C'è nebbia nella tempesta. E stavolta la tempesta c'è davvero, non di acqua ma di neve. Neve angosiana. Come sono finito in questa situazione? Piacerebbe saperlo anche a me, è uno dei motivi, infatti, per cui sto scrivendo queste poche righe. Fondamentalmente, però, credo che tutto si riduca ad una mera questione di... CODICE.
Il colloquio annuale per l'orientamento. È già il terzo anno, ormai, da che ho iniziato a frequentare l'Accademia, ed eccomi ancora qui. Se tutto va bene fra un anno e mezzo prenderò il diploma. E poi? Esaurito il mio ruolo di osservatore, tornerò su Delta Gamma IV o continuerò il mio compito dentro alla nuova veste di guardiamarina? Mah... si vedrà, per adesso eccomi di nuovo nell'ufficio del comandante Cobledick per la consueta chiacchierata di rito che dà un senso al lavoro di consulente e di supporto psicologico svolto dall'el-auriano.
"Dunquecadetto..." Cobledick sbircia i suoi appunti, "...cadettoRenko. Siamogiàalterzoannormai ."
"Eh già..." Lo so che è un commento banale, ma non ho nulla di costruttivo da aggiungere a questa acuta constatazione dei fatti.
"Ecomesitrova?Icorsilasoddisfano?Vedochehasceltospecializzazioneinvestigazioni,bene, bene (seguono cinque minuti di parlantina a raffica) Oh!Maguardi!Leihanchepartecipatoalprogrammadiscambiodell'Accademiangosiana. Emidica, com'èstatal'esperienza?Interessante?"
"Diversa" mi affretto a dire, intromettendomi nella conversazione. Perfino Cobledick deve tirare il fiato, ogni tanto. Così riesco a ricavare lo spazio per rispondere alla sua domanda. "Lo stampo dell'Accademia Angosiana è decisamente militare e la preparazione piuttosto specifica. I rapporti fra studenti ed istruttori sono molto formali e molto tesi e purtroppo perfino i rapporti fra gli stessi cadetti sembrano essere piuttosto tesi. Non la definirei un'atmosfera rilassante, né un ambiente piacevole in cui apprendere."
"Eleicheconclusionihatrattoinmerito?"
"Io? Io ho ascoltato i più svariati punti di vista in merito, ma... non so, non mi convincono per niente."
"Oh!Davvero?Lascichelediaunconsiglio..."
Dopo quindici minuti di parlantina a raffica da parte di Cobledick, il colloquio è concluso e un po' rimpiango il tempo in cui non riuscivo ad afferrare bene cosa dicesse l'el-auriano con quella sua parlata tanto veloce.
Sono tornato nel mio alloggio, mi siedo al tavolo chiedendomi se sia saggio o meno seguire il consiglio di Cobledick e decido per il sì. Ricordo fin troppo bene quando, in seguito al salto temporale, l'ho incontrato sulla Terra del XX secolo. L'istruttore sa il fatto suo, è un bel po' di tempo che si trova in giro per l'universo.
Che sia demenza senile?
"Cosa stai guardando con espressione tanto perplessa?" mi chiede Vargas, ed io mi volto verso di lui, prendendo atto della sua presenza. Questo lo fa sentire autorizzato a varcare la soglia ed entrare nel mio alloggio. Non che ci fosse bisogno di autorizzazioni, del resto. È da un po' che passiamo da un alloggio all'altro attraverso il buco nella paratia venutosi a creare di recente. Ormai i confini non sono altro che una formalità.
"È una biro simbolica" gli rispondo.
"Una cosa?"
"Un antiquato mezzo..."
"Sì, so che cos'è una biro" mi interrompe, provando l'aggeggio. "Ma... non scrive!"
"Infatti" spiego, "è simbolica."
"Cos'è? Una specie di portafortuna?"
"No, me l'ha data Cobledick. Mi ha suggerito di scrivere gli avvenimenti capitatemi su Angosia, qualcosa sul tipo diario retroattivo. Usando questa potrò scrivere qualsiasi cosa, perché tanto nessuno la leggerà mai ma nello stesso tempo dovrò usare la terza persona singolare per tenere un certo grado di distacco. Secondo lui, in questo modo, i fatti assumeranno nuove prospettive e dall'esperienza vissuta si potrebbe trarre maggior arricchimento. Beh... in realtà lui ha fatto tutto un discorso di maschere e del fatto che la gente è sé stessa quando non dice di esserlo... ma credo che fosse qui, che voleva arrivare."
"Mah... l'esperto in psicologia è lui... pensi di farlo? Non è un compito, no? Non sei obbligato."
"È vero, senza contare che sarebbe un compito molto difficile da correggere... sembra una cosa inutile da fare, scrivere con una biro che non scrive, però... e se avesse ragione Cobledick? Potrebbe funzionare, potrebbe essere un'esperienza interessante."
"Potrebbe. Magari anche Sherman potrebbe trovarla interessante. Pensa come sarà entusiasta se farai tardi perché ti sei perso dietro a queste finesse psicologiche..."
"Sherman? L'esercitazione! Che ore sono?"
Dunque, descrizione obiettiva dei fatti avvenuti nell'ambito dello scambio di carne da macello cadetti con il girone infernale l'Accademia Militare Angosiana. Colui che sta esponendo i fatti tenterà di essere il più obiettivo possibile su ciò che è avvenuto durante quel nebuloso periodo della sua carriera accademica. Esso stesso ha convinzione che tutto sia cominciato durante una lezione di tecniche di sopravvivenza tenuta dalla subhadar Shayla Gozar, ma potrà parlarne solo nel tempo libero, in quanto ora sta per iniziare un'esercitazione.
Si trattava di una lezione sulle tecniche di sopravvivenza e non sapevo cosa aspettarmi. No, devo usare la terza persona: il cadetto Renko non sapeva cosa aspettarsi, ma pensava che questa lezione stesse giungendo tardivamente, ne avrebbe avuto molto più bisogno durante la precedente corvée in cucina. Quando si era trovato a dover improvvisare la sbobba per un intero reparto con i pochi ingredienti a disposizione e con la consapevolezza che gli angosiani sono vegetariani. Non mangiano carne, altro fatto fondamentale che ha contribuito a far accadere ciò che è accaduto. Ma andiamo con ordine, per adesso ci occuperemo della lezione del subhadar Shayla.
L'angosiana passeggiava davanti ai cadetti schierati. Era giovane e la sua taglia era più minuta di quello che è la media per gli angosiani. I capelli biondi legati in due trecce e i lineamenti delicati del viso le davano un'aria di estrema dolcezza e forse un'illusione di vulnerabilità. Nulla più lontano dalla verità. L'istruttrice, infatti, era un super soldato, uno di quelli modificati geneticamente e sottoposti a condizionamento psicologico. Proprio come il Naren Gozar che avevamo già avuto il dubbio piacere di incontrare nella nostra Accademia, quella di SanFran.
Questo, però, non era l'unica cosa che Shayla avesse in comune con Naren, la fanciulla, infatti, era nientemeno che una Gozar. Con stupore scoprimmo, udite, udite che si trattava della sorellina minore dello psicolabile di cui sopra e che questi era iper protettivo nei suoi confronti. Luke ne rimase esterrefatto. "Non gli somiglia per niente!" esclamò, e la stessa cosa esclamarono molti altri. Anche se per me, anzi, per il cadetto Renko, l'appartenenza allo stesso ceppo genetico era evidente, ma è anche vero che, vista la sua origine delta gammana, 451 ha senz'altro l'occhio più allenato per certe cose.
Comunque: Luke restò stupito di apprendere i legami di parentela della fanciulla, e noi restammo stupiti di vederlo mostrare buon senso ed astenersi dal gettarsi a corpo morto nel corteggiamento di una tale donzella. Questa volta lo spirito di Dalton (o forse il ricordo delle minacce di Lam) fu più forte della carne. Di solito è per colpa della carne se ci si mette nei guai, i terrestri hanno tutto un loro detto al riguardo. E di fatti anche stavolta fu per colpa della carne, ma a questo arriveremo poi, prima la lezione del subhadar Shayla Gozar. Anzi, dopo. Adesso inizia il corso di Vinsar, al termine del quale il narratore riprenderà il racconto e si sforzerà di utilizzare la terza persona meglio di quanto abbia fatto finora.
Mezz'ora di pausa strappata agli impegni accademici. Il diario può continuare e forse stavolta si riuscirà ad averne un'interpretazione meno personale.
L'istruttrice passò in rassegna i cadetti schierati ed annuì con il capo, sorridendo. "Bene, cadetti, oggi affronteremo l'argomento: freddo. O per un fatto di guasto al supporto vitale di una nave o per una più semplice questione di fasce climatiche planetarie, potrebbe capitarvi di dover sopravvivere ad ambienti dalla temperatura molto bassa. Il tempo è stato clemente, con noi. Ieri ha nevicato e ci sono le condizioni ideali per mostrarvi due o tre esempi pratici di ciò che fino ad ora abbiamo studiato sui libri." Shayla condusse la classe in uno dei cortili in cui la neve non era stata spazzata via. "Razze diverse, fisiologie diverse, esigenze diverse. Vedo che grazie alla presenza dei cadetti della Flotta, siamo diventati un gruppo piuttosto variegato. Gli stessi stratagemmi che potrebbero funzionare per un angosiano non è detto funzionino per tutti, tuttavia ci sono alcune regole fisse che è bene seguire, qualcuno di voi si sente in grado di introdurre l'argomento?"
A quella richiesta, alcuni cadetti fecero un passo avanti, secondo l'uso angosiano, pronti a prendere la parola appena gli fosse stato richiesto. La subhadar si fermò davanti a Meran, il cadetto fece un ulteriore passo in avanti e dalla sua espressione si poteva capire chiaramente quanto fosse lieto di essere stato scelto e quanto fosse ansioso di poter mostrare il proprio valore agli occhi dell'istruttrice. "Le osservazioni di Loin Zegar sono senz'altro uno dei testi fondamentali sull'argomento, la conservazione della temperatura corporea, mediante una serie di azioni che possa comportare una variazione stessa del metabolismo è una tattica vincente." Meran si era studiato proprio per bene l'apposito capitolo, si capiva da come lo stesse sciorinando con tanta sicurezza e baldanza, più che sicuro di ricevere le lodi dell'istruttrice alla fine della lezioncina. Mentre Renko ascoltava Meran parlare, confrontando ciò che sentiva con ciò che il Maestro gli aveva insegnato al Castello di Kyôki, avvenne il primo fatto. Visto che tale cadetto si pregia di aver scelto la specializzazione investigazioni, forse avrebbe dovuto riconoscere ciò che successe per quel che era, e cioè un indizio di ciò che sarebbe accaduto in seguito. In poche parole, ad un certo punto, Renko fu distratto dalla lamentela di Minsk.
"Ehi! Non fpingere!"
"Spinto? Chi è che ti avrebbe spinto? Non vorrai fare insinuazioni, nird, vero? Qui, io non ho visto nessuno, spingerti." Ra'lar aveva rimbeccato il melmakiano con tono sarcastico e forse anche con un po' di disprezzo.
"Infomma!" continuò Minsk, esasperato. "Lafiami in pace. Fi può fapere perché mi provocate fempre?"
A questo punto anche l'istruttrice era stata disturbata dal parlottare. "Signor... (breve occhiata al padd per leggerne il nome) Minsk, lei sembra molto ansioso di far sentire la sua voce. Vuole per favore integrare ciò che stava dicendo Meran con la sua esperienza personale? Forza, stiamo aspettando."
