OMBRE NELLA BOSCAGLIA

USS Starlight NCC 27119
In rotta verso Kantara IV...

"Attenzione!"

L'urlo del tenente Sherman eruppe dagli altoparlanti nella piccola cabina e risuonò nelle orecchie di Vaarik come il latrato di un cane rabbioso.

"Ascoltatemi, disgustosi residui di melma rigelliana. Stiamo per entrare nell'orbita del pianeta di destinazione. Quindi sollevate i vostri flaccidi deretani dalle brande, indossate i vostri zaini di sopravvivenza e radunatevi in sala teletrasporto. Muoversi, muoversi, muoversi!!!"

Lanciando silenziosamente un paio di antiche maledizioni contro il molesto istruttore, Vaarik saltò giù dalla stretta branda che gli era assegnata. Fu solo per una questione di centimetri che non cadde sopra a Dalton, che proprio in quel momento si stava alzando dalla branda sotto la sua.

"Cerca di stare più attento a dove cadi, orecchie a punta," lo schernì l'umano, lanciandogli un'occhiataccia.

"La prossima volta vedrò di mirare meglio," disse di rimando Vaarik, non degnando nemmeno di uno sguardo il compagno. Fortunatamente i due erano troppo impegnati a tentare di infilarsi gli zaini per dare seguito all'ennesimo battibecco.

Gli zaini di sopravvivenza erano stati probabilmente concepiti in origine come strumenti di tortura da una società crudele e abietta, per poi essere adottati dall'Accademia come dotazione standard per i cadetti. Quegli aggeggi infernali erano grandi, scomodi, ingombranti e soprattutto pieni di spigoli e di bozzi nei posti più impensabili. Vaarik cominciò a capire perché nelle missioni di sbarco gli ufficiali della Flotta si portassero sempre dietro il minimo indispensabile. Sistemati in spalla gli zaini delle torture, i due di diressero il più rapidamente possibile verso la sala teletrasporto indicata, passando durante il tragitto davanti ad innumerevoli cabine simili alle loro, dalle quali sciamavano riottosi nugoli di cadetti in lotta con i loro zaini e con il flusso di personale.

Entro poco tempo la sala teletrasporto fu al completo. Al contrario delle sale teletrasporto delle altre navi della Flotta, che potevano contenere al massimo una decina di persone per le classiche squadre di sbarco, le navi da trasporto truppe come la Starlight erano dotati di ampie pedane sulle quali potevano sistemarsi una cinquantina di persone, ossia il corrispettivo di un nutrito contingente d'assalto.

Risucchiato nel mezzo di quella moltitudine, Vaarik perse completamente di vista il suo riluttante compagno di stanza.

Dietro ai controlli del teletrasporto, l'istruttore Sherman ringhiava come una tigre in gabbia. "E questo sarebbe il vostro concetto di velocità?" domandò indignato. "Un paguro zoppo ci avrebbe impiegato meno di voi!" tuonò poi. "Siete solo fortunati che non abbiamo tempo da perdere, altrimenti un bel giro di chiglia non ve lo levava nessuno!"

Quando tutti i cadetti presenti assunsero la confacente faccia contrita, l'istruttore si decise a continuare. "Vediamo di rinfrescare alcune informazioni. Verrete teletrasportati sulla superficie del pianeta, in squadre di dodici persone ognuna. La composizione delle squadre sarà casuale, cosicché ognuno di voi dovrà cercare di collaborare con i compagni che il computer avrà scelto per lui. Le squadre dovranno comportarsi come avversarie, e non dovranno assolutamente collaborare tra loro, pena l'annullamento dell'esercitazione. Insieme a voi verranno teletrasportate alcune casse di materiale, tra cui viveri e attrezzature. Fatene buon uso, e cercate di non farvele fregare dalle altre squadre."

"Mi raccomando," si inserì nel discorso la dottoressa Leneorat, agitando gli arti frondosi con fare premuroso, "cercate di fave attenzione. Una volta sul pianeta savete completamente lasciati a voi stessi e avvete a disposizione unicamente un piccolo kit medico. Non fatemi pveoccupare."

"Stavo dicendo," la interruppe Sherman con voce tagliente, "scopo dell'esercitazione è tentare di sopravvivere abbastanza a lungo da ricevere i soccorsi e eventualmente tentare di mettersi in contatto con la Flotta Stellare."

Un leggero cicalio lo interruppe. L'addetto al teletrasporto, un guardiamarina boliano dall'aspetto inerme, sollevò la testa e sembrò rimpicciolirsi di fronte allo sguardo fiammeggiante dell'istruttore.

"Il personale distaccato sul pianeta segnala che siamo sulle coordinate previste per il teletrasporto," disse con voce flebile, quasi scusandosi per l'inconveniente.

"Molto bene, guardiamarina, energia ad mio segnale." Poi Sherman si rivolse ai cadetti. "Preparatevi ad essere teletrasportati. E cercate di non deludermi. Energia!"

A poco a poco i cadetti cominciarono a dissolversi nel luccichio della smaterializzazione, e anche Vaarik sentì la frizzante ma conosciuta sensazione che l'avvolgeva. L'ultima cosa che sentì prima di convertirsi completamente in un flusso di materia energizzata fu lo stormire di una fronda che pareva quasi sussurrare "Buona fortuna, ragazzi..."

Superficie di Kantara IV, Area 304.
Circa tre secondi dopo...

Ancora prima che il brillio del teletrasporto si fosse dissolto di fronte ai suoi occhi, Vaarik sapeva di non essere solo. Nelle poche frazioni di secondo che intercorsero prima che i suoi occhi fossero in grado di mettere a fuoco chi fossero le persone che si trovavano accanto a lui, nella mente del vulcaniano sfrecciarono alcuni rapidi e inopportuni pensieri su quanto gli sarebbe piaciuto finire in una squadra composta esclusivamente da androidi.

"Vaarik!"

Il vulcaniano volse lo sguardo nella direzione da cui era venuta la voce, cercando nel contempo di capire cos'era quella strana sensazione che si stava impadronendo di lui a poco a poco. Quando i suoi occhi si posarono sul volto di Dalton, Vaarik non riuscì a fare altro che voltare nuovamente la testa dall'altra parte, sperando di essere vittima di un'allucinazione.

Purtroppo, quando il vulcaniano sbirciò di nuovo oltre la sua spalla, la faccia di Dalton era ancora là a fissarlo con gli occhi sgranati, e cosa ancora più inquietante, non era l'unico a farlo.

Dietro le sue spalle Vaarik scorse chiaramente i ben noti occhiali scuri di Renko, e ancora più indietro i capelli color fiamma di Rebecca e la disadorna stempiatura di Ilaij. Guardandosi attorno il vulcaniano vide anche Ripley e Foster che si facevano strada tra un paio di cadetti, perplessi da ciò che stava accadendo loro intorno.

"Non datemi della paranoica, ma qui c'è qualcosa che non va." Era stata Ripley, con il suo solito pragmatismo, a dare voce ai timori di tutti.

"Questo è poco ma sicuro," le fece eco cupamente Dalton, che non poteva fare a meno di fissare Vaarik con evidente insofferenza.

"Vediamo di fare il punto della situazione," disse Foster. "Quante sono le probabilità che tutti noi capitassimo insieme nella stessa squadra?"

La domanda era chiaramente rivolta a lui, e anche se solo per un istante Vaarik fu grato di potersi rifugiare nei luminosi percorsi della matematica.

"Calcolando il numero di cadetti che partecipano all'esercitazione e il numero di persone di cui è composta ciascuna squadra... 334879 a 1."

"Il che rientra nel campo del possibile, ma non del probabile," commentò Renko meditabondo. "E come diceva sempre il mio Maestro..."

"Ehm, scusate, vorreste dire anche a noi cosa sta succedendo qui?"

Era stata una giovane cadetta a dire quelle parole, interrompendo così quella riunione improvvisata. I cinque si voltarono a guardarla, con lo sguardo leggermente vacuo di chi cerca di associare un nome e una vita al volto della persona con cui sta parlando.

