C'è nebbia nella tempesta. Credo che la nebbia derivi dal fumo che esce dalle orecchie degli utenti dello spazioporto, mentre la tempesta dallo stato d'animo degli stessi. Lo stesso stato d'animo che crea la nebbia, per intenderci.
L'astroporto è permeato dal caos. Totale, completo.
Aleggia sempre, in questi luoghi, una particolare atmosfera di nevrosi. Creata da chi deve partire e fino all'ultimo ha come l'impressione di aver dimenticato qualcosa, e chi fissa con ansia il tabellone dei voli, sperando che un ritardo improvviso non gli faccia perdere qualche coincidenza.
Ma non è questo il caso.
Fin da quando arriviamo nei pressi dell'astroporto, intuiamo, con grande perspicacia, che qualcosa non va. Saranno le nuvolette tempestose che si intravedono sulle teste di chi ne esce, o le imprecazioni colorite che giungono da oltre i muri della struttura, non saprei dire di preciso.
Appena oltre le porte scorrevoli, una folla si muove smarrita fra video impazziti e terminali con scritte senza senso. Attaccati ai muri sono stati posti dei pannelli lisci sui quali il personale dello spazioporto si affanna a scrivere (a mano!!) utilizzando appositi strumenti (pennarelli, è il termine terrestre) riesumati apposta per l'occasione. Proprio davanti all'entrata principale, giganteggia uno striscione rudimentale in galacta con, scritto sotto più in piccolo, la traduzione in altre lingue fra quelle più diffuse.
'Causa aggiornamento del software, i terminali sono momentaneamente fuori uso e gli orari dei voli potrebbero subire cambiamenti. Ci scusiamo per il disagio - La Direzione dello Spazioporto.'
"Aggiornamento del software?!" esclamo. "E proprio adesso dovevano farlo?"
"È da stanotte che ci stanno dietro" mi informa un aspirante passeggero che sembra informatissimo su ciò che sta accadendo (forse perché si trova lì da ore ed ore, ormai). "Ma sembra che non ci sia verso, i computer sono tutti impazziti e ancora non ne sono venuti a capo."
"Ma... ma... non potevano farlo per settori?"
"Credo ci abbiano provato ma qualcosa deve essere andato per il verso storto. Eppure sulla carta le premesse sembrano buone. Hai presente quell'informatico di cui si parla tanto in questo periodo? Sono usciti parecchi articoli sulle riviste di settore sul suo nuovo e rivoluzionario software."
Non sono specializzato in informatica e non è il mio settore specifico, tuttavia qualche eco è giunta anche a me. Tanto per dire quanto forte è stato lo strombazzamento.
"Chi, quel Cancelli?"
"Mm" si limita a confermare lo sconosciuto con aria rassegnata.
Dalle tabelle che gli addetti si affannano a tenere aggiornate, la situazione non è delle migliori. Tutte le partenze sono state posticipate e man mano passa il tempo, man mano il ritardo accumulato dai voli aumenta sempre più. Inutile specificare che i nostri voli sono stati cancellati.
"No... no... non mi possono fare questo." Inizio pian piano a covare un moto di ribellione verso il destino. "Prima la spia... poi le elezioni che devono essere rifatte... e adesso i software impazziti che si espandono nell'intero sistema?!? Qu'vatlh! Devo andare a casa! Oh!! Che è, uno scherzo? Devo vedere 318, parlare con 693, consegnare un rapporto a 512..."
Ma la mia voce va a sperdersi nel coro generale di scontento di passeggeri che sono lì già da ore, alcuni dei quali urlano molto più forte di me, avendo avuto il tempo di bruciare molta più scorta di pazienza di quanto abbia fatto finora io.
Foster doveva andare a conoscere i suoceri, Luke sta blaterando di una qualche vacanza su Risa, Vaarik... boh... è sempre difficile leggere l'espressione di Vaarik, non sembra quasi nemmeno troppo seccato di non poter tornare su Vulcano.
In mezzo a tutto questo, il mio sguardo cade su di un angolino in basso, molto in basso, su una delle tabelle gestite a mano. Se la vista non m'inganna c'è un volo con... posti liberi? Afferro la prima spalla a portata di mano, costringendo Paul a guardare in quella direzione per darmi conferma che non sto avendo un miraggio.
Con riflessi fulminei, Foster si precipita a prenotare i posti, tornando vincitore pochi minuti dopo e sventolando quattro biglietti delle Linee Spaziali WhiteStar.
Man mano che ci avviciniamo al gate ed al mezzo miracoloso, vedo i volti di Foster e Dalton sbiancare progressivamente. Mi è difficile capirne immediatamente il perché, fino a quando il nostro trasporto: L'Andrea Doria, non riempie la mia visuale in tutto il suo discutibile splendore.
Evidentemente i due piloti hanno più occhio di me per riconoscere a prima vista uno 'scassone', ma perfino io resto leggermente perplesso davanti al runabout rappezzato e modificato.
Potrei impallidire anch'io, se non avessi fiducia nelle norme di viabilità della Federazione, anche se Dalton si ostina a chiamarla benedetta ingenuità. Ed è forse tale benedetta ingenuità a farmi proferire la prossima frase.
"Be', se non fosse sicuro... non gli permetterebbero di volare, no?" Foster si volta verso di me, e non mi sembra per nulla rassicurato dalla mia ipotesi. "Credo di aver guidato mezzi più avanzati secoli fa."
"Sembrava troppo bello aver trovato dei posti liberi... dov'è che dovrebbe andare sto' coso?" domanda Luke.
