La notte non era mai stata così buia, il vento così freddo, la strada così deserta. Vaarik camminava a passo spedito lungo i vicoli nebbiosi di China Town, avvolto nel suo pesante cappotto nero, il bavero rialzato ai lati del viso e le mani affondate nelle tasche. L'aria frizzante penetrava in ogni piega del suo abito, e trasformava il suo respiro in nuvole di vapor acqueo. Intorno a lui non si vedeva anima viva, e gli unici movimenti percettibili erano quelli dei drappeggi colorati con cui erano decorati gli edifici. Vaarik si strinse ancora di più nel cappotto e accelerò ulteriormente il passo. Quelle strade gli davano sempre una strana sensazione, con la quale il vulcaniano non era del tutto a suo agio. Non che avesse paura, naturalmente. Diciamo solo che... se possibile tendeva a limitare il tempo in cui rimaneva in quei paraggi. Fu quindi con una certa dose di sollievo che Vaarik intravide a distanza i due ideogrammi dell'insegna della 'Salamandra Lucente nel Sole del Mattino che Varca i Cancelli del Regno del Coleottero Danzante'. Come sempre avveniva, il giovane vulcaniano non fu del tutto cosciente di come fosse arrivato al locale. Ogni volta, infatti, non era in grado di ricostruire la strada percorsa, nonostante il suo senso dell'orientamento fosse ottimo come quello di tutti i vulcaniani. Da un certo punto di vista, era come se ogni volta fosse il locale a trovare lui, non il contrario. Vaarik, piuttosto saggiamente, aveva ormai da tempo smesso di chiedersi il perché di quel fenomeno, come di molte altre cose che riguardavano il locale di Chun. Aprì quindi la porta, e come sempre venne accolto dalla consueta luce rosata e da una delle monotone nenie coreane. Chun si materializzò dal nulla, apparendo alle spalle del vulcaniano.
"Salve, onorevole ospite," esordì l'orientale, sorridendo sotto la linea sottile dei baffetti grigi.
"Salve, Chun," rispose Vaarik con la sua voce che sembrava ancora più profonda per contrasto con quella stridula dell'umano. "Hai visto qualcuno del gruppo?"
"C'è ragazzo con occhiali scuri seduto al solito tavolo," disse Chun cortesemente, facendo un ampio gesto con la mano.
Dietro una colonna, Vaarik intravide Renko che sorseggiava il suo consueto succo di pompelmo boliano. "Grazie," disse concisamente, dirigendosi in quella direzione. Poi si fermò come per un ripensamento. Aprì la bocca per parlare, ma Chun lo anticipò.
"Chun porterà un tevesh," disse sorridendo l'umano, con l'aria di uno che la sa lunga.
Vaarik annuì, stupendosi ancora delle capacità di Chun.
"Ehi, Vaarik!" Renko stava agitando una mano, cercando di attirare la sua attenzione.
Il vulcaniano sedette al tavolo, direttamente di fronte all'altro cadetto. "Foster ha detto che tarderà un po'," lo informò il frullato genetico, "aveva del lavoro da finire."
Per un attimo, la mente di Vaarik andò al primo incontro tra lui e Renko, quasi un anno prima. Era avvenuto proprio a quel tavolo, appena dopo il suo burrascoso colloquio col rettore D'Elena. A quel tempo, Vaarik non avrebbe scommesso una manciata di sabbia su quello strano personaggio dagli eterni occhiali scuri. Anzi, diciamo che avrebbe fatto molto volentieri a meno dei suoi goffi tentativi di conversazione.