"Mi chiamo Lara Dyanthes," disse lei intuendo il problema, "e da quello che posso capire c'è decisamente qualcosa che vi turba."

"Be', Sherman aveva detto che la composizione delle squadre sarebbe stata casuale, e invece noi cinque siamo capitati tutti insieme..."

"Come al solito!"

Mentre Renko e Foster spiegavano alla ragazza le ragioni della loro perplessità, Vaarik si prese un minuto per osservarla attentamente. Era una ragazza sotto i vent'anni, umana, dai tratti tipicamente ispanici. Il vulcaniano, retaggio del suo passato nell'infido universo dello specchio, non poté fare a meno di chiedersi cosa potesse nascondere dietro a quel sorriso affabile e ai modi gentili, ma nonostante i suoi sospetti non riuscì a trovare segni di doppiezza in lei.

Intanto anche gli altri cadetti si erano avvicinati al gruppetto, incuriositi dalla discussione. Quando anche a loro vennero messi al corrente della situazione, non sembrarono preoccupati più di tanto. In fondo, non era altro che una piccola stranezza, una cosa su cui non valeva nemmeno la pena discutere.

Come avrebbero scoperto in seguito, non sarebbero potuti essere più lontani dalla verità.

Superficie di Kantara IV, Area 091.
Circa sei ore dopo...

In breve tempo il rifugio di fortuna fu costruito, il campo organizzato e i compiti distribuiti. La squadra, a cui il computer aveva dato il nome in codice di Delfino Infiocchettato, era composta da dodici membri, appartenenti per fortuna a quasi tutte le sezioni.

Quelli della sezione Sicurezza, ossia Renko, Ripley, Rebecca Goldblum e un altro umano, un giapponese di nome Musuko Senman, si preoccuparono subito di approntare un perimetro di sicurezza attorno al campo, in modo da potersi difendere dagli attacchi delle altre squadre.

Per la sezione Scientifica c'erano Vaarik, Foster e Meferura Meriatamon, un caitiano che Foster conosceva fin dai primi tempi all'Accademia.

Oltre a Dalton, della sezione Operazioni c'era anche Bolty, un tellarite dal pelo biondo e ancora più irascibile della maggior parte dei suoi compatrioti.

L'unico rappresentante della sezione Medica era Sh'muss, un enorme macgyveriano dalla muscolatura possente e quattro chele al posto delle mandibole, ma dal temperamento sorprendentemente pacifico. In realtà Sh'muss studiava per diventare consigliere psicologico, ma per la durata dell'esercitazione si sarebbe dovuto improvvisare medico generico.

C'erano infine Ilaij, Comando, e infine Lara Dyanthes, che frequentava corsi di quasi tutte le sezioni e poteva essere considerata un po' come un jolly.

Durante la fase di distribuzione dei compiti erano sorte alcune diatribe all'interno della squadra, causate dal fatto che i cadetti più giovani come Rebecca, Ilaij, o Bolty non gradivano affatto che i più anziani e navigati come Foster o Dalton dicessero loro cosa fare e come.

Vaarik si era immediatamente tirato fuori dalla questione, classificando l'intera faccenda come una sciocchezza tipicamente umana. Solo loro erano in grado di perdere tempo a discutere su chi fosse il più importante quando c'era del lavoro da fare.

Fu mentre era seduto in disparte, cercando di capire cosa farsene esattamente di una confezione formato famiglia di ammorbidente per bucato trovata nelle casse del materiale che avevano rintracciato, che sentì qualcuno che gli si avvicinava.

Quando alzò la testa, il vulcaniano vide Renko camminare nella sua direzione, calpestando tutti i rami che incontrava e frustando i cespugli al suo passaggio. Vaarik sapeva che in condizioni normali l'ibrido era in grado di muoversi più silenziosamente di un alito di vento, e il fatto che ora stesse facendo tutto quel trambusto suggeriva che probabilmente stava cercando di mettere al corrente il vulcaniano della sua presenza prima di intromettersi nella sua privacy. Come Vaarik aveva già avuto modo più volte di notare, Renko era uno dei pochi che tentava di rendere la vita un po' più facile al vulcaniano.

"Hai bisogno di qualcosa?" gli domandò quindi Vaarik quando si fu avvicinato a sufficienza, sforzandosi di essere cortese a sua volta.

"Sì, cioè, non esattamente." L'ibrido sembrava imbarazzato. "Ti spiace se mi siedo un attimo qui?"

"Prego," rispose Vaarik indicando il posto accanto a lui, un po' incuriosito dallo strano comportamento dell'altro.

Renko si sedette agilmente a gambe incrociate di fianco a lui. I due rimasero in silenzio qualche momento, poi quando fu chiaro che Vaarik non avrebbe rotto il silenzio per primo, Renko prese la parola.

"Senti Vaarik, tu e Luke non andate molto d'accordo, vero?"

Il vulcaniano considerò la cosa per un attimo. "In effetti no."

"E se non sbaglio hai una certa... esperienza di rapporti, come dire, conflittuali."

Il vulcaniano guardò l'altro con aria interrogativa. "Renko, cosa stai cercando di chiedermi?"

L'ibrido si agitò sul posto. "Hai presente Musuko?"

"Certo." Musuko Senman era un membro della squadra in quell'esercitazione, e come Renko seguiva i corsi per ufficiale della Sicurezza. Se non ricordava male, Musuko era cieco dalla nascita, e indossava sopra gli abiti una speciale rete sensoria che gli permetteva comunque di percepire il mondo esterno.

"Ecco, io e Musuko abbiamo, per così dire, filosofie diametralmente opposte per quanto riguarda le arti marziali." Una volta iniziato a parlare, Renko sembrò rilassarsi. "Come sai io ho studiato per anni arti marziali esoteriche, mentre lui, nonostante il suo problema, si è allenato fin da bambino nelle arti marziali tradizionali. Certo, dal mio punto di vista il suo è un approccio piuttosto limitato, ma in fondo ognuno è libero di allenarsi come gli pare. Durante il corso ci siamo scontrati in varie occasioni, mettendo a confronto le nostre tecniche, ma tutto sarebbe dovuto finire lì." Renko prese una boccata d'aria. "O almeno, questo è quello che pensavo io. Invece, Musuko ha portato il nostro antagonismo fuori dal quadrato di combattimento, il che è come minimo poco educato, oltre che un'infrazione del codice di condotta delle arti marziali," aggiunse, con una sfumatura di irritazione che generalmente gli era sconosciuta. "E io non so come comportarmi."

Vaarik osservò a lungo il compagno, poi sollevò un sopracciglio. "Mi hai forse preso per il consigliere Memok?"

Renko ridacchiò dietro alle lenti scure. "Be', avete tutti e due le orecchie a punta e così..." ma vedendo il vulcaniano che si irrigidiva, si affrettò a ricomporsi. "Scherzo, scherzo, non te la prendere. Per quanto riguarda Musuko volevo solo un parere esterno, ecco tutto."

Poi l'ibrido fece cenno a Vaarik di avvicinarsi con aria confabulatoria, abbassando nel contempo la voce come se temesse di essere sentito. "E sai anche tu che se ne avessi parlato a Paul o Luke loro gli avrebbero fatto una scenata. Quei due tendono ad essere un po' troppo... protettivi nei miei confronti, come se solo per il fatto che ho scelto di non fare il soldato abbia sempre bisogno di qualcuno che mi tenga di continuo la manina." Renko fece un sorriso tranquillo, ma negli occhi dell'ibrido Vaarik vide il riflesso di qualcosa che non riuscì bene ad identificare, ma che scomparve veloce come era apparso. "E se a loro piace pensarla così, non vedo perché debba essere io a far cambiare loro idea."

Per la prima volta da quando lo conosceva, Vaarik si domandò quanto bene conoscesse effettivamente l'ibrido. Certo, gli aveva sentito raccontare la storia del suo pianeta, aveva perfino sperimentato su di sé alcuni effetti delle spore, aveva ascoltato le perle di saggezza del Maestro, sapeva dell'incidente all'astrotraghetto. Ma dietro tutto questo, cosa sapeva effettivamente dei suoi pensieri, dei suoi desideri, delle sue paure?