"Su Sirio II, lì c'è un altro astroporto da cui possiamo partire per le nostre destinazioni."
"Non è tanto lontano. Potrebbe farcela... vero?" chiedo ai due esperti.
Sostiamo indecisi nei pressi del portello aperto. Sul fianco polveroso della nave se ne intravede il nome insieme al numero di registro ed alla classe: Andrea Doria N.A.R. 1317 / Savoia Marchetti.
Credo che, a questo punto, ognuno di noi sia alle prese la propria bilancia interiore, su cui sta soppesando le varie opzioni.
'Rischio la pelle o rischio di non rivedere Ossydianne?'
'Rischio la pelle o rischio di vedere sfumata la vacanza su Risa?'
'Rischio la pelle o la do vinta ad un destino gramo che non vuole farmi tornare a casa?'
'Rischio la pelle o rischio di non rivedere il Consigliere Memok?'
Mentre siamo tutti immersi nelle nostre personali considerazioni, sento Vaarik mormorare un "Buon viaggio, ci vediamo al vostro ritorno." E tentare di incamminarsi nuovamente verso l'astroporto.
Ce l'avrebbe anche fatta, a defilarsi, se un ciclone non l'avesse investito trascinandoci all'interno.
"Pistaaaaa." Sentiamo, mentre una cadetta arriva a tutta velocità. "Devo assolutamente prendere questo trasporto."
In meno di due secondi la ragazza è entrata e si è messa a sedere. La sto fissando incuriosito, voltando le spalle all'entrata, quando sento qualcosa balzare dietro di me, appoggiare le zampe sulla mia testa per darsi la spinta ed atterrare elegantemente vicino al sedile dove è seduta l'umana.
"Ouch!" esclamo, tanto per far sapere al mondo che ho preso atto del fatto che qualcosa mi è balzato in testa.
Si tratta di un lupo, ed ora se ne sta seduto composto al fianco della cadetta. Si volta brevemente verso di me per gratificarmi con un "Woof!" per poi ricomporsi nuovamente con aria solenne.
In quel preciso momento, un refolo di vento colpisce il fianco della nave, togliendone la polvere e riportando alla luce una scritta che ci era sfuggita. Tuttavia ormai siamo all'interno e, per nostra sfortuna o per nostra tranquillità (non saprei dire esattamente), non assistiamo alla scena.
La frase posta sotto il nome della nave sembra essere stata messa lì come moto d'orgoglio dei proprietari verso la longevità della stessa: Andrea Doria N.A.R. 1317 classe Savoia Marchetti, Residuato di tutte le guerre.
Ore dopo siamo in viaggio nello spazio. Malgrado i nostri timori e malgrado le leggi della fisica e dell'ingegneria conosciute, l'Andrea Doria è riuscito a decollare ed anche a tenere una rotta abbastanza lineare.
Ci siamo accomodati sui sedili, facendo amicizia con la cadetta del lupo e scoprendo che si Chiama Patrizia Pasquariello del pianeta Italia.
Gli altri passeggeri della nave formano una fauna un po' variegata. Ci sono un vecchio Klingon con un braccio solo che se ne sta in silenzio guardando fuori dal finestrino e mugugnando qualcosa di tanto in tanto (il suo nome è Kanker, ma lo scoprirò solo in seguito).
Un bambino tellarite che ha bisogno di cure e sta andando su Sirio II per ottenere la medicina miracolosa che può salvargli la vita. La sua baby-sitter lo chiama affettuosamente Babe.
La suddetta baby-sitter è una vulcaniana di nome Rotten T'Maier, educata in un collegio svizzero (N.d.Renko: la Svizzera è la stessa regione terrestre che produce gli shuriken multiuso come il mio).
Nel posto all'altro lato del corridoio siede una terrestre dai tratti orientali e dalla pancia incredibilmente prominente. Le è stato dato il sedile più comodo e spazioso. Da quando è entrata, tutti l'hanno trattata istintivamente con un riguardo particolare, magari anche senza rendersene conto, ma l'hanno fatto. Dipende dal fatto che la donna è incinta.
Non posso fare a meno di continuare a fissarla. Non che me ne accorga a livello conscio ma il mio sguardo cade inevitabilmente sull'umana e sul suo pancione a palla. Questo tipo di processo di procreazione mi ha sempre lasciato perplesso. Con il DNA che si combina casualmente, senza nessuna programmazione o pre-simulazione... per non parlare poi della nascita vera e propria, traumatica sia per la madre che per il figlio. Più tento di figurarmela e più sento dolore di riflesso.
Sul mio pianeta, 'madre' e 'padre' sono più che altro titoli onorifici riferiti ai donatori di DNA con una sessualità maschile o femminile ben definita. I nostri nuovi nati vengono dati alla luce tentando di assemblare e rendere compatibile del DNA preso dalle forme di vita senzienti più disparate. Scelta obbligata più che filosofia di vita, del resto ci tocca lavorare con la materia prima che abbiamo a disposizione. Il processo di procreazione viene portato a termine nei Laboratori di Genesi e, sebbene io sia sulla terra da ben due anni, è la prima volta che vedo una donna gravida dal vivo. Chissà come deve essere vivere e crescere racchiusi dentro qualcuno. Essere portati in giro e sballottati qua e là, sentire il respiro ed il cuore di una persona dall'interno.
La donna, a causa della sua condizione, è abituata a sentirsi guardata ma devo averla fissata un po' troppo a lungo anche per i suoi standard perché la vedo sporgersi verso di me e proferire quella semplice interiezione con cui mi chiede se per caso non voglia qualcosa da lei.
