose Ra'lar con un freddezza pari solo a quella del vento che spirava loro intorno, "anche quando viene data a coloro che non condividono o rispettano le nostre tradizioni."
"Questo vi fa onore," approvò Renko senza traccia di ironia nella voce. "Ora siate altrettanto onorevoli e permetteteci di assumerci la responsabilità per il nostro compagno."
A Vaarik non sfuggì l'ironia della situazione. Eccoli lì, a chiedere ad un branco di energumeni il permesso di essere pestati a sangue al posto di un imbecille che non valeva nemmeno il tessuto che serviva per confezionare la sua uniforme. Quest'universo non smetteva mai di stupirlo.
Ma Ra'lar non poteva accettare le parole dell'ibrido. "Diteci immediatamente dov'è il melmakiano!" esplose, serrando i pugni per la frustrazione.
In tutta quella situazione, Vaarik non riusciva proprio a capire perché la presenza del loro compagno fosse così importante per Ra'lar e gli altri angosiani. Se il loro scopo era impartire una lezione, lui, Renko e Dalton erano più che sufficienti.
Evidentemente anche Renko era posto la stessa domanda, perché affrontò l'andoriano a viso aperto. "Ripeto le parole del mio amico, Ra'lar," affermò. "Che importanza ha? Noi siamo qui. Noi abbiamo osato ostacolare i vostri piani riguardo al pestaggio di Minsk. Siamo noi, che sei venuto a sfidare questa mattina davanti a tutti, in sala mensa. Noi siamo qui." Renko era davvero arrabbiato. Sapeva che quelli di razza pura sono tutti un po' matti, ma questa situazione aveva davvero dell'assurdo.
"Perché?" continuò, gesticolando come se tentasse di farsi capire da gente che non parlava la sua stessa lingua. "Perché ti accanisci tanto contro Minsk? Minsk è al sicuro, che importanza ha dove sia adesso? Siete gente dura, gente che non lascia correre... ok, noi siamo qui. Dopo questa notte l'immagine dei De'shlok sarà comunque salva davanti a tutto il resto dell'Accademia."
Ra'lar strinse gli occhi, come se le parole di Renko avessero colpito qualcosa dentro di lui. "Ancora perchè, Renko? Tu chiedi sempre perché," disse con voce distante. "Il pestaggio di Minsk... l'immagine dei De'shlok..." scosse la testa, deluso. "Pensavo di avere la tua stima, un tempo. Noi siamo qui per ben altro. Vuoi sapere il perché? Perché lo scopo di questa accademia è fornire la disciplina e l'addestramento necessari per diventare un soldato abile, efficiente e preparato, ma ancora più importante è il fatto che questa accademia si fregia di voler formare soldati che possano contare sui propri compagni. Soldati che nel momento della crisi potranno andare avanti senza esitazioni, perché sanno che ci saranno i loro compagni a coprirgli le spalle, compagni pronti a rischiare la vita così come loro la rischiano la propria! E non dei nird che ti lasciano nella merda perche' non hanno voglia di infradiciarsi i vestiti!" tuonò Ra'lar, lasciando trasparire la sua rabbia.
"Il vostro compagno," continuò poi, con voce più calma, "è bravo a parole. Lo è davvero, o non saremmo qui, adesso. Ma bisogna poi vedere quanto sia bravo a reggere lo stress del pericolo, quanto sia disposto a dare, prima di crollare mettendo a repentaglio la vita sua e di chi gli sta intorno. È solo per questo che siamo qui adesso, Renko. Solo per questo. Credi che mi diverta a stuzzicare il tuo amico? È una prova di coraggio che voglio da lui. Da che hanno vita, i De'shlok sono sempre stati un esempio per l'intera accademia. Non un esempio passivo da guardare e passare avanti, ma uno sprone per tutti gli allievi, nel vero senso della parola. Il compito che ci siamo prefissi è quello di aiutare le reclute a tirare fuori tutte le loro risorse, con qualsiasi mezzo necessario."
"E adesso che cosa succederà?" domandò Vaarik con freddezza scientifica, spezzando l'impeto retorico del discorso di Ra'lar e riportando l'attenzione di tutti sul problema che avevano davanti.
"Adesso," rispose Ra'lar scoprendo i denti in un sorriso senza allegria, "visto che il nird ha dimostrato di che pasta non è fatto, non presentandosi neppure, e visto che non possiamo permettere ad un codardo di fregiarsi del fatto di essere stato addestrato qui... faremo in modo di essere abbastanza convincenti da indurlo a ritirarsi dall'accad..."
