Era notte, ma notte o giorno, per lui, che differenza poteva fare?
Loro erano sempre lì, comunque. E finche c'erano loro, il suo gruppo sarebbe dovuto rimanere nell'ombra.
Eccoli lì, dunque, nel loro accampamento, a giocare ai soldati ed a istituire inutili turni di guardia. Inutili, sì, perché tanto non riuscivano a scorgerlo, mentre lui sapeva tutto quello che facevano.
Anche adesso li stava osservando, ma doveva stare attento.
Attento a non farsi scoprire, attento che non scoprissero nulla.
"Un minuto all'obiettivo," disse il pilota della navetta, sorvolando Ranid, una delle nuove isolette di Europa, la luna di Giove.
"Non potrò teletrasportarvi direttamente in zona, ci sono troppe interferenze," precisò poi. "Ma vi farò materializzare il più vicino possibile. Ecco, esattamente in questo punto."
Il pilota richiamò sul terminale una mappa dell'isola ed indicò il punto esatto, una spiaggia poco lontana dal campo ma che richiedeva comunque una scarpinata di qualche chilometro.
Il capo missione sospirò e si girò verso il resto della squadra.
"Avete capito?" chiese.
"Purtroppo..."
"Si, si..."
"Non ci mancava altro..."
"Finalmente in spiaggia, eh?"
"Gente, fosse per me atterrerei," si giustificò il pilota, esprimendo la propria comprensione. "Ma non ne ho l'autorizzazione, che volete farci... la solita burocrazia."
Il cadetto in comando, un'andoriana al quarto anno di nome Lajana, prese atto dell'entusiasmo dei suoi collaboratori. Lei stessa, del resto, non era di certo al settimo cielo per quell'imprevisto. Tuttavia, sebbene le esercitazioni fossero finite poche ore fa, loro erano ancora in servizio e lo sarebbero stati fino a che non fossero giunti in Accademia e si fossero presentati a rapporto ai loro superiori, passando per la Segreteria dell'Accademia. Perciò, per quanto a malincuore, il suo tono di voce, dall'amichevole che era, scivolò all'improvviso verso l'efficienza e la professionalità, essendo giunto il momento di impartire gli ultimi ragguagli prima dello sbarco.
"Signori," disse, rivolta agli altri quattro. "La squadra di cadetti che stava sgombrando il campo non risponde ai tentativi di chiamata. Le letture sensorie indicano che sono in atto delle contromisure che disturbano comunicazioni e teletrasporto. Visto che i dispositivi di contromisure elettroniche erano fra i primi a dover essere smantellati, è logico supporre che i cadetti assegnati al compito abbiano avuto dei problemi ad assolverlo. Ed è precisamente questo che stiamo andando a controllare."
L'andoriana aveva un tono deciso e da comando. Dopo una settimana passata in un'esercitazione della sicurezza su Ranid, probabilmente le veniva naturale così. Magari fra qualche giorno ci si sarebbe disabituata, ma sicuramente a malincuore.
"La squadra è pronta allo sbarco?" chiese poi a Laurence Wright, un umano, cadetto del terzo anno e secondo in comando in quella missione.
Wright si voltò verso gli altri tre membri, diede loro un'occhiata, guardandoli da capo a piedi e tornò a voltarsi verso Lajana.
"Diciamo di sì" confermò l'umano, con tono non proprio rassicurante, non al cento per cento, almeno.
"Coraggio, ragazzi..." li incitò Lajana, "neanch'io sono entusiasta di questo improvviso ritorno su Ranid, ma vi ricordo che siamo ancora in servizio attivo, anche se ufficiosamente le esercitazioni sono finite."
"Be', prendetela così," le venne in aiuto Wright. "Diciamo che abbiamo avuto solo la sfortuna di essere vicini ad un capo missione quando questi ha avuto l'ordine di formare una squadra e ha accalappiato i primi quattro che le capitavano sotto mano."
"Laurence," disse F'laìss, rivolto al compagno. "Diciamo che lo sanno tutti il perché tu ti trovi sempre così vicino a Lajana."
"Sulle piattaforme di teletrasporto, squadra, muoversi!" gli rispose questi, cambiando improvvisamente umore e senza ragione apparente. "Vi voglio tutti pronti alla sbarco entro due minuti fa. Scattare!"
F'laìss non batté ciglio all'improvviso cambiamento di tono dell'amico e, senza insistere ulteriormente nella punzecchiatura, seguì le direttive del secondo in comando ma non poté fare a meno di lasciarsi scappare un sorriso.
Mentre Lajana e Wrigth finivano di conferire con il pilota, gli altri tre sfruttavano il poco spazio della navetta per dirigersi alla piattaforma di teletrasporto.
"Perchè Wrigth sta sempre vicino a Lajana?" chiese il delta gammano al compagno più anziano.
"Renko, ti sembra il momento?" gli rispose F'laì per nulla esaustivo.
"Ma se hai detto che lo sanno tutti. Ci sono volte in cui ho l'impressione di essere sempre l'ultimo a sapere le cose."
"Ma di tutti i genitori che ti ritrovi, possibile che nessuno ti abbia mai fatto qualche discorsetto?" si intromise Coltac.
"Ma perché quando faccio certe domande c'è sempre qualcuno che deve tirare in ballo la mia famiglia?" si chiese invece l'ibrido.
"Silenzio!" suggerì F'laìss, interrompendo così la discussione. "Wright e Lajana stanno venendo qui. È ora di scendere e far finta di sapere quello che stiamo facendo, signori."
Dieci secondi dopo, i cadetti erano svaniti e si erano rimaterializzati su una spiaggia deserta.
La sabbia era calda ed il sole era a picco, se non fosse stato per il mare e per la risacca, la spiaggetta sabbiosa avrebbe potuto veramente essere scambiata per un piccolo deserto in miniatura. Era quasi un peccato doverla abbandonare per tornare all'accampamento.
Quello che i cadetti non sapevano era che da lì a un'ora ne avrebbero avuto più che abbastanza di deserti.
Il campo non aveva nulla di strano né di particolare, se non fosse stato per l'insignificante dettaglio che era deserto. Non c'era infatti traccia di nessun cadetto. A parte questo, le tende erano montate regolarmente e l'attrezzatura era sparsa in giro nel solito caotico ordine.
Non c'era traccia di battaglia o colluttazione, il terreno presentava diversi segni di calpestio che andavano da una tenda all'altra e dalla zona campeggio all'area per le esercitazioni.
"Ma dove sono tutti?" chiese Coltac.
"È quello che intendo scoprire" ribatté Lajana.
La squadra entrò nel campo cautamente. Questo era formato da cinque tende piccole più due tendoni grandi di colore bianco e con il simbolo della Flotta stampigliato ai lati.
"Rilevazioni?" chiese Lajana, assumendo immediatamente il tono da comando.
F'laìss e Renko fissarono i tricorder che tenevano aperti davanti a sé. L'ibrido diede un'occhiata al compagno, ma questi scosse la testa in cenno di diniego.
"Siamo entro l'area di contromisure, qui i tricorder sono inutili, l'unica rilevazione che ho è un accentuarsi delle interferenze in quella direzione." Renko indicò il punto dove, secondo lui, erano situati i dispositivi che creavano il campo di disturbi.
