SOGNANDO IL PRIMO CONTATTO

PROLOGO:

C'era nebbia nella tempesta. E voci. Con il terminale acceso su di un video racconto, nel microscopico angolo cucina che poi era tutt'uno con il soggiorno, stavo curando i miei Papaveri di Oz. Avevo scoperto che era questo il nome federale dei fiori, che nome curioso. Beh, in realtà non sono i veri Papaveri di Oz ma una selezione meno pericolosa. Le spore di questi papaveri, infatti, non vengono rilasciate spontaneamente dalla pianta con il rischio che possa inalarle qualcuno. Inoltre, non sono in grado di colonizzare un pianeta alieno, è necessario curarne in modo particolare la crescita per fare in modo che la pianta si sviluppi. Beh, altrimenti non avrebbero passato i controlli per lo sbarco sul Sol III.

-Terra, quando mi abituerò a chiamarlo Terra?-

Li avevo fatti nascere dalle spore che 318, mia madre, mi aveva portato durante la sua visita all'Accademia.

"Allora... io vado." La mia compagna di stanza si affacciò (per quanto ci si possa affacciare in un open-space) all'angolino cucina per salutarmi.

Mi voltai per confermarle che avevo sentito: "Bene" dissi, "suppongo starai via un paio di giorni, come al solito, no?"

"Tornerò domani sera" mi rispose, senza però accennare ad allontanarsi.

"Aspetti ospiti?" chiese con tono casuale.

"Si, per un gruppo di studio."

"Gruppo di studio... va bene... allora ti saluto."

"C'è qualcosa che non va?"

"Io? Tu piuttosto, da quando sei tornato dal Pianeta del Sempre ti comporti in modo strano."

"Beh, diciamo solo che..."

 

[flash back]

Dopo il viaggio di ritorno dal Pianeta del Sempre, dopo i lunghi interrogatori da parte del Dipartimento per le Investigazioni Temporali, finalmente ero riuscito a tornare nel mio alloggio per un momento di relax. Mi diressi verso il replicatore con l'intenzione di ordinare una qualche bevanda calda e rilassante quando restai impietrito. Non era il mio replicatore. Al suo posto c'era un modello molto più grande e sofisticato. Una vocina irrazionale, all'interno del mio cervello, approfittò della mia stanchezza per prendere il sopravvento.

/Vedi, vedi che non è tornato tutto a posto?/

Si, invece, ho controllato, questa è la linea temporale giusta.

/No, non è vero, è quasi uguale ma è un'altra, è un'altra./

No, ti dico, ho subito chiamato 318 dalla Huston, lei c'era. Era viva, capisci? Viva.

/Questo non vuol dire niente.../

"Ti piace il nuovo replicatore?" sentii la voce provenire dalle mie spalle.

Una voce femminile.

Era la mia compagna di stanza.

Che strana sensazione. Come se mi fossi aspettato di incontrare un'altra volta Biukal il camionista spaziale, invece della ragazza. Restai con lo sguardo fisso sul replicatore. Irrazionalmente ebbi il timore di voltarmi. E se mi fossi voltato e avessi visto un'altra persona? Magari il terzultimo ospite di Coren, perché no? Quando iniziai a sentirmi troppo stupido per restare ancora in quella posizione decisi di raccogliere le forze e mi girai.

Era lei, che mi guardava in accappatoio dalla soglia del bagno.

Che strana sensazione.

L'avevo già detto?

Non riuscivo a spiegare perché mi sentissi quasi sollevato nel vederla. Forse era semplicemente un'altra conferma che fossi tornato veramente a casa. Forse. Eppure c'era qualcosa che non andava. Sul volto aveva un'espressione rilassata, come se fosse stata lei ad essere sollevata per aver rivisto me e non il contrario. Sono contento per la morte di Biukal?

Avanzai di un passo verso la porta del bagno, verso quella figura in accappatoio e dissi la cosa più logica in quel momento: "Che cosa è successo al replicatore che avevamo prima?"

"Ah," le sue sopracciglia, fino ad allora distese, si corrugarono leggermente in cerca di una spiegazione alla mia domanda "quello... si è rotto."

"Si è rotto?"

"Sì, si è rotto. Rotto! Capita, sai? Comunque questo è molto meglio."

Mi avvicinai al replicatore per analizzarlo più attentamente. La parete d'incasso portava ancora qualche segno di lotta, non mi ci volle molto per capire come poteva essersi rotto il vecchio replicatore.

"E' vero," concessi infine "è più grande, più moderno."

[end flash back]

 

"...diciamo solo che la lezione sulla fisica temporale si è dimostrata più pesante di quello che pensavo."

"Sì, lo so, si è già sparsa la voce su quello che ha combinato Fraser. A proposito, complimenti per la vostra missione. Stai aspettando gli stessi cadetti che erano insieme a te sul Pianeta del Sempre?"

"Non arriverai in ritardo?" tentai abilmente di portare la conversazione su altri binari, più innocui. La vidi consultare il Padd ed ammettere, con tono riluttante: "E' vero, devo proprio andare, ora."

Afferrò la valigia e si diresse verso la porta. "Ci vediamo"

Meglio non fare l'errore di sottovalutare la sua paranoia, probabilmente ha fiutato qualcosa.

Presi il tricorder della sicurezza e rifeci il giro dell'alloggio per accertarmi che non saremmo stati spiati da orecchie indiscrete.

GOTTO ESPLOSIVO PANPAPAVERO

Venti minuti dopo

"Ehi, hai un replicatore nuovo!"

"Interessante, quali sono le sue specifiche?"

"Resta pur sempre una macchina che serve a clonare della roba, io non mi fiderei."

"Anche noi dovremmo prenderne uno più grande, ora che siamo in due in alloggio, giusto Vaarik?"

Ripley, Foster, Vaarik e Luke si stavano accalcando vicino al mio replicatore nuovo. Malgrado non fosse merito mio, mi sentivo comunque orgoglioso come un vero padrone di casa.

"Che ricette ha?"

"Non saprei, non l'ho ancora usato, voi cosa volete bere?"

"Gradirei un Tevesh."

"Sedano, c'è il sedano?"

"No, dobbiamo festeggiare! Prendiamo un Gotto."

"Gotto?! Sarebbe?"

"Non lo so, ma è qui sulla lista."

"Certo che come nome..."

"Proviamo a spingere questo bottone."

"No, per me bisogna spingere questo qui."

"Ma non va a comando vocale?"

"Ehi, calma, non scassatemi il replicatore nuovo, che già quello vecchio ha fatto una brutta fine" dissi, tentando di farmi spazio nella folla a gomitate. Purtroppo, il mio vaso di papaveri azzurri, che stavo amorevolmente curando prima dell'arrivo del gruppo e che era rimasto sul tavolo di fianco al replicatore, venne urtato nella confusione, rovinando al suolo. L'incipiente disastro sfuggì alla mia attenzione e, nulla potendo fare per fermar lo scempio, sfociò in un tripudio di cocci che si sparsero sul pavimento, facendo da colonna sonora all'ordinazione di Ripley:

"Allora è deciso, cinque Gotti Eplosivi Pangalattici."

Il ronzio di cinque bicchieri che si stavano materializzando in una danza di scintille funse da sigla finale.

"I miei Papaveri!" Mi chinai per salvare il salvabile delle pianticelle prima che potessero essere travolte da cinque paia di piedi assettati.

"Ma si può sapere chi te lo fa fare di tenere un vaso di papaveri azzurri in alloggio?" chiese Paul.

"Ehi, sono i papaveri che mi ha portato la mamma. E poi sono un ricordo del mio pianeta.

Beh, meno male che non hanno subito troppi danni, li posso trapiantare in un altro vaso."

"Potremmo iniziare a parlare di cose serie, ora?" chiese Vaarik, alzando il sopracciglio come complemento alla comunicazione verbale e dirigendosi verso il divanetto. "Se non erro, e ai vulcaniani capita di rado, ci siamo riuniti qui per discutere riguardo..." Vaarik fece una pausa come per scegliere le parole più adeguate "...all'arricchimento che, come cadetti, possiamo trarre dalla lezione sul Pianeta del Sempre."