Per la prima volta da quando lo conosceva, Vaarik si domandò cosa ci fosse dietro quelle lenti scure perennemente appese sul suo naso, e scoprì di non averne la più pallida idea.

Poi la sua mente venne distratta dalle parole di Renko, che era tornato alla sua questione contingente. "Al contrario, chiedendo a te sono sicuro che non ti intrometterai. In fondo, a te non importa di nessuno, no?"

Vaarik studiò l'espressione di Renko, cercando tracce di rimprovero dietro a quell'ultima affermazione, ma non ne trovò alcuna. L'ibrido stava semplicemente constatando un fatto, senza pretendere di giudicarlo.

"Dunque," disse il vulcaniano, posando il bottiglione di ammorbidente accanto a sé e congiungendo le mani sopra le ginocchia. "Proviamo ad ipotizzare cosa ti direbbe il consigliere Memok se fosse al mio posto." Vaarik si schiarì la voce. "Mi dica, Renko, lei pensa quindi che l'ostilità di Musuko sia dovuta alla vostra differente interpretazione delle arti marziali."

"Sostanzialmente sì."

"E che magari potreste appianare le vostre divergenze e imparare a collaborare."

"Infatti."

"E le risulta che Musuko si comporti con chiunque non condivida la sua visione delle arti marziali nella stessa maniera in cui si comporta con lei?"

"Obiettivamente... no."

Infine Vaarik scoccò l'ultima stoccata. "E non ti è mai venuto in mente che potresti essergli semplicemente antipatico?"

"Cosa?!?" Renko lo guardò come se gli fosse spuntato un occhio in mezzo alla fronte. "Antipatico? Io?!? Impossibile!"

Molto vulcanianamente, Vaarik sollevò un sopracciglio.

"Ehi, io non sono antipatico!" si ribellò l'ibrido con aria ferita.

Senza dire una parola, il vulcaniano diede una leggera pacca sulla spalla a Renko, raccolse il flacone di ammorbidente profumato e si incamminò verso il campo.

Dietro di lui, lo raggiunse la voce di Renko. "Insomma, io non sono antipatico. Ti sto antipatico, forse?! Vaarik, dove stai andando? Vaarik? Ehi, Vaarik!"

Quando si fu allontanato a sufficienza, il vulcaniano lasciò che il sorriso che aveva trattenuto fino a quel momento sfiorasse le sue labbra, anche se solo per un attimo. In fondo, dovette ammettere Vaarik, ora cominciava a capire cosa il tenente comandante Memok potesse trovarci di divertente nel ruolo del consigliere...

Superficie di Kantara IV, Campo Base.
Tre giorni dopo...

"Questo ritardo non mi piace."

Per l'ennesima volta, Rebecca diede voce ai pensieri di tutti. A nessuno piaceva il fatto che Ilaij, dopo lo scontro con un'altra squadra, non fosse ancora tornato dal suo giro di perlustrazione, ma la ragazza era decisamente la più preoccupata. Il pavimento della baracca stava cominciando ad intaccarsi lungo il tragitto circolare che Rebecca percorreva con ossessiva perseveranza, così come cominciavano ad intaccarsi i nervi dei presenti a causa del rumore battente della pioggia sul tetto di lamiera.

"Questo ritardo non mi piace per niente."

Come spinti dal medesimo pensiero, tutti i cadetti seduti nella baracca si alzarono contemporaneamente, fissandosi negli occhi. Doveva essere successo qualcosa. Era tempo di andare a cercare il loro compagno.

All'esterno, li aspettava un paesaggio da incubo. La foresta, sulla cui bellezza molti cadetti si erano soffermati durante il giorno, appariva trasformata dalla pioggia e dal vento in un luogo ostile e inquietante, che si accaniva con crudeltà contro coloro che l'avevano profanata.

Se Vaarik fosse stato avvezzo a considerazioni di tipo emotivo, avrebbe provato un certo grado di soddisfazione a quel pensiero. Dopo tutto quello che gli era capitato, si sentiva più a suo agio in un mondo che mostrasse apertamente il suo disprezzo per i mortali, piuttosto che blandirli con il suo aspetto più gaio per poi pugnalarli alle spalle quando meno se l'aspettavano.

La ricerca venne organizzata in maniera rapida ed efficiente. Si sarebbero divisi in gruppi di due persone, cosicché nessuno sarebbe dovuto andare in giro da solo, e ogni coppia avrebbe seguito un percorso a spirale alla ricerca delle tracce di Ilaij. In questa maniera, avrebbero battuto tutta la zona intorno al campo in meno di due ore.

Forse per caso, forse per premeditazione, Vaarik finì in coppia con Rebecca. Il vulcaniano era l'unico a sapere della relazione tra lei e Ilaij, i quali, in quanto strenui avversari politici durante le scorse elezioni studentesche, avevano deciso di mantenere il riserbo per non perdere l'appoggio dei rispettivi sostenitori.

Se Vaarik si aspettava scene di emotività da parte di Rebecca durante il pattugliamento, si sbagliava di grosso. La ragazza appariva seria, mortalmente seria, con tutti i sensi all'erta e tutte le sue capacità concentrate sulla ricerca di tracce. A parte la presenza delle altre squadre che potevano aver organizzato un tranello per depredarli delle loro scorte, i pericoli che si nascondevano nella foresta erano molti. In quel momento la vita del giovane russo poteva essere in pericolo, e Rebecca non poteva permettersi di perdere nemmeno un minuto.

Dopo circa mezzora, Rebecca pronunciò un'unica frase, passandosi una mano tra i capelli ricciuti. "Se gli è successo qualcosa..." poi si fermò, incapace di continuare.

Vaarik, che suo malgrado capiva anche troppo bene quello che la ragazza stava passando in quel momento, non poté fare altro che raddoppiare la velocità con cui battevano la loro pista.

Finalmente, passata più di un'ora di ricerche infruttuose, Vaarik udì della grida provenire dalla direzione in cui era un'altra pattuglia. Mise una mano sulla spalla della ragazza, il cui spettro uditivo non era così acuto, facendole cenno di non fare alcun rumore. Quando finalmente riuscì a distinguere le parole "l'abbiamo trovato" sopra allo scrosciare della pioggia, il vulcaniano fece cenno a Rebecca di seguirlo.

Nonostante la pioggia e la fitta vegetazione, la ragazza superò letteralmente di volata il tratto di boscaglia che li separava dall'altra pattuglia, e Vaarik fece non poca fatica a mantenere il suo passo. Quando finalmente arrivò alla radura da dove provenivano le voci, trovò Rebecca già inginocchiata accanto al russo. Altri cadetti erano già accorsi sul posto, e il vulcaniano si fece strada tra loro per vedere. Sporgendosi oltre la spalla della ragazza, Vaarik poté vedere che Ilaij giaceva riverso a terra, privo di conoscenza. Sulla pettorina della sua uniforme, spiccava crudamente una vasta bruciatura.

Nulla su quel pianeta avrebbe potuto infliggergli una ferita simile. Nulla se non un fascio di nadioni rapidi polarizzati linearmente. Nulla se non il fuoco di un phaser regolato a media intensità. Un phaser che non avrebbe dovuto essere lì.

Rebecca, inginocchiata accanto a lui sotto la pioggia inclemente, gli teneva la testa sollevata, accertandosi che battito cardiaco e respiro fossero regolari. Sul suo volto, si mescolavano inestricabilmente il sollievo di averlo ritrovato e la preoccupazione per le sue condizioni. Quando infine fu rassicurata del fatto che il russo non era in pericolo immediato, Rebecca sollevò la testa, lasciando che le gocce di pioggia scivolassero lungo il suo viso. "Bastardi," ringhiò con voce rauca. "Maledetti bastardi."

Guardandola negli occhi, Vaarik provò un incomprensibile senso di sollievo per non essere nei panni di chi aveva fatto del male ad Ilaij.