Ci volle almeno una decina di minuti per trovarli tutti e disattivarli.
"Letture" chiese di nuovo l'andoriana dopo l'operazione.
"Nulla di anormale," rispose Renko, "nessun segno di energia residua, nessun agente estraneo all'ambiente, nessun segno di vita umanoide."
"Confermo," precisò F'laìss, studiando attentamente il proprio tricorder, "se non sapessi che i dispositivi di contromisure devono essere attivati tramite un codice di sicurezza, potrei quasi pensare che si fossero accesi per caso," lo zeliano fece una pausa "ed i codici usati... appartengono senza obra di dubbio a cadetti della Flotta Stellare."
Lajana sbuffò. C'erano sempre gruppi di cadetti goliardici che tentavano di mettere in atto qualcosa di eclatante. Lei stessa, durante i suoi quattro anni di corso, aveva contribuito ad un tentativo di distillazione di grappa benzita, nonché all'assemblaggio di fuochi artificiali clandestini per festeggiare la fine degli esami del terzo anno.
Non che pensasse che lo scherzo fosse quello di nascondersi, per carità, ma sicuramente stavano macchinando qualcosa. Questa sarebbe stata un'occasione perfetta, senza guardiani e con attrezzature tecnologiche illimitate a cui attingere.
Il campo di contromisure poteva semplicemente essere una copertura facilmente spiegabile, se scoperto prima del tempo come effettivamente era successo.
"Hanno fatto solo un errore," disse l'andoriana ad alta voce. "Mi hanno fatto tornare di nuovo su quest'isola quando avrei già potuto essere nel mio alloggio, in Accademia. Andiamo ai sensori."
Come tutti gli andoriani, Lajana era passionale e non riusciva a perdonare ai cadetti di averla messa in quella situazione da cerbero. Se avesse scoperto qualche infrazione sarebbe stata costretta a fare rapporto, e non ne aveva la benché minima voglia.
Arrivati ad uno dei tendoni principali, attivarono l'apparecchiatura dei sensori da campo. Questa era molto più potente dei singoli tricorder ed aveva un raggio che si estendeva fino a comprendere l'intero perimetro dell'area per le esercitazioni.
"Allora?" chiese impaziente Lajana, dopo due minuti che F'laìss e Renko stavano armeggiando con i comandi.
"Mai sentito il detto: nessuna nuova, buone nuove?" rispose F'laìss, titubante. Lo zeliano si voltò poi verso Renko, questi gettò un'ultima occhiata alle letture e confermò l'analisi di F'laìss.
"Nessun segno di energia o di dispositivi in funzione, nessun agente estraneo all'ambiente, nessun segno di vita umanoide o senziente."
Questo era qualcosa di inaspettato, decisamente inaspettato, tanto che Lajana, Coltac e Wright restarono un minuto senza parole. Si aspettavano di tutto, infatti, ma non che tutti i cadetti avessero abbandonato il campo mentre erano in servizio, nemmeno per compiere una 'marachella' goliardica.
"Ma dove sono andati, tutti?" chiese Coltac.
"Non ti stanchi mai di fare sempre le stesse domande?" ribatté Wright, che iniziava ad avvertire un forte senso di disagio.
Improvvisamente scese un silenzio innaturale, non perché la natura fosse assente, ma per la nuova atmosfera che aveva avvolto il campo, squadra di cadetti compresa.
Ora le cose avevano assunto una nuova sfumatura.
In mezzo a tutto quel silenzio si poteva udire il suono della risacca e del vento che muoveva la vegetazione. Anche le tende erano accarezzate dalla brezza e lo stemma della Flotta si increspava ogni volta che un alito di vento scuoteva il lembo del riparo ed il 'flap-flap' del tessuto che si gonfiava e sgonfiava echeggiava in tutto quello spazio vuoto. Lo spettacolo era desolante ma, più che sconforto, trasmetteva un senso di inquietudine che faceva accapponare la pelle.
"Quante persone c'erano, esattamente?" chiese Wright.
Renko si rivolse di nuovo al tricorder, richiamando dalla memoria i dati archiviati. "Ne avevano assegnati solo quindici, allo smantellamento del campo... ma sempre più di quanti ce ne siano ora" concluse, guardandosi attorno.
La squadra iniziò ad ispezionare le tende in cerca di indizi ma non trovò nulla fuori posto. I sacchi a pelo erano stati arrotolati e posti nelle loro confezioni; la maggior parte dell'attrezzatura era già imballata e giaceva in attesa solo di essere rimossa. Soltanto le ultime sette tende erano rimaste in piedi e mostravano segni di vita quotidiana.
"Chiedo il permesso di ispezionare il perimetro esterno all'area di campeggio" chiese infine Wright, ottenendo, da Lajana, un cenno d'assenso in risposta.
La capo squadra indicò poi una cassa che avrebbe dovuto contenere dei fucili phaser. L'allusione fu colta al volo dal resto della squadra, sebbene l'andoriana non si fosse espressa a parole. Del resto, rompere quel silenzio, sembrava quasi un atto dissacrante.
Wright si avvicinò alla cassa e digitò il proprio codice d'accesso sul coperchio; il computer riconobbe la sequenza di autorizzazione di un cadetto con funzioni di armiere e sbloccò le cerniere; l'umano aprì la cassa e ne estrasse quattro fucili che lanciò ad ognuno dei suoi compagni.
I cadetti li afferrarono al volo e provvidero ad armarli, controllandone la carica con pratica ed efficienza. Renko soppesò la sua arma e non poté fare a meno di concedersi un pensiero filosofico al riguardo. Era indubbio che avere un fucile phaser fra le mani cambiasse leggermente la prospettiva delle cose. Se da un lato il peso dell'arma dava una sensazione rassicurante, dal lato opposto non poteva mancare la solita impercettibile impressione che stesse per accadere qualcosa di ineluttabile. È inevitabile che chi gira con un'arma pronta al fuoco... prima o poi debba sparare.
Erano tornati indietro per controllare che i cadetti rimasti a smantellare il campo non avessero avuto problemi tecnici o un qualche altro blando imprevisto sempre sul genere, ed ora si trovavano in un campo deserto, quindici persone svanite nel nulla, a guardarsi intorno inquieti e con un fucile fra le braccia.
"Spero di star per fare la figura dell'idiota" disse Wright, rompendo il silenzio. "Spero veramente di trovarli tutti dietro la collina che se ne bevono tranquilli una bottiglia di birra, chiedendosi come mai cinque paranoici siano sbucati dal nulla."
"Allora regolo l'arma per stordire" affermò Lajana, spostando subito dopo la regolazione del proprio fucile. "Se dovessimo scoprire una cosa del genere, potrebbe inavvertitamente partirmi un colpo" concluse poi, chiarendo che, se qualche cadetto avesse voluto bigiare momentaneamente il proprio dovere o anche solo divertirsi mentre il gatto non guardava, avrebbe fatto meglio a farlo senza coinvolgere lei.
Quattro visi si voltarono verso la caposquadra, fissandola. Fu Wright ad esprimere la perplessità di tutti: "L'avevi settata per uccidere?" chiese l'umano.