Pausa di raccoglimento.

"E' sicuro quest'ambiente?" chiese Foster.

"Assolutamente" risposi, "siamo isolati, se anche qualcuno tentasse di spiarci sentirebbe una normale discussione riguardo una lezione di fisica."

"Bene, perché non vedo l'ora di recuperare quel latinum!" esplose Dalton. "Dopo tutto quello che abbiamo sopportato è veramente il colmo avere tutto quel ben di Dio a disposizione e non riuscire a portarlo fuori dal Pianeta del Sempre senza essere beccati!"

Luke sbatté il bicchiere ormai vuoto sul tavolino enfatizzando la sua frustrazione, dopodiché si appoggiò alla spalliera del divano, emise uno sbuffo, e si addormentò di botto.

Restai a fissarlo per qualche secondo, stupito. Poi mi chinai su di lui e gli scossi leggermente la spalla. "Luke?" chiamai.

Nessuna risposta.

"Ragazzi, temo che Dalton sia partito" dissi, voltandomi verso il resto del gruppo per chiedere consulto e scoprendo invece che stavano tutti ronfando beatamente lì dove si erano seduti.

"Ragazzi?" dissi, battendo le mani, scuotendoli più o meno violentemente e urlando:

"SVEEGLIAA!"

Niente.

Indietreggiai perplesso, come quando si tenta di prendere distanza dalle cose per analizzarle meglio. Così facendo urtai contro il tavolino e sentii un leggero tintinnio. Mi voltai appena in tempo per vedere il mio bicchiere ondeggiare leggermente per poi ristabilizzarsi, dopo qualche attimo, nella sua posizione originale. Il liquido al suo interno si aggrappava alle pareti, come se tentasse di fuggire prima che il contenitore potesse rovinare a terra. In preda ad un'intuizione presi in mano il bicchiere. Il mio era ancora pieno, non avevo ancora bevuto. Guardai i restanti quattro bicchieri, erano stati tutti vuotati.

"Ma che roba è questa?" mormorai, afferrando il tricorder ed iniziando un'analisi molecolare.

Spore.

Non è possibile, eppure sono proprio i sintomi iniziali delle spore dei Papaveri di Oz.

Uno stato di sonno forzato.

Guardai i miei papaveri momentaneamente parcheggiati in un vaso di fortuna. Feci l'analisi con il tricorder. Niente di strano. Erano sempre quelli di stamattina, non avevano subito strane mutazioni o chissà cosa. I miei papaveri facevano parte di una selezione modificata, le loro spore non avevano gli stessi effetti di quelle dei veri Papaveri di Oz, quelli che crescono spontanei sul mio pianeta. Effetti alquanto pericolosi, infatti provocano, nei soggetti che le inalano, uno stato di coma ed una proiezione extracorporea guidata dall'inconscio. Praticamente viene creata una copia dell'ospite, purtroppo questa non si comporta come quando il soggetto è cosciente, ma è priva di inibizioni morali. Come ho avuto modo di scoprire, grazie ad una lezione di storia tenuta da Kathleen Sky, la Federazione aveva già incontrato queste piante ai tempi dell'Enterprise del Capitano Kirk. Dopo quella missione, alle navi federali era stato vietato lo sbarco su Delta Gamma IV.

Ma queste sono divagazioni, ciò non cambia che i miei papaveri non dovrebbero avere questi effetti, allora cos'era successo? Il mio tricorder della sicurezza, a questo punto, non poteva più essermi utile, mi avvicinai a Vaarik con cautela e mormorando qualche parola di scusa presi il suo tricorder scientifico per procedere ad un'analisi più accurata. Mentre gli sfilavo il tricorder dalla cintola, tuttavia, non potei fare a meno di considerare, irrazionalmente, quanto fossi sollevato che in quel momento fosse privo di conoscenza.

Dopo qualche minuto passato a litigare con lo strumento che si ostinava a visualizzare i dati in vulcaniano invece che in galacta, riuscii ad analizzare nuovamente il liquido nel mio bicchiere.

Effettivamente c'era qualcosa che prima era sfuggito. Si trattava delle spore dei miei papaveri ma allo stesso tempo non lo erano. E' complicato, del resto io faccio parte della sicurezza non dello scientifico. A quanto pare, quando il vaso di papaveri era caduto, alcune spore erano state rilasciate e si erano trovate nel replicatore proprio mentre questo stava materializzando i cinque drink. In questo modo le molecole delle spore si erano fuse con quelle del Gotto Esplosivo Pangalattico creando un nuovo tipo di bevanda dagli effetti collaterali deleteri. L'analisi delle onde Alfa dei miei compagni, infatti, indicava chiaramente che stava già iniziando il processo di proiezione extracorporale, eppure, le loro onde cerebrali erano stranamente coordinate fra loro.

Restai con il bicchiere in mano chiedendomi cosa fare. Raccolsi le mie forze nel tentativo di capire dove le loro proiezioni potessero essere ma non riuscii a percepire nulla. Era piuttosto inconsueto che non riuscissi ad individuarli, forse ero io che interpretavo male i dati, come ho già detto, non sono dello scientifico, probabilmente stavano solo sognando e basta. Si, era senz'altro così, si stavano facendo solo una bella dormita, il guaio era che avrebbero potuto dormire per settimane se nessuno li riportava indietro.

A questo punto scrollai le spalle, non mi restava che una soluzione. "Ha'maj tlhutlh!" esclamai alzando il bicchiere verso le quattro figure pacificamente addormentate e ingollandone il contenuto.

UN PRIMO CONTATTO DA SOGNO

Cobledick, Fraser, l'universo parallelo della Coorporazione Unita dei Pianeti, tutte immagini che riapparivano nel sonno. Stralci di un passato alternativo recente che tornavano e venivano rielaborati a ruota libera. La morte di 318, le torture di Gozar, musica terrestre degli anni 70 (?!), fotogrammi spaiati di una trama onirica. Ma perché? Perché più uno tenta di liberarsi di una cosa e più questa affolla le sue notti?

E che cavolo voleva dire quella maledetta storiella del mattino con l'oro in bocca?

Era buio, no, era Notte. Una luce proveniva da una baracca, dall'interno giungevano gli echi di una conversazione, dall'esterno quattro figure perplesse spiavano gli inquilini attraverso una finestra. Le quattro figure avevano un qualcosa di famigliare... la silouette di Ripley, l'altezza di Foster, la scanzonatezza di Dalton e le orecchie di Vaarik. Li avevo trovati.

"Renko, ci sei anche tu!" constatò Foster, appena mi scorse.

"E' ora di svegliarsi" li avvisai, "forza, torniamo indietro."

"Per me andrebbe anche bene," acconsentì Luke, sebbene aleggiasse un vago accento di ironia nel suo tono di voce "perché non facciamo così, va avanti tu, che noi ti seguiamo."

"Va bene, si fa così, si svuota la mente da tutto il resto e ci si concentra sul ritmo del proprio corpo, del proprio respiro quando si dorme, poi basta pensare a qualcosa di... per esempio... alla sensazione del contatto fra voi e il divano sul quale state dormendo e in un attimo..."

...

"Sono ancora qui."

"Lo vediamo."

"A quanto pare la Meditazione del Risveglio del Dinosauro non ha funzionato" annunciai perplesso.

"Sentite, io sono stato un militare, ho fatto una guerra," iniziò a dire Luke "sono abituato a dormire e svegliarmi a comando, beh, sapete, le situazioni critiche e tutto il resto... e vorrei proprio sapere come mai non riesco a svegliarmi adesso. E vorrei proprio sapere perché sto spiegando tutto questo a voi che siete solo proiezioni della mia mente, e soprattutto vorrei sapere perché sto sognando voi invece di sognare... di sognare... beh, questi sono affari miei."