"Prego?"
Io sono ancora perso nelle comparazioni fra i diversi stili di assemblaggio neonati. Fra i pro e i contro di un incubatrice biologica piuttosto di una tecnologica e amenità di questo tipo. Tanto che la mia curiosità si scava la via attraverso la mia bocca molto prima di quanto possa farlo la mia esperienza nei riti di socializzazione.
"Quante volte ha dovuto provare?" le chiedo.
"Provare cosa?" mi rimanda lei, sinceramente confusa.
"Quante volte ha dovuto provare prima di trovare una combinazione di DNA che potesse svilupparsi in un feto?"
Vedo il volto dell'umana arrossire leggermente e, nel contempo, sento un artiglio afferrarmi la collottola e trascinarmi lontano dalla donna.
"Lo scusi," s'intromette Foster, "dovrebbe ancora essere nell'incubatrice."
Lo 'scassone' è entrato in orbita ed ora sta riducendo la propria quota, descrivendo cerchi sempre più stretti attorno al pianeta. In questa maniera ci mettiamo molto di più ad atterrare che se fossimo su di una nave moderna ma c'è pur sempre il vantaggio estetico di godere del giro turistico del pianeta.
I paesaggi più disparati si susseguono sotto di noi, non hanno nulla di particolarmente eclatante, è vero, ma un panorama gustato in questo modo, dall'alto e nella sua completezza, vale sempre la pena.
"Siamo quasi arrivati" constato ad alta voce. In fondo, anche le ovvietà fanno parte della vita.
"Quasi arrivati, Renko, non è arrivati" mi sento immediatamente redarguire da chi, invece, non ritiene la mia affermazione per nulla un'ovvietà. "Non lo sai che porta sfiga, dire certe cose prima dell'atterraggio?"
"Andiamo... che cos'è? Un'altra superstizione da pilota? Ma se mancherà neanche mezz'ora."
"C'è poco da scherzare su queste cose. Come si dice dalle mie parti: Remember Murphy."
"Ma ragazzi, di che cosa state parlando?" Ad intromettersi nella conversazione è la donna incinta. Evidentemente, la sua condizione la porta verso uno stato d'animo più apprensivo del normale ed il nostro scambio di battute non deve averla per niente tranquillizzata. Inoltre, il fatto di essere identificabili come cadetti, sebbene non si può certo dire che alcuni di noi siano giovincelli, la porta a qualificarci come ragazzi.
La donna ci guarda con un sorriso smarrito e chiede: "Che cosa potrebbe mai succ..."
Neanche il tempo di finire la frase, che il veivolo è percorso da uno scossone.
La donna emette un grido che fa sobbalzare tutti i presenti.
Attendiamo il disastro ma questo non arriva. Il veivolo sembra stabile.
"Eppure c'è qualcosa che non mi convince" borbotta Paul, guardando fuori dal finestrino.
"Cosa?" gli chiedo io, che non sto notando nulla di strano.
"La traiettoria che stiamo seguendo... Luke, tu che ne dici?"
Osservo il terreno avvicinarsi progressivamente e mi sembra che sia nella giusta posizione, cioè parallelo alla nave.
"Che cos'ha che non va, la nostra traiettoria?" chiedo. "Non stiamo andando dritti?"
"Appunto!" conferma Luke, avendo anche lui iniziato a far caso alla discesa. "Stiamo andando dritti. Troppo dritti."
Guardo nuovamente fuori dal finestrino ma il terreno si ostina ad avvicinarsi gradualmente, senza vorticare né spiraleggiare. Perciò non riesco a capire l'inquietudine di Paul ma comunque non posso fare altro che fidarmi del suo istinto.
Sia Luke che Paul, al momento dell'imbarco, non solo hanno tempestato di domande il pilota sul sistema di guida, ma hanno anche insistito per sedersi vicino al finestrino. Forse riuscire a guardare fuori gli da' una sensazione di poter controllare il viaggio di questo residuato.
Mi alzo dalla poltrona, sono seduto sul lato del corridoio e vedo che Foster si sta già agitando per la voglia di dare un'occhiata in cabina di pilotaggio. Solo che se non mi alzo prima io non c'è lo spazio per passare. Del resto questo scassone non si può certo dire abbondi di comodità.
Mentre completiamo l'operazione vedo che anche Luke sta facendo cenno a Vaarik di alzarsi per lasciarlo passare. E Vaarik sta facendo finta di non cogliere il suggerimento. Tuttavia, dopo qualche insistenza, anche il vulcaniano è costretto ad arrendersi e alzarsi in piedi.
Ci ritroviamo in quattro in un corridoio in cui passa a malapena una persona alla volta. Non ci resta che avanzare in fila indiana verso la cabina di pilotaggio. Spero sia abbastanza spaziosa, perché i due piloti, Luke e Paul sono dietro me e Vaarik. Li farei passare più che volentieri davanti ma... in mancanza di un'adeguata area di manovra si fa quel che si può.
Conduco la processione verso la cabina di pilotaggio. L'intero tragitto richiede tre passi, letteralmente. Le dimensioni dello scassone non sono certo ciclopiche (come ho già specificato più volte, sigh! Altrimenti non sarebbe successo tutto ciò che sta per accadere.)
La cabina è chiusa da porte rinforzate ma basta sfiorare il comando a lato perché queste si aprano. Faccio un passo all'interno e noto immediatamente i seguenti particolari. Il sistema di guida è costituito da due consolle a cui sta seduto il pilota, un edoano con quattro braccia.
Ed è svenuto.