Ra'lar e Meran si fecero scappare dei piccoli sorrisi, aspettandosi forse di vedere il melmakiano dimenarsi inutilmente fra le spine fino ad uscirne lacero. I loro sorrisi, però, erano destinati a spegnersi molto presto. Minsk non era affatto ignorante sull'argomento e il suo intervento iniziò più o meno con queste parole: "Non fono molto ferrato, fugli studi di questo Zegar, forfe perché, da ciò che ho capito, fono molto fettoriali. Fulle navi della Flotta Ftellare, dove per forza di cofe gli efferi delle più difparate fpecie devono lavorare gomito a gomito fra di loro, fono in vigore altri protocolli. Fe vuole poffo illuftrarle quefti, li conofco molto bene." Minsk continuò la sua esposizione e fu il piccolo melmakiano e non Meran, che alla fine si attirò le lodi di Shayla. "È stato molto interessante, signor Minsk. Del resto questo è uno dei motivi per cui vengono prese queste iniziative di gemellaggio fra le varie Accademie. Signor Meran, prenda nota ed integri le sue conoscenze con ciò che ha sentito oggi."
Meran sorrise all'istruttrice e fece un cenno affermativo con il capo, ma il cadetto Renko ha tuttora la convinzione che quello, più che un sorriso, fosse un grugnito.
"In quanto a lei, signor Ra'lar" continuò l'istruttrice, "mi sembra di verla sentita discutere con il signor Minsk. Ha forse qualcosa da aggiungere a ciò che ha detto il suo collega?"
"No, signore, ma penso che questi protocolli siano per chi è inadatto ai climi rigidi. Io so di poter sopravvivere con molta più facilità agli scenari appena descritti."
"Sempre molto sicuro di sé, eh, signor Ra'lar."
"Andor è un pianeta freddo, signore."
"Vedremo presto come se la cava. Ora, signori, faremo qualche esercizio pratico." Shayla fece strada verso una zona dove i cumuli di neve si erano ricoperti di un sottile strato di ghiaccio.
"Forza, nird, scattare!" disse Ra'lar a Minsk, appena l'istruttrice fu sufficientemente lontana. "Non vedo l'ora di vederti in azione" aggiunse poi, con un sorriso sardonico.
Il melmakiano si affrettò, allontanandosi il più possibile dal gruppo di Ra'lar, al che Renko si avvicinò all'andoriano. Il fatto che finora avesse trattato lui con amicizia e gentilezza e che invece avesse un comportamento tanto antipatico verso Minsk, era una cosa che incuriosiva non poco il delta gammano. "Perché ti comporti così con Minsk? E poi, che vuol dire nird? Il mio traduttore non ce l'ha, nella sua baca dati."
"Ma come? Non è chiaro?" rispose Ra'lar, indicando il melmakiano basso che avanzava goffamente sullo strato di ghiaccio e che si teneva alla larga, con timore reverenziale, dagli altri angosiani. Poi, nel pronunciare il resto della frase, la bocca di Ra'lar fece una smorfia, come se avesse appena ingoiato qualcosa di aspro. "Significa: sfigatello."
Fine della mezz'ora di pausa. Riprenderò più tardi, se sopravvivo alla lezione di Sherman.
Sherman ce l'ha messa tutta, ma sono ancora vivo. Però mi ha chiesto (ordinato, sarebbe più esatto dire) di presentarmi nel suo ufficio appena finite le lezioni.
Avendo ancora qualche ora a disposizione, continuo con il diario dei 'fatti angosiani':
Renko voleva capire perché Ra'lar trattasse in quel modo Minsk e perché lo chiamasse sempre nird, ossia: sfigatello. Ma a quel punto, Dalton ebbe una delle sue idee irrazionali, afferrando il cadetto Renko per un braccio ed allontanandolo, non rendendosi conto che in questo modo gli rendeva impossibile indagare ulteriormente. O così pensò Renko in un primo momento, per poi scoprire che l'azione di Luke era invece premeditata e messa in atto proprio allo scopo di impedirgli ciò di cui sopra. L'umano, infatti, che sosteneva di capire quale fosse la situazione, disse a Renko che ne avrebbero parlato in un secondo tempo. Al momento, i cadetti si concentrarono sulle parole dell'istruttrice, quella a cui stavano assistendo non era un'esercitazione vera e propria ma una lezione all'aperto, per fare toccare con mano ai cadetti ciò che veniva spiegato verbalmente. "Chi di voi non è fisiologicamente predisposto a farlo, provi a camminare sul ghiaccio, forza, salite. È difficile fare presa, vero?"
I cadetti si sparpagliarono sul terreno ghiacciato, muovendosi con prudenza. "Dannazione" imprecò Dalton, "non è neanche abbastanza spesso da provare a pattinarci... Renko! Ma che cacchio stai facendo? Sembri un pinguino."
"Sì, e allora? Se la loro tecnica funziona non vedo perché non imitarla. Guarda, hop! Hop! Facendo così ci si muove benissimo. Fallo anche tu."
"No, l'assenza di cani San Bernardo con la botte piena di grappa me lo impedisce. Sai, dovrei essere ubriaco per fare una cosa del genere. Vaarik, ci sei?"
Il vulcaniano li raggiunse sulle gambe malferme e l'espressione più cupa che mai.
"Qualcosa non va, orecchie a punta?" sogghignò Dalton.
"Riprenderemo l'argomento appena faremo una lezione immersi nella sabbia rovente" tagliò corto Vaarik, chiarendo che il discorso era chiuso e non sarebbe stato saggio fare ulteriori commenti.
La conversazione fu interrotta dalle grida di Minsk: "Venite!" il melmakiano si stava sbracciando ad un centinaio di metri di distanza.
Quando il gruppo, Shayla in testa, raggiunse il punto indicato da Minsk, trovarono un cadetto angosiano che li fissava da un paio di metri più sotto. Il ragazzo stava rabbrividendo fino alle ossa e guardava in su con un certo imbarazzo. "Mi dispiace, comandante" disse.
"Ma figurati! Anzi, Meran, grazie per aver fornito un fulgido esempio di cosa non fare" esclamò Shayla provocando qualche risatina.
Il ghiaccio aveva ceduto e lui era sprofondato in un punto in cui il terreno faceva una conca. Non aveva modo di arrampicarsi, perché era circondato da neve morbida che collassava appena veniva smossa, l'unica maniera era tentare di 'nuotare' nella neve fino a che non avesse raggiunto di nuovo il terreno solido e da lì sarebbe riuscito a tirarsi su. Oppure bastava che qualcuno si fosse proteso verso di lui, afferrandosi saldamente ad una roccia che spuntava dal terreno e facendo il sacrificio di sprofondare a sua volta nel nevischio per fornire al cadetto un appiglio a cui agganciarsi.
Cosa che l'istruttrice fece con nonchalance. "Beh, Meran, quando avrai finito di tremare recati pure nei tuoi alloggi a cambiarti, tanto qui ormai abbiamo finito. E la prossima volta che ci vediamo, ricordami di assegnarti ad un'esercitazione in esterno."
"Tu l'hai visto sprofondare, vero, piccoletto?" disse Ra'lar, quando l'istruttrice ebbe voltato le spalle. "E l'hai lasciato lì."
"Vi fono venuto a chiamare, no?" rispose Minsk.
"Perché non l'hai tirato su?"
"Vi fono venuto a chiamare malgrado voi mi abbiate trattato male, no? E poi fe l'aveffi tirato fu avrei anche potuto fivolare, farmi male, fenza contare che mi farei comunque infradiciato tutto."
"Nird..."
Ra'lar. Andoriano. Ex-cadetto della Flotta Stellare ritiratosi durante il primo anno. Non lo avevo Renko non aveva avuto più sue notizie da quando Ra'lar aveva lasciato Sol III, un altro di quei conoscenti di cui si perdono le tracce appena i percorsi della vita iniziano a divergere. Nel breve periodo in cui si erano frequentati all'Accademia (quella vera, quella di Sol III) Renko e Ra'lar erano diventati amici sebbene fosse chiaro già da allora che avevano visioni della vita completamente diverse.
Qualche giorno prima che avvenisse la 'lezione sulla neve' precedentemente descritta, ossia pochi giorni dopo il suo arrivo su Angosia, Renko aveva ritrovato Ra'lar.
"Sai che con la violenza non si risolve nulla?" Il delta gammano si stupiva sempre di come alcune menti non riescano proprio ad assimilare questo semplicissimo concetto, questa verità universale così lapalissiana.
Un angosiano largo come un armadio e con rifiniture di sgherri, dopo aver provocato Renko, sostenendo un infondato diritto di priorità sull'uso dei terminali pubblici, era passato dalla fase verbale ai fatti. Infastidito del fatto che il delta gammano avesse rifiutato di riconoscere la propria inferiorità e di ritirarsi mogio mogio dietro suo ordine, l'angosiano aveva pensato bene di afferrare Renko per la gola e di sbatterlo con la schiena al muro ed ora si limitava a rispondere con un grugnito all'affermazione dell'ibrido.
"Fermi" esclamò una voce. L'armadio angosiano ed i suoi amici si congelarono sl posto. "Meran, lascialo stare, è un mio amico."
"Un tuo amico? Scusami Ra'lar, non sapevo..." disse mite l'angosiano che rispondeva al nome di Meran, lasciando andare Renko e battendo in ritirata quando l'andoriano ordinò: "Silenzio, sparite."
"A volte le foglie di tè tornano a galla" esclamò Renko, andando incontro al nuovo venuto. Avendo riconosciuto nell'andoriano una sua conoscenza risalente al primo anno d'Accademia, il delta gammano lo salutò con calore. "Ra'lar! Ecco dov'eri sparito! E così sei venuto a rintanarti su Angosia."
"Macché sparito" disse Ra'lar con un tono di voce dal quale traspariva che era altrettanto contento di rivedere un 'ex-collega'. "Ho solo cercato un ambiente più stimolante. Per uno come me qui ci sono molte più opportunità che sulla Terra. Dovresti venirci anche tu."
"Sinceramente non è che ci tenessi a venire nemmeno stavolta" disse Renko, alzando le spalle. "L'unico angosiano che conoscevo, aveva una certa tendenza per la psicosi. Fortunatamente gli altri angosiani incontrati qui sono diversi... fatta eccezione per l'energumeno di poco fa. Grazie per essere intervenuto, mi hai risparmiato una fatica."
"L'intento era di risparmiare una figuraccia ad uno dei miei uomini" rise Ra'lar.
"Uno dei tuoi uomini?"
"Vieni, andiamo a bere qualcosa, così parliamo un po'."
Renko si aspettava che Ra'lar facesse strada verso la mensa ed invece l'andoriano lo accompagnò nella struttura principale dove, all'ultimo piano, era stato ricavato un locale che fungeva da vero e proprio bar, con gli arredi di stampo professionale.
"Wow!" esclamò il cadetto guardandosi intorno. "Sembra roba da ufficiali."
"E invece è per noi cadetti" lo rassicurò Ra'lar, godendosi lo stupore del delta gammano. "O almeno, per quelli di noi che se lo meritano."
"Peccato che non ci sono tavoli lib..." un terzetto di cadetti che stava occupando un tavolo centrale si alzò immediatamente e si diresse verso il bancone del bar, dove finirono di sorseggiare le loro bibite stando in piedi e senza emettere alcuna lamentela.
"Prego" disse Ra'lar indicando il tavolo rimasto libero e con tono di voce da: 'stavi dicendo?'. "Accomodati."
Renko si mise seduto guardandosi intorno con sospetto. "Se accadesse una cosa simile giù in Accademia da noi non mi sederei mai al tavolo, penserei subito ad uno scherzo."
Ra'lar scoppiò a ridere. "Hai mai sentito parlare dei De'shlok?"
"Vagamente. Non ne so molto, non sono un gruppo d'élite? Qualcosa tipo la squadra rossa da noi? O la squadra Nova nell'ambiente dei piloti."
"Siamo IL gruppo d'élite. E senza voler mancare di rispetto, trovo molto più soddisfacente il tipo di addestramento che ricevo qui, piuttosto che quello della Flotta. È più adatto alle mie esigenze."
"Mi hanno detto che qui sono ossessionati dalle prove di sopravvivenza ma finora non ho fatto altro che turni di ramazza e corvée in cucina." Renko si guardò intorno, nel bar non c'era neanche una matricola, sembravano tutti cadetti anziani. "Tutti quelli che sono qui sono della De'shlok?"
"No, certo che no. Per una legge non scritta questo locale è riservato a quei cadetti che si distinguono in un qualche campo. Il gruppo dei De'shlok non è così numeroso, è molto più ristretto, più... scelto. E tu, come te la cavi giù a Frisco? Sherman ti è ancora alle costole?"