"Caso mai sei tu, ad essere una proiezione della mia mente, nel mio sogno" ritorse Ripley.

"No, Ripley, non è così semplice" la calmò Foster, poi si voltò verso Vaarik, come per chiedere un silenzioso consenso. Il vulcaniano, sulle prime, assunse l'espressione più stoica che riuscì ad indossare, ma poi, con un cenno d'intesa verso Paul, prese la parola: "Da parte mia, per ragioni su cui non mi dilungherò," pausa di 2,1 secondi prima di riprendere il discorso "ho l'assoluta certezza che il Foster qui presente non è dovuto ad una mia proiezione mentale..." reticenza di 1.9 secondi "...ma si tratta della vera essenza di Paul."

"Lo ammetti!" esclamai. "Lo sapevo! Lo dicevo io che avevate fatto una fusione mentale!

Finalmente ne ho la prova!"

"La logica mi porta a pensare" continuò Vaarik ignorandomi deliberatamente e forzatamente, mentre Paul guardava in alto fischiettando, "che neanche voi siate semplici proiezioni mentali ma che in qualche modo, in questa... situazione, noi siamo in contatto."

"Magnifico," sospirò Luke "isteria collettiva, proprio quello che mi ci voleva per concludere degnamente la settimana."

"Lo ammetti!" incalzai Vaarik

"Ammettere cosa?" replicò, alzando un sopracciglio "perché non ci parli tu del motivo del tuo... chiamiamolo 'ritardo di apparizione'... c'è forse qualcosa di cui vorresti metterci al corrente?"

"Stiamo facendo un sogno collettivo." Semplice, conciso, ero fiero di me.

"Come fai ad esserne così sicuro?" chiese Paul.

"Beh... perché dopo anni di arti marziali esoteriche e grazie alla mia abilità nella meditazione..." iniziai a dire, prima di incontrare quattro paia d'occhi troppo espressivi perfino per un vulcaniano "...e va bene, prima di addormentarmi ho effettuato su di voi un'analisi con il tricorder e ho constatato che le vostre onde alfa erano sincronizzate. E' stato questo a farmi pensare all'ipotesi del sogno collettivo e visto che il sonno era dovuto ad un beverone di alcool e spore, ho pensato che bevendolo avrebbe sortito lo stesso effetto anche su di me, infatti eccomi qua."


 

[Warning! Citazione in corso - Frankenstein Jr. docet]

"Dunque..." disse Foster, mettendomi un braccio su una spalla e parlando con tono come se stesse imitando una conversazione sul più e sul meno "... fino all'alcool ci arrivo, Gotto Pangalattico... roba... come si può dire... forte. Già. Ma... spore?! SPORE?! Non stiamo parlando delle spore dei papaveri azzurri che tu tieni nel tuo alloggio insistendo che tanto quelli sono innocui. Non delle spore di Delta Gamma IV, vero?"

Proprio la domanda che serviva per mettermi a mio agio. Si, certo, lo stesso agio che si prova quando un isaak ti annusa le chiappe.

"Non esattamente."

"Non, esattamente?! E di cosa, esattamente, stiamo parlando?"

"Promettimi che non ti arrabbierai."

"No. Io. Non. Mi. Arrabbierò."

"Beh, sembra che le spore innocue dei miei papaveri innocui abbiamo subito una mutazione quando si sono fuse con il Gotto Pangalattico Esplosivo, ed alcuni effetti che non avrebbero più dovuto avere siano stati... ripristinati."

"Mi stai dicendo che siamo in preda degli stessi effetti delle spore del rapporto FANTASMA A BORDO di Kirk che abbiamo studiato nel corso di storia della professoressa Sky?!" iniziò Foster, con un tono di voce in via di escalation "che passeremo i prossimi mesi a dormire e vagare in preda a proiezioni extracorporee senza controllo? E' Questo Che Mi Stai Dicendo? CANAGLIA! Io ti strangolo!"

"Presto..." feci appena in tempo a dire, mentre Foster mi saltava alla gola "...dategli un..." e iniziasse a stringere, "...dategli un..."

"Si? Quante sillabe?" chiese Luke ironicamente, mentre se ne stava con le braccia incrociate e sembrava non avere la minima intenzione di fermare Paul.

[End citazione. Peccato...]


 

Afferrando le mani di Paul che afferravano la mia gola, riuscii a trovare i punti di leva delle articolazioni e a svincolarmi dalla stretta prima che l'ossigeno cessasse del tutto la sua peregrinazione attraverso la mia trachea. "Insomma!" sbottai con uno sguardo significativo verso Luke, "non è stata mia l'idea di replicare del Gotto! Comunque" continuai "non è andata così male, quando vi ho visti addormentati ho provato a percepire traccia di proiezioni extracorporee ma non ne ho trovate, quindi stiamo solo dormendo."

"Non le hai trovate perché le hai cercate nel presente" si intromise Vaarik, con espressività del tutto scientifica "noi siamo nel passato" concluse, indicando la finestra.

Mi avvicinai e all'interno scorsi la figura inconfondibile di Cochrane.

-Strano, - ricordo di aver pensato, -in statua sembrava più alto.-

"Per viaggiare nel passato bisogna disporre di un'energia incredibile" meditò Foster, "forse è vero che stiamo solo sognando e il nostro subconscio ha richiamato Cochrane e il

Primo Contatto in quanto siamo ancora scossi dall'ultima avventura spazio-temporale."

"Beh... irreale o meno" disse Ripey "non vedo perché starsene qui in piedi come allocchi, almeno godiamoci il sogno." Ed entrò nella baracca dove c'era Cochrane.

Il pilota si voltò verso di lei e la squadrò un attimo, poi, con fare allegramente forzato, come capita solitamente a chi ha già bevuto, esclamò: "Cameriera, un whisky! Liscio, stavolta."

"Cameriera?" si chiese Ripley aggrottando le sopracciglia "ma questo qui è andato."

"Mi sa che mi farò anch'io una bevutina!" sospirò Foster dirigendosi verso il bar. "Chissà che sapore ha il whisky sognato."

"Barista!" continuò Cochrane appena scorse Paul dietro al bancone "questo giro lo offro io a tutti, anche a quel baro laggiù e al suo degno compare" se ne uscì, indicando me e Luke che nel frattempo ci eravamo seduti ad un tavolo.

"Cosa? Baro a me?!" si scandalizzò Dalton. "Ma come si permette quell'ubriacone!"

"Hai presente il detto: 'in vino veritas'?" ribatté con nonchalance Vaarik, prima di sedersi anch'egli "A proposito, interessante il tuo abbigliamento."

Dalton guardò verso Vaarik con un'espressione interrogativa sul volto, poi, lentamente, abbassò lo sguardo per osservarsi i vestiti che consistevano in una divisa azzurro aviatore intercalata da inserti in pelle marrone. "Si da il caso che questa fosse la mia divisa quando stavo su Babylon 5" ribattè verso Vaarik con un tono di voce tendente più allo stupito che alla sfida. "Tu, piuttosto, che cosa sarebbe quello che hai addosso, quello che un vulcaniano sogna di indossare?"

Entrati nell'ambiente luminoso, tutti stavamo facendo caso per la prima volta al nostro abbigliamento. Foster indossava la divisa grigia della SHADO con relativo stemma sul petto; Ripley indossava semplicemente un paio di pantaloni e una canotta; Luke, come aveva avuto già avuto modo di specificare, la divisa del suo universo ed io ero vestito esattamente come quando stavo al castello di Kyôki per studiare arti marziali esoteriche. Ossia sfoggiavo una casacca con colletto alla coreana legata in vita da una fascia di stoffa e i larghi pantaloni di tessuto che non impedivano i movimenti e... avevo di nuovo la mia coda! Era come se ognuno di noi riflettesse la propria essenza tramite i vestiti. L'incognita del gruppo era rappresentata da Vaarik, quando mi sarei aspettato di vederlo con un accappatoio vulcaniano ricamato con simboli a chiave di violino, Vaarik indossava invece pantaloni e una tunica dall'aspetto parco e piuttosto logoro, a tratti il tessuto era squarciato da segni che assomigliavano a tutto e per tutto a colpi di frusta.