"Ah, taglia corto, ragazzino travestito da soldato!" saltò su Dalton, interrompendo Ra'lar ed attirando su di sé tutta l'attenzione del gruppo. "Tutta qui la questione? Una prova di coraggio? Garantisco io per il melmakiano, dimmi cosa devo fare e se riesco a superare la prova allora voi ci lascerete in pace. Niente più vessazioni, d'accordo?"
"Non essere ridicolo, zietto!" intervenne Meran, scoppiando quasi a ridere in faccia al terrestre. "Dovresti passare l'intera notte nel bosco, sommerso dalla neve e senza vestiti. Credi di riuscire a farcela alla tua età?" Poi l'angosiano si accorse dello sguardo incandescente di Ra'lar e fece un passo indietro. "Sì, Ra'lar, sei tu che parli," ricordò a tutti, compreso se stesso.
"In ogni caso Meran ha ragione: non puoi farlo," rincarò l'andoriano.
"Su questo hai ragione," si inserì Renko con naturalezza. "Infatti sarò io a farlo."
"Il ragazzo ha le idee confuse," si scusò Dalton. "Non starlo a sentire."
"Piantala di darmi del ragazzo," replicò Renko indignato. "Dei due sono io ad essere in grado di uscire da quel bosco senza congelare. Conosco varie meditazioni che mi permettono..."
A questo punto anche Dalton era seccato. "Senti, Renko, non metterti in mezzo. So come ragionano questi tizi, e con la mia parlantina posso riuscire a convincerli. "
"Non dubito che tu possa lavorarteli, ma sarò io a fare la prova."
"Vogliamo vedere?" domandò Dalton con un ghigno enigmatico sul volto. In men che non si dica l'umano iniziò a spogliarsi, togliendosi il giaccone regolamentare e la parte superiore dell'uniforme della Flotta. "Avanti sono pronto, finiamo questa cosa e andiamocene tutti a casa," concluse, sfilandosi anche la maglietta e lasciandola cadere ai suoi piedi.
"Silenzio!" tuonò Ra'lar, tentando di riguadagnare il controlla della situazione. "Non esistono prove di coraggio per procura. È inutile che stiate a discutere!"
"Infatti non c'è niente da discutere," disse Dalton. "La prova la faccio io."
"Ti sbagli di grosso, sarò io a farla!" replicò Renko.
"Fono fpiacente di deludere entrambi, ma farò io a fare la prova," disse una voce impastata, cogliendoli di sorpresa da dietro le loro spalle.
Quando si voltarono, si trovarono di fronte Minsk, che avanzava lentamente verso di loro affondando nella neve fino al ginocchio.
"Ra'lar, il nird!" ruggì Meran, come se gli altri non fossero in grado di vederlo da soli.
"Efatto, il nird!" rispose Minsk con aria apertamente stizzita. "Fono arrivato, malgrado qualcuno mi aveffe dato coordinate non proprio efatte ful luogo dell'appuntamento."
"Minsk!" bisbigliò Dalton. "Che ci fai qui? Dovrefti effere ancora... cioč, dovresti essere ancora nello sgabuzzino della palestra!"
"Non ci fono andato," spiegò il melmakiano come se nulla fosse. "Mi fono diftratto a guardare l'ultima puntata di 'Un pofto in trincea' e ho perfo la cognizione del tempo. Quando la puntata è finita era già mezzanotte e diciotto."
"Mezzanotte e diciotto?" domandò Dalton. "Considerando che per arrivare qui dal dormitorio ci vogliono circa cinque minuti..."
"Mezzanotte e ventitré," concluse Vaarik lanciando un'occhiata a Ra'lar e agli angosiani.
"Queste sono cose che non vi riguardano," si intromise l'andoriano con l'aria di chi non è esattamente a suo agio. "Non tentate di prendere tempo con chiacchiere non pertinenti."
"Comunque, quando mi fono accorto di che ore foffero mi fono fubito precipitato fuori dal dormitorio. Per puro cafo mentre percorrevo la collinetta ho vifto in lontananza quefti tre che fi dirigevano con aria fofpetta verfo il cancello, invece di effere già nello fgabuzzino della paleftra come mi avevano detto. Cofì ho decifo di feguirli, folo che con quefta maledetta neve a me ci è voluto il doppio del tempo a raggiungere il cancello."