Intanto, altri cadetti stavano costruendo in fretta una barella improvvisata, in modo da trasportare almeno il ferito all'asciutto. Durante il viaggio di ritorno al campo, nessuno parlò molto. Due tra i più robusti della squadra trasportarono la barella, mentre Rebecca li accompagnava tenendo la mano di Ilaij tra le sue, come nel timore di vederselo scivolare via tra le dita. Dopo quei momenti, bisognava avere delle bistecche di selhat sugli occhi per non vedere il sentimento che la univa al giovane russo, ma nessuno commentò in alcun modo la cosa.

Durante le ore successive, molte decisioni vennero prese.

Superficie di Kantara IV, Campo Base.
Alcune ore dopo...

Vaarik controllò per l'ennesima volta che le chiusure del suo zaino fossero ben strette e impermeabilizzate. Soddisfatto della tenuta, infilò lo zaino in spalla, grugnendo mentre ne assestava il peso sulla schiena. Infilò infine nelle varie tasche della sua uniforme da campo tutta una serie di attrezzi che avrebbe avuto bisogno di tenere a portata di mano, come torce, acciarini, moschettoni, una decina di metri di corda di nylon che era riuscito a procurarsi legando insieme le gambe di alcuni collant e una fondamentale bussola che era riuscito a costruire artigianalmente. Poi, come per un ripensamento, infilò nella fondina anche il phaser "a salve" che avevano in dotazione. Non che servisse a molto, ma era pur sempre una fonte di energia, e poteva essere utilizzata per vari scopi. Uscì infine dalla sua tenda, unendosi al resto del gruppo che trafficava nel tentativo di stipare tutto il trasportabile negli zaini di sopravvivenza.

La decisione di lasciare la relativa sicurezza del campo per addentrarsi nella foresta era stata presa di comune accordo. Prima di sbarcare sul pianeta avevano avuto la possibilità di consultare alcune mappe del territorio dove si sarebbe svolta l'esercitazione, e sapevano quindi che ad alcune decine di kilometri in direzione nord-ovest si trovava una vecchia installazione abbandonata, nella quale forse sarebbero riusciti a trovare qualcosa per mettersi in contatto con la Flotta. La marcia attraverso la foresta sarebbe stata lunga e faticosa, per non parlare del pericolo che qualcuno armato di un phaser "vero" si stesse aggirando liberamente nella zona.

Durante l'accesa discussione che era seguita al ritrovamento di Ilaij, avevano avuto modo di scartare alcune ipotesi. Prima di tutto, l'ipotesi che l'incidente fosse stato causato da un phaser "vero" capitato per errore in mezzo a quelli "a salve" non reggeva. Anche se era possibile supporre che un errore del genere potesse avvenire realmente, sarebbe stato impossibile per chi lo possedeva non accorgersi della sostituzione, se non altro quando al posto di causare una leggera scossa al malcapitato aveva visto aprirsi uno squarcio nella sua uniforme e l'aveva visto volare ad alcuni metri di distanza. Se qualcuno avesse anche involontariamente causato una cosa del genere e poi fosse scappato senza prestare aiuto al ferito, esercitazione o meno, sarebbe stato da prendere, gettare in galera e buttare via la chiave. Rimaneva la possibilità che qualcuno decisamente malintenzionato si stesse aggirando in zona con intenzioni ostili. Le sue motivazioni, e come fosse possibile che la Flotta non ne fosse informata, erano purtroppo oggetto di sole supposizioni.

All'orario prestabilito, tutto era pronto. Ilaij sarebbe stato trasportato in una versione "migliorata" della barella di fortuna che l'aveva riportato al campo, sorretto dalle braccia forti di due volontari e sotto la stretta sorveglianza di Rebecca. Il russo riposava da qualche ora sotto l'effetto di una pesante dose di analgesici, ma la scorta non sarebbe durata a lungo. Durante i rari momenti di lucidità, erano stati fatti alcuni blandi tentativi di chiedergli cos'era successo, ma tutto quello che aveva fatto Ilaij era stato di delirare qualcosa sulla "minaccia capitalista e reazionaria" e svenire nuovamente. Ti pareva se Ilaij si lasciava sfuggire un'occasione del genere.

Una volta che tutta la squadra fu radunata al centro del campo, i cadetti si scambiarono un rapido cenno d'intesa, poi senza dire una parola iniziarono ad avventurarsi nella foresta ancora umida di pioggia. Dando un'ultima occhiata a quello che era stato il loro Campo Base per i precedenti tre giorni, Vaarik non riuscì a liberarsi della spiacevole sensazione che da quando erano sbarcati su quel maledetto pianeta nulla stesse andando per il verso giusto.

Superficie di Kantara IV, Area 317.
Il giorno dopo...

La marcia attraverso la foresta era stata più difficile di quanto avessero potuto immaginare. Appena la squadra si era spinta oltre la zona che avevano avuto modo di esplorare nei giorni precedenti, avevano scoperto che il territorio era molto più impervio di quello che ricordavano dalla mappa. Forse degli smottamenti avevano alterato il territorio appena prima dell'arrivo della Starlight, oppure le mappe della Flotta non erano così precise come volevano fargli credere gli istruttori. Fatto sta che si erano ritrovati in un territorio paludoso, dove erano costretti ad arrancare a nemmeno metà della velocità che avevano previsto. Se continuavano in quella maniera, ci avrebbero messo un'eternità ad arrivare alla struttura abbandonata. La stanchezza cominciava a farsi sentire, e le continue scaramucce con le altre squadre non facevano altro che aumentare la tensione. Più volte avevano tentato di comunicare con loro per spiegare che avevano un ferito grave e dovevano portarlo al più presto in un'infermeria attrezzata, ma quelli, pensando ad un trucco per intenerirli, non avevano nemmeno voluto ascoltarli. Ad ogni attacco la squadra era costretta a rispondere al fuoco per difendere le loro già magre risorse, e questo rallentava ulteriormente la loro marcia.

Quando infine anche Vaarik aveva cominciato a perdere il conto delle volte che erano stati colpiti dai raggi delle squadre avversarie, il morale era sceso letteralmente sotto le scarpe.

Stavano facendo una pausa della marcia, per riprendere un po' di fiato e mangiare qualcosa. Vaarik come sempre si era seduto un po' in disparte, per buttare giù quel poco di cibo in santa pace. Oggi stava osservando con evidente sospetto una gavetta piena di strisce di pasta colorate di verde, una pietanza che Foster aveva detto chiamarsi "reginette al pesto", anche se il vulcaniano non era riuscito a capire cosa c'entrassero i titoli nobiliari con il cibo. Quando il pasto fu consumato, la squadra si riorganizzò per continuare la marcia. Dalton, come accadeva sempre più spesso da quando era stato raggiunto dalla sua eterna fidanzata Lam, era impegnato a convincere la ragazza che aveva mangiato abbastanza e che no, non aveva proprio voglia di mangiare un'altra fetta di pane e crema spalmabile al cioccolato.

Nel ripetersi sistematico di quella scenetta, fu Renko, mentre radunava la squadra di sicurezza, il primo ad accorgersi che mancava qualcuno all'appello.

"Ehi, dov'è andata Ripley?"

"Non chiederlo a me, io non l'ho vista di certo!" gli rispose Musuko con un sorriso beffardo sulle labbra.

Renko si rifiutò di dargli soddisfazione. "Nessuno sa dov'è Ripley?"

"Ha detto che andava a fffffare un giro in avanscoperta," gli disse Sh'muss, cercando di comprimere la sua attrezzatura in uno zaino palesemente troppo piccolo.

"Accidenti, lo sa che nessuno deve muoversi da solo!" imprecò Foster, irritato per l'imprudenza della sua compagna di stanza. "Ma adesso mi sente..."

"Aspetta, Paul, vado io a cercarla," lo bloccò Vaarik prima che potesse fare due passi. L'ultima cosa di cui aveva voglia in quel momento era di sentire l'ennesima sfuriata di Foster sull'importanza del coordinamento tra i membri della squadra. "Voi finite di raccogliere gli attrezzi. Torno subito."