"I vulcaniani non sono avvezzi ai sogni" replicò Vaarik, con tono gelido, alla domanda che gli aveva posto Luke.

"Ho visto bassorilievi di antichi vulcaniani di ta'Valsh vestiti con abiti simili" intervenne in soccorso Foster da dietro il bancone. Eppure c'era qualcosa di forzato nella sua voce, aveva lo stesso tono che hanno i vulcaniani quando fanno un'affermazione che, tecnicamente non è una menzogna, ma che sanno porterà l'interlocutore a conclusioni falsate, basate su presupposti che loro stessi gli stanno fornendo. "Beh?" concluse poi con un'alzata di spalle, avendo notato che sia io sia Dalton lo stavamo fissando, "non ho mica sposato un'archeologa per niente!"

In quell'attimo mi venne un'intuizione geniale: "Ci sono!" esclamai "so come possiamo svegliarci. Prima la meditazione del Risveglio del Dinosauro non ha funzionato perché l'ho fatta da solo, non avevo tenuto conto che le nostre onde alfa sono sincronizzate, perciò perché funzioni è sufficiente avere una mezz'oretta di tranquillità che ci permetta di raggiungere la giusta concentrazione per una meditazione collettiva."

"Una mezz'oretta di tranquillità per una meditazione collettiva?" rimuginò Paul, "pensavo peggio."

"Allora possiamo iniziare subito, a parte Cochrane ubriaco fradicio, qui è tranquillissimo" furono le ultime parole famose sgorgate dalla gola di Dalton.

Improvvisamente la porta si spalancò con difficoltà e ne entrò un terrestre alquanto vecchio e con lo sguardo ossessionato. Si fermò in mezzo al bar e puntò un'arma rudimentale in direzione di Vaarik "L'altro non sono mai riuscito a fermarlo" esclamò mentre la pistola gli tremava fra le mani "ma posso ancora fermare te."

La sua ossessione era palese. L'atmosfera drammatica fu però interrotta dal sagace commento di Luke. "Ecco, ti fai sempre riconoscere" rinfacciò al vulcaniano. "Non ti bastava spaventare i bambini, adesso anche i vecchietti. Da un estremo all'altro."

Il vecchio, distratto dalla frase di Luke, spostò lo sguardo su di lui, e spalancò gli occhi: "Un altro," poi il suo sguardo di lucida follia percorse il resto dell'ambiente "e un altro, un altro, e un altro e... un altro" furono le sue parole mentre si girava intorno cercando di tenere tutti sotto tiro, con la canna della pistola che tremava sempre più fra le sue vecchie e stanche mani. "Cochrane, ti fermerò! Fermerò tutti voi Cochrane, maledetti, nessuno di voi riuscirà a sfuggirmi. Questo trucco non vi servirà a nulla!"

Indietreggiando, il vecchio inciampò contro Foster. Paul gli era infatti scivolato alle spalle e si affrettò ad afferrarlo e adagiarlo gentilmente sul pavimento, prima che rovinasse a terra rompendosi qualcosa. Fu poi facile cogliere l'occasione per immobilizzarlo e disarmarlo.

"Maledetto Cochrane," stava intanto imprecando il vecchio in direzione di Paul "Sarai la nostra rovina!"

"A quanto pare, questo vede Cochrane ovunque" constatò Paul "perfino in noi."

"Uno degli effetti delle spore è quello di venire visti dagli altri a seconda delle proiezioni del loro subcosciente" spiegai. "Questo signore è ossessionato da Cochrane e perciò ci vede tutti come Cochrane. Cochrane, di suo, ci vede come frequentatori di questa bettola di quart'ordine, sovrapponendo alle nostre figure, immagini tratte dalla sua mente intossicata dai fumi dell'alcool."

"Intendevi dire 'uno degli effetti sarebbe', condizionale, cioè se questo non fosse solo un sogno, vero?"

"Sogno, non sogno... in fondo, cos'è che si sogna? Ciò che si sa."

"Curioso" stava intanto meditando Ripley, mentre analizzava con lo sguardo il vecchietto steso a terra "si sarebbe ridotto così anche quel bambino se io no gli avessi concesso uno dei miei autografi."

"Concesso uno dei tuoi autografi?" rimandò Luke aggrottando le sopracciglia. "Non ti starai un po' montando la testa?"

"Non potrai negare che ho salvato l'universo grazie alla mia popolarità" tagliò corto Ripley, rivolgendosi a Luke con scanzonata aria di sfida.

"Va bene, va bene" li interruppi, "adesso basta giocare, avanti, bisogna iniziare a meditare."

"Un bar dove un astronauta ubriaco fradicio sta tentando di intrattenerci cantando obsoleti canti terrestri privi di senso mentre un vecchio bloccato a terra ci inveisce contro, non è l'idea di ambiente ideale per la meditazione" criticò Vaarik, alzando un sopracciglio per sottolineare la logicità di tutte le sue argomentazioni, ma poi lo vedemmo scrollare le spalle. "Tuttavia, ripensandoci, ho meditato in condizioni peggiori, che altro evento potrebbe verificarsi, del resto, da interrompere la nostra concentrazione?"

In quell'istante l'inconfondibile suono di un teletrasporto riempì la baracca e le sagome di due Borg si materializzarono di fronte a noi.

"Preparatevi ad essere assimilati. Ogni resistenza è inutile! Vogliamo assimilare l'unità a carbonio Cochrane, resistere è futile."

"Scusa, corvaccio vulcaniano, stavi dicendo?" gli ribattemmo in coro.

I due Borg iniziarono ad avanzare verso Cochrane.

Il padre della propulsione a curvatura si era seduto su uno sgabello di fronte al banco del bar e stava tentando di leggere l'etichetta di una bottiglia vuota. "Wow, è veramente roba forte questa!" esclamò, mentre il suo sguardo si spostava dai Borg alla bottiglia di alcool e viceversa. Era evidente che non aveva capito cosa stesse succedendo, del resto, come terrestre del ventunesimo secolo non aveva mai visto un Borg e li aveva scambiati come allucinazioni da ubriacatura.

I Borg avanzavano verso Cochrane non curanti di tutto il resto. Tutto ciò che era estraneo alla loro missione, o che non era catalogato come pericolo, non veniva preso in considerazione dal loro... software?... tipico comportamento Borg. Cochrane dal canto suo stava battendo le mani gridando: "Barista, un altro giro della stessa roba di prima!" tipico comportamento da ubriaco.

Foster si ricordò di avere fra le mani un'arma a proiettili, la guardò per qualche secondo con nostalgia. "Da quanto tempo non vedevo una Colt" sospirò, puntando l'arma contro uno dei droni e facendo fuoco. I primi due colpi, in rapida successione, erano diretti al torace, il drone sobbalzò a causa dell'impatto dei proiettili ma gli apparati cibernetici avevano impedito danni alla struttura organica. Il Borg si voltò verso Paul e iniziò ad avanzare nella sua direzione con la tipica lentezza di un destino inevitabile. "La resistenza è futile" ribadì, ignorando le scintille che gli scaturivano dagli apparati in corto circuito. Il terzo colpo fu alla testa ed il proiettile frantumò la telecamera oculare prima di andare a conficcarsi direttamente nel cervello del drone che si fermò di colpo e restò in sospeso per qualche secondo prima di crollare a terra con la stessa grazia di una marionetta a cui sono stati tranciati i fili. Il secondo drone si era immobilizzato nello stesso istante in cui l'aveva fatto il suo compagno. Lo sguardo era perso nel vuoto mentre era intento ad elaborare le informazioni che aveva appena ricevuto. Il quarto colpo di pistola lo colse in quel momento, impattandosi contro lo sterno, mentre il quinto gli penetrava la trachea, attraversando il tessuto molle della gola, schiantando le vertebre del collo, uscendo ed andandosi a conficcare nella lamiera che fungeva da parete del bar con un thud metallico. Il drone crollò a terra in preda a spasmi, l'energia alimentava ancora gli arti cibernetici che si contorcevano come può contorcersi un cadavere attraversato da scariche elettriche. Era come se la parte cyborg del Borg non si fosse accorta che la testa non faceva più parte del drone e volesse avanzare nonostante tutto. Il collo era piegato in un angolo assurdo, le labbra stavano ancora formando la parola futile, ma nessun suono scaturiva da esse. Infine anche il secondo e più sofisticato drone si dovette arrendere all'evidenza e giacque immobile sul pavimento di assi di legno grezzo.