Dallo schermo davanti a me posso vedere anche troppo chiaramente una catena montuosa in rapido avvicinamento.
E ci stiamo puntando dritti contro.
Sento Vaarik che entra e tenta di tirarsi di lato per far passare Dalton e Foster, probabilmente con l'intenzione di uscire appena questi sono entrati, lasciandogli uno spiraglio per svicolare. Ma lo spazio è quello che è. Il vulcaniano non può rendersi immediatamente conto della nostra situazione perché, per forza di cose, la sua visuale è coperta dalla mia presenza.
Appena realizzo che il pilota è fuori combattimento e noi rischiamo di fare una brutta fine (il che avviene contemporaneamente alla manovra di Vaarik di cui sopra), mi volto di gran carriera per dare l'allarme.
"Paul! Luke! Presto! Il pilota è sven..."
<Allarme intruso! Allarme intruso!>
La voce sintetica del computer di bordo sovrasta le mie parole. Immediatamente scattano le misure di sicurezza automatiche, le porte blindate mi si chiudono in faccia.
Le mie mani incontrano il freddo metallo. I miei piedi incontrano la folta pelliccia di Aisha, la lupa, che è rimasta intrappolata con noi.
<Attivazione procedure d'emergenza in atto> scandisce la voce sintetica del computer.
<Programma di protezione attivato. Procedure di isolamento della cabina di pilotaggio in atto.>
Prendere a pugni la porta o lasciarsi andare ad altre manifestazioni di frustrazione è perfettamente inutile ma d'obbligo, vista l'occasione. Neanche un paio di calci ben assestati possono far nulla contro il metallo blindato, concepito appositamente per proteggere il pilota e la cabina di comando in caso di ostilità a bordo.
Dall'altra parte della paratia sento i colpi attutiti di Foster e Dalton che cercano anch'essi un modo per aprire la porta.
Aisha decide di esprimere la propria frustrazione mettendosi ad ululare.
La cabina di pilotaggio è moderatamente angusta. Nel muovermi, ho abbastanza spazio per prendere contro a Vaarik, al pilota svenuto, al lupo e ad un paio di apparecchiature.
Il vulcaniano, nel frattempo, sta tentando di spostare l'edoano crollato faccia avanti, ma la buona riuscita dell'operazione risulta piuttosto improbabile, visto che manca fisicamente il posto dove adagiarlo per toglierselo dai piedi. Così non gli resta che lasciarlo seduto e tentare di arrivare alla cloche da sopra la spalla del pilota.
Tento di trafficare con il comando d'apertura posto a lato della porta ma è tutto inutile. L'unico modo per sbloccarla è far cessare lo stato d'allarme. L'unico modo per far cessare lo stato d'allarme è inserire un codice di sicurezza che non ho. E l'edoano risulta momentaneamente impossibilitato a fornirmelo.
Con la coda dell'occhio, vedo Vaarik che si affanna sui comandi, mentre la catena montuosa davanti a noi continua ad avvicinarsi a velocità impressionante. Il vulcaniano tenta in tutti modi di far prendere quota al veivolo ma sembra che il timone non risponda. Per quanto tiri la cloche, l'Andrea Doria non cessa la propria corsa kamikaze verso le pareti rocciose.
"Foster a Vaarik" la voce di Paul echeggia nel poco spazio della cabina attraverso i nostri comunicatori. "Cosa cavolo sta succedendo?"
Vaarik attiva il proprio con un gesto secco della mano.
"Stiamo puntando dritti verso una montagna. Non riesco a prendere quota, impatto stimato tra 63 secondi e approssimativamente 12 decimi."
Mi accalco anch'io sopra i comandi, studiandone il quadro e tentando di capire cos'è che non funziona. Qualche guasto? Ad occhio nudo non si vede segno di manomissioni o di un qualsiasi motivo per cui i comandi dovrebbero essere bloccati. Ma ciò non vuol dire, il guasto potrebbe essere ovunque e a noi sono rimasti 60 secondi e non so quanti decimi.
Vaarik sta descrivendo come meglio può la configurazione della consolle di guida, il cui sessanta per cento dei comandi è accuratamente non etichettato. Non c'è nessun guasto, si tratta semplicemente di un sistema di guida un po' obsoleto.
Io trovo un terminale e tento di richiamare le informazioni tecniche sul video. Basterebbe inserire il pilota automatico, ed i sensori della navetta ordinerebbero al sistema guida di scansare il pericolo immediato.
<Access denied>
<Access denied>
<Tentativo di accesso non autorizzato>
<Attenzione. Al prossimo tentativo i terminali verranno disattivati>
"jay'! Ci mancavano solo le contromisure di sicurezza. Intruso a bordo? Ma chi attaccherebbe mai sto' scassone?"
Quaranta secondi.
Quaranta secondi...
"Renko, porta l'energia oltre cinque punto tre. " Vaarik, con tono d'urgenza, distoglie la mia attenzione dal monitor.
"Cosa?"
"Quelle leve." Me le indica sulla consolle. "Spingile fino in fondo."
Dalton e Foster stanno impartendo le istruzioni tramite i comunicatori. Fortunatamente, grazie alla loro esperienza e passione per il volo, hanno famigliarità anche con procedure di guida non automatizzate.
"...e contemporaneamente aziona i comandi di spinta verso l'alto." Sento infatti che stanno dicendo.
L'unico ostacolo ora è la disposizione di questi benedetti comandi, giusto uno con quattro mani potrebbe tenere dietro a questo coso. Successivamente scoprirò che il sistema di guida originale è stato soppiantato con uno made in Talemstra, dove gli abitanti hanno tutti quattro braccia come il pilota di questo residuato bellico).