Lasciandosi alle spalle Foster che continuava a imprecare sottovoce, Vaarik si addentrò nella foresta, facendosi largo tra gli arbusti e le felci. Tutta quella vegetazione non piaceva affatto al vulcaniano, che, pur avendo visitato un gran numero di pianeti quando serviva sul vascello del Reggente, non si era mai abituato fino in fondo alla loro alienità. In fondo alla sua mente, non riusciva a liberarsi della convinzione che il mondo dovesse essere fatto in una determinata maniera, deserto ocra, cielo rossastro e sole a picco.

In poco tempo, le voci e i suoni della squadra si persero alle sue spalle, assorbiti rapidamente dall'umida massa vegetale. Rami spezzati e altre tracce gli dicevano che era sulla strada giusta, ma si stava allontanando troppo per i suoi gusti. Vaarik non riusciva proprio ad immaginare il motivo per cui Ripley si fosse allontanata tanto dal resto della squadra, soprattutto quando sapeva che si sarebbero dovuti rimettere in marcia al più presto. Intorno a lui, gli unici suoni che udiva erano il vento tra il fogliame, e i suoi piedi che calpestavano l'erba bagnata. Sulle prime gli parve normale, poi una strana sensazione cominciò ad affacciarsi alla sua attenzione. Gli ci volle più di un momento per rendersi conto di cosa non andasse: i versi degli animali.

Erano completamente scomparsi.

Il vulcaniano si guardò intorno, alla ricerca dei leggeri movimenti che li avevano sempre accompagnati da quando erano scesi sul pianeta: insetti, piccoli rettili e volatili, che si muovevano incessantemente contro lo sfondo della vegetazione.

Niente.

La faccenda stava cominciando ad assumere sfumature irreali. Scuotendo la testa come per scacciare i cattivi pensieri, Vaarik fece per rimettersi nuovamente in cammino verso il folto della foresta.

Improvvisamente il vulcaniano ebbe la percezione di qualcuno alle sue spalle, ma prima che potesse anche pensare di muoversi, una mano sbucò dal nulla afferrandolo saldamente alla gola, impedendogli di respirare. Istintivamente tentò di reagire all'aggressione, ma una seconda mano gli afferrò il polso prima che potesse raggiungere il phaser e glielo bloccò dietro alla schiena in una posizione innaturale. Vaarik lottò per liberarsi, con il solo risultato di far aumentare ulteriormente la torsione sul suo braccio. L'aggressore era semplicemente troppo forte per lui. Impossibilitato a fare alcun movimento, Vaarik sentì l'assalitore che si avvicinava al suo orecchio, per poi sillabare appena al di sopra della sua soglia di udibilità: "Non muovere un muscolo."

"Ripley!" annaspò il vulcaniano, riconoscendo immediatamente la voce che sussurrava al suo orecchio. "Cosa diavolo stai cercando di fare?"

"Zitto!" sibilò ancora la donna, aumentando la stretta sulla sua gola. "Non siamo soli."

Il vulcaniano smise immediatamente di dibattersi, lasciando capire a Ripley che aveva tutte le intenzioni di seguire i suoi suggerimenti. Dopo pochi secondi la donna lo lasciò finalmente andare, e Vaarik poté respirare liberamente.

"Come te ne sei accorta?" chiese a bassa voce. "Io non ho sentito niente."

Ripley inspirò profondamente, come per assaporare una fragranza lontana. "Io uso questo," sussurrò, toccandosi leggermente la punta del naso.

"E che odore fanno?" sussurrò in risposta il vulcaniano, piuttosto incuriosito.

"Non quello della Flotta Stellare."

Vaarik stava quasi per controbattere sull'assurdità del fatto che la Flotta Stellare avesse un odore particolare, quando anche lui sentì un movimento alla loro destra. "Attenta!" cercò di gridare, ma prima che potesse dare voce alla prima sillaba, un raggio phaser scaturì dalla boscaglia di fronte a lui, colpendolo in pieno al torace. Il vulcaniano si sentì scagliare indietro come se fosse stato colpito da un martello gigantesco, mentre l'energia avvampava attraverso di lui come una scarica elettrica. Andò a sbattere violentemente contro il tronco di un albero alle sue spalle, ricadendo a faccia in giù sul tappeto erboso. Con le ultime forze rimaste cercò di sollevarsi, di fronteggiare gli assalitori che li avevano attaccati, ma le braccia non lo sorressero a lungo. L'ultima cosa che fece in tempo a vedere prima di ripiombare con la faccia sull'erba bagnata, fu la sagoma di Ripley che sotto il fuoco di numerosi raggi di phaser crollava a terra di fianco a lui, colpendo il terreno con violenza.

Con l'ultimo barlume di coscienza che gli restava, Vaarik si sorprese a rammaricarsi di morire in maniera così cretina, su un planetoide semi-sconosciuto, e proprio durante una stupida esercitazione della Flotta Stellare.

Poi l'oscurità lo reclamò definitivamente e non vi fu più tempo per altro che il buio e l'infinita caduta.

Qualche tempo dopo...

Vaarik non aveva mai immaginato come potesse essere l'aldilà. Nemmeno dopo la morte di T'Eia, Vaarik non si era mai soffermato a riflettere su come si potesse configurare una eventuale vita dopo la morte. Come tutti i vulcaniani, Vaarik sapeva che qualcosa di lui sarebbe sopravvissuto al suo trapasso, ma come e in che maniera non aveva mai suscitato il suo interesse. Seguendo un ragionamento piuttosto pragmatico, aveva sempre pensato che prima o poi l'avrebbe scoperto di persona.

Comunque, se di una cosa era certo, era che in nessuna teoria escatologica di cui avesse sentito parlare si facesse alcun riferimento ad un tremendo mal di testa. La deduzione più logica era che in fin dei conti non era morto, e che il phaser che lo aveva colpito era stato regolato su stordimento.

Massimo stordimento, se dava ascolto al rimbombo nella sua testa.

Lottando per allontanare il dolore e le vertigini che lo affliggevano, Vaarik cercò ad aprire gli occhi, scoprendo così di trovarsi in una specie di magazzino, immerso quasi completamente nel buio. Era stato legato ad una sedia, polsi e caviglie bloccati da antiquate ma robuste corde. Accanto a lui intravide una figura ugualmente legata, e intuì che dovesse trattarsi di Ripley. La donna non aveva ancora ripreso conoscenza, ma con tutti i colpi di phaser che aveva ricevuto c'era da stupirsi che fosse ancora viva. Ma in effetti, rifletté il vulcaniano, non era di certo la prima volta che Ripley faceva cose di cui stupirsi.

D'improvviso, una luce accecante lacerò le tenebre, penetrando come un coltello affilato negli occhi del vulcaniano. In quel momento, una voce rauca e dallo strano accento risuonò nelle orecchie di Vaarik.

"Pen sfegliati, miei kari."

A quel suono, anche Ripley riprese conoscenza. Trovandosi completamente legata, la donna iniziò a lottare contro le sue costrizioni, ringhiando e gridando come una tigre in gabbia.

"Piano, piano," disse la voce con tono di velato rimprovero. "Se kontinua kosi finira' per farsi male, signorina. E noi non fogliamo ke vi facciate del male... non ankora," aggiunse con freddezza. Poi riprese a parlare con falsa giovialità. "Spero ke mi skuserete per questa luce fastidiosa, ma per il momento preferiamo rimanere nell'anonimato."

"E allora temo che tu abbia sbagliato i tuoi calcoli, orioniano."

Era stato Vaarik a pronunciare quelle parole, le prime da quando aveva ripreso conoscenza.

"Ma... kome..." balbettò la voce, colta di sorpresa.

"Prima di rapire una persona," rispose Vaarik un po' piccato, "sarebbe buona norma informarsi almeno sulla sua fisiologia. In questo modo, avreste scoperto che è impossibile accecare un vulcaniano con una luce intensa."

"Ma... allora... tu... tu ci fedi!"