Cochrane aveva appoggiato la testa sul bancone e se la stava allegramente ronfando. Il vecchio era svenuto, chiaramente sotto shock dopo la magica e improvvisa apparizione dei Borg.

Dall'esterno della baracca giungevano delle voci, gli abitanti dell'accampamento erano stati svegliati dagli spari e stavano accorrendo. La Colt impugnata da Foster non aveva svolto il suo lavoro in silenzio ma aveva urlato ogni suo singolo attacco esplodendo di rabbia ad ogni colpo.

Il famigliare ronzio del teletrasporto riempì di nuovo la stanza ed i due droni sparirono in una miriade di scintille. Il collettivo stava riciclato i suoi componenti. Quando tre uomini fecero irruzione nel bar per vedere che stesse succedendo fu Luke che, con pronta presenza di spirito, prese la parola: "Siamo riusciti a fermarlo!" tuonò vittoriosamente verso di loro, indicando il vecchio nellos tesso istante. "Voleva attentare alla vita di Cochrane e ha sparato tre colpi con quella Colt ma, fortunatamente, non è riuscito nel suo intento."

Gli uomini si guardarono intorno, videro Cochrane illeso e ubriaco riverso sul bancone, poi dedicarono la loro attenzione al vecchio steso a terra. Uno di loro lo riconobbe: "Ma è Geoff Quile!" esclamò. "Il capo di quella fazione che si opponeva all'espansione spaziale. Ha sempre tentato di metterci i bastoni fra le ruote, lui, quel miliardario di Garcia e quell'altro sportivo che era entrato in politica."

"Ho sentito parlare di quella fazione, si opponevano alla tecnologia e ai lanci spaziali" aggiunse un secondo uomo, scuotendo tristemente la testa barbuta.

"Will!" chiamò Foster, attirando la sua attenzione. Il comandante Riker guardò Paul con sguardo interrogativo, confuso dal fatto che un estraneo si rivolgesse a lui con tanta famigliarità. "Ma come, non mi riconosci? Sono Paul!" insistette Foster, avvicinandosi a lui per farsi vedere meglio. Sul volto del comandante Riker persisteva ancora la confusione, un secondo uomo si avvicinò a lui, era di colore, era il capo ingegnere LaForge.

"Qualche problema, comandante?" chiese.

"Non saprei" gli rispose Riker. "C'è qualche problema?" chiese poi, rivolto a Foster.

Paul aggrottò le sopracciglia. "Aspetta che faccio due calcoli" disse, assumendo un'espressione pensosa. "Ma certo!" esclamò poi, "io sono arrivato dopo, perciò tu non mi conosci ancora."

Il comandante Riker e LaForge guardarono Foster, poi si guardarono l'un l'altro completamente spiazzati, poi guardarono il bar ed i bicchieri di alcool che Foster aveva iniziato a riempire prima di essere interrotto e i loro lineamenti si rilassarono, convinti di avere inquadrato la situazione.

"Capisco" disse infine Riker rivolto a Paul "senti che idea, vecchio mio, perché non ce ne andiamo tutti a dormire, adesso?"

"Ma io sto già dormendo, e questo è uno dei sogni più realistici che mi sia capitato di fare. Salutami zio Piky quando ritorni a bordo" gli rispose Paul, dando una pacca sulla spalla di Riker a mo' di saluto prima di ritornare verso di noi. Il comandante Riker stava per ribattere qualcosa ma poi decise che la salute fisica di Cochrane era più importante della salute mentale di quello strano tizio. Gli uomini dell'accampamento presero in consegna Quile e portarono Cochrane nel suo alloggio, all'interno della base di lancio. Così rimanemmo soli dentro alla baracca che fungeva da bar.

"Bene, questo mi sembra il momento ideale per provare la meditazione" dissi. "Ora che siamo tranquilli e possiamo concentrarci."

Di nuovo, il ronzio del teletrasporto invase il locale.

"Preparatevi ad essere assimilati. Ogni resistenza è inutile! Vogliamo assimilare l'unità a carbonio Cochrane, restitere è futile."

"Avete anche voi un curioso senso di dejavù?" chiesi in un sospiro, con gli occhi al soffitto.

Ci voltammo per affrontare i Borg che avanzavano verso di noi, questa volta erano venuti in cinque, due di loro erano ex ufficiali dell'Enterprise, sotto agli impianti indossavano ancora l'uniforme; il terzo un tempo era stato un klingon; gli ultimi due invece, sebbene umanoidi, erano di una razza a noi sconosciuta. I droni ora, considerandoci una minaccia, non ci ignoravano più, Foster alzò nuovamente la sua arma puntandola dritta contro il borg più vicino, inspirò prendendo la mira e tirò il grilletto. Il cane iniziò la sua corsa a ritroso per poi tornare ad abbattersi nuovamente contro il corpo del revolver mentre il tamburo iniziava la sua giostra, ciò che ne scaturì fu un sonoro e stridente click.

"E' solo una mia convinzione o avrebbe dovuto fare booom!?" saltò su Dalton.

Foster piegò il braccio per portare il revolver al livello del volto. "Incompetente!!" sbuffò poi, "viene a fare attentati con una pistola scarica!! Bisognerebbe denunciarlo" urlava, agitando il revolver a mezz'aria. Fortunatamente i droni stavano venendo all'attacco con la stessa agilità di un Gorn e questo ci permetteva ancora qualche istante di tranquilla salvezza..

"Un solo colpo residuo cosa poteva fare contro cinque droni?" conciliai filosoficamente mentre analizzavo il tamburo del revolver.

"Qualcosa avrebbe fatto. A goccia a goccia si scava la roccia" insistette Paul.

"Eh?" chiesi smarrito al suo indirizzo. "Che significa?"

"A goccia a goccia si scava la roccia" perseverò diabolicamente Foster, come se potesse avere un senso.

"Ma non ci sono rocce qui, non capisco." Foster si era messo inspiegabilmente a parlare in modo assurdo.

"Renko!" si limitò a esclamare "le gocce a forza di cadere... scavano la roccia... è semplicissimo!"

"Vuoi tirargli dell'acqua? Paul, sei un Genio!" Una soluzione così semplice... alla rasoio di Occam... avrebbe potuto risolvere la situazione in men che non si dica. Mi fiondai verso l'angolo della baracca dove erano appoggiati un rudimentale secchio di acqua insaponata ed una ramazza. Afferrai al volo il manico del secchio e scaraventai tutto il contenuto sul pavimento in direzione del quintetto cibernetico. Il primo drone della fila venne colto completamente alla sprovvista dai cambiamenti ambientali appena verificatesi, si trovava con un piede alzato nell'atto di compiere un passo verso i suoi bersagli quando l'acqua ed il sapone scivolarono sotto di lui togliendoli una presa sicura sul legno e facendolo rovinare comicamente a terra. Cadde all'indietro scivolando in un passo di break dance, come se fosse una tartaruga schienata si trovò a roteare atterrando anche i due droni alle sue spalle. Nell'arco di due secondi una montagnola aggrovigliata di tubi, arti, parti organiche e parti cyborg stava tentando di rialzarsi col solo risultato di scivolare nuovamente e ricadere a terra aggrovigliandosi sempre di più. Esplodemmo in un grido di vittoria "Urra!" esclamammo dandoci delle pacche sulle mani e sulle spalle.

