IL TEMPO DI DIRSI ADDIO

 

La funzione era stata estremamente semplice.

Non era stato esattamente un funerale, dal momento che l'inumazione vera a propria si era tenuta quella mattina al paese natale di Lara. Si era trattato più che altro di una cerimonia commemorativa, tenuta all'interno del campus dell'Accademia, alla quale avevano partecipato la maggior parte dei cadetti che non erano assegnati a qualche turno di servizio.

La giornata era fredda ma luminosa, e l'atmosfera completamente trasparente contribuiva a rendere ancora più nitida la sensazione di dolore che permeava la triste assemblea. La funzione era stata officiata dal Rettore D'Elena, e l'anziano ammiraglio era stato costretto ancora una volta a dare l'estremo saluto ad una giovane vita che si era spezzata in maniera così improvvisa e inspiegabile.

Incidenti del genere non erano un evento comune in Accademia, ma nemmeno qualcosa di completamente inaudito. Lo spazio era un mestiere pericoloso, questo lo si sapeva per certo, e a volte anche le giovani reclute pagavano il loro mortale tributo ai pericoli che si celavano in esso. I cadetti avevano assistito con dolorosa compostezza alla cerimonia, stringendosi idealmente intorno ai familiari della loro compagna scomparsa. I genitori e il fratello, distrutti dalla perdita, apparivano pallidi ed attoniti di fronte al loro dolore, come se nonostante tutto non riuscissero a capacitarsi di quello che era accaduto.

Istruttori e amici erano tristemente saliti ad uno ad uno sul semplice podio sistemato al centro del piazzale dell'Accademia, tessendo ognuno un sottile filo nell'eterea ragnatela dei ricordi. Alcuni elogiavano la sua voglia di vivere, la sua esuberanza, la sua ricchezza interiore, altri ancora ricordavano piccoli episodi che assumevano un diverso significato nella calda luce del ricordo. L'ultimo a parlare era stato Lar, il fratello gemello, e durante il suo discorso anche i più rocciosi tra i presenti avevano sentito gli occhi pungere in maniera quasi insostenibile.

Alla fine, l'assemblea si era sciolta e i partecipanti si erano diretti ognuno alle proprie occupazioni e incombenze, ognuno accompagnato dalla dolorosa sensazione che queste avessero perso buona parte della loro importanza di fronte alla tragedia che si era consumata. I familiari, accompagnati dal Rettore e dal capitano Maxwell, si erano diretti alla pista di decollo dell'Accademia, portando con loro il peso della loro perdita.

Mentre la maggior parte dei cadetti si allontanava dal piazzale, un gruppo di cadetti si era ritrovato sotto il podio, come se tentasse di trovare conforto nella reciproca presenza. Chi fosse stato presente durante l'esercitazione della settimana precedente, avrebbe riconosciuto in loro i restanti undici componenti della squadra di Lara, ormai dolorosamente, e definitivamente, incompleta. Rimasero lì per qualche minuto, senza dire una parola, osservando la navetta che avrebbe riportato a casa i familiari di Lara decollare dal vicino spiazzo e sparire in lontananza oltre le leggere nuvole del cielo autunnale. I loro volti erano segnati dal dolore, ma nessuno di loro cedette alla tentazione di lasciarsi andare alla disperazione. Qualunque fossero i loro sentimenti, non c'era altro che potessero fare per la loro compagna.

Fu un umano, di corporatura minuta e dai penetranti occhi grigi, a spezzare quel momento di dolorosa immobilità.

"Dovevo essere io," disse con voce piatta, attirandosi dieci sguardi preoccupati. Ilaij appariva stanco e sofferente, con il braccio ancora al collo per superare i postumi della bruciatura di phaser che l'aveva colpito. La salute del russo era stata messa a dura prova dalla ferita, e ancora di più dai sensi di colpa che si portava dietro da giorni. Era stato lui il primo ad essere ferito durante l'esercitazione, ed era stato per trovare cure adeguate che la squadra aveva lasciato il campo base alla ricerca di soccorsi. Durante gli eventi che erano seguiti, alcuni componenti erano stati catturati dai contrabbandieri orioniani, tra cui anche Lara. Ora, ad una settimana dalla conclusione dell'esercitazione, Ilaij era ancora vivo ed in fase di guarigione, e Lara era morta, stroncata da un massiccio attacco coronarico dovuto alla reazione allergica e che nessuno era riuscito ad arrestare.

"Dovevo essere io," ripeté il russo, con gli occhi che gli si riempivano di lacrime.