L'andoriana non rispose subito, si limitò a fissare il suo secondo in comando con un'espressione che diceva, inequivocabilmente, - 'certo, perché, voi no?' -
Il resto della squadra si limitò a fissare i propri phaser, settati per stordire fin dall'inizio, senza ulteriori commenti.
Lajana sventolò la punta del proprio fucile verso Renko e Coltac, dandogli tacitamente l'ordine di scortare Wright. I tre si allontanarono verso l'area di esercitazione, ma lì non ebbero maggior fortuna.
Nel frattempo, Lajana e F'laìss iniziarono una perquisizione minuziosa delle tende ancora approntate, alla ricerca di un qualsiasi indizio rilevante su che fine avessero potuto fare i loro compagni. Non trovando nulla in quelle per il pernottamento, si diressero verso la tenda di comando, scostata dal resto del campo e posta sopra un'altura.
"Da dove iniziamo?" chiese Coltac. "Non possiamo esplorare l'intero perimetro, è una zona troppo vasta."
"Lo so," rispose Wright, "me ne rendo conto anch'io. Suggerimenti?"
"Le casse che erano al campo..." cogitò Renko, attirando la curiosità dei compagni. "Le casse che erano al campo e che dovevano ancora essere chiuse," ripeté, con voce più sicura, "contenevano apparecchiature che erano installate sulla collina. Si può quindi supporre che i cadetti stessero smantellando quella zona, al momento della scomparsa."
"Ottimo" concordò l'umano. "È da lì che inizieremo."
"Sì, ma cosa stiamo cercando, esattamente?" obiettò Coltac. "Non abbiamo rilevato nulla con i sensori."
"Tracce, qualsiasi tipo di indizio... non voglio allertare l'Accademia senza prima essermi accertato che i nostri scomparsi non siano a far baldoria sulla spiaggia all'altro lato dell'isola. Dalla cima della collina potremo avere una panoramica globale del territorio, chissà, magari..."
Wright, Coltac e Renko procedevano cautamente ma in maniera piuttosto spedita. Tricorder sempre in funzione e phaser sempre pronti al fuoco. Avendo essi stessi trascorso su quel terreno l'ultima settimana, conoscevano piuttosto bene i dintorni ma ciò che vedevano, mi correggo, ciò che non riuscivano a scorgere da nessuna parte, non piaceva per nulla a nessuno dei tre.
Quella luna era stata terraformata da quasi un secolo, ormai, ma l'ecosistema aveva ancora un aspetto piuttosto artificiale, con un numero prestabilito di piante, animali e insetti. Qualsiasi elemento estraneo alle varietà importate sarebbe spiccato fra i dati del tricorder come l'esplosione di una supernova in una zona di spazio priva di stelle.
Il trio decise di dividersi per ispezionare un'area maggiore e Renko lasciò i compagni alle spalle per inoltrarsi nel boschetto ai piedi della collina.
Il sottobosco era curato e pulito; gli alberi giovani erano stati piantati con innaturale simmetria. Quello era il luogo dove, solo due giorni prima, ai cadetti erano state impartite lezioni sul seguire le tracce di un probabile nemico o fuggiasco. Era anche il luogo dove Renko aveva capito che non avrebbe mai avuto un futuro come tracciatore. Aveva assistito alle spiegazioni del cadetto White-Eeagle con tutta l'attenzione che poteva dedicarvi, ma i ghirigori del terreno, per lui, non si erano mai tramutati in un alfabeto familiare o comprensibile. Certo, era in grado di capire che se c'erano delle ceneri...
Renko si fermò di scatto, voltandosi per guardare dietro di sé. Per un attimo gli era parso quasi... la sua mano si mosse automaticamente verso il suo shuriken... quasi di aver avvertito la presenza di qualcuno. Tornò sui suoi passi, ascoltando attentamente e scrutando i dintorni ma senza vedere realizzate le proprie aspettative. Nessun cadetto, conosciuto o sconosciuto, era presente lì, a parte lui. Afferrò più saldamente il fucile phaser e tornò al suo compito di osservatore dei dintorni.
Dunque... certo era in grado di capire che se c'erano delle ceneri, o sassi disposti in cerchio, probabilmente si trattava dei resti di un fuoco da campo. Se c'erano erba o cespugli piegati ed una scia di terreno spoglia, probabilmente si trattava di una pista. E questo era il massimo raggio d'estensione a cui arrivavano le sue capacità di tracciatore.
'Ma le tracce funzionano in entrambe le direzioni.' Non ricordava più dove lo avesse sentito, o perché gli tornasse in mente proprio in quel momento. Perché le cose non funzionavano mai come negli oloracconti? Dove il protagonista trovava sempre una chiara linea di impronte, ben definite e ben delineate? Pace, l'importante, ora, non erano le proprie capacità di segugio, in quanto le letture del proprio tricorder.
La macchinetta magica analizzava molecola per molecola l'ambiente circostante e ciò che ne concludeva era: nulla di anormale.
"Eppure..." Renko chiuse il tricorder, zittendone il cinguettio ed ascoltando attentamente. "Perché ho l'impressione che ci sia qualcuno, malgrado l'evidenza indichi il contrario?" pensò, a disagio.
Sentiva la forma del tricorder premergli sul fianco ed il fucile phaser pesargli sul braccio sinistro. "Sarà quest'atmosfera di irrealtà che si respira" concluse poi. " L'accampamento deserto, i cadetti scomparsi... forse mi sto facendo suggestionare troppo." Riabbracciò il fucile con entrambe le mani e completò il suo giro, ispezionando la zona a lui assegnata.
"Rapporto" chiese Wright, senza preamboli, appena la squadra si fu riunita per il punto della situazione.
"Nulla di concreto da riferire" rispose Renko.
"Tutto è al suo posto, tranne i cadetti" gli fece eco Coltac.
"Questo non farà piacere a Lajana più di quanto ne stia facendo a me" borbottò l'umano, poi schiacciò il comunicatore sul proprio petto, attivandolo. "Wright a Lajana."
Wright attese paziente di udire la tipica cadenza andoriana ma solo un breve brusio uscì dal comunicatore che, a parte questo, restò muto. "Wright a Lajana" insisté il secondo in comando.
Silenzio.
"F'laìss! Wright a F'aìss, ci sei?" Ancora silenzio, il comunicatore non trovava l'aggancio.
Immediatamente anche Renko e Coltac attivarono i loro comunicatori, sperando di ottenere un diverso risultato. Sperando che si trattasse di un difetto limitato al comunicatore del loro compagno.
Speranza vana.
"Torniamo al campo" ordinò il secondo in comando. "Muoversi!"
Il campo era silenzioso come lo avevano trovato la prima volta e, come la prima volta, era deserto.
"Ma che cosa..." esclamò Wright, mostrando tutta la sua frustrazione.
Il gruppo restò al centro delle tende, non sapendo bene cosa fare a quel punto. Pensando freneticamente a quale potesse essere un buona mossa in una situazione assurda come quella.
Per un attimo Renko ebbe quasi l'impressione di trovarsi fra le rovine di un città abbandonata, con tende al posto di antichi palazzi e cadetti al posto di archeologi che avrebbero continuato a scrutare nelle pieghe del tempo senza mai ricavare, in cambio, una risposta certa che potesse spazzare via le congetture e le ipotesi. Aveva qualcosa di nobile e misterioso, quel campo abbandonato. Se non fosse stato che qui non si trattava di una qualche civiltà scomparsa ma dei propri compagni, sarebbe forse valsa la pena di abbandonarsi al romanticismo.