"Un momento! Guardate, si stanno adattando!" Ripley interruppe bruscamente i nostri festeggiamenti. I droni si stavano rialzando dal pavimento, dai loro piedi erano spuntate delle protuberanze di metallo a forma di sottile lama, come un pattino. Con quelle nuove calzature riuscivano a compensare il 'fattore sguillamento' dato dal sapone e pattinare verso di noi.

"Ogni resistenza è futile. Sarete assimilati." In questo modo la loro andatura acquistò una velocità notevole, e ciò ci costrinse a fiondarci fuori dalla baracca dove, sul terreno non insaponato, non avrebbero potuto utilizzare questo vantaggio e sarebbero stati costretti alla loro normale andatura. I cinque Borg uscirono dal bar nel tentativo di inseguirci, appena i loro pattini furono a contatto con lo sterrato l'attrito li bloccò di colpo e li fece rotolare malamente uno sopra l'altro al di fuori della baracca con la stessa grazia di un pallone sgonfio. Luke si fermò di colpo, colpito dalla scena. Si portò una mano alla fronte e alzò lo sguardo verso il cielo. "E questi sarebbero i tizi distruttori di pianeti??" esclamò, prima di accasciarsi al suolo in preda alle risate. Dovemmo sollevarlo di peso perché lui non aveva la forza o l'intenzione di farlo da solo, anche mentre lo trascinavamo continuava ad additare il groviglio borg mentre le lacrime gli sgorgavano dagli occhi. Le sue gambe inerti lasciavano sul suolo due scie parallele che, come un sentiero di briciole, indicavano la nostra direzione. Una volta fuori potemmo vedere il resto dell'accampamento. Il bar era situato ad una estremità, per accontentare tutti l'avevano posto a mezza strada fra la base di lancio e il resto delle baracche dove gli abitanti avevano alloggio. Ci guardammo intorno ma, data anche l'ora tarda, non vedemmo nessuno, se anche ci fosse stato qualche passante occasionale avrebbe scambiato i nostri schiamazzi per il residuo dei festeggiamenti dovuti al grande evento del giorno seguente.

"Ed ora dove ci dirigiamo?" chiese Vaarik, studiando i dintorni con la sua vista vulcaniana, che, di notte, non gli serviva poi a molto.

"Da nessuna parte" concluse Ripley.

"Che intendi dire?"

"Nulla, tanto questo è solo un sogno, no? Cosa vuoi che mi succeda?" E iniziò ad avanzare verso i droni che nel frattempo erano riusciti a riorganizzarsi e, al monotono grido di:

"Resistere è futile", tentavano testardamente di raggiungerci alla folle velocità di un chilometro orario. Ripley si pose dritta in fronte al primo drone, lo prese per la gola ed iniziò a sollevarlo. "E' quasi divertente" ci informò, mentre il borg penzolava dalla sua stretta come una bambola di pezza. Poi, improvvisamente, dal polso del drone uscirono i tubi di assimilazione e si diressero verso Ripley. La ragazza, istintivamente lasciò la presa nel tentativo di schivarli ma, così facendo si tagliò contro uno degli altri apparati cibernetici provocandosi un taglio sulla mano. Il sangue sgorgò dalla ferita e colò sul drone finito a terra, l'acido iniziò il suo lavoro di corrosione con uno sfrigolio, intaccando il tessuto del drone colpito. Gli altri droni si fermarono di colpo, assumendo quell'espressione vacua che assumono di solito quando stanno ricevendo dati od istruzioni dal collettivo, dopo di che dalle loro bocche iniziò a scendere una schiuma bianca che in poco tempo li ricoprì. Il loro compagno giaceva ormai a terra immobile ma loro, nel nuovo bozzolo, continuarono ad avanzare, i tubi di assimilazione sguainati. "L'acido è futile specie 8472, sarete assimilati."

Avevano ragione, ricoperti di alkaseltzer com'erano, il sangue di Ripely non gli avrebbe più fatto danni. "Accidenti, si sono adattati anche a questo" sbottò Foster.

"Specie 8472 a chi?" sbottai invece io, "sono del ceppo dei 512.000, io! Assimilati questo!" iniziai la lunga e apparentemente inutile serie di mosse che sarebbero sfociate nel colpo del Panda Cibernetico, il più adatto ad essere lanciato contro un Borg. Portai le braccia a croce davanti al volto, poi il braccio destro esternamente, mentre con le gambe assumevo la posizione di guardia, poi giunsi nuovamente le mani davanti al volto come un vulcaniano in meditazione ed infine assunsi con le braccia la posizione del culturista, giungendo i pugni all'altezza della mia cintola, in un'imitazione del Panda che si vede sugli adesivi del WWF, quelli dove hanno le zampe curve.

Attaccai il drone che sarebbe stato più vulnerabile a questa tecnica, gli passai fra le gambe prendendolo alla schiena, mentre con le mani gli tenevo le caviglie, le mie gambe scattarono verso l'alto, incrociandosi sulla sua gola. Per qualche istante temetti di perdere la presa a causa della schiuma di alkaseltzer ma, grazie a qualche aggiustamento nella tecnica, riuscii mirabilmente a tenere saldo. Il drone tentò di rivolgere verso di me i suoi tubi di assimilazione ed allora io iniziai a stringere le gambe, torcendogli il collo e costringendolo ad inarcare la schiena. Gli impianti cibernetici che aveva sugli arti gli avevano fatto perdere una minima percentuale di flessibilità alle articolazioni dei gomiti ed in questa posizione i tubi carichi di nanosonde non potevano raggiungermi. Formammo una ruota che rotolò per qualche metro prima che il collo del drone cedesse con un schianto sordo, facendolo accasciare. Mi svincolai con tre salti all'indietro per portarmi nella posizione di guardia. Gli altri tre droni si diressero alla tenda più vicina ed estrassero dagli arti degli strumenti da taglio e cucito. In men che non si dica avevano confezionato tre kimoni gialli da meditazione e ripresero ad avanzare verso di noi "Le arti marziali sono inutili, sarete assimilati."

"Ah, si sono adattati anche a questo."

Dalton intanto si era ripreso e stava guardando ad occhi sgranati i tre borg vestiti come dei bonzi fradici di alkaseltzer che avanzavano verso di noi, aggrottò le sopracciglia e strizzò gli occhi per vedere meglio, poi alzò il braccio, indicò i droni e scoppiò nuovamente a ridere mentre, con l'altra mano sulla pancia tentava disperatamente di riprendere fiato. Lo riacchiappammo per la collottola e lo trascinammo nuovamente con noi.

L'edificio più vicino era una baracca di fronte alla base di lancio, in un cartello sulla porta era stata incisa la parola "Mensa". All'interno c'erano una serie di tavolate di legno sulle quali riposavano ancora gli avanzi di un party. Striscioni alle pareti inneggiavano al futuro e alla speranza. Probabilmente i tecnici della base e gli abitanti dell'accampamento avevano tenuto una piccola festicciola inaugurale per il grande avvenimento che si sarebbe svolto il giorno dopo, il lancio della Phoenix ed il suo ambizioso tentativo di superare in velocità la luce. Ci facemmo strada fra residui di torta e bottiglie di alcool con i droni ancora alle spalle.

"Fermi, fermi, fermi," ci pregò Luke, le cui risate a poco a poco stavano scemando.

"Si può sapere perché stiamo scappando? Ripley ha ragione, cosa volete che ci succeda? Tanto questo è solo un sogno, no?"

"Si, ma..." iniziai ad obiettare prima di accorgermi che non avevo argomentazioni. Era vero, se questo era solo un sogno... perché stavamo scappando?