"Certo che vi vedo, microcefalo. Vedo che siete quattro in questa stanza, tu compreso. Vedo che ognuno di voi è armato di un phaser di produzione federale vecchio di almeno cinquant'anni, e dalle caratteristiche strutturali del magazzino in cui ci troviamo posso dedurre che è stato costruito circa un secolo fa." Il vulcaniano fece una pausa, guardandosi intorno come per soppesare la stanza. "Dalla tipologia delle casse che riempiono il magazzino è possibile dedurre che svolgete attività di contrabbando, mentre dal vostro abbigliamento posso intuire che il profitto che ne ricavate basta appena a coprire le spese." Infine Vaarik puntò lo sguardo direttamente negli occhi del suo interlocutore. "Basta questo o vi devo fornire altri dettagli, pelatone?"

"Bastardo!" tuonò l'orioniano, dimentico del suo accento fittizio. "Ora ti faccio vedere io!" disse, avvicinandosi minacciosamente al vulcaniano.

"Ah, non ho già visto abbastanza?" domandò Vaarik con freddezza.

L'orioniano, furioso, estrasse il phaser che aveva in cintura, puntandone il nodulo emettitore direttamente contro la fronte del vulcaniano. A quella distanza, anche un colpo stordente sarebbe risultato fatale.

Il tempo sembrò congelarsi, e i due si ritrovarono a fissarsi, occhi negli occhi, mentre attorno a loro la tensione diventava palpabile come una nebbia rossastra.

"Faainak," disse con tono di avvertimento uno degli altri, anche lui un orioniano. "Faainak, abbassa quell'arma."

Il contrabbandiere non mosse un muscolo, continuando a fissare Vaarik con sguardo omicida.

"Faainak," continuò il secondo, con più convinzione questa volta. "Lo sai che il capo ha dato ordine di non fare niente finché non avremo catturato anche gli altri tre, come si chiamano... Foster, Dalton... e quello con quello strano nome, Renko."

A questa argomentazione lo sguardo dell'orioniano di nome Faainak vacillò impercettibilmente ma in maniera inequivocabile. Ad un terzo richiamo, l'orioniano abbassò lentamente l'arma.

"Hai ragione, Raazor," disse con riluttanza. "Meglio non far arrabbiare il capo." Poi si rivolse nuovamente al vulcaniano, lo sguardo traboccante di fredda minaccia. "Ma ti prometto che nessuno di voi uscirà vivo da qui dentro. Né tu, né la tua amica, né nessuno degli altri tuoi amichetti che arriveranno tra breve. Questo posto sarà la vostra tomba."

"Cosa volete da noi?" domandò Vaarik genuinamente incuriosito. Non aveva idea di cosa potessero volere da loro cinque dei contrabbandieri orioniani.

"Questo lo scoprirai presto, vulcaniano," gli rispose compiaciuto il malvivente, come se già pregustasse quel momento.

"Senti, testa di cetriolo," lo apostrofò Ripley squadrandolo con aria di sfida, "visto che tanto non usciremo vivi da questo posto, toglimi una curiosità: come riuscite a farla franca praticamente sotto il naso della Flotta Stellare? Ogni volta che si tiene un'esercitazione, questo planetoide pullula di cadetti e ufficiali istruttori. Dovrebbe essere impossibile."

"Ah, ah," rispose l'orioniano, agitando un dito ammonitore di fronte al naso della donna. "Mi aspettavo qualcosa di meglio da te, signorina. Hai mai sentito il detto: se non puoi batterli, fatteli amici?" ridacchiò, poi fece per girarsi sui tacchi ed allontanarsi.

"Bella battuta, te le scrivi da solo o c'è qualcuno che lo fa per te?" domandò Vaarik tutto d'un fiato, prima che l'orioniano potesse allontanarsi di un passo.

Veloce come una nave che passa a curvatura, il calcio del phaser lo colpì in pieno volto, facendo risuonare l'impatto per tutto il magazzino.

"Sta attento a non tirare troppo la corda, vulcaniano," gli sibilò in faccia il contrabbandiere. "Il capo ha detto che vi vuole vivi, non che vi vuole interi." Poi il suo volto si atteggiò ad un sorriso malvagio. "E non sperate che i vostri cari istruttori vengano a salvarvi. Attualmente, hanno già abbastanza problemi a salvare loro stessi!" e latrando una risata crudele, li abbandonò a loro stessi, lasciando il magazzino insieme ai suoi compagni.

Solo quando il suono delle sue risate fu scomparso oltre le pesanti porte metalliche, Vaarik fece una smorfia di dolore, cercando di riguadagnare sensibilità alla mascella.

"Tutto a posto?" chiese Ripley osservandolo di sottecchi.

"Ho fatto solo ciò che ritenevo necessario," rispose pragmaticamente il vulcaniano. "Abbiamo scoperto più cose in cinque minuti di prigionia che in tre giorni di ricerche."

"Contento tu," commentò ruvidamente la donna. "Ma passiamo ad argomenti più piacevoli: quando ce ne andiamo di qui?"

Vaarik considerò la questione per qualche istante. "In questo momento un tentativo di fuga non sarebbe l'opzione più logica."

Ripley lo guardò come se le avesse proposto di ballare la rumba in costume da bagno. "Ma sei scemo? Dobbiamo uscire ed avvertire gli altri!" esclamò.

Ma il vulcaniano stava già scuotendo la testa. "Negativo. Il resto della squadra sa badare benissimo a se stessa. In questo momento la nostra priorità è quella di raccogliere più informazioni possibili sulla situazione."

"Cos'altro hai bisogno di sapere? Io dico di uscire di qui, fare il culo ai cattivoni e tornarcene a casa il prima possibile!"

Vaarik cercò di esporre le sue ragioni nella maniera più concisa possibile. "Prima cosa, non abbiamo idea di dove ci troviamo né di quante persone ci siano all'interno di questo posto. Tentare la fuga in queste condizioni potrebbe essere troppo rischioso. Secondo, chiunque sia il loro contatto all'interno della Flotta, deve avere una posizione sufficientemente alta da permettergli di manipolare il programma che sorteggiava la composizione delle squadre per fare in modo che noi finissimo tutti insieme. Terzo, questo fantomatico 'capo', deve avere un motivo decisamente serio per mettere a rischio tutta questa organizzazione solo per mettere le mani su uno sparuto gruppo di cadetti. Non so tu, ma io sono piuttosto curioso di scoprire quale sia."

Ripley sembrò considerare la cosa per un momento, come se stesse soppesando le varie alternative. Poi si decise.

"Va bene," dichiarò. "Ma ad una condizione."

"Sarebbe?" chiese il vulcaniano con una sfumatura di genuina curiosità nella voce.

"Una volta che troviamo il figlio di puttana che ha messo su tutto questo," disse la donna sorridendo pericolosamente, "lo lasciate a me."

"Per me, affare fatto," disse Vaarik con aria soddisfatta.

"Affare fatto," ripeté Ripley, continuando a sorridere sempre più pericolosamente.

Qualche ora dopo...

Dopo la simpatica discussione avuta con i contrabbandieri, Vaarik e Ripley erano stati lasciati a stagionare da soli per alcune ore, senza che nessun altro dei loro carcerieri si facesse vedere.

Poi Faainak e i suoi uomini erano tornati, e, armi alla mano, li avevano slegati e condotti attraverso un dedalo di corridoi fino ad una specie di cella, un cubicolo piuttosto spartano di tre metri per lato. Per tutta la durata della procedura Vaarik tenne gli occhi incollati su Ripley, temendo che la donna non resistesse all'impulso di staccare le braccia a qualcuno dei loro ospitali amici. Fortunatamente, Ripley si dimostrò piuttosto collaborativa, almeno per i suoi standard.

Infine erano stati lasciati soli, non prima però di essere nuovamente legati mani e piedi con delle solide manette ad induzione.

"Contento?" chiese infine Ripley, ringhiando tra i denti.

"Il tuo comportamento è stato più che soddisfacente," annuì Vaarik laconicamente, sapendo quanto le fosse costato lo sforzo.

"Ecco, bravo," rispose la donna, lasciandosi scivolare lungo una parete e sedendosi per terra. "Ma la prossima volta che quei merdosi tentano di mi mettermi le mani addosso io gliele stacco, hai capito?"

Vaarik non poté fare a meno di dichiararsi d'accordo.

Dopo qualche tempo, il vulcaniano avvertì un leggero tramestio dall'altra parte della porta. Fece cenno a Ripley di tenersi pronta, in previsione di altri guai.