"Guardate!" esclamò Coltac, indicando un punto specifico del terreno.
La terra era stata smossa, qualcuno vi aveva disegnato un chaka, il tipico pugnale andoriano, con la punta centrale rivolta verso il tendone di comando.
"Grande, Lajana!" non poté fare a meno di gridare Wright, senza riuscire a trattenersi. "Andiamo" ordinò poi "e... cautela" aggiunse, senza che ce ne fosse bisogno.
La cautela sarebbe stata insita in tutto quello che avrebbero fatto da quel momento in poi.
La tenda era chiusa solo da tre lati, anche da lontano si vedeva chiaramente che era vuota, ma almeno l'indizio lasciato dall'andoriana sui propri spostamenti era un punto di partenza. Qualcosa da cui poter cominciare a muoversi, agire, finalmente.
Quando giunsero a qualche metro dalla tenda una voce li fece sobbalzare. Istintivamente puntarono i phaser verso l'origine del suono ma non incontrarono alcun essere sulla traiettoria.
Wright fece segno di coprirgli le spalle ed iniziò ad avanzare all'interno della tenda mentre la voce incorporea accompagnava i suoi passi. Man mano che l'umano si avvicinava, le sue spalle si rilassavano sempre più, fino a che non scoppiò in una sonora risata.
Renko e Coltac si guardarono perplessi, che ci fosse nell'aria qualcosa che faceva impazzire la gente?
"È la registrazione dei diari di missione" urlò l'umano, a beneficio degli altri.
Renko si avvicinò e, man mano che si approssimava, la voce diventava più chiara e le parole iniziavano ad acquistare un senso. Uno degli istruttori lo stava fissando dallo schermo mentre snocciolava il rapporto della giornata.
"Deve essere arrivato alla fine e poi aver ricominciato da capo" disse l'ibrido, riferendosi al terminale. "Vediamo qual è l'ultimo file." Spinse due comandi ed il viso dell'istruttore sparì, rimpiazzato dal simbolo della Federazione.
Due secondi dopo anche la seconda schermata svanì nel nulla e sullo schermo apparve un giovane umano con la divisa dei cadetti: "Diario di missione del cadetto Arena Sierra, responsabile della smobilitazione del campo Tethi, Ranid, Europa" iniziò a dire, rivolto ad un pubblico che non poteva vedere. "Abbiamo continuato le ricerche del cadetto Parn per tutta la notte senza ottenere alcun risultato. Dalle letture dei sensori, non risulta più essere all'interno del perimetro. Indirizzerò le ricerche al di fuori del campo, con cura specifica per quelle aree da cui dobbiamo ancora togliere le contromisure elettroniche. Se entro sera non l'avremo trovato, non mi rimane che avvisare l'Accademia, denunciandone la scomparsa."
L'immagine del cadetto fluttuò e scomparve dal video. Sullo schermo riapparve per un istante il simbolo federale, mentre il terminale richiamava una registrazione successiva che portava l'orario di quattro ore dopo. Sierra ricomparve dal nulla, le labbra tirate, lo sguardo ancora più stanco che in precedenza.
"Diario di missione del cadetto Arena Sierra. Il cadetto John White-Eagle riferisce di aver trovato inequivocabili tracce che si dirigono verso la zona dell'isola dove sorge la stazione meteorologica. Il signor White-Eagle sostiene inoltre che le tracce da lui trovate appartengano ad un unico individuo, la cui corporatura potrebbe corrispondere a quella del cadetto Parn. Tuttavia, non ci sono ragioni apparenti per le quali Parn debba aver lasciato i suoi compiti. I nostri tentativi di chiamarlo con i comunicatori sono rimasti inascoltati. Ho aperto un canale con la direzione della stazione meteorologica ma il personale afferma di non averlo visto. Non risultano, a detta loro, visitatori all'interno della struttura. Ho chiesto di poter condurre ricerche nella zona, si sono rivelati molto disponibili ad aiutarci nel compito. Fra meno di un'ora partirò con una squadra verso la stazione, dove organizzeremo una ricerca congiunta. Spero di riuscire a trovare Parn e che questi abbia un'ottima spiegazione per il suo comportamento e spero per lui che non si tratti di una delle sue solite trovate o scherzetti, perché, stavolta, non la passerebbe liscia e quella che potrebbe essere ancora considerata come una piccola mancanza si trasformerebbe in qualcosa di ben più grave, per il suo curriculum."
"Ahia!" commentò Coltac, quando le immagini sullo schermo fluttuarono di nuovo e la voce del computer comunicò: <Fine registrazioni.>
Due secondi dopo, un file di sette giorni prima apparve sul video, mentre i diari venivano visualizzati, di nuovo, dall'inizio.
"Ahia!" fu dunque il commento di Coltac. "Sta a vedere che i meteorologi si sono stancati di avere un branco di cadetti rumorosi che si esercita dall'altra parte dell'isola e li hanno fatti fuori tutti!" ipotizzò l'acamariano, non proprio seriamente.
"Noto che la tua logica e la tua paranoia vanno di pari passo" lo rimbeccò Wright, che non era decisamente dell'umore giusto per sentire battute atte ad alleggerire l'atmosfera. Quindici cadetti in meno... più leggera di così!
"Forse Coltac si è espresso in maniera un po' tragica" affermò Renko, "ma è anche vero che i cadetti sono scomparsi dopo aver parlato con il personale della stazione meteorologica. Potrebbe non essere una semplice coincidenza."
"Mai creduto alle coincidenze" sentenziò l'acamariano, difendendo la sua causa.
Wright sorrise di sbieco e si fece pensieroso, poi tirò un lungo respiro. "Nemmeno io" ammise, assorto.
Renko si diresse al pannello delle comunicazioni e digitò un paio di tasti, richiamandone il log sul terminale. "L'ultima comunicazione avvenuta è di un quarto d'ora fa" informò gli altri. "È di Lajana... ha chiamato il centro meteorologico."
Le parole del delta gammano rimasero ad alleggiare nell'aria per qualche istante.
"Seguitemi" ordinò Wright, allontanandosi dal tendone e tornando verso il campo.
"Qual è la linea d'azione, capo?" chiese Renko, essendo il tipo a cui, se proprio doveva morire, non sarebbe dispiaciuto sapere il perché.
"Ci armiamo fino ai denti" spiegò l'ex secondo in comando.
"Mi piace questo piano!" esclamò Coltac, approvando in pieno la decisione del suo superiore.
Wright guidò la squadra nuovamente fino alle casse di stoccaggio e ne estrasse phaser a mano e granate stordenti. "Andremo di persona a chiedere spiegazioni ai meteorologi" annunciò. "Spero non si risentano troppo... se non ci facciamo annunciare."
L'obiettivo si trovava dall'altra parte dell'isola e per arrivarci bisognava attraversare una foresta. Fortunatamente, in questo caso, foresta era una parola esagerata per descrivere gli alberi ed i cespugli del sottobosco di Ranid. Tuttavia, perfino quel boschetto addomesticato qualche sorpresa la riservava.
"Accidenti!" esclamò Coltac, rovinando a terra.