"Lo dicevo, io, che non era solo una mia impressione! Sì, vuole convincermi a tutti i costi a diventare un soldato e il più delle volte lo fa a suon di esercitazioni pazzesche. Affronto quello che mi capita e tiro avanti, sono ancora convinto che la mia strada sia la sezione investigativa, un giorno anche Sherman lo capirà."
"La gloria sta nei reparti d'assalto. Se credessi di riuscire a farti cambiare idea ci proverei anch'io, ma hai già dimostrato di essere uno che non si piega."
"Comunque, adesso sono nel CSC."
"Il Corpo di Sicurezza dei Cadetti, complimenti! Allora capisci cosa significhi l'appartenenza ad un gruppo."
"Per adesso mi trovo semplicemente con il lavoro raddoppiato. Non abbiamo nemmeno bar nostri personali, è già molto che non ci tocchi pattugliare quelli degli altri."
"Neanche qui scherziamo, far parte dei De'shlok è tutt'altro che una passeggiata, gli standard richiesti sono piuttosto alti ed il codice da seguire molto rigido."
"E la ricompensa è un tavolo tutto per te, suppongo sia un'altra delle leggi non scritte."
"Qui sanno come ricompensare gli sforzi... e il talento" disse Ra'lar con un'alzata di spalle. "È questo che intendo con 'maggiori opportunità'. Ed il merito va in gran parte al nostro subhadar, è un'istruttrice veramente in gamba, avrai modo di accorgertene. Qui è rispettata da tutti. Sai, prima della 'Rivolta dei super soldati' gli angosiani avevano un'idea piuttosto singolare su come ringraziare chi si sacrificava per il bene comune ma ora tira un'aria nuova ed è anche grazie a lei che i De'shlok sono diventati quello che sono."
I due continuarono a parlottare del più e del meno mentre sorseggiavano i loro tè. Altri argomenti di profondo significato o attinenti a questa storia non ce ne furono, tranne forse:
"Se hai fame abbiamo anche delle ottime paste fatte con farina di riso, ti piacciono?"
"Certo, io adoro il riso, l'ho mangiato per anni. Ma temo di dover andare, il controllo ambientale ha previsto neve e le alte sfere hanno deciso che l'intero perimetro dell'accademia debba essere pulito dalle foglie secche prima che la bianca signora si depositi per terra. Lavoro completamente inutile, secondo me, ma almeno è il mio ultimo turno alla ramazza e poi inizieranno le lezioni vere..."
"Sì, lo so. È un iter quasi obbligatorio per i nuovi arrivati, chi resiste alla ramazza ha diritto ha diritto alla conoscenza" disse Ra'lar con tono di voce scherzosamente teatrale. "Beh, adesso che so che sei qui, vediamoci ogni tanto. Posso farti da cicerone, questo posto non ha più segreti per me."
"Perché no? Grazie. Senti, hanno assegnato me e i miei amici ad un corso di sopravvivenza, com'è che si chiama? Condizioni Atmosferiche Avverse II, credo. Non è che per caso lo frequenti anche tu?"
"Nulla, nell'universo conosciuto, potrebbe impedirmi di frequentare quel corso. Ci vediamo là, allora."
"Qualche consiglio da darmi, nel frattempo?"
"Sì, cambia frase ad effetto."
"Quale frase ad effetto?"
"Quella che dici sempre prima di passare alle mani, com'è che fa? Ah, già: 'Lo sai che con la violenza non si risolve nulla?' Adesso vado anch'io, ciao, ci vediamo al corso."
Renko lasciò allontanare Ra'lar senza sapere che altro aggiungere. "Ma non è una frase ad effetto" disse, malgrado l'andoriano non fosse più a portata d'orecchio. "È una verità."
Finite le premesse, la presentazione di Ra'lar e la descrizione di quella lezione sulla neve, passiamo ora ai fatti veri e propri, svoltisi qualche giorno dopo l'incontro con l'andoriano.
Il corridoio era deserto e buio. A parte qualche sommesso russare, tutto era quiete, i cadetti stavano beneficiando del 'sonno dei giusti' , appellativo elargito a piene mani e spesse volte con il beneficio del dubbio, ma non è questo il punto. Improvvisamente, la coltre di silenzio che aleggiava nei dormitori dell'Accademia fu lacerata da due figure che si muovevano con eleganza e maestria furtive nell'oscurità (distacco e obiettività, diciamo le cose come stanno).
"Dalton!" sussurrò Renko. "Non puoi fare meno rumore? Rischi di farci scoprire."
"Sto già facendo il meno rumore possibile" si schernì Dalton. "E poi chi vuoi che ci senta con 'sto tizio che russa come un leone delle nevi!"
"E va bene" si arrese Renko, visto che non poteva chiedere più di così all'umano. "Tanto ormai siamo quasi arrivati alla porta dello sgabuzzino."
I due cadetti erano venuti a conoscenza di un 'passaggio segreto' che collegava i dormitori con la sala mensa. Tale passaggio non era altro che un condotto di manutenzione straordinaria che non veniva più usato da anni ed il cui pannello d'accesso si trovava nel ripostiglio G38. Il piano che i due avevano in mente era ardito ed ai limiti della legalità ma entrambi avevano concordato che arrivati a quel punto si trattava di un'azione necessaria. Attenti ad ogni dettaglio, aprirono la porta dello sgabuzzino manualmente, sì da evitare di attivare qualsiasi tipo di 'blirp' o 'cirrp' o che altro, che accompagnava di solito l'apertura automatica delle porte di questo tipo. Purtroppo, però, il delitto perfetto non esiste, e chi ha scelto la sezione investigativa lo sa bene, c'è sempre la variabile impazzita, il particolare non calcolato, l'ostacolo dell'ultimo minuto.
"Vaarik!" esclamarono all'unisono i due, mettendo tutta l'enfasi che potevano nel loro bisbiglio.
"Che cosa ci fai qui, orecchie a punta?" gli chiese Luke.
"Cerco di tenermi lontano dai guai."
"E allora perché non sei restato in alloggio?"
"Domanda interessante. L'equazione, in realtà, presenta più variabili. Prima variabile: l'alloggio in questione viene condiviso con due individui le cui azioni sono dettate dall'irrazionalità. Seconda variabile: nel mezzo della notte ho udito questi due individui sgattaiolare via dall'alloggio malgrado sia in vigore un coprifuoco finalizzato ad impedire iniziative di questo genere. Terza variabile: nel caso questi due individui vengano scoperti dalle sentinelle e puniti per la loro infrazione, è molto probabile che il cadetto che condivide l'alloggio con i due delinquenti venga tacciato di complicità."
"Delinquenti!" si indignò Luke con tono angelico, ma il vulcaniano lo ignorò e continuò la sua filippica.
"L'innocente potrebbe sempre tentare di discolparsi affermando di non essersi accorto delle mosse dei suoi due compagni di stanza ma, uno: non corrisponde a realtà. Due: è molto probabile che argomentazioni di questo genere vengano tenute in assai scarsa considerazione."
"Te l'avevo detto di fare meno rumore!" recriminò Renko in direzione di Luke.
"Ma dai..." tentò di sdrammatizzare Dalton. "Non è successo niente, ci toccherà portarci dietro orecchie a punta, tutto qui."
All'affermazione di Luke, Vaarik alzò un sopracciglio. "Come tuo solito, Dalton, non hai prestato adeguata attenzione alla mia esposizione dei fatti. Ripeto: il mio intento è concludere nel modo più indolore possibile questa iniziativa di gemellaggio con Angosia, e non assecondare i vostri irrazionali ed illogici scopi, qualsiasi essi siano."
"Se non sai quali sono, come fai a dire che sono irrazionali e illogici?" intervenne Renko.
"Qualsiasi cospirazione che veda voi due come protagonisti non può che essere irrazionale e illogica" tagliò corto Vaarik e per di più con aria serafica.
"Ci penso io che lo conosco da più tempo" disse Renko, sicuro che il vulcaniano avrebbe compreso le esigenze dei suoi compagni se questi gliele avessero spiegate con calma e razionalità. "Vaarik, dunque... quanto tempo è che siamo su Angosia? Che importanza ha? È comunque troppo. Avrai notato una certa assenza di carne, nel menù del refettorio, vero?"
"Gli angosiani, infatti, come i vulcaniani, prediligono una dieta vegetariana."
"Sì" confermò Renko. "Ma noi non siamo angosiani e tantomeno vulcaniani. Pertanto, visto che durante la corvée in cucina non abbiamo potuto fare a meno di notare un certo reparto della dispensa riservato agli alti ufficiali alieni e carnivori... abbiamo semplicemente deciso di sfruttare questa nostra conoscenza per far sì che il nostro fisico possa beneficiare dell'adeguato apporto nutrizionale per individui della nostra specie."
A questo punto, nonostante la fulgida razionalità dell'esposizione del cadetto Renko che aveva gettato luce sui fatti in accadimento e portato ampia giustificazione ai loro intenti, il vulcaniano si mostrava restio a mostrare spirito di corpo ed a assecondare i desideri dei suoi amici.
Vaarik disse: "Un ufficiale della Flotta Stellare deve essere pronto a consumare qualsiasi tipo di alimento."
"Esatto!" esclamò Renko, ma sempre sottovoce. "La regola dice: 'un ufficiale della Flotta Stellare deve abituarsi a mangiare qualsiasi alimento.' Non dice: 'un ufficiale della Flotta Stellare deve abituarsi a rinunciare a qualsiasi alimento. Vedi... è una questione di sfumature."
Vaarik alzò un sopracciglio. "A volte hai ancora l'abilità di stupirmi, Renko. Potevo aspettarmi una cosa simile dall'umano, visto che non è minimamente in grado di controllare le proprie pulsioni fisiche." Luke sbuffò da dietro le spalle di Renko e mise in conto. "Ma tu, che parli sempre di non violenza..."
Renko prese la parola, interrompendo il vulcaniano in quel discorso che non avrebbe portato a nulla di costruttivo e facendogli, in questo modo, un favore (sebbene il narratore sospetti ancora adesso che il vulcaniano in questione non se ne sia accorto). "Sì, Vaarik. Ho passato sei mesi all'anno per quattordici anni per un totale di sette anni ad allenarmi al Castello di Kyôki. Sette anni a purificare il corpo e lo spirito... sette anni passati a riso e foglioline di te, sette! Capisci dove voglio arrivare? Come dicono gli umani: 'Ho già dato'." Concluse il delta gammano, sperando, per una volta tanto, di aver azzeccato un detto terrestre (la loro incomprensibilità, infatti, ne rende difficile l'utilizzo).
Vaarik restò impassibile.
Dalton decise di prendere in mano la situazione e si rivolse a Renko dicendo: "Ci penso io, che me lo ritrovo in alloggio e disgraziatamente lo conosco bene." Poi l'umano si voltò verso Vaarik, si lisciò il risvolto dell'uniforme e si schiarì la voce, assumendo un'aria professionale si preparò a dar sfoggio della sua famosa parlantina: "Dunque. Quanto vuoi?"
"Tutto qui?" gli sussurrò Renko, ma l'umano lo ignorò e continuò a fissare il vulcaniano dritto in volto.
"Quanto voglio per rischiare di passare il resto della mia permanenza su Angosia in punizione ed avere una nota negativa sul mio curriculum accademico?" meditò il vulcaniano.
Dopo cinque minuti di parlottamento fra i due, Luke riuscì a far passare Vaarik da: "disintegrare, demolecolarizzare e sprofondare nel limbo della non esistenza quell'aggeggio infernale" a: "astieniti dall'utilizzo di strumenti barbari a percussione mentre sto meditando."
Concluse le trattative, i tre si apprestarono ad intrufolarsi nel condotto in disuso che li avrebbe portati dritti in sala mensa. Luke aveva infatti 'semi-costretto' Vaarik ad unirsi a loro mormorando qualcosa sul tipo: "mi sento più tranquillo se ti posso tenere d'occhio".