Tento di allungarmi per raggiungere le leve del livello energia ma il corpo del pilota mi intralcia i movimenti.
Trenta secondi.
Non mi resta che salirgli sulle spalle, schiacciandomi nel poco spazio fra lui ed il soffitto. L'edoano è ancora seduto, le braccia a penzoloni e la testa riversa sulla spalla.
"Scusa amico, compermesso" mormoro, mentre mi insinuo fino ad arrivare ai comandi, dando vita alla mia migliore interpretazione della tecnica dell'Avvoltoio con i Crampi.
Da dove sono ora godo del primo piano della montagna che ci viene incontro. Si possono già distinguere cespugli, sentieri e qualche animale selvatico che alza la testa incuriosito verso di noi.
Mi avvento sulle leve e porto l'energia oltre il punto in cui mi è stato detto di portarla.
Contemporaneamente Vaarik aziona i controlli di quota e... non accade nulla.
L'Andrea Doria oscilla leggermente ma non accenna a puntare verso il cielo.
Mi giro verso Vaarik, i nostri sguardi si incrociano. Ad un suo cenno muovo le leve per riportarle subito dopo in posizione.
Altro scossone.
Altro fallimento.
Proviamo (scossone) e riproviamo (scossone e ululato) sperando sia solo una questione di sincronia.
Speranza vana.
"Luke, non funziona!" urlo, mentre tento di restare in equilibrio nella mia scomodissima posizione.
Venti secondi.
E i decimi... boh?! Non ho la capacità di calcolo di Vaarik.
Dall'altra parte echeggia per un istante il silenzio.
"L'altimetro" con tono di voce meditabondo, i due piloti stanno pensando freneticamente a quale potrebbe essere il problema.
"L'altimetro?" chiedo, con aria interrogativa ed un filo di speranza attorcigliato attorno.
"Sì, l'altimetro. Dovete..."
"AAahhh!"
Delle grida sovrastano la voce di Luke. Sento la donna incinta urlare.
Rumori concitati che ci giungono attraverso i comunicatori.
Rumori attutiti che ci giungono attraverso la porta chiusa.
Sento chiari segni colluttazione provenire dal reparto passeggeri e un urlo di guerra klingon.
Aisha ulula in risposta.
"Cosa? L'altimetro cosa?" grido, rivolto al comunicatore e chiedendo disperatamente di ripetere.
Dall'altra parte della paratia sembra essere scoppiato il caos. Intruso a bordo, già. L'intruso... allora c'era veramente. E noi stiamo per schiantarci contro una montagna.
Dieci secondi... al punto di non ritorno.
Dal comunicatore arrivano altri tre secondi di assoluta cacofonia nei quali distinguo solo spezzoni di una parola gridata ossessivamente.
"...ettare...sett....are... res..."
Sette secondi.
"Resettare!" Il mio cervello ricompone le sillabe, arrivando ad intuire cosa stavano tentando di dirmi. "Resettare l'altimetro!"
Devo ricordare di farmi due coccole sulla parte di testa che racchiude il centro del linguaggio.
L'altimetro è alla mia destra ma sto usando entrambe le mani per mantenere anche solo un equilibrio precario. Sposto il mio peso completamente in avanti, sfruttando la Meditazione del Gatto Rattrappito e cercando un centro di gravità che mi possa permettere di liberare la gamba destra. Adesso sono quasi rannicchiato sulla consolle.
Cinque secondi.
La punta del mio stivale colpisce il pulsante 'reset', a fianco dell'altimetro (forse con eccessivo zelo) poi, con l'avambraccio sinistro, sposto l'intera fila di levette finché il livello d'energia non supera cinque punto tre.
Tre secondi.
Le grida e i rumori di colluttazione che giungono ancora dai comunicatori fanno da colonna sonora allo schianto imminente.
Arrivati a questo punto, una presa graduale e dolce di quota è fuori questione. La parete rocciosa è solo ad una decina di metri di distanza.
A Vaarik occorrono entrambe le mani per gestire i comandi di navigazione e far fare al veivolo un'impennata verso l'alto tanto brusca quanto improvvisa.
Vengo sbalzato violentemente all'indietro. Urto l'edoano facendolo rimbalzare sullo schienale ed accasciare in avanti. Poi la forza d'inerzia mi porta oltre, facendomi impattare violentemente contro la porta della cabina. E contro Vaarik, che, come me, è stato gettato all'indietro a causa della manovra estrema.
Ora sullo schermo si vede solo il cielo, la nave sta salendo perpendicolarmente verso l'alto. Finche va su, va bene. Su, non ci sono ostacoli. Tiro il primo sospiro di sollievo da sessantatré secondi a questa parte.
"Approssimativamente dodici decimi, eh?" mi faccio scappare, rivolto al vulcaniano.
"Non ho potuto essere più preciso," ribatte tutto serio "data la fretta con cui ho dovuto fare il calcolo, ma cercherò di essere più preciso la prossima volta."
Mi sgranchisco, controllando nel frattempo di non avere nulla di rotto. Ora che il pericolo è scampato...
<Allarme! Incendio a bordo>
<Allarme! Incendio a bordo>
La voce sintetica del computer colpisce di nuovo, ed ogni volta è sempre più insopportabile.
Cos'è pure che diceva quel tipo di cui parlavamo poco prima? Quel Murphy?
L'unico filosofo a cui la storia ha dato ragione.
"Vaarik!!" Il grido arriva attraverso il comunicatore. "Presto! Raddrizza questo coso."