L'acamariano era inciampato ed ora stava bestemmiando nella propria lingua mentre tentava di rialzarsi, sfregandosi via il fogliame dalla divisa.
Due secondi dopo, una deflagrazione lo scagliò violentemente contro il tronco di un albero, sfiorando anche Renko e Wright che però ebbero maggior fortuna e non ne furono colpiti in pieno. Coltac, invece, restò a terra e non si rialzò. Si trattava di una granata stordente.
Renko e Wright si erano gettati dietro al tronco di un albero, tirando a caso sulla direzione, visto che non potevano sapere da che parte sarebbe partito un eventuale attacco. Schiena contro schiena, si coprivano le spalle a vicenda.
"Da quanto i meteorologi si divertono a piazzare trappole ad innesco in giro per la boscaglia?" chiese Renko. Ma a questo punto la domanda era un puro esercizio di retorica.
Appena visto il compagno inciampare, Wright aveva spinto Renko da parte, mettendosi poi al riparo esso stesso. Una trappola artigianale, sembrava quasi di essere dentro ad uno di quei vecchi racconti di guerra. L'innesco era stato ritardato per poter colpire più persone possibili ma la vittima era inciampata nel filo, invece di spezzarlo solamente, e la trappola non era stata completamente efficace, per fortuna.
Fortuna di Wright e Renko soltanto, però, perché la deflagrazione aveva investito l'acamariano, sbattendolo a terra e facendocelo rimanere. Grazie al cielo non si trattava che di una granata stordente, ma trovarsi di fronte a nemici di buon cuore non risollevava poi il morale più di tanto, scomparire nel nulla era un'opzione a cui nessuno di loro voleva andare incontro.
"Non è detto che ci sia qualcuno, nei dintorni. Altrimenti perché piazzare trappole di questo tipo, invece di limitarsi a fare tiro al bersaglio e finirci subito?" ipotizzò l'umano che, nelle materie di Tattica Militare, aveva ottimi voti.
Wright si sporse da dietro il tronco, tirandosi indietro subito dopo, di scatto, appena in tempo per non essere centrato da un raggio phaser.
"Merda!" esclamò, appuntandosi di protestare vivamente contro gli autori dei libri di testo. "Non so come facciano, ma il tricorder non li rileva."
"Devono avere un dispositivo di schermatura avanzato" ipotizzò il delta gammano. "Ma finché stanno così vicini, non c'è bisogno di tricorder per sapere dove sono, li potremo rilevare benissimo anche a vista."
"Evviva, se tutti i vantaggi fossero così..." disse l'umano, con una certa dose di cinismo nella voce. Ma Renko non era rimasto ad ascoltare il commento, si era agganciato il fucile alla schiena ed aveva iniziato ad arrampicarsi sul tronco dell'albero.
Il colpo diretto a Wright poco prima veniva da ore undici, cercò un ramo che gli permettesse una buona visuale in quella direzione ed iniziò a scrutare il sottobosco. "Un respiro, bello, solo un respiro" mormorò fra sé e sé. "Forza, tira il fiato e vedrai se non ti becco."
Il nemico non si fece attendere. Neanche dieci secondi di assoluto silenzio dopo, una granata stordente diretta verso di loro balzò da un cespuglio. Renko sparò a raffica nel cespuglio urlando a Wright di allontanarsi. Per una frazione di secondo si gingillò con l'idea di neutralizzare la granata colpendola al volo, ma la sua mira non arrivava fino a questo punto (o, almeno, non con un fucile).
Una volta fatta partire la prima salva, saltò, aggrappandosi ad un ramo dell'albero di fronte proprio mentre la granata rilasciava la sua onda d'urto stordente.
Il delta gammano si fece dondolare un paio di volte e si lanciò oltre il cespuglio sul quale aveva appena fatto fuoco. Mentre era ancora in aria, due colpi di phaser provenienti da un secondo aggressore partirono nella sua direzione, ma l'intera azione era stata così veloce che il cecchino non aveva auto il tempo di mirare bene e i fasci d'energia lo sfiorarono soltanto, lasciandogli sulla pelle una leggera sensazione di formicolio. Appena ebbe impattato contro il terreno, eseguì una capriola per ammortizzare l'urto ed estratta a sua volta una granata dalla cintola, la lanciò nella direzione del tiratore.
Non perse ulteriore tempo a contemplare l'esito del gesto ma si mise subito in guardia per ripararsi da un eventuale attacco da parte del suo primo bersaglio. Fortunatamente, questi era già stato neutralizzato dai colpi di phaser ed ora giaceva supino, schiacciato al suolo. Renko gli si avvicinò, spostandolo per guardarlo bene in faccia.
"Avrei dovuto immaginarlo" disse, disarmando l'avversario e legandogli i polsi. "Anzi, pensandoci a posteriori... era quasi ovvio."
Vicino al corpo c'era un tricorder, uno strano tricorder, ancora in funzione. Il delta gammano lo raccolse e si spostò dalla zona con cautela e facendo il meno rumore possibile. Quando si ritenne sufficientemente al riparo esaminò lo strumento. Da quello che poteva capire interpretando i dati sullo schermo, si trattava di software basato su tecnologia federale, studiato appositamente per emettere impulsi che confondessero le letture dei sensori standard. In pratica, un dispositivo di contromisure portatile, ma un po' più avanzato di quelli su cui si erano esercitati solo qualche giorno prima e, decisamente, non proprio il tipo di tricorder adatto alle rilevazioni atmosferiche, tutt'altro. A questo punto era indubbio che la stazione meteorologica fosse solo una copertura.
Renko sentì sparare e qualcuno rispondere al fuoco. Evidentemente Wright aveva deciso di vendere cara la pelle, perché esplosioni e colpi di phaser continuarono a susseguirsi.
"Vediamo se riesco a renderci le cose un po' più facili" meditò l'ibrido, iniziando ad armeggiare con i comandi del bottino di guerra. In pochi passaggi trovò la frequenza attraverso la quale quel tricorder era collegato a quelli dei propri compari. Due secondi dopo, la foresta iniziò a trillare.
Renko uscì dalla sua tana, lanciando granate e facendo fuoco in direzione dei trilli. Wright lo seguì a ruota, coprendogli le spalle. L'ibrido aveva lanciato un impulso nella rete di tricorder nemica, facendo sì che questi emettessero dei biiip e rivelandone così la posizione.
Quando il fuoco della controparte cessò, Wright e Renko iniziarono ad ispezionare i dintorni, ma senza mai abbassare la guardia. Trovarono sei corpi, i conti non tornavano.
Mentre Wright si occupava di disarmare e rendere inoffensivi i nemici privi di sensi, Renko si allontanò alla ricerca del settimo assalitore. Se si era fatto un'idea precisa del campo di battaglia e della posizione dei tricorder nemici... quella in cui stava andando doveva essere la direzione giusta, ma da oltre la vegetazione non avvertiva nessun movimento, né la presenza di chicchessia. Poteva essere un buon segno così come poteva essere un pessimo segno. Con la punta del fucile smosse gli arbusti che gli si paravano davanti, tenendosi scostato da un'eventuale linea di tiro.
Crack.