"Piantala di fare quella faccia da vittima sacrificale" disse Dalton al vulcaniano. "Staremo via per un paio di orette al massimo. Stiamo andando in sala mensa, mica alle grandi manovre, ma che vuoi che succeda?"
"Si sieda, cadetto."
Le porte si chiudono alle mie spalle, tagliandomi fuori dal resto dell'Accademia. Ora sono nell'ufficio di Sherman e l'istruttore è già seduto dietro la propria scrivania. Avanzo verso l'unica sedia libera e mi accomodo. L'arredamento non è che lasci molte opzioni di scelta, forse si tratta di deformazione professionale da parte dell'istruttore: mai lasciare alla controparte più mosse di quante tu voglia gestirne.
"Signore" dico dopo essermi seduto. Si tratta di qualcosa che sta a metà fra un saluto e una richiesta di spiegazioni.
"Cadetto Renko, non ho sentito la sua voce, oggi, durante la lezione."
E mi ha fatto venire qui per questo?! Ma ho il buon senso di non dirlo, dico invece: "Non... non so che genere di spiegazioni si aspetti, signore. Lei non mi ha rivolto domande e... e il tipo di esercitazioni non richiedeva commenti. Almeno, non mi pare li richiedesse. Ho fatto qualcosa di sbagliato?"
"Spero non me lo stia chiedendo in generale" risponde Sherman e credo la ritenga una battuta di spirito, perché mentre la dice gli scappa un sorriso. "Vede, cadetto, non sarebbe la prima volta che lei commenta un'esercitazione tirando in ballo vaghi e contorti principi di non violenza. Prima d'ora non si era mai astenuto dal venirmi a riferire le sue opinioni sui miei metodi di insegnamento."
Rimango momentaneamente in silenzio perché non so proprio cosa Sherman si aspetti che io dica. Dopo qualche attimo decido di farmi avanti: "Signore, posso chiederle perché mi ha fatto venire? Suppongo non sia solo per il fatto che per una volta non ho criticato la visione violenta che lei ha della vita."
"A suo tempo" dice Sherman, adagiandosi allo schienale della poltrona. "Finora ha dimostrato di saper avere pazienza, quando serve. Non mi dica che le sta venendo meno proprio ora."
Io, intanto, continuO a rimanere in silenzio, questa situazione è al di fuori degli schemi. Sherman non è il tipo da fare il misterioso, mi ha sempre abbaiato in faccia esattamente cosa riteneva che io dovessi fare, esprimendo con impressionante chiarezza sia gli ordini che le opinioni sulla mia persona. Cosa sta escogitando, adesso? Deve essere una nuova tortura psicologica, che sia un test? Ancora quel sorriso. Sherman, visto il tipo, è più terrificante quando sorride che quando fa la faccia truce.
Dice: "Oggi non è di umore ciarliero, eh? Peccato, volevo fare un po' di conversazione con lei."
Dopo tre anni passati in Accademia, scopro che Sherman è al corrente dell'esistenza di quel rito sociale chiamato 'conversazione'. È dunque vero che la vita riserva sempre delle sorprese.
Dice: "Mi racconti qualcosa, non so, per esempio... come se l'è passata su Angosia?"
- Qu'vatlh - penso. - Era meglio non sapere. -
Adesso che è chiaro dove voleva andare a parare non mi sento affatto più a mio agio. Quelli che vanno in giro a dire che la 'verità rende liberi' si guardano bene dal specificare liberi da cosa.
"Signore" inizio. La tentazione di far finta di non aver capito e di mettermi a raccontare cose senza importanza è forte. Ma non sono così disperato da tentare di prendere l'istruttore per i fondelli, cosa, del resto, che non mi viene neanche particolarmente bene. "Signore, suppongo che lei non si riferisca a che tipo di arredamento ci fosse nel mio alloggio o a che razza di ricette abbia dovuto inventarmi durante le mie corvée in cucina."
Inutile chiedersi che cosa sappia o non sappia, Sherman conosce Gozar, Gozar è il fratello di Shayla, come ho fatto a non pensarci? L'istruttore è al corrente di tutto, non ho il minimo dubbio. Non dice più niente, adesso è il suo turno di rimanere in silenzio e sta a me trovare qualcosa da dire per cavarmi da questo impiccio. Luke, dove sei quando servi? Mi farebbe comodo un po' della tua parlantina. Ma forse è meglio così, visto come stanno le cose, inutile girarci intorno, davanti a Sherman è sempre meglio andare dritti al punto. "Sono stato coinvolto mio malgrado in un episodio poco ortodosso."
"Suo malgrado?" sottolinea Sherman.
Beccato. "Ammetto la mia parte di responsabilità, so che sono state le mie azioni a cacciarmi in quella situazione. Solo che non pensavo sarebbe finita così. Devo aspettarmi un richiamo?"
"Mi ha sentito parlare di note disciplinari, forse? Se avessi voluto appioppargliene una se la sarebbe già trovata sul curriculum accademico. E poi Angosia è fuori dalla mia... 'giurisdizione', non trova?"
Mi sta dicendo che tanto vale gli spifferi tutto perché tanto non può punirmi? Altro stupore: Sherman sa usare le sottigliezze. Io, per adesso, mi limito ad annuire.
Dice: "Che cosa c'è scritto sulla mia porta?"
Mi volto verso la porta. "La targhetta è sul lato esterno, signore."
"Ed è evidente che non si è mai fermato a leggerla, prima di entrare."
Non so perché, ma mi sento in dovere di dimostrargli il contrario. "C'è scritto: 'Tenente Comandante Ted Sherman. Istruttore responsabile del corso alpha di sicurezza."
Un trillo echeggia nella sala, quasi ad enfatizzare le mie parole. Si tratta dell'avvisatore acustico del terminale, Sherman distoglie l'attenzione da me per rispondere alla chiamata.
"Che c'è, Shiran?"
<Spiacente di disturbarti, Ted, ma sembra ci sia un piccolo problemino con l'esercitazione delta della sala ologrammi cinque.>
"Piccolo problemino? E Kviel che fine ha fatto?"
<Ecco, appunto. Forse è meglio se ti spiego tutto sul posto. Temo sia richiesta la tua presenza, vecchio mio.>
"Arrivo. Si risieda, cadetto."
L'ultima frase è rivolta a me. Non avendo potuto fare a meno di sentire mi sono alzato in piedi, più che pronto a lasciare la stanza fino a che Sherman fosse stato lontano a causa degli impegni accademici.
"Mi aspetti qui. Può pensare a ciò che abbiamo detto, se vuole."
Io mi siedo e Sherman si alza. Siamo perfettamente sincronizzati come due statuine di uno di quegli antichi orologi meccanici, se non fossi preoccupato per il colloquio lo troverei quasi divertente.
Resto da solo nella stanza chiedendomi cosa dovrò dire al ritorno di Sherman. Sento qualcosa premere da dentro alla tasca, la estraggo: è la 'biro simbolica' di Cobledick. Perché no? Tanto vale andare avanti con il diario, forse mi aiuterà a schiarirmi le idee.
"Farò quello che volete, ma non fatemi del male."
"Nessuno ti torcerà un capello se farai quello che vogliamo. Esegui, e verrai risparmiato; sgarra, e verrai punito. Meran sa come spiegare agli ottusi che stanno sbagliando."
La domanda retorica posta da Luke solo qualche minuto prima: 'Ma che vuoi che succeda?' aveva appena trovato risposta. Ancora una volta, la nostra tendenza ad agire ignorando la filosofia murphiana ci aveva messi in una situazione un po' spinosa. L'unica certezza era che, qualsiasi azione avessimo intrapreso, le cose non avrebbero potuto far altro che degenerare. Ci eravamo fermati alla fine del cunicolo, avendo sentito delle voci provenire dalla cucina e capendo che non era affatto vuota e pronta al saccheggio così come avevamo sperato di trovarla.
I tre cadetti in questione si erano accostati alla grata che dava sulla mensa e la scena a cui assistettero non gli piacque affatto. Il gruppo di Ra'lar aveva praticamente circondato Minsk ed ora lo stava minacciando pesantemente, il melmakiano sembrava in preda al terrore: "Farò quello che volete, ma non fatemi del male."
Ra'lar camminava avanti e indietro con tutta calma, tanto era chiaro chi fosse nella posizione dominante, aveva una sbarra d'acciaio in mano e la sbatté contro al tavolo per sottolineare le proprie minacce: "Nessuno ti torcerà un capello se farai quello che vogliamo. Esegui, e verrai risparmiato; sgarra, e verrai punito. Meran sa come spiegare agli ottusi che stanno sbagliando." Meran, tanto per mettere in chiaro quanto fosse ansioso di rendersi utile agli occhi del suo capo, sogghignò malevolmente facendo un passo verso Minsk aumentando la portata della minaccia con la pura presenza fisica.
Come il narratore ha già spiegato in precedenza, i rapporti che intercorrevano fra il melmakiano ed il gruppo di Ra'lar non erano dei più rosei, esasperati dal fatto che i De'shlok non perdevano occasione di punzecchiare o provocare Minsk appena ne avevano l'occasione. Dalton aveva già spiegato al cadetto Renko che atteggiamenti del genere erano tipici di un certo ambiente militare e solitamente si collocavano in quella sottilissima linea di confine sulla quale si affacciano iniziazione, addestramento e semplice angheria. Renko era arrivato benissimo a capire come un comportamento severo da parte dei compagni più anziani potesse portare i più giovani ad un maggiore impegno nelle discipline ma quello che vedeva accadere in sala mensa assomigliava molto di più ad un atto vessatorio, piuttosto che ad una richiesta di dare dimostrazione che la propria volontà di diventare un ufficiale fosse abbastanza salda da non frantumarsi per orgoglio, paura o indecisione davanti alle prime difficoltà.
Secondo i principi della Flotta Stellare, a quel punto non poteva che esserci un'unica via d'azione possibile e visto che Renko li condivideva in pieno decise di farsi avanti. Proteggere i più deboli, proteggere i propri compagni, e poi non gli erano mai piaciuti, i prepotenti, come aveva avuto già modo di affermare. Il cadetto fece un passo avanti con tutte le intenzioni di convincere Ra'lar a desistere dai suoi propositi violenti quando inaspettatamente Vaarik lo precedette, facendo irruzione in sala mensa e parlando con un tono di voce insolitamente profondo e poco controllato.
"Lasciatelo in pace!"
"Non ti mettere in mezzo, corvaccio vulcaniano, è una cosa fra noi e questo nird!"
"Fossi in te non ne sarei tanto sicuro, Ra'lar" aggiunse Dalton, esponendosi anche lui.
"O come diceva sempre il mio Maestro: 'Se attacchi un leone dovrai lottare con una sola belva ma se attacchi una formica devi prepararti ad avere a che fare con tutto il formicaio'."
"Non sono cose che vi riguardano! Levatevi di mezzo sporchi federhaxa!" Sbraitò Meran.
"Ma certo, è esattamente quello che vogliamo fare!" saltò su Dalton, passando immediatamente al tono di voce 'da parlantina'. "E visto che anche Minsk è uno sporco federhaxa, anche lui si toglierà di mezzo insieme a noi, esattamente come ci avete ordinato. Vedete, noi non vogliamo far altro che collaborare perciò... grazie di tutto e alla prossima, è stato un piacere ragazzi." Dalton fece per avvicinarsi a Minsk ma Ra'lar gli sbarrò la strada, mettendosi con aria non proprio tranquillizzante sulla sua traiettoria.
Meran era rimasto immobile e con l'espressione perplessa, tentando di capire cosa esattamente non andasse nel ragionamento limpido di Luke che, effettivamente, non faceva una piega. Ma quando vide il suo capo muoversi, anche l'armadio angosiano si riscosse: "Ehi, vecchietto! Non tentare di prendermi per i fondelli!" ringhiò.
"Silenzio! Parlo io" lo mise subito al posto Ra'lar. "Ed in quanto a voi, vi conviene andarvene subito di qui se ci tenete a farlo con le vostre gambe."