Rebecca lo abbracciò forte, consapevole di poter fare poco per alleviare il suo senso di colpa. Dopo la terribile avventura su Kantara IV, i due avevano deciso di non nascondere più la loro relazione, nata a cavallo degli opposti schieramenti durante le scorse elezioni studentesche. Di fronte ad avvenimenti di quella gravità, sembrava terribilmente stupido preoccuparsi di quello che la gente avrebbe potuto pensare o dire di loro.

"Devi smetterla di angosciarti così," lo ammonì Sh'muss, scuotendo il testone ornato di treccione rasta. "Di certo non aiuterà Lara, e tantomeno aiuterà te."

Ilaij si immerse ancora di più nell'abbraccio di Rebecca, poi si staccò lentamente. I suoi occhi erano di nuovo limpidi, anche se a fatica. "Hai ragione," ammise. "Mi sto solo facendo del male." Poi scosse la testa, quasi con rabbia. "Ma non riesco a liberarmi della sensazione che avremmo potuto fare qualcosa per salvarla."

"Non avremmo potuto fare nulla," disse Bolty, il tellarite, il cui tono perennemente irritato non era stemperato dalla commozione. "Nemmeno la dottoressa Leneorat è riuscita a salvarla. Se avessimo avuto più tempo, forse, sarebbe andata diversamente, ma il rifugio dei contrabbandieri era schermato, e nemmeno se avessimo avuto i nostri comunicatori avremmo potuto contattare in tempo la Starlight."

"Noi dobbiamo andare in infermeria," li informò Rebecca osservando il cronometro esposto su uno degli edifici dell'Accademia. "Tra dieci minuti Ilaij deve vedere la dottoressa per una seduta di protoplaser."

"D'accordo," rispose per tutti Musuko, facendo un sorriso in direzione di nessuno in particolare. "Cercate di riposarvi."

A passo lento gli altri cadetti si allontanarono dallo spiazzo.

Vaarik si ritrovò a fare un pezzo di strada insieme a Renko e Dalton. Paul e Ripley avevano invece deciso di accompagnare Meferura, che, essendo uno degli amici più stetti di Lara, era quello che era rimasto più scosso dalla sua morte.

Il trio di cadetti percorse una buona parte del tragitto in silenzio. Fu Dalton il primo a parlare.

"Brutta storia," disse, senza aver bisogno di specificare a cosa si stesse riferendo. "Spero sinceramente che quel figlio di puttana di Dastardly la paghi cara per quello che è successo alla povera Lara. Aveva diciassette anni, cavolo! Ma ve lo immaginate? Diciassette anni!"

Lo sfogo di Dalton ottenne come risposta solo il silenzio, ma, del resto, cosa avrebbero potuto rispondere?

Ma una volta venuta alla superficie, la rabbia dell'umano era ben lontana dal placarsi. "Ho perso un sacco di commilitoni dalle mie parti... persone care, amici, colleghi fidati. Ogni volta che capita, è come se qualcosa morisse dentro di te. Ogni volta speri che la volta successiva diventi meno difficile, meno doloroso..." Si passò una mano sul volto con aria stanca. "Sapete una cosa? Non diventa mai meno difficile."

"Lo so."

La voce che aveva pronunciato quella frase era stata quella di Renko, e sia Dalton che Vaarik si voltarono ad osservare perplessi l'ibrido. Lungi dall'emanare la solita aria di entusiasmo cronico, il volto di Renko era una maschera di impassibilità. "Nonostante le proprietà stabilizzanti delle spore dei papaveri azzurri, sul mio pianeta sono ancora molti i giovani che non riescono a superare le instabilità genetiche durante l'adolescenza." Renko si aggiustò sul naso gli occhiali scuri, un gesto che ormai aveva assunto la dignità di un rito.

"Io sono stato fortunato. Le cure hanno avuto esito positivo, e nonostante abbia passato dei periodi piuttosto brutti, alla fine ne sono uscito. Nel frattempo, avevo passato talmente tanto tempo al Castello di Kyôki, allenandomi con il Maestro ad utilizzare le meditazioni per controllare il dolore, che ho deciso di restare là a perfezionare il mio addestramento. Ma non ho dimenticato quelli che non ce l'hanno fatta."

Dalton si era avvicinato, incuriosito dalle parole di Renko. Da quando l'aveva conosciuto, aveva sempre considerato l'ibrido un po' sbrigativamente, classificandolo come un tipo un po' strambo, un drago nelle arti marziali ma sostanzialmente un po' troppo ingenuo per la vita vera. Ora, si trovava a considerare le cose un po' diversamente.