Le voci sono concitate. "Raddrizza subito!"
Appunto.
Stiamo per tuffarci contro una muraglia scura. L'Andrea Doria sta infatti sfrecciando verso quella faccia del pianeta in cui è notte. L'azzurro dello schermo visore viene soppiantato da un rettangolo di velluto nero costellato di puntini luminosi. In un angolino, in sottofondo, la Via Lattea si srotola come una scia di candido zucchero filato.
Bellissimo. Peccato che in cabina ora non ci si veda un accidente. Mi tolgo gli occhiali schermanti ed attendo che i miei occhi si abituino pian piano alla penombra.
"Vaarik, Renko, tentate di tenere stabile questo coso, non ho voglia di rivedere la mia colazione, mi ha già fatto abbastanza schifo quando l'ho vista la prima volta."
"Facciamo quello che possiamo," rispondo in vece del vulcaniano.
"C'è moltissimo attrito, non è facile dover compensare in continuazione."
"Si chiama atmosfera, Renko" risponde Paul. "È quella roba che respiri, hai presente? Ha una consistenza."
"Be', nello spazio non c'è!" taglio corto.
Affermazione ovvia, me ne rendo conto. Lo so benissimo com'è l'atmosfera. Del resto la fa facile lui. Siamo noi a dover pilotare in posizioni assurde, arrivando a malapena ai controlli (voilat, ecco la Tecnica del Gargoyle ai Posti di Partenza), mentre fuori tirano certi venticelli niente male.
Siamo in tre più un lupo, in una cabina concepita per far star comodi, ma giusto al pelo-pelo, due umani. Sono ancora rannicchiato sulla consolle dei comandi. Tento di scendere per spostare dalla sedia il pilota svenuto, in questo modo Vaarik potrebbe riuscire a manovrare la cloche molto più comodamente. Non c'è verso, appena mi muovo prendo contro qualcosa o qualcuno.
Aisha si agita, tentando di zampettare da una parte all'altra della cabina (se solo ne avesse lo spazio) e puntando il muso contro la porta. Mi arrivano un paio di ringhii d'avvertimento quando le prendo involontariamente contro.
"Proviamo a spostarlo sui comandi del pilota automatico, tanto finche c'è il blocco di sicurezza sono completamente inutili" suggerisce Vaarik.
Sollevo il pilota dalla sedia, mentre il vulcaniano tenta di far spazio, appiattendosi il più possibile ma senza mollare completamente la cloche.
Un numero degno di un circo, neanche da dire che la rotta della nave ne risente in maniera drastica. Credo proprio che in questo modo stiamo inventando nuove evoluzioni aeree a cui daremo il nostro nome.
"Questa la chiamiamo Manovra Renko!" specifico a Vaarik, giusto per alleggerire un po' l'atmosfera dicendo qualche spiritosaggine.
Vaarik mi lancia uno dei suoi sguardi ed io mi ricordo che è un vulcaniano e, sui i vulcaniani, le spiritosaggini tendono ad avere un effetto più irritante che rilassante.
"No, non credo" risponde ad alta voce. Poi sento un mormorio, ma in maniera così flebile che non posso essere sicuro se sto sentendo veramente le parole o se le sto solo immaginando. "L'ho fatta io, è mia."
In un modo o nell'altro riusciamo a toglierci dai piedi il pilota svenuto, appoggiandolo precariamente su quella parte di consolle che non ci serve (o almeno spero).
Nella cabina, fortunatamente, l'oscurità non è completa. Dallo schermo, le stelle e la via lattea creano un pallido chiarore, ora che i nostri occhi ci si sono abituati riusciamo almeno ad intuire le forme.
Appena Vaarik riesce finalmente a sedersi sulla poltrona, stacca una mano dalla cloche per raggiungere il comando di accensione luci che si trova in basso, sul manico. Inforco gli occhiali schermanti appena la luce artificiale (ma che ha lo stesso spettro di Sol III, dove la nave è stata costruita) invade la cabina.
Ora che la montagna è schivata e abbiamo tempo a disposizione, possiamo finalmente lanciare una richiesta di aiuto. Tramite il pannello di comunicazione tentiamo di contattare lo spazio porto perché ci agganci con un raggio traente e ci faccia atterrare.
"May day! May day! SOS dalla nave civile Andrea Doria. Siamo senza pilota. Chiediamo assistenza per l'atterraggio. May day! May day! Qui Andrea Doria. SOS. Siamo senza pilota. Chiediamo assistenza per l'atterraggio."
Mentre io gli tengo premuto il pulsante delle comunicazioni con la punta del piede (in quanto con le mani sono occupato ad abbassare e sollevare leve dietro indicazioni dei due piloti), Vaarik si sporge verso il microfono lanciando l'SOS.
"Andrea Doria, qui torre di controllo n. 5" giunge in risposta, "disattivate le contromisure per il teletrasporto, ripeto, disattivate le contromisure per il teletrasporto."
"Torre di controllo, qui Andrea Doria, impossibilitati a disattivare le contromisure senza codice di sicurezza. Ripeto, fornire codice di sicurezza per disattivare le contromisure."
"Andrea Doria, qui torre di controllo n. 5. Non abbiamo quei codici nel nostro data base. Stiamo contattando la compagnia aerea Whitestar per farci dare i codici, ci vorrà del tempo."
Meraviglioso, le procedure di sicurezza per proteggere la navetta dagli abbordaggi ci faranno rimettere la pelle. Quando il computer ha rilevato l'intruso a bordo ha attivato in toto qualsiasi misura necessaria per impedire ad altri estranei di salire a bordo.