Il ragazzo, invece, doveva averlo preso in simpatia, visto che nelle settimane successive aveva preso l'abitudine di sedersi accanto a lui durante le ore di lezione. O forse, vista la naturalezza con cui il vulcaniano trattava le più astruse materie scientifiche, sperava semplicemente in un aiuto durante i compiti d'esame più difficili. Comunque sia, fatto sta che i loro cammini si erano spesso incrociati, e a poco a poco Vaarik aveva iniziato a trovare stranamente... rilassanti i colloqui con l'altro cadetto. La sua, a quanto pareva, era una forma innocua di follia, e, cosa ancora più incredibile, sembrava avere un influsso positivo sul vulcaniano. Nessuno si stupirà sapendo che per Vaarik la permanenza in Accademia non era sempre piacevole. Anzi, per la maggior parte del tempo, si rivelava una vera e propria sfida alla sua capacità di sopportazione. Ogni giorno il giovane vulcaniano si trovava a dover convivere con creature irritanti e illogiche, il cui unico scopo pareva mettere a dura prova il suo autocontrollo. La presenza di Renko, al contrario, riusciva in qualche modo a ridare al vulcaniano la giusta prospettiva. Nulla sembrava essere in grado di incrinare la sua aura di tranquillità cosmica. Nascosto dietro le sue sempiterne lenti scure, Renko andava dritto per la sua strada, osservando con interesse tutto ciò che gli capitava intorno ma senza mai perdere il suo sentiero.
"Vaarik, non indovinerai mai cosa mi è successo oggi in biblioteca!"
"In effetti no, ma sono certo che non mancherai di farmene partecipe."
"Ero lì e stavo consultando quel libro di termodinamica relativistica che mi avevi consigliato, a proposito, c'ho capito meno di prima, quando ad certo punto..."
La conversazione procedeva tranquilla quando al loro tavolo giunsero degli strani rumori, provenienti da un'altra sala del locale. Sulle prime pensarono che fosse il solito capitano Quijote Patchwork che intratteneva i riluttanti avventori con una delle sue famose performance di vecchio lupo di spazio, ma poi i rumori crebbero più di quanto si fossero aspettati. Incuriositi, sbirciarono quello che stava succedendo nell'altra sala.
Lo spettacolo che si presentò ai loro occhi non era certo una cosa che si vedeva tutti i giorni. Un enorme klingon, alto come un armadio e altrettanto largo, in evidente stato di alterazione alcolica, teneva sollevato per la gola un umano con l'uniforme da cadetto, i cui piedi scalpitavano a un buon mezzo metro da terra. Gli avventori, sorpresi da quello spettacolo, e timorosi ad interagire con quell'energumeno, non si decidevano ad intervenire.
Nel frattempo l'uomo, ormai paonazzo in volto, si arpionava al braccio del klingon e ad ogni strattone tentava di convincerlo a desistere con voce soffocata. "...lo giuro... non avevo... idea... che fosse... vostra... sorella... potremmo metterci... d'accordo..."
Renko aggrottò le sopracciglia. "Non mi sono mai piaciuti i prepotenti," disse con l'aria di chi sta parlando più a se stesso che ad altri. Poi lanciò un'occhiata a Vaarik. "Torno subito."
Facendosi largo tra la gente sotto lo sguardo perplesso del vulcaniano, Renko si avvicinò al klingon. "Ti hanno mai detto che con la violenza non si ottiene nulla?" chiese con tranquillità.
Il guerriero gli lanciò un'occhiata sprezzante, senza peraltro interrompere la sua attività strangolatoria. "Ti conviene stare alla larga, insetto, o ce n'è anche per te!"
Renko lo guardò con aria spiacente. "L'insetto che ronza piano è quello che punge per primo," disse scuotendo il capo. Poi con un unico, fluido movimento le sue mani colpirono il fianco del klingon, proprio all'altezza delle costole. In ogni caso, la delicatezza del tocco doveva essere solo apparente, in quanto il klingon strabuzzò gli occhi e mollò la presa sul collo dell'uomo. Il cadetto, privato di qualunque sostegno, colpì il suolo senza troppa delicatezza, tossendo mentre l'aria rifluiva nuovamente nei suoi polmoni.
Schiumando di rabbia, il klingon si dimenticò della sua vittima e si avventò su Renko. L'ibrido schivò tutta una serie di colpi con velocità impressionante, saltellando all'indietro su mani e piedi come un artista da circo. Poi, fermandosi di botto, schivò un potente colpo dell'avversario, lo abbrancò per il polso e senza sforzo apparente lo proiettò dall'altra parte della sala. Il colossale klingon, dopo un volo di un paio di metri, precipitò rovinosamente sopra un tavolo, fortunatamente vuoto, distruggendolo completamente. Ancora frastornato da quello che gli era capitato, il klingon azzardò a tirarsi su sui gomiti, scuotendo la pesante testa come per mettere a fuoco la vista.