Il suono fece scattare i suoi muscoli, mettendolo subito all'erta. Ma poi si accorse che non si trattava d'altro che di un ramo che aveva crocchiato mentre lui lo scostava. Tirando un profondo respiro per non perdere la concentrazione, si sporse per guardare oltre, muovendo fucile ed arbusti con la destra, mentre la mano sinistra stringeva e allentava la stretta sull'impugnatura del phaser a mano cercando la posizione più comoda possibile, se mai fosse vero che ne esistesse una.
Appena oltre il cespuglio, un tricorder, del tutto simile a quello usato dai cattivi, giaceva abbandonato sul terreno.
Pessimo segno, appunto. Con il cinquanta per cento delle probabilità che qualcosa potesse andare bene, perché le cose andavano invece sempre storte?
'Il bene ed il male non sono altro che problemi geometrici, Mienai Ryuu' gli aveva detto una volta il suo Maestro. 'È tutta una questione di angolazioni, nient'altro.'
- Già - rispose mentalmente Renko. Per lui che si rammaricava di non aver trovato il nemico privo di sensi, c'era qualcuno che si rallegrava di non giacere, in quel momento, steso a terra. Ed il fatto che doveva essere ancora molto vicino cos'era? Un bene od un male?
Fronde.
Fronde... rumore di fronde. Il suo braccio sinistro si alzò meccanicamente nella direzione in cui sentì il suono, facendo fuoco, mentre con il corpo si gettava di lato. Fece appena in tempo ad intuire un movimento con la coda dell'occhio, prima di venire momentaneamente accecato da un raggio phaser che passò a pochi millimetri dalla sua testa. Se si fosse spostato soltanto un altro secondo più tardi, sarebbe stato preso in pieno.
Rotolò di lato, tentando di tenere una traiettoria non intuibile. Fu costretto a lasciare la presa sul fucile, troppo ingombrante, ma continuò a far fuoco con il phaser a mano durante l'intera manovra, mentre fasci d'energia impattavano contro il terreno e gli alberi tutt'intorno a lui. A quanto pareva, l'avversario non aveva la minima intenzione di lasciar perdere la partita.
Ora erano entrambi a terra, tanto vicini da poter ingaggiare una lotta corpo a corpo. L'intruso si gettò sul braccio sinistro di Renko, bloccandolo per impedirgli di sparare, mentre lui stesso alzava l'arma all'altezza del viso del delta gammano. Senza perdere tempo, Renko inarcò la schiena ed il suo piede scattò, colpendo in pieno la mano dell'avversario e facendo volare il phaser lontano. Mossa che pagò cara, perché il suo nemico non poteva permettersi di restare disarmato di fronte ad un avversario che non lo era ed accentuò la leva sul braccio, rischiando quasi di spezzarglielo, se non avesse mollato a sua volta l'arma. Renko dovette far scivolare a terra il proprio phaser, che venne subito scalciato lontano, ma la sua reazione non si fece attendere, avrebbe ritorto contro di lui la mossa dell'aggressore, rendendolo innocuo.
Cercò la presa sul braccio del nemico ma quest'ultimo non era per nulla intenzionato a lasciarsi prendere e, in maniera del tutto inaspettata, mollò Renko e si allontanò, eseguendo una capriola all'indietro e rialzandosi in piedi.
L'ibrido scattò a sua volta, rifiutandosi di farsi sfuggire la preda. Ora entrambi si trovavano in piedi, l'uno di fronte all'altro, fronteggiandosi. C'era solo una differenza fra di loro... ma era una differenza mortale.
L'avversario alzò il phaser all'altezza del volto di Renko, ne aveva ancora uno di riserva all'interno del giubbotto e lo aveva estratto al volo mentre eseguiva la capriola.
Il delta gammano lo fissò negli occhi e non fece nemmeno in tempo a mormorare un "Merda!", che l'altro fece fuoco.
Renko fu sbalzato indietro dalla potenza del raggio sparato a distanza tanto ravvicinata, i suoi piedi si staccarono dal terreno, mentre la sua testa guardava, ora, verso il cielo.
Improvvisamente si ritrovò in piedi, alle spalle del suo assassino, guardando sé stesso cadere, cadere, cadere ancora, al rallentatore, un millimetro alla volta.
- Accidenti! - pensò, - non ho ancora finito di cadere che già mi sono proiettato. -
Non riusciva a staccare gli occhi dalla scena che aveva di fronte.
- Sono morto - fu l'unico pensiero coerente che gli venne in mente, mentre guardava il proprio corpo sospeso nell'aria e nel tempo. - E così ce l'hai fatta, alla fine. Mi hai fatto fuori. Bravo. - Il suo sguardo si puntò contro la schiena del proprio aggressore, quasi a portata di braccio. - Inizio a capire cosa intendesse dire 215, riguardo alle proiezioni. -
Allungò una mano verso il nemico ma sentì una scarica di dolore percorrergli la schiena e fargli tremare le ossa. Il proprio corpo aveva appena finito la sua estenuante caduta per impattare, finalmente, contro il terreno umido e ricoperto di foglie.
Si ritrovò a fissare le cime degli alberi, era di nuovo in sé, nel suo corpo, l'unico e originale, la proiezione svanita. Un senso di formicolio pervadeva ogni nervo del suo corpo e un senso di intorpidimento ogni suo muscolo. Era ancora cosciente ma completamente paralizzato, provò a muovere una mano... inutile, le dita non gli ubbidirono.
- Odio questo settaggio - pensò, mentre una leggera nausea iniziava a salirgli dallo stomaco. - Avrei quasi preferito che avesse usato massimo stordimento. Ma ripensandoci, non sarebbe stato molto conveniente... per lui, se io avessi perso conoscenza. -
L'avversario si era girato su sé stesso, avvertendo forse una presenza dietro alla spalle, ma non c'era nessuno, non più.
In lontananza si sentirono altri colpi di phaser e la frequenza era quella dei suoi compagni, che si scontravano contro qualcuno con un phaser federale. Poi il rumore di quest'ultimo cessò.
"Oh, finalmente sono arrivati, e credo proprio che anche il tuo amico sia stato sistemato" disse, rivolto al cadetto bloccato a terra.
In quanto alla presenza alle proprie spalle, evidentemente si era sbagliato, la tensione doveva avergli giocato un brutto scherzo, tuttavia, per prudenza, stette ad esaminare ancora per un po' la zona. Tanto, tempo ne aveva, meglio usarlo prima che trovarsi senza dopo.
Renko stette immobile (ma non per sua volontà) a regolare il respiro, in cerca di una meditazione che accorciasse il tempo di paralisi dovuta al raggio energetico. Valeva la pena tentare, tanto, ormai, respirare ed ascoltare il proprio cuore battere erano le uniche cose che potesse fare.
Magari l'altro se ne sarebbe andato, magari si sarebbe accontentato di averlo reso innocuo e non gli avrebbe dato altre noie... speranza vana, Renko avvertì dei passi dirigersi nella propria direzione.
- Com'era quella legge sulle probabilità? -
"Renko" si sentì apostrofare, "finalmente ci si rivede."
"Non ti vergogni ad andare in giro a sparare alla gente?" ribatté il delta gammano.
Musuko scoppiò a ridere, abbassando la punta del fucile phaser che aveva raccolto poco prima. "Non oggi."
Oggi era riuscito ad abbattere Renko.
Aveva vinto.