Perfino Vaarik emette un'imprecazione in lingua madre (almeno credo, visto che il suo tono resta comunque piatto e senza inflessioni.)
"Andrea Doria," continua intanto la voce dell'operatore, "tenteremo di agganciarvi con un raggio traente ma state andando troppo veloci, riducete la velocità o non potremmo agganciarvi senza spezzarvi in due. Ripeto, riducete la velocità. Riducete la velocità o non potremo agganciarvi."
"Andrea Doria a torre di controllo, Andrea Doria a torre di controllo. Proveremo a ridurre la velocità, tenevi pronti."
La conversazione con la torre di controllo si è sparsa per l'intera nave grazie alle frequenze aperte dei nostri badge e dal comunicatore ci giunge la voce affannata di Luke che indica quali leve e bottoni devono essere spinti contemporaneamente ai movimenti della cloche per poter rallentare senza far andare in stallo i motori. Il suo fiato si fa via via sempre più corto. Già, deve essere piuttosto faticoso insegnare a pilotare mentre si sta spegnendo un incendio scoppiato a bordo.
Seguo per filo e per segno le istruzioni, o almeno tento di farlo. Pilotare quest'aggeggio sarebbe quasi facile (e punto l'accento sul quasi) se: uno, fossi seduto comodo, invece di dover inventare sempre nuove ed originali posizioni di yoga; due, i rumori, le strilla di Mai Jing e gli ululati di Aisha mi permettessero di sentire ciò che devo fare. Una donna che sta partorendo, che impressione!! Tento di non pensarci e concentrarmi sulla consolle.
"...spingi la leva..."
"Che hai detto? Leva blu? Devo spingere la blu?"
"Spingi" sento che dice Paul.
"Ok, allora spingo la blu."
L'aereo si inclina un'altra volta.
"Spingi, spingi" sento dire Paul.
"Non spingere non spingere!" sento gridare Luke.
"Allora smetto" dice Mai Jing.
"Si o no?" chiedo esasperato "devo continuare?"
"Continua" sento dire Paul.
Spingo più a fondo la leva blu.
"Non tu Renko!" urla Luke, con tutto il fiato che gli rimane. "Tu non spingere."
"Insomma, devo spingere o no?" si intromette la donna incinta.
Mi viene il dubbio che ci sia un po' troppa confusione.
"Sei daltonico? La leva rossa non blu!" dice Dalton.
"Dalton, se fossi te sentirei quello che dico, ti pare?"
"Ho detto daltonico, non Dalton" inizia a precisare Luke, prima di rendersi conto che sta andando ad infognarsi in una conversazione senza senso. Ma, appena realizza, i suoi riflessi conducono il discorso di nuovo sui giusti binari.
"Ma che ca... (ululato che copre la voce di Luke) piantala di dire str... (ululato che copre la voce di Luke) e spingi la leva (ululato che copre la voce di Luke)".
"La leva, quale leva?"
"Spingi la leva rossa, la leva rossa!"
Sperando che quest'ultima frase sia rivolta a me e non a qualcun altro, (che so, al bambino tellarite, magari!) riporto la leva blu nella sua posizione originale e spingo quella rossa fino a fine corsa.
Il velivolo si stabilizza e l'indicatore di velocità inizia piano piano, esasperatamente piano, ad indicare una diminuzione della stessa.
Tiro un sospiro di sollievo. Ora non resta che attendere l'aggancio dei raggi traenti che ci metteranno in salvo facendoci atterrare dolcemente.
Pensate, dopo tutto ciò che è successo... ho ancora questi slanci di ingenuità. Sì, ho detto proprio ingenuità, dopo due secondi infatti la spia del deuterio inizia a lampeggiare.
<Avaria nel sistema di alimentazione>
<Spegnimento dei propulsori imminente>
<Evacuare la nave>
Siamo riusciti a rallentare, è vero, ma non per abbastanza tempo da permettere allo spazio porto di agganciarci prima che l'Andrea Doria si impenni ed inizi a prendere sempre più velocità nella caduta.
"Siamo senza deuterio?" chiedo incredulo a Vaarik. "Che significa siamo senza deuterio?"
"Il computer non riesce più a rilevare il sistema di iniezione del carburante. Probabilmente l'incendio ha danneggiato quel collegamento. Anche se avessimo i serbatoi pieni, cosa non corrispondente a realtà, è come se non ne avessimo neanche una goccia."
"Ci schianteremo."
"Analisi corretta."
"Un'altra volta."
"Analisi imprecisa. La prima volta abbiamo evitato l'impatto."
"Be', allora mi sembra giusto dargli una seconda possibilità di ammazzarci. Prova a sollevare il muso della nave, magari potremo atterrare di pancia e slittare."
"Irrilevante. A questa velocità non fa alcuna differenza come toccheremo il suolo, l'Andrea Doria si spezzerà in due."
"Se almeno fossimo in mare!" sospiro, per quanto non saranno le speranze a tener su la nave. "Una volta, quando stavo sull'astrotraghetto, ho sentito di uno che è riuscito a salvarsi ammarando con gli scudi attivi."
"Ma non c'è mare qui e un impatto con il suolo, scudi o meno... lo scudo deflettore..." cogita Vaarik. "Ma certo, lo scudo deflettore."
Il vulcaniano mi fa cenno di tenere la cloche e si sposta verso la consolle scientifica, su cui riesce ad orientarsi piuttosto bene malgrado l'arretratezza tecnologica.