Intanto Renko stava continuando. "Sai, non esiste nemmeno una parola in standard per definire i gradi di parentela che esistono su Delta Gamma. Io ho 22 genitori, più di 300 che potrebbero essere definiti nonni, e alcune migliaia di persone iscritte a vario titolo nel registro dei parenti. Di questi, almeno un centinaio potrei definirli 'fratellastri', in quanto parte del nostro patrimonio genetico derivava dalle stesse persone, ma il termine non renderebbe giustizia." Fece una pausa. "Molti di loro non sono nemmeno arrivati a diciassette anni."

"Mi dispiace," disse sinceramente l'umano, sentendosi forse più vicino a Renko di quanto non fosse mai stato. "Mi dispiace sul serio."

"Che ci vuoi fare," disse filosoficamente Renko, facendo un sorriso triste dietro alle lenti scure. "Il fiume non può fermarsi per aspettare le montagne tra le quali è nato: esse non arriveranno mai al mare."

Un attimo di rispettoso silenzio seguì come sempre la perla di saggezza del Maestro, poi Dalton decise che era meglio evitare di chiedere spiegazioni.

Durante tutto il pomeriggio, Vaarik era rimasto estremamente silenzioso. Il cupo vulcaniano non era già un gran conversatore in condizioni normali, quindi nessuno si era stupito se in quel giorno avesse perfino meno voglia di parlare del solito. Sapendo del riserbo dei vulcaniani nei confronti delle manifestazioni emotive, per la maggior parte di loro fu abbastanza naturale considerare quel silenzio come la personale reazione di Vaarik di fronte al cordoglio.

Al contrario, Vaarik non diceva nulla per il semplice fatto che non aveva niente da dire.

Una ragazza di vent'anni era morta di fronte ai suoi occhi, aveva sentito il suo cuore smettere di battere, aveva visto i volti dei suoi compagni rigati di lacrime per la perdita, aveva visto una famiglia distrutta dal dolore... e lui non aveva niente da dire.

Niente da dire.

All'inizio, Vaarik si era aspettato di sperimentare una qualche reazione emotiva alla morte della ragazza, e si era preparato a contenerla. Del resto, a cosa sarebbe servita la tanto decantata Disciplina vulcaniana, se i Vulcaniani non avessero avuto essi stessi delle emozioni da controllare? Invece, il tempo era passato, e Vaarik aveva scoperto di non provare assolutamente nulla riguardo ciò che era successo a Lara. Non un briciolo di tristezza, un po' di amarezza, nemmeno un vago senso di perdita.

Nulla.

Per lui, era come se non fosse mai esistita.

Perfino uno come lui si rendeva conto che questa freddezza, questa somma indifferenza verso la vita non erano una cosa normale, nemmeno per un vulcaniano. La prima reazione di Vaarik era stata di dare la colpa agli anni di sofferenza patiti nell'universo dello Specchio, ma dentro di lui sapeva che non era vero.

La realtà era che semplicemente non si era ancora liberato della sensazione che nulla di tutto ciò che lo circondava fosse reale. Più di una volta il vulcaniano si era ritrovato a meditare sul senso di irrealtà che lo accompagnava in ogni sua interazione con le persone di questo universo. Non poteva piangere la morte di Lara così come non avrebbe pianto per la scomparsa di un sogno alle prime luci dell'alba.

Come diceva il consigliere Memok, il cammino che infine l'avrebbe portato ad accettare questa nuova realtà era ancora lungo.

Se mai fosse arrivato da qualche parte.

* * *

Il primo alloggio che incontrarono fu quello di Renko.

Il giovane attivò rapidamente il comando di apertura della porta, ma sembrò stranamente restio ad entrare nell'alloggio. L'ibrido temporeggiò per alcuni istanti, spostando il peso da un piede all'altro.

Questo diede il tempo a Vaarik di lanciare un'occhiata nella stanza, più per la forza dell'abitudine che per altro.

All'interno, un'intera sezione di parete era sparita, lasciando lo sguardo libero di indagare nell'alloggio a fianco. Il vulcaniano sollevò un sopracciglio, lanciando un'occhiata significativa al proprietario dell'alloggio.

Renko fece una faccia strana, dalla quale Vaarik non ricavò alcun indizio sulla mancanza della parete, ma dalla quale ricavò l'impressione che si trattasse di una questione delicata.