Renko vide un'ombra stagliarsi sopra di lui e si lasciò scappare un'esclamazione in una lingua che neppure faceva parte dei dialetti umanoidi.
"Che cos'hai da borbottare tanto? Fa il bravo morto e sta' tranquillo."
"Musuko," gli fece notare l'ibrido. "Falla finita e va a sparare a qualcun altro, invece di perdere tempo con me."
"Spiacente," gli rispose questi. "Lo so che eravate soltanto in cinque, e temo che l'esercitazione sia veramente finita, ora."
"Non la vedevi proprio, l'ora di spararmi, vero?"
"Ma lo sai che ti ho avuto sotto tiro almeno una ventina di volte, negli ultimi otto giorni? È da una settimana che vi camminiamo sotto al naso e non vi siete accorti di nulla" fu simpaticamente apostrofato dall'avversario.
Ecco che cos'era quella strana sensazione di inquietudine che aveva provato in mezzo al bosco e, prima di allora, quando si era ritrovato solo, a meditare ai limiti dell'accampamento. Forse il suo istinto aveva captato qualcosa, ma lui non era stato in grado di decifrarne i segnali.
"Peccato che io non abbia l'animo del cecchino, ma in fondo, se non ti avessi battuto in un vero scontro, che soddisfazione ne avrei ricavato?"
Renko non disse nulla, evidentemente era una domanda retorica.
"Ed ora," continuò Musuko, "ho tutto il diritto di godermi la vittoria."
Il giapponese si chinò di fianco all'ibrido, piegando le ginocchia e puntellandosi con il fucile phaser.
"Chiudi gli occhi" gli consigliò.
"Cos..." uscì dalle labbra di Renko. "Ehi! non azzardarti a rubarmi gli..."
Troppo tardi, la mano di Musuko aveva già raggiunto il volto del ragazzo e le sue dita si erano serrate sugli occhiali schermanti. Renko strinse forte le palpebre mentre questi gli venivano tolti e la luce le colpiva in pieno.
- Maledizione! - imprecò fra sé e sé, - possibile che tutte le esercitazioni si debbano sempre tenere sotto la luce irritante di Sol? -
"Come va?" si sentì chiedere dal giapponese. Renko non poteva più vederlo, ma poteva percepire benissimo il sorriso sul volto del ragazzo. Si limitò ad inspirare ed espirare profondamente.
Musuko sentì lo sbuffo del cadetto ed il suo sorriso si piegò ancora un po' agli angoli. Strano, si era sempre immaginato che battere Renko l'avrebbe fatto sentire più esaltato di così. Accidenti, aveva vinto! Era da tanto che aspettava questo momento, dalla prima volta in cui l'aveva affrontato in quell'esercitazione di tipo delta sul ponte ologrammi.
Le parole gli arrivarono inaspettate dal delta gammano: "Dovrai fare meglio di così, la prossima volta, se speri di riuscire a colpirmi ancora" ed il suo tono di voce era calmo e deciso.
"È una sfida?" gli chiese il giapponese, mentre il sorriso gli si allargava sul volto senza che lui potesse farci nulla.
"No" rispose semplicemente l'altro. "Io non sparo mai di queste smargiassate."
Dopodiché cadde il silenzio. Renko non rispose neppure quando Musuko si infilò sul volto il trofeo che aveva faticosamente conquistato e, pur sapendo che tanto non poteva vederlo, gli chiese: "Come mi stanno?"
Il giapponese si alzò in piedi, rivolgendo il volto verso il sole. Gli occhiali riparavano le sue iridi dorate dai forti raggi della stella, ma in ogni caso non avrebbe fatto alcuna differenza. La propria cecità svolgeva più che egregiamente il medesimo compito.
Venti minuti dopo, l'effetto paralizzante del phaser era passato e Renko si era ritrovato a dover smontare una tenda. Sempre ad occhi chiusi.
Sherman e gli altri istruttori erano piombati nell'accampamento, facendo riapparire i cadetti scomparsi e sparando ordini a destra e a manca riguardo la smobilitazione. Quando il delta gammano aveva fatto notare che senza occhiali schermanti non vedeva nulla, Sherman gli aveva piazzato due sonore pacche sulla spalla.
"Ah, ah, considerala una ferita di guerra, ragazzo!" aveva detto giovialmente. "E abituati a smontare una tenda al buio. Sei fortunato, è un ottimo allenamento."
Proprio una bella fortuna, non c'è che dire. Ma che altro poteva aspettarsi da uno come Sherman?
Al Castello di Kyôki aveva imparato a combattere senza utilizzare il senso della vista ma, se gli avessero invece insegnato a disfare un nodo, ora come ora gli sarebbe stato molto più utile. Andando a tentoni, Renko stava cercando di piegare la tenda senza rimanerci invischiato dentro, litigando con tessuto infido e con corde che sembravano essersi improvvisamente animate di vita propria e tentavano di imprigionarlo.
"Qualche problema?"
"Ma come fai a vivere così?" chiese il delta gammano, invece di rispondere alla domanda.
"Questione d'abitudine" rispose laconicamente Musuko. "E l'aiuto di una buona rete sensoria. Te la presterei anche, ma purtroppo l'ho lasciata in Accademia" si offerse gentilmente il giapponese, ma, dal tono di voce, si intuiva che era più che lieto di avercela lasciata, là.
"Ridammi gli occhiali."
"No."
"Ti denuncio per furto" lo minacciò Renko, allungando un braccio nella direzione dell'altro cadetto e sventolando la mano, sollecitando, tramite quella mimica gestuale, la restituzione del maltolto.
"Non sono rubati, sono requisiti. Sherman dice che per te è un buon allenamento."
"Ce li hai ancora addosso?" chiese l'ibrido, tentando di apparire noncurante.
"Ti piacerebbe..."
Era indubbio che Musuko si stesse divertendo come non mai. Renko, invece, un po' meno. Essere preso sotto l'ala protettrice di Sherman era l'ultima cosa di cui necessitava la propria salute, sia mentale che fisica ma, a quanto pareva, l'istruttore voleva trasformarlo a tutti i costi in un buon soldato. Ma perché un soldato? Lui voleva essere un investigatore, non un soldato.
"Sei venuto qui ad ascoltarmi lavorare o hai anche uno scopo più nobile dallo stare fermo impalato a goderti i miei sforzi?"
"Guarda che nemmeno io sprizzo felicità a farti da balia, sai? Ma Sherman ha detto di... tenerti d'occhio. Nel caso tu dovessi trovarti in difficoltà, sono qui a disposizione per beneficiarti della mia infinita esperienza."
"E allora sbrigati e dammi una mano."
"Nel caso ti trovassi in difficoltà, ho detto" precisò Musuko. "Te la stai cavando benissimo."
Renko decise di non ribattere, malgrado l'ultima frase pronunciata dal terrestre fosse impregnata d'ironia fino all'ultima lettera.
Due ore e mezzo dopo, il delta gammano aveva finito un lavoro che, avendo potuto usare la vista, avrebbe svolto in trenta minuti. In realtà era più realistico dire che due ore e mezzo dopo, Renko aveva deciso di considerare finito il lavoro, avendo capito che non sarebbe mai riuscito a fare meglio di così. Sollevò il pacchetto di tessuto informe e annodato nei più svariati modi e... rimase impalato dov'era.