Poi Minsk si piazzò direttamente di fronte a Ra'lar ed ai suoi uomini. "Adeffo però bafta," disse con aria seccata. "Ne ho abbaftanza di voi e di tutte le voftre veffazioni. Ieri fera mi hai minacciato con i tuoi energumeni di mandarmi in infermeria fe non aveffi fatto quello che volevi. Be', ftafera fono io che detto le condizioni: fe faccio questa benedetta prova di fopravvivenza, ho la voftra parola che tu i tuoi fgherri decerebrati non mi darete più faftidio?"
"Senti, nird..." cominciò Ra'lar, poco avvezzo a sentirsi rivolgere quel tono da una palletta di pelo che arrivava sì e no al suo stomaco.
"Fì o no?!" insistette il melmakiano, sostenendo il suo sguardo.
Una smorfia sarcastica si fece strada sul volto azzurro dell'andoriano. Una volta partito il piccoletto ci stava prendendo gusto. "D'accordo, Minsk," rispose, chiamando per la prima volta il melmakiano con il suo nome e non con l'appellativo spregiativo nird. "Hai la nostra parola."
Minsk emise uno sbuffo di soddifazione, poi si voltò verso i tre cadetti. "E in quanto a voi tre, ftate ficuri che quando tornerò ho due o tre cofette da difcutere infieme. E adeffo vogliate fcufarmi, ma per ftanotte ho già vifto abbaftanza brutte facce."
Senza frapporre tempo Minsk si tolse il giaccone e l'uniforme, fino a rimanere completamente nudo, per quanto questa affermazione sia quantomeno imprecisa per una specie ricoperta di pelo come i melmakiani. Poi si allontanò nella notte senza aggiungere una parola.
"Non ce la farà mai," ammise Dalton, tentando di recuperare i pezzi della sua uniforme sparsi tutt'intorno nella neve. "Però devo ammettere che la palla di pelo mi ha stupito." Poi si rivolse direttamente al vulcaniano. "Senti, beccamorto, potresti togliere il tuo piede puzzolente dal mio giaccone, grazie?"
"Ah, è il tuo giaccone questa massa informe che sto calpestando? Ti porgo le mie scuse, non me ne ero accorto," rispose Vaarik, senza sforzarsi di apparire troppo credibile.
"Noto che il freddo non ha oscurato la tua innata simpatia," rimbeccò Dalton, "così come la tua innata generosità. Non mi pare di aver sentito la tua voce mentre stavamo discutendo su chi dovesse sostenere la prova."
"Io invece noto che anche stavolta sei riuscito a rimanere senza maglietta davanti ad una donna," disse Vaarik fissando con intensità un punto oltre la cortina di buio che li avvolgeva.
"Donna?" domandò Dalton, confuso. "Quale donna?..."
"Subhadar!" salutò Ra'lar, scattando sull'attenti all'unisono con il resto dei De'shlok.
Shayla Gozar emerse lentamente dalla ombre, elargendo loro uno dei suoi sorrisi più dolci. I De'shlok si disposero attorno a lei in due file, come una guardia d'onore.
"Immaginavo che dietro tutto questo ci fosse l'appoggio perlomeno di un istruttore," disse Dalton stancamente. "A quanto pare non mi ero sbagliato."
"Allora devo fare i complimenti alla sua fervida immaginazione, cadetto," cinguettò l'angosiana, inclinando graziosamente la testa da un lato
"Nessuna immaginazione, subhadar. Si tratta di esperienza. Non sono un novellino, io."
"Ne siamo al corrente. E mi creda, in questo momento tanta vantata esperienza le tornerà sicuramente utile," disse enigmaticamente Shayla. "Mi dica ancora una cosa, Dalton: ha mai fatto l'angelo custode, fino ad ora?"
"È il mio lavoro, subhadar. Quello dell'Accademia è solo un hobby," rispose Luke con una smorfia ironica sul volto.
"Bene, perché sarebbe un vero peccato se lo slancio generoso che avete dimostrato verso il vostro compagno andasse sprecato."
In quel momento, Vaarik, Renko e Dalton seppero che, contrariamente alle loro aspettative, i loro guai erano appena cominciati.
"Come di certo avrà sospettato, era previsto che alcuni cadetti seguissero di nascosto il melmakiano, per assicurarsi che non gli succedesse qualcosa di grave durante la prova."
"Di solito è così che funziona."