Meran si posizionò di fianco a Ra'lar, spalleggiandolo con la potenza della propria mole e chinandosi leggermente verso Dalton con un'espressione di sfida e di scherno.
"Ohi, ohi, qui volano parole grosse... sarai poi in grado di metterle in pratica?" rispose Luke, senza farsi intimidire.
"Meran" si intromise Renko, affiancandosi a Dalton e ripristinando l'equilibrio di numero. "Forse la prima volta non mi stavi ad ascoltare, te lo devo ripetere? Lo sai che con la violenza non si risolve nulla?"
"Tieni per te le tue frasi ad effetto, Renko. Non capisci che non è il momento?"
"L'unica cosa che non capisco, Ra'lar, è come tu possa parlare di forza e di onore e poi metterti a capo di una banda di codardi e di prepotenti."
"Attento Renko, anche se ti considero un amico non ti permetterò di insultare l'onore dei De'shlok!"
"Io non insulto nessuno, mai. Ma quello che vedo qui adesso è che il gruppo di cadetti che dovrebbe essere un esempio da seguire per tutti quelli dell'Accademia si diverte a tormentare uno più debole di loro, perché?"
"Non è così, Renko. È complicato, è più complicato di quello che credi. Ti assicuro, vorrei anch'io che fosse così semplice."
Vaarik fu di diversa opinione: "Al contrario, la situazione è semplicissima: adesso noi ce ne andiamo e Minsk viene con noi."
Dal gruppo degli andoriani si levò un mormorio di protesta dalla tonalità piuttosto minacciosa ed i De'shlok si fecero avanti, circondando il loro capo e facendo capire chiaramente che erano pronti alla lotta se solo avessero ricevuto l'ordine. Si metteva male per i tre cadetti, il rapporto numerico era decisamente a loro sfavore (visto che considerare Minsk come forza combattente era decisamente fuori discussione) e i tizi che avevano davanti erano nientemeno che la crema dell'Accademia Angosiana. Ma Ra'lar non diede quell'ordine, al contrario, alzò una mano facendo cenno ai suoi uomini di non fare un passo in più. L'andoriano era abituato a pensare avanti, più che a farsi trascinare dlla foga del momento e aveva subito capito che uno scontro lì, in quel momento, non avrebbe portato che grane a tutti. Tuttavia fu Luke, e non Ra'lar, a concretizzare in parole la situazione: "Questa volta il beccamorto vulcaniano ha ragione. Noi ce ne andiamo con Minsk, adesso. O preferite risolvere la questione qui dentro facendo tanto di quel chiasso da svegliare l'intera accademia? Perché, vedete... suppongo che neanche ai famosi e temuti De'shlok sia permesso violare il regolamento dell'Accademia. Perciò, se anche voi trovate che sia poco saggio provocare una zuffa che attiri qui le guardie per vedere chi è stato tanto idiota da violare il coprifuoco per farsi uno spuntino di mezzanotte... direi che la discussione finisce qui."
Ra'lar non si mosse immediatamente, restò immobile qualche secondo ponderando la situazione. L'andoriano era giunto alla stessa conclusione del terrestre ma non poteva battere in ritirata davanti alla squadra, non così in fretta, almeno. Pertanto si prese tutto il tempo necessario per far alzare ancora un po' la tensione, cercando una qualche incrinatura nella determinazione degli altri, prima di schioccare le dita e far cenno ai suoi di uscire dalla mensa. "Per ora ce ne andiamo, ma la discussione non finisce affatto qui. Torneremo a farci sentire presto, soprattutto con te, nird."
Ra'lar si fece strada verso l'uscita con il passo marziale di chi non lascia i propri conti in sospeso, passando di fianco ai tre cadetti e sostenendone lo sguardo.
L'ultima occhiata che mi gettò prima di voltarmi le spalle era gelida, difficile capire se mi considerasse ancora un amico. Come ho già detto, le nostre visioni del mondo sono in contrasto ma questo non ci ha mai impedito il reciproco rispetto. In quel momento ebbi paura di averlo perso, quel rispetto e non soltanto il suo nei miei confronti ma anche il mio nei suoi, e solo per un attimo ho quasi desiderato di non essere mai uscito dal mio alloggio, quella notte, e di continuare ad ignorare la realtà delle cose, proprio come la galmena striata che si rifiutava di volare nella tempesta per conservare solo bei ricordi dell'acqua.
Ecco, se questo fosse un olo-film di Smithee, qui ci andrebbe bene un bel flash back con le immagini di me e Ra'lar che scorrazziamo felici e sorridenti per i corridoi dell'accademia e per le strade della città. Succedeva prima che tutto questo accadesse e già mi sembra che fosse un'infinità di tempo fa, anziché poche ore. Perché? Perché non sono come Vaarik, così solerte nel tenere gli altri a distanza tanto che non ne può essere ferito; oppure come Luke, con il suo comportamento clownesco e leggero, ma che alla fine sembra sapere chi siano quelli per cui valga o meno la pena soffrire. Fino a stamattina Ra'lar era qualcuno piacevole da frequentare, adesso è uno che mi vuole spezzare le gambe ma, strano a dirsi, non è il futuro delle mie ossa a deprimermi di più.
Dalton, nel frattempo, sta chiedendo a Minsk la ragione per la quale siamo appena riusciti ad inimicarci il gruppo di cadetti più influenti dell'intera accademia: "Vorresti gentilmente dirci cosa cavolo hai fatto stavolta per far arrabbiare tanto i nostri cari ospiti?" Forse per una questione di equilibrio cosmico, la pazienza di Luke scende man mano che il tono della sua voce sale.
"Io non ho fatto niente, lo giuro! Mi fono folo foffiato il nafo ful veffillo della brigata dei De'fhlok appefo a quel muro..."
Se ad un umano esasperato cadono le braccia... ad un vulcaniano, cadono le sopracciglia? Difficile leggere l'espressione di Vaarik in quel momento, ma il sorriso a tutta faccia di Luke fa quasi sembrare che l'uomo abbia una gran voglia di acchiappare Minsk e gettarlo dietro a Ra'lar gridando: "Abbiamo cambiato idea, tenetevelo pure."
Ma è solo una questione di attimi, o forse sono solo io che sto lavorando troppo di fantasia, credendo di leggere cose mai scritte. Fatto sta' che avendone abbastanza ed essendomi passata la fame, decido per una strategica ritirata. "Io torno in alloggio a dormire un po' ragazzi, o forse no, forse ripasserò un po' qualche manuale di sopravvivenza. Qualcosa mi dice che nei prossimi giorni ne avremo bisogno."
Forse dovrò riscrivere tutto. Mi sono lasciato coinvolgere ed invece devo tenermi più distaccato, devo usare la terza persona, la terza persona, la terza persona, la terza persona... ma che bel mantra. Sembra quasi il titolo di uno di quei film della TriCadets. Ma perché sto dando retta a Cobledick e alle sue teorie?
"Che stai facendo?" Quando sento il sibilo della porta che si apre alle mie spalle, Sherman è già entrato. Adesso mi sta guardando con perplessità, che gli rispondo? Che sto mettendo giù le mie memorie con una biro che non scrive? Che sto mandando all'aria i miei ricordi dietro consiglio di Cobledick?
"Nulla di importante."
"Davvero?"
"Stavo solo passando un po' il tempo, stavo... solo giocherellando con una biro, mentre aspettavo il suo ritorno."
Sherman mi fissa un attimo e poi si muove verso la propria sedia. C'è un tratto del percorso in cui mi volta le spalle ma riesco ad intuire benissimo il gesto di portarsi una mano alla fronte e sento il bisbiglio: "Quell'el-auriano deve essere fermato..." L'istruttore si accomoda dietro la scrivania, riprendendo in mano le sorti del suo ufficio ed assumendo la sua naturale aria da comando. "Bella biro" mi dice. "Me la fai vedere?"
"Non è mia" lo supplico.
"Oh, non preoccuparti" dice, prendendo la biro, rigirandosela fra le mani e spezzandola in due con un movimento secco e deciso. "Ci penso io a restituirla ad Ahl." Sorriso da squalo, sempre identico.
"Come sa che è... che era di Cobledick?"
"Intuito. Dunque... dove eravamo rimasti, prima che ci interrompessero? Ah, sì, mi stavi parlando del tuo soggiorno su Angosia... ebbene?"
Getto un'occhiata al cronometro sulla scrivania, fra poco il turno di servizio dell'istruttore dovrebbe terminare. "Ma non si è fatto tardi?"
"No."
Fine del discorso è una frase inappropriata. Il mio discorso inizia adesso.
Tornati nei nostri alloggi discutemmo di quello che era appena successo e di cosa avremmo dovuto aspettarci nei giorni a venire. Dalton sembrava avere un'idea molto precisa di quel che stava accadendo, in passato aveva sperimentato in prima persona fenomeni del genere, lui li definiva come 'nonnismo'. Non è certo un termine nuovo, c'è una cosa del genere anche qui da noi, sul Sol III, ma di tutt'altra portata e con tutte altre conseguenze. Il nonnismo con cui ho dovuto avere a che fare prima d'ora al massimo provoca qualche rissa in sala mensa. Mm... forse è la mensa il denominatore comune... ci deve essere qualcosa nell'ambiente che funge da causa scatenante.
Comunque, come aveva promesso, Ra'lar non tardò affatto a farsi risentire. Successe la mattina dopo, durante l'orario di colazione. Un'intera delegazione della squadra dei De'shlok fece la sua apparizione fra gli esseri mortali che consumano i loro alimenti nelle sale comuni e non in un locale riservato all'ultimo piano dell'edificio. Minsk era rimasto in camera sua, pertanto c'eravamo soltanto io, Vaarik e Luke. Ra'lar si sedette al nostro tavolo fra gli sguardi curiosi dei presenti e si guardò bene dal chiedermi come mai quella mattina non fossi andato a consumare la colazione insieme a lui come al solito. Ciò che disse fu invece che, a seguito di una lunga riunione, era riuscito a far sì che la squadra accettasse il nostro diritto di prendere le difese del nostro compagno, ma che facendo questo dovevamo essere pronti anche a prenderci la responsabilità delle nostre azioni. Tutto questo discorso per andare a parare che era sceso a porgerci l'invito di presentarci presso il cancello ovest alle ore 00:23 di quella notte, dove avremo discusso insieme riguardo il nostro futuro su Angosia.
"Mezzanotte e ventitré, ma che razza di appuntamento è, mezzanotte e ventitré?" stava borbottando Dalton, mentre affondavamo passo dopo passo nella neve e nella notte, recandoci al luogo della disfida.
"Forse è una loro tradizione, forse non sono semplicemente abituati ad usare le cosiddette 'cifre tonde'" ipotizzai.
"Ho eseguito una ricerca sugli usi angosiani, utilizzando come chiavi 'metafore cronometriche' e 'simbologia numerica' ma non sono riuscito ad estrapolare nulla né riguardo a mezzanotte e ventitré, né riguardo a 0023. Se ci hanno voluto lanciare un messaggio è molto ben nascosto."
"Già" confermò Dalton, "è più probabile che volessero semplicemente prenderci per i fondelli. Che c'è adesso, corvaccio?" chiese poi rivolto a Vaarik, che stava scrutando intorno, sembrando cercare qualcosa.
"C'è che non avverto rumori, Dalton. Voi riuscite a vedere se ci sono guardie?"
Guardammo in direzione del cancello che distava ancora qualche centinaio di metri da noi. Ci eravamo scervellati su come poter fare per superare la sorveglianza senza essere scoperti a violare (di nuovo) il coprifuoco. A quanto pare, tuttavia, i nostri sforzi risultarono essere tempo sprecato, perché non c'erano sentinelle, quella notte, che ci avrebbero fermati dall'andare incontro al nostro destino, qualsiasi cosa ci aspettasse.
Luke aggrottò le sopracciglia ed incrociò le braccia. "Si mette un po' male, ragazzi."
"Potrebbe essere una trappola" ipotizzò Vaarik.
"Trappola?"