Qualche secondo dopo, crollò nuovamente con la testa tra le macerie del tavolo.
"Credo che la prossima volta sarà più gentile," sentenziò Renko, sistemandosi sul naso le sempiterne lenti scure.
L'esibizione attirò all'ibrido un certo numero di sguardi perplessi, primo tra tutti quello di Vaarik. Essendo consuetamente una persona tranquilla e serafica, la gente tendeva spesso a dimenticare il fatto che Renko aveva alle spalle un lungo addestramento nelle arti marziali esoteriche, come se il fatto di non andare in giro a vantarsi delle sua capacità fosse un indice di scarsa abilità.
Il klingon svenuto sul pavimento non era il primo che aveva scoperto il suo errore di valutazione nel modo peggiore.
Mentre alcuni avventori portavano fuori il klingon trascinandolo per i piedi come un sacco di cemento, Vaarik si avvicinò al malcapitato cadetto, che nel frattempo si stava massaggiando la gola, come ad assicurarsi che fosse ancora tutto al suo posto.
"Ce l'avrei fatta anche da solo..." fu la prima cosa che dichiarò l'umano con la voce ancora arrochita. "Ma in fondo una mano fa sempre comodo."
Vaarik lo gelò con uno sguardo vicino allo zero assoluto.
Intanto anche Renko, ancora seguito dagli sguardi ammirati degli avventori, si era avvicinato, sistemandosi la tunica dell'uniforme un po' spiegazzata. "Tutto a posto?"
"Sono stato meglio," si lamentò l'umano. Poi sorrise. "Grazie dell'aiuto," disse tendendo una mano.
Renko la guardò con curiosità, come se non sapesse cosa farci, poi si ricordò del rituale umano di stringersi le mani e la afferrò scuotendola con anche troppo entusiasmo.
"Io sono 512.451," dichiarò l'ibrido, presentandosi con il suo codice di catalogazione genetica. "Ma qui tutti in Accademia mi chiamano Renko."
"Io sono Luke Dalton, pilota extraordinarie al vostro servizio," replicò l'umano. "Ma voi potete chiamarmi "Lucky"," aggiunse poi, facendo l'occhiolino.
Vaarik dovette fare uno sforzo per mantenere la sua espressione accuratamente impassibile. Se c'era una cosa di cui proprio non aveva bisogno in quel momento era un pilota sbruffone che non vedesse l'ora di mettersi in mostra.
"Allora, Luke, com'è che quel tipo ti voleva staccare la testa dal collo?" chiese Renko, una volta che si furono accomodati tutti e tre ad un tavolo.
Tenendo sulla testa la borsa del ghiaccio che Chun gli aveva portato, l'umano rispose. "Be', devi sapere che io sono, come dire, piuttosto suscettibile al fascino femminile. E c'era quella bella figliola, seduta al tavolo, tutta sola a fissare il suo drink. Ok, lo ammetto, avrei dovuto fare un po' più attenzione ai bozzi che aveva sulla testa, ma in quel momento la mia attenzione era, diciamo, catalizzata da altre parti del suo corpo. Mi sono avvicinato, e ho garbatamente iniziato una conversazione. Sulle prime mi ha mandato a quel paese, poi evidentemente deve aver cambiato idea, perché quella mi ha dato un pizzicotto sul sedere, sussurrandomi in un orecchio che se ne avevo il coraggio mi avrebbe fatto diventare un vero guerriero. Io stavo già sentendo suonare le trombe del settimo cavalleggeri, quando è arrivato quell'energumeno a tre ante, che si è presentato come il fratello della meravigliosa creatura. Lui, sbronzo come un marinaio, le ha detto di non provare mai più a mettere in discussione la sua autorità di epetai, Capo della Casa, e lei ha risposta digrignando i graziosi dentini che se voleva se la sarebbe spassata anche tutta la notte con un patak di cadetto della Flotta, non so cosa intendesse, penso fosse un complimento. Io, intuendo di essere capitato in mezzo ad un litigio familiare, ho tentato naturalmente di fare da paciere, con il solo risultato però di vedere quello splendido angelo bruno lanciare disgustata uno sputazzo ai miei piedi, per poi uscire dal locale sbattendo la porta. Un attimo dopo mi sono ritrovato addosso quell'animale che tentava di farmi un collier con le sue mani, letteralmente. Il resto è storia, come dicevano gli antichi."