Luke afferrò una bottiglia di sidro stappata ma quasi piena, ci fece l'occhiolino e si diresse verso gli inseguitori. Stavo per gridare di fermarsi ma poi mi trattenni, non avevo ancora trovato una risposta adeguata alla sua domanda. Lo vidi prendere la mira, portare la mano con la bottiglia dietro la testa e lanciare. La bottiglia compì due evoluzioni in aria, alla terza si andò a conficcare di collo dentro la bocca di un drone, proprio mentre stava pronunciando la A di assimilati e ce l'aveva bene aperta. Il Borg accusò il colpo, la testa schioccò all'indietro per l'impatto mentre il sidro gli scendeva direttamente in gola. Solo dopo che la bottiglia era svuotata riuscì a riprendersi abbastanza per estrarla dalla bocca e frantumarla nella morsa della sua mano. Il drone guardò dritto in faccia Dalton ed iniziò ad avanzare verso di lui, ma quello che avrebbe dovuto essere un percorso dritto verso la propria vittima si trasformò presto in una diagonale incerta. "Roteare è futile, sciarete ascimilati, tutti e dieci" sentenziò, con voce non molto ferma, prima di crollare a gambe all'aria sul pavimento mentre ancora farfugliava: "Sciarete ascimilati, ascimileremo tutti."

Gli altri due droni restarono basiti, evidentemente non riuscivano ad interpretare in maniera veloce ed adeguata i segnali che arrivavano dal compagno. Ma un Borg non può essere fermato con così poco, una razza che mira alla perfezione non si fa distrarre da del semplice succo di mela. In men che non si dica i droni ancora sobri estrassero dalle loro cibernetiche e perfettissime tasche due spillette recanti la sigla A.A.A. Associazione Alcolisti Anonimi, e continuarono ad avanzare al motto di: Associazione Assimilatori Astrali.

Fu allora che ebbi l'illuminazione: "Ma certo, ora so perché bisogna scappare a tutti i costi" con la stessa gravità di una scoperta relativistica mi accinsi ad informare i miei compagni prima che il lampo di illuminazione svanisse dalla mia mente al sorgere dell'alba "negli incubi si scappa sempre! E' qualcosa tipo legge freudiana: hai un incubo, tenti di scappare e non riesci a correre. E' una legge universale inconscia, è..."

"Renko?" mi interruppe Vaarik.

-Si, Vaarik?- formulò il mio cervello, mentre mi voltavo verso il vulcaniano che stava richiedendo la mia attenzione, ma prima che l'impulso potesse terminare la sua corsa attraverso la rete neurale e la mia cassa toracica potesse contrarsi, e le mie corde vocali potessero vibrare, e le mie labbra potessero formare la giusta combinazioni di suoni, risultato ed espressione di ciò che stavo pensando, qualcosa di molliccio e dolce mi si stampò in faccia. Quando ebbi recuperato l'uso della vista e leccato via la cioccolata che mi era rimasta sulle labbra potei vedere Vaarik che aveva ricaricato il suo braccio con un altro dolce, simile a quello che aveva sparato a me.

"E' illogico scappare" sentenziò con gravità "quando si ha la tecnologia per poter affrontare il nemico" e con uno sguardo al suo braccio armato e un altro ai droni che arrivavano, valutò le distanze e diede il via a quella catapulta biologica che aveva incorporata nella propria spalla.

"Ma bene," non mi restò che meditare, "io tento di parlare di teorie scientifiche e guarda il vulcaniano come reagisce!"

Il resto del gruppo colse al volo la tattica di Vaarik e in men che non si dica la mensa fu testimone dell'ennesima, anche se forse un po' più surreale, battaglia con il cibo. Non poterono niente le bustine di Dietor e Lineorelle con cui i Borg tentarono di adattarsi e contrattaccare, il burro di noccioline si insinuava ovunque, dentro i loro circuiti, dentro le loro tubazioni esterne, il pavimento era ormai un pastrocchio sul quale restare in piedi costituiva ardua impresa quando, improvvisamente, il collettivo recuperò quei droni ormai inutilizzabili per il loro scopo teletrasportandoli via, facendoli sparire così come erano apparsi, fra il ronzio e lo scintillare nella notte.

Restammo senza più bersagli, disorientati, senza più scopo fra le rovine di una guerra glicemica. Ne approfittai per convincere i miei compagni a tentare la meditazione collettiva che ci avrebbe permesso il risveglio. Tutto fu fatto secondo i crismi, apparentemente non ci furono errori eppure qualcosa stava andando storto, infatti non ci svegliammo affatto da quel sonno indotto.

Non riuscivo a capire dove fosse l'errore, lo slittamento di procedura, la formula errata quando...

"Voi non volete svegliarvi!" li accusai con la calma di chi ha appena ricevuto una rivelazione giusta e santa.

"Ma che dici?"

"Vi state divertendo troppo! Per questo non riusciamo a svegliarci!"

"Divertendo?" replicò Paul con l'innocenza degli occhi sgranati.

"Il divertimento è un'emozione" puntualizzò Vaarik "I vulcaniani non provano emozioni"

"E io che perdo anche tempo ad indicarvi la Via per il ritorno! E voi, voi mi pugnalate alle spalle, come faccio a riportare a casa dei viaggiatori che non vogliono partire?"

"Ma pensa, sentilo, parla come un angelo indignato quando è stato proprio lui a ficcarci in questo casino!"

"Non è stata colpa mia ma della tua sciagurata idea di replicare del Gotto. Gotto Esplosivo Pangalattico! Bella pensata. Come se non ne avessimo passate abbastanza!"

"Aggiungi pure per colpa del tuo doppio e delle sue indegne truffe!"

"Il mio doppio? Il MIO doppio? In confronto agli altri figuri di quella realtà il mio doppio era un ingenuo educando appena uscito da un qualche istituto di carità universale!!"

Fu così che quell'inizio di battaglia verbale si tramutò in una battaglia di fatto, solo che, non essendo più avanzato cibo da lanciare, dovemmo ingegnarci nell'affrontarci a colpi di tovaglioli appallottolati, ognuno con il proprio stile. Ripley li accartocciava velocemente ed efficacemente prima di scagliarceli contro; Luke li sagomava a forma di aeroplani, plananti ma pungenti; Vaarik perdeva un sacco di tempo nel comporre dei precisissimi origami con pignoleria del tutto vulcaniana ma il tempo perso era ampiamente bilanciato dalle forme battagliere assunte dai tovaglioli; Paul invece li appallottolava al contrario tentando di sbaragliarci con la potenza degli anti-tovaglioli ma i suoi lanci erano fuori controllo; io, dal canto mio, non trovavo comodo deturpare la forma dei tovaglioli per poter combattere, anche se di forma quadrata erano dei perfetti shuriken. Questo finché Ripley non decise di cambiare tattica e, strappato uno striscione di carta dal muro iniziò ad utilizzarlo come frusta facendosi strada a colpi di "Happy Launch Zephram!" e dando il via ad una nuova gamma di armi e di cariche a suon di trombetta da party.

Una battaglia da fuori di testa dalla quale s'intuiva quanto avessimo bisogno, in quel momento, di perdere la testa. Di quanto avessimo bisogno, in quel momento, di sfogarci dallo stress accumulato per le prove subite nella linea temporale ferenghi. Di liberarci di un dolore a cui nessun altro avrebbe creduto perché, dopo che la giusta linea temporale era stata ripristinata, quel dolore non era mai esistito, quegli avvenimenti non si erano mai verificati. Se non per noi, gli unici a ricordarli. E così, dentro a quel sogno forzato, in una dimensione dove a non esistere sono le conseguenze, ci sfogavamo in una battaglia onirica e catartica, nel tentativo di liberarci dalle nostre cicatrici interne, aspettando che fosse di nuovo mattino.

Quando ci ritrovammo esausti, ansimanti e senza più proiettili, qualcosa, almeno dentro di me, era cambiato. Sentivo di poter affrontare di nuovo il mondo con ingenua filosofia e sentivo, soprattutto, che il legame con quei quattro stravaganti tizi si stava rafforzando. Appoggiato con la schiena alla parete stavo rimuginando su tutto questo quando sentii un movimento e qualcuno accovacciarsi di fianco a me.

"Tutto a posto?"

"Mmh." Feci cenno con la testa "Stavo solo meditando su una cosa."