La porta della cella si aprì all'improvviso, e Vaarik vide una sagoma scura e voluminosa volargli letteralmente addosso. Prima che potesse reagire il vulcaniano fu investito in pieno dall'impatto e cadde all'indietro sotto quel peso inaspettato. Gli ci volle qualche momento per riprendere lucidità dopo l'urto, e quando la sua vista si fu rischiarata si trovò a fissare stolidamente la faccia di Dalton che lo guardava divertito.

"Dovremmo smetterla di vederci così," civettò l'umano con aria innocente.

Gli occhi di Vaarik si sgranarono per la sorpresa, per poi stringersi fino a diventare due sottili linee infiammate d'odio. "Scendi immediatamente dal mio stomaco, Dalton!" sibilò come un crotalo infuriato.

"Ok, ok, non ti scaldare," rispose l'umano, cercando di rotolare di lato. Essendo entrambi legati mani e piedi dalle manette ad induzione, la manovra si rivelò piuttosto complicata, ma in breve tempo districarono il garbuglio umano.

"Se avete finito di divertirvi, voi due," chiosò Ripley attirandosi due occhiatacce dai suoi compagni, "forse potremmo venire a capo di qualcosa."

Dalton si sistemò per terra, non essendoci altro posto per sedersi nella cella. Poi si guardò intorno perplesso, come se avesse perso qualcosa.

"Ehi!, dov'è Lara?" chiese preoccupato.

Vaarik e Ripley si scambiarono un'occhiata. "Non era con il resto della squadra?"

"No, anche lei è sparita poco dopo di voi senza lasciare tracce," rispose l'umano. "Supponevo che l'avrei trovata insieme a voi."

Vaarik inclinò la testa da un lato. "Interessante," commentò.

"Interessante un accidente!" sbottò Ripley riversando la sua rabbia verso il vulcaniano. "Chissà cosa le hanno fatto quei bastardi!"

"Questo è appunto il concetto che mi apprestavo ad esprimere," rispose il vulcaniano guardandola freddamente, "se mi avessi lasciato finire la mia frase. Finora, basandoci sulle parole degli orioniani, avevamo supposto che fossero interessati a catturare unicamente i soliti sospetti, ossia noi tre più Renko e Foster. Ora se però anche il cadetto Dyanthes è stata rapita, le cose si complicano ulteriormente."

"Questo è poco ma sicuro," concordò Dalton. "E se il loro fantomatico 'capo' non è interessato a lei, quei bastardi orioniani potrebbero farle qualunque cosa." Poi lanciò uno sguardo significativo alla pesante porta in metallo. "Dobbiamo uscire di qui."

"Allora, cosa stiamo aspettando?" chiese Ripley con l'aria di una che non vedeva l'ora di menare un po' le mani.

Circa dieci minuti dopo...

Forse l'evasione dalla cella era stata un po' rocambolesca, ma in fondo la cosa importante era che fosse stata portata a termine con indiscutibile successo.

Dalton aveva dato fondo alle sue doti di scassinatore (anche se lui preferiva il termine prestigiatore) per liberarsi della manette ad induzione, Ripley si era procurata una piccola ferita per utilizzare le proprietà corrosive del suo sangue e aprire uno squarcio nel muro per mettere a nudo i circuiti che alimentavano il blocco della serratura e infine Vaarik aveva sabotato gli stessi causando un cortocircuito e mettendo fuori uso l'allarme.

"Bel lavoro, gente, dovremmo farlo più spesso," aveva commentato Dalton, schizzando fuori dalla cella a velocità di curvatura.

Rapidamente i tre ispezionarono le altre celle del livello detentivo, scoprendo dentro una di esse Lara Dyanthes, anche lei ammanettata ma determinata a uscire al più presto da quel posto. Fortunatamente la ragazza non era stata trattata troppo duramente, probabilmente perché i contrabbandieri avevano pensato di ricavarne un piccolo extra rivendendola come schiava, ma aveva il volto pallido come quello di un cadavere e sembrava dolorante ad una spalla.

I quattro cadetti avevano infine deciso di comune accordo di separarsi in due squadre in modo da aumentare le probabilità di avvertire la Flotta e il resto del gruppo.

Vaarik e Dalton erano così rimasti soli, tentando di orientarsi nel labirinto di corridoi disposti apparentemente a casaccio. Il vulcaniano commentò che stranamente le tecniche di costruzione della base dei contrabbandieri sembravano indicare una chiara impronta federale, ma Dalton lo zittì dicendo che se voleva avrebbe avuto tempo di scrivere una recensione per l'Architectural Digest più tardi, ma che per il momento avrebbe fatto meglio a muovere il suo logico deretano il più in fretta possibile. Lanciandogli un'occhiataccia, Vaarik lo seguì senza aggiungere un'altra parola. Fortunatamente la base dei contrabbandieri non era così affollata, e più di una volta i due riuscirono a scivolare silenziosamente alle spalle di alcuni malviventi senza che questi ne avessero il minimo sentore.

Quando però un allarme cominciò ad ululare insistentemente nelle loro orecchie, i due capirono che la loro fortuna si doveva essere definitivamente esaurita.

Evitarono per un pelo un paio di squadre di ricerca armate di phaser, poi furono costretti a cercare riparo in una specie di magazzino, piuttosto simile a quello in cui Vaarik e Ripley si erano svegliati alcune ore prima.

Appoggiandosi alla parete per riprendere fiato, i due accesero la luce, trovandosi di fronte ad una scena quanto meno insolita. Di fronte ai loro occhi, legati come salami ed imbavagliati, c'erano gli istruttori all'Accademia che avrebbero dovuto accompagnarli nell'esercitazione.

Sherman, Leneorat, Vinsar, Karla, Gozar e un altro paio di assistenti li guardavano da sopra i loro bavagli, mugolando per essere liberati al più presto.

"Quanto ho sognato vedere una cosa del genere," commentò Dalton con aria sorniona, mente Vaarik si limitò a sollevare un sopracciglio a quella inconsueta visione.

"Avanti, liberiamoli," disse infine il vulcaniano, mettendo fine a quel momento magico.

"Dobbiamo proprio farlo?" domandò l'umano tra il serio e il faceto, attirandosi una serie di occhiate torve da parte degli istruttori.

"Temo di sì," rispose Vaarik con tono piatto. "Pensa a cosa farebbero a quei poveri orioniani."

I due cadetti si stavano accingendo a tagliare i nodi che li tenevano imprigionati quando dei rumori più forti in fondo al corridoio li costrinsero ad interrompere l'operazione per cercare riparo. Appena prima di andarsene, però, Dalton fece in tempo a lanciare un pezzo di metallo affilato agli istruttori, appena entro la loro portata.

"Non possiamo mica fare sempre tutto noi," sussurrò con aria desolata ai loro mugolii di protesta. "Anzi, vi consiglio di cominciare il più presto possibile!" ridacchiò, poi scomparve dietro la porta che si stava chiudendo.

* * *

"Dalton," disse Vaarik con il fiato mozzo, correndo a perdifiato lungo l'ennesimo corridoio della base dei contrabbandieri.

"Che c'è, Vaarik?" rispose l'umano sempre continuando a correre.

"Vorresti per favore spiegarmi chi è Françoise?"

Dalton quasi si strozzò cercando di non scoppiare a ridere in faccia al vulcaniano. "Corri, orecchie a punta, corri come se avessi le ali ai piedi!"

Erano riusciti con uno stratagemma ad attirare in trappola tre contrabbandieri, ma Vaarik si stava già adoperando per dimenticare al più presto possibile come ci fossero riusciti.

In breve raggiunsero un altro magazzino, dove si scontrarono (letteralmente) con Lara e Ripley. Sfortunatamente nemmeno loro erano riuscite a trovare l'uscita, ma in compenso le donne erano riuscite a mettere fuori combattimento un buon numero di orioniani.

"E adesso?" chiese Lara, guardandosi attorno.

"Tentiamo con l'unica porta che non abbiamo aperto," rispose Ripley con un'alzata di spalle.