"Un racconto affascinante il suo, signor Dalton," commentò Vaarik, con una faccia che esprimeva tutto il contrario.
"Ti avevo già detto di darmi del tu. E poi i miei amici mi chiamano Lucky."
"Sì, me l'aveva già accennato, signor Dalton."
"E dai, Vaarik, non fare il solito vulcaniano!" disse Renko, rimproverandolo amichevolmente.
"Capisco che la cosa possa esserti sfuggita, Renko, ma io sono un vulcaniano. Non vedo come potrei fare a meno di essere ciò che in effetti sono."
"Almeno potresti chiamarmi Luke..." suggerì il terrestre, esibendo un enorme sorriso a trecentosessanta denti.
"Vaarik..." lo ammonì il frullato genetico, un po' più seriamente, questa volta.
Arrendendosi all'evidente congiura ai suoi danni, Vaarik sospirò rassegnato. "E va bene. Hai vinto: Luke."
"Vedi che non era poi così difficile? E ora, un giro di birra per tutti. Sapete, raccontare mette sete..."
"...e così ho visto solo una gran luce, e sono svenuto. Quando mi ho ripreso, ero di pessimo umore, il computer di navigazione si rifiutava di dirmi dove cavolo ero, e per finire mi ritrovavo con una intossicazione da radiazioni di livello letale. Mi sono detto: Luke, ragazzo mio, la tua buona stella ti ha abbandonato definitivamente. Invece mi sbagliavo: una nave della Flotta Stellare che incrociava nelle vicinanze ha captato il mio SOS. Mi hanno portato a bordo con il loro teletrasporto, un aggeggio che da dove vengo io ce lo sogniamo, e hanno curato la mia intossicazione con un paio di hypospray. Una volta rimesso insieme, mi hanno spedito in Accademia."
"Da non crederci."
Renko scuoteva la testa, decisamente incredulo. "Addirittura un altro universo. Avevo letto di strane teorie che ipotizzavano un numero infinito di universi coesistenti, ma... finora non avevo mai, mai incontrato qualcuno che provenisse realmente da un universo diverso dal mio."
Vaarik, intanto, dava l'idea di essere completamente assorbito dall'aroma che emanava dalla sua tazza di tevesh caldo.
Dalton si distese sulla sedia, allungando le gambe sotto il tavolo. "Sembrava strano anche a me, all'inizio, poi... cominci a farci l'abitudine. Probabilmente non sono il primo. Sai cosa hanno detto quelli che mi hanno raccolto quando gli ho raccontato la mia storia?"
Renko inclinò la testa, incuriosito.
"Hanno detto: "Un altro?!? Cosa cavolo credono che sia questa, un'agenzia turistica?""
Vaarik cominciò a tossire incontrollabilmente quando un sorso del suo tevesh gli andò di traverso.
Ricompostosi rapidamente, il vulacaniano domandò, con tutta la naturalezza possibile "Perdona la mia curiosità, ma potresti dirmi il nome della nave stellare che ti ha raccolto?"
Dalton lo guardò con una faccia strana. "USS Nemesis, NCC 75310."
"Vaarik!" esclamò Renko, entusiasta. "Non è la nave del consigliere Memok?"
"Esattamente come avevo supposto," rispose cupamente il vulcaniano.
"Conoscete quel malefico folletto vulcaniano?" Anche Dalton era stupito della coincidenza.
"Sì. Lui è il mio... tutore," rispose Vaarik, quasi sputando di bocca l'ultima parola. "E' stato lui a consigliarmi di frequentare l'Accademia come... sbocco per i miei talenti."
"Devo ammettere di non aver conosciuto molti vulcaniani da quanto sono qui, ma... il consigliere non sembra esattamente il prototipo del vulcaniano modello."
"In effetti la sua interpretazione della Disciplina è piuttosto... eterodossa. Tuttavia," aggiunse Vaarik dopo un attimo di riflessione, "le sue doti logiche e deduttive sono largamente riconosciute."