"Con quella faccia?"

"Perché, che faccia ho?" chiesi con curiosità.

"Su cosa meditavi?"

"Sulla vita, su come, a discapito della mia età, a discapito della mia esperienza in arti marziali esoteriche, io debba farne ancora tanta di strada per poter maturare. Sto iniziando a capire alcune cose."

"Per esempio?"

"Per esempio perché il Maestro mi avesse detto che non avevo più niente da imparare e mi avesse mandato via dalla scuola di arti marziali. Al tempo non capivo, c'erano ancora così tante tecniche che avrei potuto apprendere... ma non era di imparare altri colpi proibiti che avevo bisogno."

"E di cosa allora?"

"E' facile guardare alla vita con serenità e calma interiore quando si è sempre vissuti in un bozzolo. Quando sono andato al Castello di Kyoki per studiare arti marziali, l'ho fatto per trovare un po' di serenità, durante la mia adolescenza sono sempre stato male, altroché se ne ho patito di dolore... parecchio. Vedi, sul mio pianeta, non superare l'infanzia o l'adolescenza a causa di instabilità genetica è comune, perciò quello che ho patito io l'hanno patito anche le stesse persone che mi stavano curando e che lo facevano quindi, consci di cosa si provasse ad essere dei pazienti. Ho visto amici e fratelli morire, eppure... in realtà non ero così amareggiato come credevo, perché c'era una specie di rassegnazione in questo, di accettazione. Il dolore e la paura che ho provato durante la nostra ultima scorrazzata nel tempo invece, paura di morire o di veder morire qualcuno di voi... e per cosa? Per colpa di uno psicopatico? Dell'avidità o della crudeltà? Quello era dolore vero, a cui non avrei potuto trovare giustificazioni accettabili... ed io ero impreparato ad affrontarlo malgrado fossi convinto del contrario. Adesso, semplicemente, ho capito di cosa parlasse il maestro quando mi diceva che lui non aveva più nulla da insegnarmi e che il resto avrei dovuto impararlo da solo al di fuori del Castello. La mia fortuna tuttavia... è che non sono solo. Ed ora capisco un po' di più alcune sfumature che vedo a volte nei vostri sguardi, Dalton, Foster... Vaarik."

Sentii un braccio che mi circondava le spalle "Su, ora, andiamo" e mi aiutava ad alzarmi dal pavimento della mensa.

Dall'esterno filtrava luce, la mia allergia allo spettro di Sol si fece risentire ed inforcai gli occhiali schermanti. Ormai era mattina, uscendo dalla mensa facemmo in tempo a vedere una scia di luce solcare il cielo. La Phoenix era stata lanciata. Una scia bianca stava salendo a parabola verso l'infinità del cielo azzurro e presto un'altra scia bianca avrebbe completato la parabola scendendo dall'infinità del cielo notturno.

Questo evento avrebbe dato inizio alla nascita della Federazione dei Pianeti. Era come guardare lo scorrere della storia, o come leggere una differente traduzione di un libro. Non ci si poteva fare a meno di chiedere se la trama sarebbe stata la stessa o se sarebbe cambiato il finale. Ma quando la nave aliena atterrò ne uscirono delle figure incappucciate, avvolte nei classici tuniconi vulcaniani e Cochrane gli andò incontro e i cappucci scivolarono all'indietro e i lineamenti erano quelli inconfondibili di... Vaarik?

SOGNO O SON DESTO?

Il vulcaniano era chino su di me e mi stava osservando con un sopracciglio alzato. C'era di nuovo luce. Ero steso su un divano, il divano del mio alloggio per la precisione. Luke stava ancora sbadigliando e Ripley si stava strofinando gli occhi.

"Si è svegliato anche Renko" annunciò agli altri il vulcaniano.

Sì, eravamo proprio svegli, senza ombra di dubbio.

"Ah, sì, avevo dimenticato la seconda opzione per riuscire a svegliarsi" dissi.

"Quale?" mi chiesero incuriositi.

"Aspettare che l'effetto delle spore svanisse" comunicai con tono di ovvietà.

Gli archivi del museo di Storia Terrestre di San Francisco erano come al solito semi deserti. Il pubblico si affollava nelle sale olografiche e nei corridoi pieni di bacheche, l'ingresso agli archivi era invece permesso soltanto al personale specializzato e ad alcuni cadetti che chiedevano il permesso di consultarlo per motivi di studio. Nel settore 'Storia della Comunicazione Terrestre', solo qualche tempo prima, avevo trovato il vecchio nastro di un telefilm del XX secolo i cui protagonisti indossavano le divise e usavano i tricorder della Flotta Stellare. Uno squilibrio Mcflaiano che non eravamo riusciti ad eliminare. Ora la paranoia aveva preso piede e la curiosità di consultare gli archivi per cercare altri eventi del genere ci aveva portato a rovistare nel museo dopo le lezioni.

"Si può sapere che cosa ci facciamo ancora qui?" chiese Luke che, ormai stancatosi, stava da qualche tempo prospettando l'ipotesi di trasferirci al locale di Chun. "Abbiamo rovistato a fondo e non abbiamo trovato null'altro. Cos'è che stai leggendo ora?" rivolto a Vaarik "Il primo contatto? Stai ancora pensando a quel sogno pazzesco?"

"Geoff Quile ha tentato di uccidere Cochrane sebbene noi avessimo ripristinato la linea temporale e lui non odiasse più gli alieni" sentenziò Vaarik.

"Sì. l'ha fatto perché odiava la tecnologia, faceva parte di quel gruppo di gente che crede che la violenza dipenda dalle armi e pensava che senza una tecnologia militare così avanzata non ci sarebbe stato un tale massacro durante la guerra. Se poi pensi che Cochrane ha costruito la Phoenix riciclando un razzo... "

"Quanti di voi lo sapevano?" chiese Vaarik a bruciapelo.

"Cosa? Che la Phoenix è stata costruita riciclando un razzo? Tutti."

"No, quanti di voi erano al corrente dell'attentato a Cochrane da parte di Quile."

Silenzio.

"Allora come abbiamo fatto a sognarcelo?" finì poi di dire Vaarik.

"Non te ne uscirai nuovamente con la tua teoria delle radiazioni temporali, avevamo stabilito, se non sbaglio, che per viaggiare nel tempo ci vuole un dispendio enorme di energia, come è possibile che particelle croniton residue ci abbiamo fatto spostare nel tempo? Era solo un sogno, so che sei convinto che i Vulcaniani non sognino ma può capitare anche a voi, ti assicuro."

"Particelle croniton residue non possono aver spostato il nostro corpo fisico nel tempo ma possono aver spostato la nostra proiezione extracorporea."

"Una miscela di eventi derivata dalla mistura di spore, gotto e particelle croniton residue per viaggiare nel tempo..." meditò Foster "...e il tutto sarebbe successo per caso? A tentare di farlo apposta non ci si riesce, mi fa venire in mente un tizio di nome Murphy."

"Lo conosco" intervenne Dalton "esisteva anche nel mio universo. Il più grande filosofo di tutti i tempi."

"Va bene," si arrese poi il vulcaniano, "sono disposto ad ammettere che come teoria scientifica debba ancora essere perfezionata, e sono anche disposto ad ammettere che a volte, in certe condizioni, anche i vulcaniani possono so... so... sognhg.cough cough..."

"Possono?" chiedemmo "scusa non abbiamo capito bene l'ultima parola."

"...sognare" sentenziò secco Vaarik, dirigendosi dignitosamente verso l'uscita e verso il locale di Chun, dove avremmo trovato un po' di svago.

Mentre ci dirigevamo di nuovo verso la civiltà uno schermo alle nostre spalle, rimasto acceso per dimenticanza, continuava a far scorrere immagini storiche del Primo Contatto, dell'atterraggio della nave vulcaniana, di Cochrane che stringeva la mano all'alieno, e di cinque cadetti dai volti famigliari mischiati alla folla durante l'avvenimento...

FINE CAPITOLO