"Ehi, Renko, ti sei accorto che manca un pezzo della tua parete?" si intromise Dalton, sbirciando da sopra la spalla del padrone di casa.

Renko fece spallucce, come se la cosa non lo riguardasse più di tanto. "Di questi tempi non è l'unica cosa che manca da queste parti," rispose enigmaticamente.

"Temo di non capire," disse Vaarik con aria circospetta, non sapendo bene come prendere quell'informazione.

"Non c'è molto da capire," rispose Renko con aria pratica, "mentre eravamo fuori per l'esercitazione di Sherman, la mia compagna di stanza ha risolto i problemi burocratici che la tenevano bloccata qui in Accademia, ha preso armi e bagagli e se n'è andata. Punto."

"E la parete?" domandò Dalton, che non vedeva il nesso.

"Credo l'abbia presa per ricordo," spiegò l'ibrido, facendo spallucce.

A Dalton la cosa ancora non tornava. "E adesso dove è stata trasferita?"

Renko fece un gesto vago con le mani, come per abbracciare un ampio numero di possibilità. "Non ne ho la più pallida idea. Se n'è andata senza salutare."

Vaarik osservò a lungo il suo compagno di corso, come se stesse tentando di perforare con lo sguardo gli inusuali occhiali scuri che Renko portava eternamente piazzati sul naso. "Tutto qui?" domandò infine.

"Sì, tutto qui, perché?" fece Renko, che evidentemente cominciava a trovare tutta quella discussione priva di scopo.

"Niente perla di saggezza del Maestro?" domandò il vulcaniano, sollevando un sopracciglio con aria interrogativa.

"No, niente perla di saggezza del Maestro," rispose Renko spazientito, il quale poi guadagnò la porta dell'alloggio senza altri indugi. "E adesso se mi volete scusare vorrei riposarmi un po', è stato il primo funerale della mia vita ma mi sento come se non avessi fatto altro negli ultimi trent'anni. Arrivederci." E si chiuse la porta alle spalle.

Percorrendo insieme a Dalton il tratto di corridoio che separava il loro alloggio da quello di Renko, il vulcaniano si ritrovò a pensare a quello che aveva appena sentito.

Durante quei due anni in Accademia, Vaarik aveva incontrato molte categorie di persone, ma poche erano state più sfuggenti della compagna di stanza di Renko, Iris Bi, perennemente impegnata nella sua crociata contro la burocrazia informatica che si ostinava a non riconoscerle il diploma che si era ampiamente sudato. In tutte le occasioni in cui l'aveva incontrata, Iris Bi si era dimostrata gentile ma poco incline a socializzare, il che naturalmente andava benissimo per Vaarik, anche lui scarsamente interessato a chiunque che non fosse se stesso.

Nonostante questo, il vulcaniano non aveva potuto fare a meno di notare l'abitudine della trill di utilizzare il suo compagno di stanza come cassa di risonanza per i problemi che incontrava, riversando su di lui lo stress e la rabbia che spesso rischiavano di sommergerla. Probabilmente l'ibrido non si rendeva neppure conto di quanto la sua presenza fosse di aiuto alla ragazza, e di quanto fosse diventato importante per lei in quei due anni.

Da un certo punto di vista, Vaarik la capiva. Anche se per motivi diversi, anche il cupo vulcaniano trovava difficile adattarsi alla vita dell'Accademia, affollata di individui illogici e rumorosi che mettevano a dura prova la sua capacità di sopportazione.

In ogni caso, il vulcaniano aveva da tempo scoperto che la presenza di Renko aveva su di lui un effetto rilassante, come se la sua inesauribile aura di tranquillità potesse estendersi a coloro che gli stavano intorno. Quando Renko era nelle vicinanze, era più semplice mantenere le cose nella giusta prospettiva.

Ora, alla luce di quello che sapeva, se il vulcaniano si fosse dato pena di formulare un'ipotesi sulla trill, l'ultima cosa che avrebbe pensato sarebbe stata che Iris Bi, una volta risolti i suoi problemi burocratici, se ne sarebbe andata così, come un'estranea, senza salutare e soprattutto senza ringraziare Renko di quello che aveva fatto per lei, anche senza saperlo.

Questo almeno glielo doveva.

D'improvviso rendendosi conto di quello che stava facendo, Vaarik allontanò quelle riflessioni con un cenno della testa.

Piu' passa il tempo, e piu' inizio a pensare come il consigliere Memok, pensò Vaarik con un moto di preoccupazione. Non avrei mai pensato che sarei potuto cadere tanto in basso...

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