"Appuntamento al cancello ovest, Renko. Gli ingressi all'accademia sono piantonati, tranne questo e proprio stanotte. Inutile che vi rammenti che non abbiamo bisogno di arrivare fino al cancello, anche se ci facessimo sorprendere già qui, saremmo passabili di sanzioni disciplinari per aver infranto il coprifuoco."
"Non puoi parlare sul serio. Ra'lar ci ha sfidato e si presenterà."
"Ti fidi ancora del tuo amichetto?" mi schernì Dalton, con il tono di voce che utilizza usualmente per rivolgersi ai pivelli. "Comunque neanch'io penso ad un trucco così sporco. Per me l'andoriano e la sua corte di energumeni hanno semplicemente troppa voglia di menare le mani e rimetterci al nostro posto. Non ce li vedo proprio a ricorrere a sotterfugi tanto fini."
"Allora questo significa che i De'shlok hanno più connivenze con gli ufficiali dell'accademia di quanto immaginassimo."
"È esattamente quello che intendevo con: 'si sta mettendo male', orecchie a punta" rispose secco Dalton, per poi sfoderare dal nulla il suo solito sorriso sornione. "Beh? Coraggio, significa solo che domattina, al pronto soccorso, magari non ci faranno più di tante domande" esclamò Luke, riprendendo la marcia verso il cancello.
Guardai Luke fare strada e mi accinsi a seguirlo scrollando le spalle. "Meno male che Minsk è al sicuro, a quest'ora sarà già nello sgabuzzino della palestra, dove gli abbiamo dato il falso appuntamento."
Se non sapessi che è vulcaniano, avrei anche potuto pensare che il sospiro emesso da Vaarik in quel momento contenesse una nota di rammarico.
"Beh? Che ore sono?" esclamò Dalton, dopo qualche minuto passato a soffiarsi sulle mani per scaldarle.
"Sono le 00:22:45" rispose Vaarik.
"Sono in ritardo."
"Non esattamente, mancano ancora dieci secondi all'orario indicato. Due, in questo momento."
Improvvisamente i fari della torretta posta a fianco del cancello si accesero, illuminandoci in pieno. Scattammo mettendoci schiena contro schiena, aspettandoci un attacco da un momento all'altro. La torretta di guardia... la luce abbagliante rendeva impossibile capire chi stava azionando il quadro comandi. Che Vaarik avesse ragione? Le sentinelle ci stavano aspettando? Mi rifiutavo di crederci, di credere anche di poter essere così ingenuo come dicono quando vogliono prendermi in giro. Non poteva farci questo. Ra'lar... la sua voce giunse da oltre il muro di luce che tagliava di netto la notte. "Ben arrivati" salutò l'andoriano, fugando ogni mio dubbio sulla trappola.
Ra'lar era in alta uniforme, non esattamente la tenuta più comoda che ci fosse per accapigliarsi. Quindici cadetti entrarono nell'alone di luce. Eravamo circondati, ed eravamo cinque contro uno. Un sorriso amaro mi apparve sulle labbra, era questa l'idea di scontro onorevole che avevano i De'shlok?
"Dov'è il nird?" tuonò Ra'lar, notando la mancanza di un componente nel nostro gruppetto di sovversivi.
"Questo non deve interessarvi, noi siamo qui" rispose Dalton, facendo scorrere lo sguardo con aria significativa sullo spiegamento di forze dei De'shlok. "Siete capaci di prendervela solo con chi è più piccolo di voi, eh?"
Ra'lar inghiottì le parole di Dalton e lanciò un'occhiata tutt'altro che benevola all'umano ma non diede nessun ordine di sterminio ai suoi uomini. Anzi, ora che non aveva trovato l'oggetto delle sue angherie, sembrava quasi che fosse indeciso su cosa fare.
"Ascolta, Ra'lar" intervenni, spezzando l'attimo di empasse, "non possiamo permettergli che gli succeda qualcosa di male. Avevi detto che era nel nostro diritto proteggere il nostro compagno, volete rimangiarvi la parola?"
"La parola dei De'shlok è sacra" rispose l'andoriano con voce gelida. "Anche quando viene data a coloro che non condividono o rispettano le nostre tradizioni."
"Questo vi fa onore. Ora siate altrettanto onorevoli da permetterci di assumerci la responsabilità per il nostro compagno."
"Diteci immediatamente dov'è il melmakiano!" esplose Ra'lar, nel cui tono di voce, oltre alla furia, si mischiava anche un'altra emozione che non riuscii subito ad identificare. Indecisione? Timore? Senso di fallimento?
"Ripeto le parole del mio amico, Ra'lar" lo affrontai. "Che importanza ha? Noi siamo qui. Noi abbiamo osato ostacolare i vostri piani riguardo al pestaggio di Minsk. Siamo noi, che sei venuto a sfidare stamattina davanti a tutti, in sala mensa. Noi siamo qui." Parlai con tono piuttosto deciso, e l'andoriano si limitò a fissarmi, gli occhi stretti, l'espressione di chi si sente intrappolato in qualcosa più grande di lui.
"Perché?" continuai, se proprio dovevo passare in infermeria il resto della mia permanenza su Angosia, almeno ne avrei saputo il motivo. "Perché ti accanisci contro Minsk? Minsk è al sicuro, che importanza ha dove sia adesso? Siete gente dura che non lascia correre, ok, noi siamo qui. Dopo questa notte l'immagine dei De'shlok sarà comunque salva davanti a tutto il resto dell'Accademia." In realtà il piano originale era che, nel peggiore dei casi, l'indomani sia noi che i De'shlok avremmo avuto per lo meno lo stesso numero di lividi, ma la superiorità numerica era troppo schiacciante per farci illusioni.
"Ancora perché, Renko? Chiedi sempre perché" rispose Ra'lar, facendo un passo avanti. Appena il capo si mosse, il cerchio si strinse attorno a noi, facendoci tendere, pronti all'azione, ma anche stavolta non giunse nessun attacco.
Ra'lar continuò: "Il pestaggio di Minsk? L'immagine dei De'shlok... pensavo di avere la tua stima, un tempo. Siamo qui per ben altro. Vuoi sapere il perché, eh? Perché lo scopo di questa accademia è fornire la disciplina e l'addestramento necessari per diventare un soldato abile, efficiente e preparato. Ma più importante ancora, più importante di tutta l'abilità e la retorica tecnica è il fatto che questa Accademia si fregia di voler formare soldati che possano contare sui propri compagni. Soldati che nel momento della crisi potranno andare avanti senza esitazioni, perché sanno che ci saranno i loro compagni a coprirgli le spalle, compagni pronti a rischiare la vita così come loro rischiano la propria!" Il tono di Ra'lar cominciò a salire, le ultime parole le disse tuonando. "E non dei nird che ti lasciano nella merda perché non hanno voglia di infradiciarsi i vestiti!" Ra'lar fece una pausa per ricomporsi. Quando parlò di nuovo lo fece con voce dura ma più calma. "Il vostro compagno... Minsk... è bravo a parole, lo è davvero... o non saremmo qui, adesso. Ma bisogna poi vedere quanto sia bravo a reggere lo stress del pericolo, quanto sia disposto a dare, prima di crollare mettendo a repentaglio la vita sua e di chi gli sta intorno. È solo per questo che siamo qui adesso, Renko. Solo per questo. Io non mi diverto a stuzzicare il tuo amico! È una prova di coraggio che voglio da lui. Da che hanno vita, i De'shlok sono sempre stati un esempio per l'intera Accademia, ma non un esempio passivo da guardare e passare avanti. Ci siamo prefissi il compito di aiutare le reclute a tirare fuori tutte le loro risorse, con qualsiasi mezzo necessario."
"Che cosa succederà ora?" chiese Vaarik, con voce profonda e pratica. Minsk non c'era, eravamo stati noi stessi a tenerlo lontano con un trucco, salvandolo da quello che pensavamo non sarebbe stato altro che uno scontro fisico. La domanda pratica era volta a scoprire come i De'shlok avrebbero preso il fatto che il melmakiano non avrebbe affrontato la loro fantomatica 'prova di coraggio'.
"Ora" ricominciò Ra'lar, ponderando bene le parole mentre un sorriso senza allegria gli tirava gli angoli della bocca, "visto che il nird ha dimostrato di che pasta non è fatto, non presentandosi neppure, e visto che non possiamo permettere ad un codardo di fregiarsi del fatto di essere stato addestrato qui... faremo solo in modo di essere abbastanza convincenti da indurlo a ritirarsi dall'accad..."
"Taglia corto, ragazzino travestito da soldato!" saltò su Dalton, interrompendo Ra'lar ed attirando su di sé tutta l'attenzione del gruppo. "Tutta qui la questione? Una prova di coraggio? Garantisco io per il melmakiano, dimmi cosa devo fare e se riesco a superare la prova allora voi ci lascerete in pace. Niente più vessazioni, daccordo?"
"Non essere ridicolo, zietto! Passare la notte nel bosco sommerso dalla neve e senza vestiti. Come credi di riuscire a farcela alla tua età?" lo schernì Meran, parlando per la prima volta e guadagnandosi un'occhiata incenerente da Ra'lar. L'armadio angosiano abbassò lo sguardo mogio: "Sì, Ra'lar, sei tu che parli."
"Non essere ridicolo, zietto!" lo schernì Ra'lar dopo essersi chiarito con Meran. "Non puoi farlo."
"Infatti sarò io a farlo" dissi, facendo un passo davanti a Luke, inserendomi nella traiettoria fra lui e Ra'lar.
"Il ragazzo ha le idee confuse, andoriano" disse Luke, mettendosi a sua volta davanti a me per fronteggiare Ra'lar.
"Per niente" risposi indignato e posizionandomi nuovamente davanti a Luke.
Dalton mi batté le dita sulla spalla per farmi voltare e mi prese da parte con un: "vogliate scusarci un attimo" rivolto agli angosiani, mentre Ra'lar borbottava qualcosa sul tipo: "non se ne parla nemmeno" ma che in quel momento ignorammo.
"Senti, Renko. Non metterti in mezzo. Lasciami risolvere la questione."
"Si, certo, ti lascio andare a congelare nel bosco!"
"Io posso cavarmela con la mia parlantina. So come ragionano questi tizi, adesso vedi come me li lavoro. Li posso convincere a lasciarmi fare la prova come sostituto di Minsk e a lasciarci in pace per sempre."
"Oh, non dubito che te li puoi lavorare, ma sarò io ad affrontare la prova. E piantala di darmi del ragazzino, dei due sono io ad essere in grado di uscire da quel bosco senza congelare, non tu."
Nel frattempo, e sto parlando in fondo solo di pochi secondi, il resto degli angosiani ci stava fissando incerti su che cosa fare. Forse il fatto che ci mettessimo a bisticciare fra di noi non era stato previsto ed il loro manuale della perfetta macchina da guerra non dava disposizioni in merito.
"Silenzio!" tuonò Ra'lar. "Non esistono prove di coraggio per procura, è inutile che stiate a discutere."
"Non c'è bisogno di discutere, andoriano" saltò su pronto Luke, ignorando ciò che aveva detto Ra'lar per perseguire il suo piano di 'sostituzione cadetto' tramite la sua parlantina. "Infatti abbiamo già deciso chi di noi due affronterà la prova: sarò io."
Feci per protestare ma Dalton fu più veloce, si tolse la casacca invernale della divisa, restando con la sola maglietta. Mi guardò con un ghigno e due secondi dopo anche la maglietta giaceva ai suoi piedi. "Sono pronto, finiamo questa cosa e andiamocene tutti a casa."
"Non sarai tu a fare la prova" dissi io.
"Non sarai tu a fare la prova" disse Ra'lar.
"Infatti farò io a fare la prova!" disse una voce che proveniva dall'oscurità tutt'intorno a noi.
"E chi è, adesso!?" scattò Ra'lar, esasperato da tutte quelle discussioni.
Una forma pelosa entrò nel cono di luce, annaspando nella neve.
"Non ti mettere di mezzo anche tu, nird!" ruggì Meran, il cui cervello forse non aveva ancora realizzato bene cosa fosse appena successo. Due secondi dopo, l'armadio angosiano sgranò gli occhi dallo stupore: "Ra'lar! Il nird!"