"Musuko."
"Mm?"
"In che direzione sono le navette da carico?"
Il giapponese restò in silenzio qualche secondo, prima di rispondere. "Sono sempre lì, da dove siamo arrivati."
"Si, ma... mi sono un po' confuso mentre mi giravo di qua e di là per arrotolare la tenda."
"Per gli antenati!" si lasciò scappare l'altro cadetto, con un sospiro di rassegnazione. "Seguimi."
Renko non poteva fare a meno di sentirsi in imbarazzo, non si era reso conto, prima di allora, di quanto avesse sempre fatto affidamento sull'uso della vista. Quando era al Castello di Kyôki ed il Maestro lo faceva allenare ad occhi bendati, si era illuso di sapersela cavare bene perché riusciva a sfruttare gli altri sensi per farsi un'idea dei movimenti dell'avversario. Ma tutto questo non aveva nulla a che fare con la vita quotidiana o con il trovarsi di fronte ai più semplici e apparentemente innocui compiti di tutti i giorni. Compiti che, eseguire senza l'aiuto degli occhi, si trasformavano immediatamente in qualcosa di parecchio difficoltoso e impegnativo.
Mentre si trovava tutto impegnato a districarsi con il tendone, era perfino riuscito a perdere l'orientamento e non poteva nemmeno basarsi sul sole perché erano passate ore e si era spostato.
Si chiese perché Musuko si ostinasse a non portare la rete sensoria durante le esercitazioni. Fosse stato soltanto durante i combattimenti poteva anche capirlo, ma nella vita da campo... "Il solito testardo" mormorò.
"Cosa?" chiese il giapponese.
Renko non aveva dubbi che l'altro cadetto avesse sentito benissimo, come non aveva dubbi che stesse facendo apposta ad allungare il percorso.
"Dove mi stai portando, in un imboscata?" gli chiese, mentre, per l'ennesima volta, schivava un enorme sasso che affiorava dal sentiero sconnesso.
"Eh?" gli rispose Musuko, neanche, ultimamente, avesse problemi di udito. "Ah... no, è solo che credevo di far prima, se passavamo di qui" spiegò poi, ma non riuscendo a convincere completamente il delta gammano.
Renko non era riuscito a capire del tutto Musuko. Aveva pensato che dopo la vittoria di quel giorno lo spirito di competizione del giapponese nei suoi confronti si sarebbe quietato, ed invece continuava a provocarlo. Chissà, forse non si trattava d'altro che di forza dell'abitudine, qualcosa sul tipo riflesso condizionato.
- Mah... - pensò, e chiuse così il discorso. Non aveva voglia di stare ad arrovellarsi, in quel momento, ma non aveva neppure voglia di percorrere il resto della strada nel più assoluto silenzio.
"Allora, a quanto pare, la vera esercitazione era la vostra" esordì l'ibrido.
Musuko era stranamente poco ciarliero. Renko si era aspettato tutta una serie di frecciate sulla propria sconfitta, possibile che invece se la stesse cavando così a buon mercato? Visto che l'altro non faceva commenti, il delta gammano continuò ad esternare le proprie teorie. "E così, mentre noi facevamo un po' di campeggio fra una lezione e l'altra, il vostro obiettivo era spiarci senza farvi beccare. Ed ai cadetti rimasti a smobilitare il campo cosa è successo? Parn si era accorto di qualcosa? Oppure l'avete fatto sparire per costringere gli altri ad intensificare le sensorizzazioni e provare se la vostra attrezzatura fosse veramente valida? E poi? Alla fine avete dovuto scoprirvi, e chi è rimasto al campo ha attivato i dispositivi di contromisure per difesa."
"Se si possono compattare due esercitazioni in una, non vedo perché no" si limitò a far notare Musuko, senza confermare né negare le ipotesi del compagno.
"Può essere, ma io mi sento usato. Credo che protesterò con Sherman."
"Mphm, ma sentilo, il cadetto usa e getta! E saresti pure capace di andarci veramente da Sherman, a lamentarti."
"Ah, ripensandoci... ti preferivo quando stavi zitto. Comunque siamo arrivati, alla faccia tua e dei tuoi impervi percorsi."
Renko scaricò il suo fagotto su quella che suppose essere una piattaforma di carico e si voltò verso Musuko. Stava quasi per salutarlo con un 'Ci vediamo in Accademia', ma poi scosse la testa, visto come erano messi tutti e due in quel frangente, forse era il caso di cercare qualche altra frase un po' più appropriata.
"Ci vediamo in Accademia" disse infine, non trovandone nessun'altra sul momento. In fondo era solo un modo di dire.
"Se riesci a trovare gli occhiali di scorta, non ne dubito."
Renko aveva appoggiato il fagotto informe della tenda che stava trasportando e si stava accomiatando.
"Te ne vai senza neanche ringraziarmi?" lo provocò Musuko, sorriso sulle labbra.
"Guarda che sono ancora qui."
Musuko fece un passo e si ritrovò ad impattare contro l'ibrido, non se l'era aspettato, nemmeno l'aveva sentito muoversi. Il giapponese si ritrovò momentaneamente sbilanciato ed il naturale epilogo di ciò fu che cadde a terra.
Neanche due secondi dopo, sentì Renko afferrarlo per il polso e tirarlo di nuovo in piedi.
"Oh, scusa" disse il delta gammano. "Scusami, ma con tutta questa luce non vedo praticamente nulla" spiegò Renko, a sua discolpa per essersi trovato casualmente sulla traiettoria dell'altro. "Be', grazie di tutto, scusami ancora e ci vediamo in Accademia" detto questo, Renko si allontanò, uscendo dalla portata d'udito del giapponese.
Musuko fece quasi per protestare, ma poi si fermò, sorridendo e scuotendo la testa. Gli era tornato in mente l'epilogo del loro primo scontro, quando, alla fine dell'esercitazione, aveva fatto lo sgambetto al delta gammano. Un piccolo ed innocente dispetto che aveva mascherato da evento accidentale per rifarsi della sconfitta subita in quell'occasione, ed aveva sempre creduto di averla data da bere a Renko. Possibile che invece avesse capito?
"Nooo, non può essere" bisbigliò Musuko fra sé e sé, stringendosi poi nelle spalle ed andando per la sua strada.
Era notte, ma notte o giorno, che differenza faceva?
Una differenza enorme, per lui, visto che, non avendo occhiali schermanti, di notte qualcosa riusciva a vederlo, mentre di giorno era ancora accecato dalla luce di Sol.
Eccoli lì, ancora lì, ma se ne sarebbero andati, prima o poi. Se ne sarebbero andati e lui sarebbe potuto uscire allo scoperto, tornare a casa. L'avrebbe fatto dodici giorni fa, ma Sherman l'aveva incastrato un'altra volta, assegnandolo alla nuova esercitazione. Non aveva mai abbandonato Ranid ed ora era lui che doveva spiare il nuovo gruppo di cadetti venuto qui ad esercitarsi, e doveva farlo imparando ad usare i nuovi tricorder equipaggiati con le contromisure elettroniche. Se ci fosse riuscito, tutto sarebbe finito.
Finito per poi ricominciare, ma sarebbe stato sempre così, in un eterno ciclo.