Aspettandosi il peggio, il quartetto aprì la porta, trovandosi istantaneamente sommerso da una marea umana che faceva irruzione in quel momento nella stanza.

Per un tempo assurdamente lungo, Vaarik si ritrovò letteralmente in balia della corrente, tentando con tutte le sue forze di non rimanere schiacciato nella mischia. Il vulcaniano lottò, spinse, colpì e scalciò completamente alla cieca, con il solo risultato di ricevere in risposta altri calci e spintoni. Infine la marea umana sembrò rallentare, mentre a poco a poco i cadetti riconoscevano nei loro presunti aggressori i restanti membri della squadra.

"Paul, Renko, amici miei, non sono mai stato così felice di vedervi!" disse Dalton raggiante, mentre stringeva a sé Lam cercando di consolarla.

"Andiamo bene," gli rispose Foster tentando di liberarsi di Bolty che continuava imperterrito a mordergli un polpaccio. "Se questa è l'accoglienza per gli amici non voglio vedere quella per i nemici!"

"Ehi, come diavolo avete fatto a scoprire la base dei contrabbandieri?" domandò invece Ripley, a cui i convenevoli non erano mai piaciuti.

"Contrabbandieri? Quali contrabbandieri?" domando l'umano guardandola con perplessità. "Io e Mef stavamo seguendo le vostre tracce quando abbiamo trovato questa base."

"Un momento," si intromise Rebecca spuntando da dietro di loro. "Di cosa state parlando? Questa è la struttura abbandonata che avevamo visto sulle mappe. Io, Sh'muss e Bolty stavamo trasportando qui Ilaij sperando di trovare attrezzature mediche o una radio funzionante."

Come al solito toccò al vulcaniano dare le cattive notizie. "Signori, avremo tempo più tardi per le spiegazioni. Al momento la linea di condotta più logica sarebbe un rapido allontanamento dalla zona."

"Muoviamoci," aggiunse Musuko. "Io e Renko abbiamo sentito delle persone armate che stavano venendo proprio da questa parte."

Come mossi da un unico pensiero, i dodici cadetti fecero per guadagnare l'uscita, ma la porta automatica si chiuse davanti a loro ancora prima che potessero raggiungerla.

In men che non si dica la squadra venne circondata da almeno una ventina di orioniani, armati fino ai denti e con i phaser spianati. Con la coda dell'occhio Vaarik vide sul volto di numerosi suoi compagni il desiderio di tentare una reazione, ma nessuno ebbe bisogno di ricorrere al suo aiuto per rendersi conto che in quelle situazioni le probabilità di riuscita si avvicinavano allo zero statistico. Improvvisamente però il vulcaniano vide le sue riflessioni interrotte dall'inaspettato suono di due mani che applaudivano lentamente.

"Bravi... bravissimi..." disse una voce soddisfatta, mentre il proprietario delle mani si faceva avanti lentamente da un angolo buio della sala. "Mi sono proprio divertito. Bravi..."

Quando l'uomo arrivò finalmente in piena luce, Vaarik vide che indossava l'uniforme di un comandante della Flotta Stellare, e che il suo volto mostrava una incredibile rassomiglianza con quello di una loro vecchia conoscenza. Lo accompagnava al suo fianco un piccolo caitiano dal pelo bianco, intento a sghignazzare sommessamente.

"Finalmente ci incontriamo, signori e signore," disse l'uomo, "come le vostre facce mostrano chiaramente, avete notato la somiglianza tra me e mio nipote Dick," ridacchiò strofinandosi le mani. "Oh, ma che sbadato che sono!" esclamò poi, dandosi affettatamente un colpetto sulla fronte. "Permettetemi di presentarmi, sono un uomo ricco e di buon gusto, ed il mio nome è Damocles... Damocles Dastardly. Come forse avrete già intuito, è da un pezzo che con l'aiuto dei miei soci sfrutto questo posto per il contrabbando." Fece una risatina sinistra. "In fondo chi sospetterebbe mai che un'installazione dell'Accademia è usata per scopi illegali?"

"Scusate, ma perché ce lo sta dicendo?" sussurrò Meferura, perplesso.

"Si vede che non hai mai conosciuto il nipote, eh?" gli rispose Foster altrettanto sottovoce.

Intanto Damocles continuava a parlare con aria compiaciuta. "Ma sapete come vanno queste cose, non volevo limitarmi a questi affarucci. Avevo perciò mandato mio nipote in Accademia, per prendere contatti, organizzare estorsioni, fare ricatti... le solite cose, insomma. Infine la faccenda delle elezioni, il mio colpo di genio!" disse, agitando un pugno con aria ispirata. "Come braccio destro del rappresentante degli studenti, Dick avrebbe potuto mettere le mani in pasta dappertutto, e accrescere ancora di più gli introiti della mia organizzazione." Poi i suoi occhi si strinsero a due fessure. "E voi maledetti avete rovinato tutto... tutto!" tuonò, puntando un dito indicatore in direzione di Vaarik, Renko, Luke e Paul.

"E così, quando si è presentata questa occasione, ho riprogrammato il computer che selezionava la composizione delle squadre per fare in modo che i responsabili fossero teletrasportati tutti insieme, per potermi vendicare in solo colpo di tutti e quattro." Fece una pausa ad effetto, poi continuò con aria quasi triste. "In realtà avremmo dovuto catturare solo loro, ma l'incapacità dei miei uomini ha reso le cose più complicate. Sono veramente spiacente per coloro che ci vanno di mezzo senza averne colpa, ma... capirete, a questo punto il minimo che possa fare è dare a tutti voi una lenta e dolorosa morte!" disse poi, il viso contratto in una risata maligna.

Dopo alcuni minuti di risate, Damocles si rese conto che nessuno dei cadetti sembrava gran che impressionato dalle sue minacce. "Ma... avete capito che state per fare una fine orribile e incredibilmente dolorosa?" domandò poi, fissandoli con stupore. "Avete capito che tra pochi secondi i miei uomini penseranno a voi?"

I cadetti si guardarono in giro con aria vacua.

"Quali uomini?" domandò infine Vaarik con estrema freddezza.

"I miei... uo..." Damocles si guardò freneticamente in giro, cercando tracce dei suoi sgherri, ma, con sua enorme sorpresa, li vide tutti accasciati a terra, completamente privi di sensi. Dietro di loro, dall'ombra si fecero avanti le figure di Sherman e Gozar, armati di robuste mazze dall'aspetto minaccioso, mentre dietro le sue spalle apparvero Kharla e la dottoressa Leneorat, la quale reggeva ancora in mano il tricorder dove era stata registrata la sua confessione. Gli istruttori erano finalmente riusciti a liberarsi, anche se dal modo in cui guardavano Luke e Vaarik non doveva essere stata un'impresa facile.

Inchiodato letteralmente con lo stesso metodo del nipote, Damocles lanciò un'occhiata in direzione del caitiano, che nel frattempo era stato acchiappato per la collottola da un Vinsar ancora più minaccioso del solito prima che se la svignasse.

"MUMBLEY, FA QUALCOSA...!" non poté fare a meno di urlare, mentre Gozar e Sherman lo trascinavano via.

Intanto i cadetti, soddisfatti per la conclusione della vicenda, si stavano congratulando tra loro.

"Davvero un bel lavoro, gente, dovremmo farlo più spesso," stava dicendo Dalton, stringendo mani a destra e a manca. "Ora quello che ci vuole è una bella bevuta tutti insieme!"

"Parla per te," lo rimbeccò scherzosamente Renko, aggiustandosi sul naso gli eterni occhiali scuri. "Io voglio solamente tornare nel mio alloggio, fare una doccia sonica e dormire per due settimane."

"Esagerato," disse Foster facendogli una strizzata d'occhio. "Per quanto mi riguarda una settimana è più che sufficiente. Tu che cosa ne dici, Lara?" domandò poi, voltandosi verso la ragazza. "Ehi, Lara! Lara, che hai?"

La ragazza giaceva accasciata a terra, immobile e pallidissima.

"LARA! LARA!! LARAAAA!!!"

FINE CAPITOLO