"Efatto, il nird. Fono qui, malgrado qualcuno mi aveffe dato cordinate non proprio precife ful luogo dell'appuntamento" disse Minsk, gettandoci un'occhiata in tralice.
"Minsk!" bisbigliò Dalton. "Che ci fai qui, dovevi trovarti alle 00:00 nello sgabuzzo della palestra e dovresti ancora essere lì."
Il melmakiano si rifiutò di guardare verso Dalton e continuò la propria spiegazione dei fatti rivolto a Ra'lar. "Fortunatamente però mi fono diftratto a guardare l'ultima puntata di 'Un Pofto in trincea' e ho perfo la cognizione del tempo. Me ne fono accorto folo alla fine della puntata, ma ormai era già mezzanotte e diciotto minuti..."
"Mezzanotte e diociotto minuti?" chiese Vaarik alzando un sopracciglio, mentre un sospetto iniziava a sfiorargli la mente.
"Fi, non lo fapevate? 'Un pofto in trincea comincia fempre alle 11:33 precife e finisce alle 00:18 fpaccate. Quefta era la puntata in cui fi fcopriva chi è il vero padre del colonnello Zagar e fe il tenente Codrif avrebbe perdonato l'attendente Peftron per averla tradita con l'infermiera da campo Falina."
Vaarik voltò il suo sopracciglio alzato verso Ra'lar "00:23, dunque."
L'andoriano era diventato un po' più blu del solito e anche il resto della squadra De'shlok sembrava non essere improvvisamente più a suo agio. Ra'lar non vedeva l'ora di cambiare argomento: "Non tentare di prendere tempo con chiacchiere non pertinenti, nird."
"Non fto prendendo tempo, fto folo fpiegando perché non fono arrivato prima. Dunque, quando mi fono accorto di che ore erano mi fono fubito precipitato fuori dal dormitorio per andare nell'edificio dove c'è la paleftra. Per puro cafo, mentre percorrevo la collinetta ho vifto in lontananza quefti tre che fi dirigevano con aria fofpetta verfo il cancello invece di effere già nello fgabuzzino della paleftra come mi avevano detto. Cofì ho decifo di feguirli e ho fatto bene."
Intanto che il melmakiano parlava, gli angosiani non se ne erano stati con le mani in mano. I De'shlok avevano cambiato la loro posizione, adeguando l'accerchiamento al nuovo arrivato e disponendosi in modo che Minsk, una volta arrivato, non avesse vie di fuga.
"Minsk" sussurrai, "mettiti dietro a noi e non fare sciocchezze, vedrai che tutto si risolverà."
"Minsk" sussurrò Daton, mentre rabbrividiva a causa del gelo. "Ti tirerò fuori dai guai, ma guarda che metto in conto."
Vaarik si limitò a guardare il melmakiano con aria cupa.
"Adeffo bafta" disse invece Minsk, piazzandosi di fronte a Ra'lar. "Ne ho abbaftanza di voi e di tutte le voftre veffazioni. L'ultima volta che ci fiamo vifti in fala menfa, andoriano, mi hai minacciato con i tuoi energumeni di mandarmi in infermeria fe non aveffi fatto quello che volevi. Beh... allora avevo accettato per paura, ma adeffo fono io a voler fare quefta benedetta prova perché non ne poffo più di vedermi attorno le voftre brutte facce. Ma prima voglio fentirti dire che fe la fupero tu e i tuoi fgherri decerebrati vi toglierete per fempre dai piedi. Hai fentito? Ne ho le fcatole piene di te, non ne poffo più di aver fempre paura, e ne ho fin fopra i peli delle orecchie delle voftre angherie. Perciò voglio che adeffo mi giuri che fe vado in quel bofco tu e i tuoi energumeni non vi farete più vedere."
"Senti, nird..." cominciò a dire Ra'lar a denti stretti.
"Fi o no?!"
Ra'lar tirò un respiro profondo. Probabilmente si stava ripetendo a mo' di mantra che eravamo lì proprio per quello scopo e che il tono di voce con cui l'aveva apostrofato il piccoletto peloso non era passabile di lenta tortura. Anzi, tutta quella sceneggiata era stata messa su proprio per fare in modo che il nird tirasse fuori del carattere. Tuttavia le emozioni sono roba illogica ed invece di usare un tono squillante di trionfo, Ra'lar si fece uscire a fatica e a denti stretti un: "Sì."
"Fi cofa?"
"Giuriamo" sibilò l'andoriano con un sorriso tirato.
Il melmakiano emise uno sbuffo di soddisfazione e si girò verso di noi. "E in quanto a voi tre, ftate ficuri che quando tornerò ho due o tre cofette da difcutere infieme. E adeffo vogliate fcufarmi ma per ftanotte ho già vifto abbaftanza brutte facce." Minsk si tolse l'uniforme fino a mostrare l'intero manto peloso che ricopre il suo metro di altezza e si allontanò nella notte.
"Sta ancora ascoltando?"
"Sì" sospira Sherman.
"No, è che non la vedo più muoversi da un po' di tempo e allora..."
"E allora cosa? Stavi dicendo che alla fine Minsk ha deciso di sottoporsi volontariamente alla prova. Adesso voglio che mi dici cosa hai pensato quando lo hai visto sparire nel bosco."
"Beh... per prima cosa ho pensato che stava andando nella direzione sbagliata, perché di là c'era il precipizio e non il bosco. Poi però Dalton gli ha fatto un urlo e Minsk ha preso la strada giusta. Poi ho pensato che non mi sentivo affatto soddisfatto di come si stavano risolvendo le cose e ho pensato che fosse strano, perché alla fine tutti avevano ottenuto quello che volevano. Ra'lar e i De'shlok era riusciti finalmente a far venire a galla la tempra di cui era fatto il melmakiano. Minsk avrebbe fatto vedere a tutti quanto valeva e si sarebbe tolto per sempre dai piedi tutti i bulletti arroganti dell'accademia angosiana. Noi tre... beh, noi tre non è che avessimo in mente un piano ben preciso. Volevamo solo evitare che il melmakiano fosse ridotto ad un ammasso di carne sanguinolenta e da come è andata a finire si può dire che è come se avessimo vinto anche noi, no?"
"Ra'lar ha vinto, Minsk ha vinto, tu hai vinto."
"Più o meno... credo."
"E allora dove sta il problema?"
"È una vittoria un po' amara. Tutta la situazione... non posso dire che mi piaccia. L'inquadramento dei compagni più deboli attraverso quotidiane violenze psicologiche o fisiche, perché alla fine è di questo che si tratta, come si fa a digerirlo bene? Ci si può rassegnare, sì, ci si può anche convivere ma se qualcuno mi viene a chiedere che cosa ne penso, non posso certo dirgli che ne penso bene. L'unica cosa che posso dire adesso è 'fortuna che qui da noi non succede'. O almeno, io non sono a conoscenza di cadetti che ne vessano senza pietà altri. Cioè, a parte lei che però è un istruttore e perciò non credo che conti."
Sherman cambia leggermente posizione ma non commenta. Significa che si aspetta che io dica altro, sempre che ci sia altro da dire. Mi scappa un piccolo sbuffo di divertimento.
"Lo trovi divertente?"
"No, per niente. È questa situazione che trovo un po'... grottesca. Tre anni che sono in Accademia ed è la prima volta che non la sento sbraitare. Non so se sentirmi meravigliato o inquietato. Com'è che improvvisamente è così interessato a che cosa penso? Neanche fossi nell'ufficio di Cobledick, non me le ha chieste lui, queste cose, e me le sento chiedere da lei."
"Ad ognuno il suo campo di competenza e Cobledick lo sa. E poi potrei farti la stessa domanda, tre anni da che ti ho fra i piedi e non ti sei mai astenuto dal dirmi cosa ne pensavi dei miei metodi di insegnamento, com'è che ad un tratto hai smesso?"
Dico: "Tutto questo solo perché per una volta non ho avuto voglia di fare commenti sulla sua predicazione della violenza?"
Dice: "No, tutto questo solo perché sono un tipo molto sorprendente e molto curioso. Dunque... eravamo rimasti che Minsk si allontanava nella notte. Va avanti."
"È tutto qui."
"No, non credo."
"Lo sa già cosa è successo dopo, o non saremmo qui adesso."
"Sì, ma voglio sentirmelo dire da te. Mi piace come racconti."
"Davvero?"
"No. Mi sembrava di sognare, oggi, quando non ti ho sentito parlare per tutta l'esercitazione. Ma continua a raccontare lo stesso, lo sopporterò come se si trattasse di una prova di resistenza. Sai, rafforza il carattere."
"Non arriverà mai vivo" disse Luke, tremando dal freddo mentre cercava di recuperare la maglietta e la casacca che aveva fatto cadere nella neve. "Senti beccamorto, potresti togliere il piede dal mio giaccone, grazie?" chiese l'umano a denti stretti.
"È il tuo giaccone quella roba informe per terra? Porgo le mie scuse, noi vulcaniani non siamo abituati a calpestare la neve" disse Vaarik, il cui tasso di credibilità in quel momento era basso quanto la temperatura esterna.
"Noto che purtroppo il freddo non ti ha ancora congelato, vulcaniano."
"Noto che anche stavolta sei riuscito a rimanere senza maglietta davanti ad una donna" ribatté calmo Vaarik.
"Ma che stai...?" Luke si alzò con espressione accigliata, quando improvvisamente la vide. "Oh, no, non un altro colpo di scena mentre sto cercando di non congelare..." sbottò Dalton, ma sottovoce.
"Subhadar!" salutò Ra'lar, scattando sull'attenti all'unisono con il resto della squadra.
Shayla Gozar era apparsa tanto all'improvviso quanto silenziosamente. Un colpo di scena letale, se fossimo stati nemici... ma eravamo poi così sicuri di non essere considerati tali?
"Immaginavo che tutto questo dovesse avere l'appoggio perlomeno di un ufficiale" commentò Luke, mentre si rivestiva.
"Complimenti alla sua immaginazione fervida, cadetto."
"No, Subhadar, si tratta di esperienza. Non sono un novellino, io" disse Dalton, gettando un'occhiata significativa e di sfida a Ra'lar. Evidentemente l'istinto di sopravvivenza dell'umano era fuori uso causa gelo. Luke continuò, rivolgendosi all'istruttrice con rispetto ma anche con tono deciso. "E così, signore, è sua l'idea di questa prova di coraggio?"
"Chi abbia o meno ordinato di sottoporre il melmakiano a questo test non sono affari che la riguardino, cadetto. E se è vero che ha tutta questa esperienza, si sarà anche reso conto che è un bene non parlare troppo di questa faccenda. È chiaro ciò che intendo?"
"Cristallino, signore. E riguardo a noi?" chiese Luke, facendo capire che si stava riferendo a noi tre, chiedendo cosa dovevamo ancora aspettarci dai De'shlok a quel punto. "Qual è, adesso la nostra posizione?"
"Siete stati una scocciatura imprevista" disse Shayla, senza troppa delicatezza. "Ma devo ammettere che non meritate l'annientamento... per adesso. In fondo avete dimostrato di saper mettere l'incolumità del vostro compagno davanti alla vostra. È quasi un peccato far sì che questo slancio vada a vuoto. Meran, tu cosa ne dici?"
L'armadio angosiano, per tutta risposta, alzò le mani all'altezza del viso e fece scrocchiare le nocche con il rumore dei rami secchi spezzati dalla bufera.
"Su, Meran, non siamo così selvaggi" continuò Shayla con voce modulata come se stesse recitando una parte in una commedia divertente. "Così come non siamo tanto selvaggi da mettere veramente a repentaglio la vita del melmakiano. Mi dica, signor Dalton, ha mai fatto l'angelo custode, prima d'ora?"
"È il mio lavoro, quello dell'Accademia è solo un hobby" rispose Luke, con una smorfia. L'istruttrice stava dicendo che ciò che era stato richiesto a Minsk era una prova di coraggio e determinazione ma che qualcuno sarebbe stato attento che al cadetto non succedesse nulla di grave. Ovviamente il melmakiano non lo sarebbe mai venuto a sapere.