Tenere la cloche? Con cosa? Infilo i piedi nelle maniglie, utilizzando lo spazio che Vaarik ha lasciato vuoto mentre si chinava verso il pannello della 'sezione scienza'. Faccio quello che posso per tenere il veivolo più orizzontale possibile al suolo ma anch'io ho i miei limiti.
"Vaarik, che stai facendo? Riprendi la cloche!"
"Atmosfera, Renko. È quella roba che respiri, hai presente?" mi risponde Vaarik, ripetendo parola per parola ciò che Foster mi aveva detto solo poco prima. "Ha una consistenza."
Vaarik continua a maneggiare i suoi bottoni, staccando e riattaccando fili. "Sto tentando di riconfigurare lo scudo deflettore per attivarlo sul retro della nave."
"Lo scudo deflettore? Non puoi attivarlo in atmosfera perchè..." sto per protestare, ma mi blocco a metà quando intuisco quale sia il suo piano.
Un rumore di circuiti ed una spia che si accende annuncia che lo scudo è appena stato attivato. L'Andrea Doria subisce uno scossone di frenata ed un notevole rallentamento.
"...crea attrito?" Chiede il vulcaniano, finendo la frase che avevo lasciato in sospeso. Ovviamente, la sua, è una domanda retorica. Ora lo scudo deflettore è in coda alla nave, e la sua forma semicircolare, che nello spazio serve a scansare piccoli frammenti e pulviscolo, qui in atmosfera sta agendo come una specie di paracadute, trattenendo l'aria al suo interno e frenando la caduta.
"Teneteviii" grido, perché tutti mi sentano. "Stiamo per atterrare."
Neanche finito di dirlo, sento il vagito di un neonato alzarsi di tono.
Perché piange? Appena nato e già ha capito in cosa si è andato a ficcare, uscendo da là?
Siamo troppo vicini al suolo perché i raggi traenti dello spazio porto possano agganciarci ma, quando tocchiamo terra, invece di finire in mille pezzi slittiamo sulla roccia subendo notevoli scossoni e sconvolgimenti ma non notevoli danni. Anzi, il residuato se la cava piuttosto bene, dopo qualche aggiustatina qua e là potrà di nuovo volare e riprendere lo spazio.
Ma senza di me. Categorico.
Potrei quasi esultare, anzi, starei già esultando... se un pallone di plastica colorata con la scritta 'Felice Atterraggio!', non si fosse gonfiato dopo l'impatto, proteggendomi da un volo in avanti ma spiaccicandomi, nello stesso tempo contro Vaarik, la sedia, il lupo, l'edoano e la porta d'uscita.
Dopo qualche minuto sento vari rumori sulla porta e le ante vengono spalancate.
Finalmente libero! Mi districo dall'airbag e faccio per uscire dalla cabina quando un faro, accecante perfino attraverso gli occhiali schermanti, mi viene puntato in piena faccia.
"Fermi e faccia al muro!" intima un ufficiale della sicurezza di Sirio II, puntandomi contro un fucile phaser.
"Salve, colleghi." Sorrido, senza aggiungere altro e alzando le mani in posizione visibile. Non gli faccio notare che se mi devo voltare verso il muro non posso stare fermo. Certe osservazioni tendono ad innervosire perfino me, quando facciamo le esercitazioni della sicurezza giù in Accademia.
"C'è un edoano svenuto in cabina, ha bisogno di assistenza medica" dico invece.
"Sta arrivando" risponde conciso l'agente.
"Che sta succedendo?" domanda Vaarik, che non gradisce il trattamento.
"Stiamo cercando un ricercato."
Vedo il vulcaniano alzare il sopracciglio ma anche lui è troppo saggio per fare commenti sul gioco di parole.
Dopo circa una mezz'ora vengo a conoscenza che gli agenti del servizio di sicurezza stanno cercando proprio il clandestino che si era nascosto sulla navetta, un certo dottor Richard Kimble che ora sembra sparito nel nulla. Dopo altre due ore in cui un certo tenente comandante Samuel Gerard ci ha tenuti bloccati per chiederci ogni dettaglio di quel che ha fatto e detto Kimble, possiamo finalmente raggiungere lo spazioporto di Sirio II.
"Ragazzi, questa è l'ennesima prova che dobbiamo stare separati. Ogni volta che stiamo insieme ci capitano delle sfighe pazzesche!" È la frase di commiato di Dalton, prima di imbarcarsi alla volta di Risa.
"Ogni volta?" indaga Patrizia, mentre accarezza la pelliccia di Aisha.
"La media è di undici volte su dieci."
"Cos'è, un invito a starvi alla larga?" risponde la ragazza, sorridendo.
<Avviso d'imbarco: i passeggeri per Sirio III si rechino al cancello otto per l'imbarco>
"Detto e fatto. Ecco il mio volo, devo andare. Ci si incrocia in Accademia, eh?" saluta Patrizia, prendendo in mano il proprio bagaglio mentre Aisha le trotterella attorno.
<È in partenza la coincidenza per i sistemi di Dante Maxima...>
"Be' ragazzi, per un po' non ci vedremo: quindi niente sfighe" annuncia Foster. "Io vado a conoscere i miei suoceri, ci si becca in Accademia fra due settimane."
<...Quaranta Eridani, Delta gamma...>
L'annuncio di imbarco congela la nostra manovra di saluti con relativo scatto in direzioni diverse.
<... e Risa dal cancello otto. Ripeto: i passeggeri che attendono la coincidenza per Sirio III, Imprima, Vulcano, Risa e Delta Gamma, si rechino al cancello otto per imbarco immediato.>