"Bene," sorrise Shayla, un sorriso nettamente in contrasto con la luce sinistra nei suoi occhi. "Di norma questo compito sarebbe toccato a Ra'lar, Meran e Siger, ma visto che vi siete dimostrati tanto protettivi nei confronti del vostro amico, e tanto onorevoli da rischiare per lui, lasciate che io adesso vi onori ancora di più, chiedendovi di seguire immediatamente il melmakiano per fargli da angeli custodi. Sempre che non vogliate passare brutti, brutti guai per essere usciti dal dormitorio durante il coprifuoco, s'intende."
"S'intende," mormorarono i tre cadetti.
Poi l'agosiana si piazzò davanti a loro, tendendo una mano. "Ma prima, dovrete lasciare qui le vostre armi."
"Ma noi non abbiamo armi," rispose Renko, confuso da quell'ordine.
"Be', questo non è del tutto... esatto," ammise Luke con aria leggermente imbarazzata. Rapidamente tirò fuori un piccolo phaser dal suo stivale, piazzandolo poi sul palmo aperto dell'istruttrice.
"Luke!" esclamò l'ibrido, oltraggiato. "Eravamo venuti qui per un confronto onorevole, come hai potuto portarti un phaser?"
"Oh, piantala, Renko! È soltanto un piccolo storditore, giusto in caso di emergenza," si giustificò Dalton, alzando le spalle.
L'ibrido si voltò verso Vaarik in cerca di appoggio, ma il vulcaniano aveva stampato in faccia l'espressione più cupa a cui si potesse arrivare. Nelle sue mani un piccolo d'k tahg, dalla lama lucida quanto letale. Senza una parola e con lo sguardo di ghiaccio lo consegnò nelle mani dell'angosiana.
"Vaarik... pure tu! Luke almeno aveva uno storditore. Stordire qualcuno con dieci centimetri di lama è qualcosa di più definitivo!"
Il vulcaniano si esibì nell'equivalente di una scrollata di spalle, come se la cosa non lo riguardasse.
Infine Shayla Gozar si fermò di fronte a Renko, la mano tesa in una muta richiesta.
"Io non ho armi, subhadar," rispose l'ibrido.
L'angosiana lo fissò malevolamente. Era chiaro che non le piaceva essere contraddetta.
"Renko," suggerì Vaarik quando l'attesa iniziò a farsi pericolosa. "Dagli lo shuriken."
"Lo shuriken? Il mio shuriken? Io il mio shuriken non l'ho mai dato a nessuno!"
Lo sguardo dell'istruttrice si fece di fuoco.
Ma Renko non era disposto a mollare così facilmente, e tentò di convincere Shayla. "Ecco, signora, il mio shuriken non è una vera arma, è solo una stelletta un po' affilata, tutto qui. Vede? È un piccolo shuriken multiuso, non mi ci sono mai separato e..."
Sfortunatamente, l'istruttrice non sembrò troppo convinta dalle spiegazioni di Renko, e fece nuovamente segno di consegnarle l'arma.
L'ibrido sembrava ancora restio a consegnare nelle mani della donna lo shuriken al quale era così affezionato, ma non poteva ignorare un ordine diretto. Alla fine, come se i due avessero raggiunto un silenzioso accordo, Renko sollevò lo shuriken quasi all'altezza del viso con deliberata lentezza, sempre molto lentamente caricò il polso e infine scagliò la stelletta verso il buio che li circondava. Dopo pochi istanti giunse alle loro orecchie il suono ovattato dello shuriken che colpiva qualcosa di solido.
Uno dei De'shlok rivolse la sua torcia nella direzione dalla quale era giunto il rumore, illuminando lo shuriken di Renko, conficcato esattamente a metà del cartello con la scritta 'Benvenuti all'Accademia Militare Angosiana' affissa a lato del cancello, come un silenzioso ma letale monito a coloro che osavano oltrepassare quella soglia.
"Bene," sorrise la donna, alla quale evidente non sfuggì l'ironia della situazione. "Credo che possa restare lì fino a che non avrete finito."
"Grazie, subhadar."
"Ringraziate piuttosto che non abbia fatto spogliare anche voi prima di immergervi nella neve. Ma è solo perché dovrete essere pronti ed al massimo dell'efficienza in caso di necessità. Ora fareste meglio ad affrettarvi."
I tre si incamminarono silenziosamente verso il boschetto, finché Dalton non si arrestò un secondo, voltandosi indietro verso l'angosiana.
"Sa, subhadar, si dice che la femmina sia la più letale della specie. Di certo adesso abbiamo la prova che è la più carogna."
Poi si voltò senza attendere la risposta, incamminandosi nella neve insieme ai suoi due compagni, seguito dal sorriso angelico di Shayla Gozar.