"Allora, attingendo dalla sua tanto vantata esperienza, sa anche che era previsto che alcuni cadetti seguissero di nascosto il melmakiano."
"Di solito è così che funziona."
"Bene" sorrise Shayla, un sorriso dolcissimo e nettamente in contrasto con la luce nei suoi occhi. "Questo compito, di norma, sarebbe toccato a Ra'lar, Meran e Siger. Ma visto che vi siete dimostrati tanto protettivi nei confronti del vostro amico e tanto onorevoli da rischiare per lui, lasciate che io adesso vi onori ancora di più, chiedendovi di seguire immediatamente il melmakiano per fargli da angeli custodi." Quanta percentuale di sarcasmo e quanta di divertimento insano ci fossero nelle parole dell'istruttrice era arduo da calcolare. "Sempre che non vogliate passare brutti, brutti guai per essere usciti dal dormitorio durante il coprifuoco, s'intende."
"S'intende" mormorammo in tre fra i denti.
Shayla ci si piazzò davanti, tendendo una mano. "Ma prima dovrete lasciare qui le armi, signori."
"Non abbiamo armi" risposi, confuso.
Luke sospirò ed estrasse un piccolo phaser dallo stivale, piazzandolo sul palmo aperto dell'istruttrice.
"Dalton!" esclamai, "eravamo venuti qui per un confronto onorevole, come hai potuto portarti un phaser?"
"Oh, piantala, Renko! È soltanto un piccolo storditore" biascicò, alzando le spalle.
Mi voltai verso Vaarik per trovare appoggio quando lo vidi con un d'k tahg in mano e l'espressione più cupa a cui potesse arrivare. Senza una parola e con lo sguardo di ghiaccio lo consegnò a Shayla.
"Vaarik... pure tu!" Luke, almeno, aveva uno storditore. Stordire qualcuno con dieci centimetri di lama è qualcosa di più definitivo.
La Subadhar si fermò anche di fronte a me, tendendo la mano con il palmo rivolto verso l'alto.
"Io non ho armi" dissi.
Lo sguardo di Shayla lampeggiò per un istante e la mano fece un cenno di sollecitazione per poi riposizionarsi con fermezza davanti a me.
"Renko" ordinò Vaarik con voce profonda e secca. "Dagli lo shuriken."
"Il mio shuriken? Io il mio shuriken non l'ho mai dato a nessuno!" Fissai l'istruttrice negli occhi per spiegarle la situazione. "Ma non è una vera arma, è solo una stelletta un po' affilata, tutto qui. Vede? È un piccolo shuriken multiuso, non mi ci sono mai separato..." Ma l'istruttrice sembrò mostrare veramente poca comprensione e, sollecitato ulteriormente anche da Dalton, alla fine dovetti arrendermi e separarmi dal mio shuriken. Tuttavia non lo consegnai nelle mani dell'angosiana, guardandoci silenziosamente giungemmo ad un piccolo compromesso. Piegai il polso, fino a portare la mano di fianco al mio viso e lanciai la stella contro il muro di buio che ci circondava. Dopo due secondi giunse un 'toc' ovattato ed uno dei De'shlok alzò la torcia nella direzione del rumore, illuminando il cartello che stava affisso al lato del cancello ovest: 'Benvenuti all'Accademia Angosiana'. Il mio shuriken era conficcato esattamente a metà del lato superiore, come se si fosse trattato sia della puntina che sorreggeva l'invito, sia di un monito sottinteso al visitatore che avesse voluto varcare quella soglia.
"Bene" disse Shayla, alla quale non sfuggì l'ironia della situazione. "Può restare lì fino a che non avrete finito."
"Grazie."
"Ringraziate piuttosto che non ho chiesto anche a voi di spogliarvi prima di immergervi nella neve. Ma solo perché dovrete essere pronti ed al massimo dell'efficienza in caso di necessità. Ora fareste meglio ad affrettarvi."
Ci dirigemmo nella stessa direzione in cui era sparito Minsk, consolandoci del fatto che seguire le sue orme non sarebbe stato un lavoro troppo arduo. Aveva lasciato dietro di sé una scia di neve devastata, infatti.
Shayla ci fermò proprio al limitare del cono di luce. "Solo un'ultima cosa" disse. "È sottinteso che il signor Minks non debba accorgersi della vostra presenza, in nessun caso. Sgarrate in questo anche solo di un pelo e mi preoccuperò personalmente del vostro futuro" concluse la donna, il cui sorriso angelico faceva rabbrividire al pari della nottata gelida.
"Vaarik" sospirò Dalton, mentre ci immergevamo nell'oscurità del bosco. "Non sai quanto mi costa dirlo, ma la prossima volta che mi viene voglia di uno spuntino di mezzanotte, ti autorizzo a farmi ingoiare il mio cuscino."
Minsk varcò a testa alta le porte della mensa. Aveva l'aria stanca ma sul muso allungato aleggiava un'espressione di sicurezza e di soddisfazione. Indossava la stessa divisa della notte prima, era uscito dal bosco appena aveva iniziato ad albeggiare e aveva recuperato gli abiti lasciati a terra presso il cancello ovest.
Il melmakiano si diresse verso la pila di vassoi vuoti e ne afferrò uno, dirigendosi poi verso la fila davanti al banco delle cibarie. Fu quando si voltò verso la porta che ci vide.
"Ragazzi!" esclamò. "Fi può fapere che diamine vi è fucceffo?"
"Nulla, perché?" rispose Dalton, esibendo un fintissimo sorriso tirato fino alle orecchie.
"Minsk, per favore, niente domande" gli dissi io. "Vogliamo solo mangiare qualcosa e poi andare a cambiarci."
Le nostre uniforme erano fradice di neve sciolta, spiegazzate e con piccole lacerazioni in alcuni punti. Sorvegliare il melmakiano tutta la notte affinché non si procurasse da solo lesioni permanenti si era rivelato un lavoro più arduo del previsto, ma ora non voglio dilungarmi. Forse un giorno ci tornerà alla mente tutto questo e ne rideremo insieme. Forse. Fatto sta' che mentre ci sorreggevamo a vicenda, Minsk iniziò a guardarci con un'espressione accigliata ma purtroppo non si limitò a questo. Infatti ebbe la pessima idea di aprire bocca: "Ragazzi! Ma infomma! Non poffo fempre efferci io a tirarvi fuori dai guai come ftanotte. Penfavo farefte ritornati nei dormitori dopo aver imparato la lezione e invece vedo che ve ne fiete andati in giro ad attacar briga. Dovete imparare ad effere più refponfabili e penfare anche al bene dei voftri compagni prima di prendere le voftre iniziative."
Detto questo, il melmakiano ci voltò le spalle e si diresse verso il banco delle cibarie.
Noi dovemmo trattenere Dalton, per impedirgli di saltare addosso al melmakiano e soddisfare una volta per tutte il suo desiderio di mangiare finalmente carne al sangue.
"Ecco, è tutto qui, è contento adesso?"
"Brillo di gioia inespressa" mi risponde Sherman, la cui voce e la cui espressione del volto non rispecchiano per nulla le parole appena proferite.
"Che cosa si aspettava?"
"Solo di sentire anche il tuo punto di vista. Tutto questo a Cobledick non l'avevi detto, quando hai sostenuto il suo colloquio, stamattina."
"No, avevamo deciso di non coinvolgere... esterni. Comunque non mi ha risposto, cosa succede adesso?"
"Tu cosa ti aspetti?"
"Non so, ultimamente le persone si sono comportate in maniera molto differente da come mi aspettavo. Ra'lar... Minsk... perfino Vaarik. E anche la subhadar, da lei mi aspettavo maggiori ritorsioni contro di noi, per quello che avevamo fatto. Sì insomma, avevamo infranto il coprifuoco e cosa ancora più grave, avevamo ostacolato il suo personale concetto di 'indottrinamento' di Minsk. Pensavo avrebbe ordinato un altro di quei suoi 'codici rossi' nei nostri confronti."
"E l'hai capito, perché Shayla non vi ha ritenuti soggetti passabili di un tale provvedimento?"
"A lei l'ha spiegato?"
"A me non aveva bisogno di spiegarlo."
"Signore, posso solo ripetere le parole che Ra'lar ci disse quella notte: 'Soldati che nel momento della crisi potranno andare avanti senza esitazioni, perché sanno che ci saranno i loro compagni a coprirgli le spalle, compagni pronti a rischiare la vita così come loro rischiano la propria'. Altro non mi viene in mente."
Sherman prende la parola quando capisce che io non andrò avanti. "Quando eravate ancora in quel condotto, prima di irrompere in mensa, avreste potuto far finta di niente e tornare sui vostri passi, tanto nessuno vi aveva visto. Eppure, malgrado ciò avrebbe comportato solo complicazioni e guai, vi siete fatti avanti, nel tentativo di proteggere il vostro compagno. In poche parole avete fatto ciò che andava fatto. Alla fine avete fatto la cosa giusta." Sherman si rilassò contro lo schienale della poltrona. "È così difficile da dire?"
"No" rispondo con un sorriso a fil di labbra. "Ma volevo sentirmelo dire da lei."
Sherman allunga una mano al terminale sulla scrivania e richiama un file sullo schermo. "Domani ti aspetta un'esercitazione di tipo Gamma."
Annuisco. "La terza in una settimana."
L'istruttore sfiora due comandi, provocando un blirp da parte del terminale. "Non presentarti. Al posto dell'esercitazione va in sala tiro ad allenarti per qualche ora sulla mira e non uscire fino a che non avrai migliorato il tuo punteggio."
"È una punizione o una ricompensa?"
"Non è chiaro?"
"Da quando la conosco faccio un po' di fatica a distinguere fra le due cose."
Sherman getta un'altra occhiata allo schema che ha richiamato sul terminale. "Dopodomani hai l'esame di 'scansioni sensorie su chimica organica'" afferma l'istruttore, rifiutandosi di darmi soddisfazione. "Non voglio che tu adduca scuse di stanchezza nel caso ottenga risultati che non siano sopra la media."
"Capisco" dico, alzandomi in piedi più che pronto ad uscire al suo cenno di congedo.
"Dunque?" mi chiede Sherman.
"Dunque, signore?" chiedo io, perplesso.
"Dunque cosa ne pensavi dell'esercitazione di stamattina" continua l'istruttore con aria serafica.
"Ah. Beh, io... fondamentalmente penso sempre le stesse cose." Quid pro quo, ho quasi l'impressione che tutto questo non sia che una specie di baratto. "E penso ancora che con la violenza non si ottenga nulla. Ma come ripeteva sempre il mio Maestro, è anche vero che sapersi difendere è un buon punto di partenza per una vita lunga. A quanto pare lei è un adepto solo della seconda parte della filosofia ma forse, in fondo, va anche bene così. Forse ci sono situazioni in cui è necessario."
"Capisco."
"Ho detto forse."
"Capisco lo stesso" dice Sherman. Ma sarà vero? Non vorrei che avesse capito male, io sono ancora convinto che con la violenza non si risolvi nulla. Resto in piedi dietro alla mia sedia, indeciso se fare o no la puntualizzazione quando l'istruttore mi precede, tornando il Sherman dalla dialettica famigliare e tonante. "Beh? Ti sei ammuffito e hai messo radici? Che fai ancora lì impalato, fuori dai piedi, muoversi!"
Non me lo faccio ripetere, è già molto che non mi abbia appioppato pure cinquanta flessioni e mi affretto prima che l'istruttore cambi idea. Una volta che le porte automatiche si sono richiuse dietro di me, mi volto solo per un secondo. Ma sarà stato tutto vero o solo una mia allucinazione? E ora cosa devo aspettarmi dal futuro? Il solito vecchio Sherman o questa versione tutta nuova che ho visto oggi per la prima volta?
Colgo la targhetta a lato della porta: 'Tenente Comandante Ted Sherman. Istruttore responsabile del corso alpha di sicurezza.'
Mah... vedremo. A proposito, chissà se Gozar è al corrente che Sherman tiene una fotografia olografica di sua sorella nel cassetto della scrivania...