"Certo!", intervenne Renko, informatissimo. "Il tenente comandante Memok non ha sempre fatto il consigliere di bordo. Prima di entrare in Flotta, ha viaggiato in lungo e in largo per tutto il quadrante. Insieme al suo socio, il famoso investigatore privato Morgan Beauregard, ha anche fondato un'agenzia su November, un porto spaziale piuttosto trafficato. Hanno risolto un sacco di casi famosi, facendosi anche una certa fama nell'ambiente. Poi, anni fa, è rimasto ferito in un caso che coinvolgeva il Sindacato di Orione, ed è rimasto per molti mesi in coma. Dopo la rieducazione, ha lasciato l'agenzia e ha deciso di entrare nella Flotta Stellare."
"E tu, come fai a sapere tutto questo?" domandò Vaarik, facendo sparire un sopracciglio nella folta frangia di capelli corvini.
"Dimentichi che voglio entrare nella sicurezza investigativa? Beauregard è uno dei miei idoli! Ho letto tutto su di lui! Quando ho saputo che Memok era il tuo tutore, ho chiesto ad alcuni amici se potevano fare delle, ehm... ricerche. Sai, nell'ambiente è sempre meglio avere dei contatti."
Per un istante, Vaarik fissò il frullato genetico con un pizzico di reale ammirazione, poi riprese la sua aria cinica. "Sarà meglio non dirlo al consigliere. Conoscendolo, temo non faresti altro che foraggiare il suo già ben nutrito ego."
Renko ridacchiò. "Come dici tu, Vaarik."
"Bah," commentò Dalton, "non so cosa abbia fatto quand'era giovane, ma quando io ero sulla Nemesis non ha fatto altro che darmi il tormento: sul fatto che dovevo lasciarmi aiutare ad integrarmi, che avrei dovuto trovarmi un'occupazione per non sentirmi, come diceva lui, "l'ennesimo relitto spaziale"... Sono arrivato alla conclusione che il suo fosse un comportamento deliberato: se fossi riuscito a sopportare lui, probabilmente nulla nella galassia sarebbe riuscito a mettere a rischio la mia sanità mentale. Tu non hai idea di quante volte ho rischiato di mettergli le mani addosso, per una di quelle sue terribili battute umoristiche!"
"Comprendo perfettamente, Luke. Comprendo perfettamente..." lo rassicurò Vaarik, scuotendo tristemente la testa.
"Salve, ragazz,i" Foster comparve alle loro spalle, lanciando un mezzo sorriso alla combriccola. Sembrava piuttosto stanco, il volto tirato da troppe ore di geologia planetaria.
"Ehi, Foster! Benarrivato!" esordì Renko, voltandosi verso l'umano.
"Paul," salutò educatamente Vaarik con un cenno del capo.
Dalton si alzò per presentarsi, ma fu anticipato da Renko. "Paul, questo è Luke, viene da un universo parallelo. Luke, lui è Paul, viene dal XX secolo," disse con naturalezza, come se stesse raccontando cose assolutamente normali.
Con un misto di curiosità e stupore i due si fissarono per un attimo, poi Luke tese la mano verso il nuovo venuto. "Allora non solo il solo che viene da fuori città," commentò con un sorriso. "Gli amici mi chiamano Lucky."
"Piacere," grugnì Foster, il cui malumore non era stato alterato dalla scoperta di un altro profugo dimensionale. Avvicinò un'altra sedia al tavolo e vi si sedette pesantemente.
Chun si materializzò dietro di lui per prendere la sua ordinazione.
"Acqua," sillabò Foster, non lasciando all'orientale neanche il tempo di chiedere cosa volesse. Chun segnò sul suo taccuino l'ordinazione e svanì con un sorriso misterioso.
"Oooh, abbiamo un viveur tra noi..." ridacchiò Dalton, pensando probabilmente di essere simpatico. "Ci diamo alle bevute folli, eh, Paul?" domandò all'altro umano, dandogli una piccola gomitata con aria cospiratoria. Foster tentò di abbatterlo con uno sguardo al fulmicotone, ma Dalton sembrò non accorgersene. "Una caraffa di H2O per il signore..." gesticolò, come a catturare l'attenzione di un inesistente cameriere.
Vaarik, colto inspiegabilmente da un attacco di umanità, dovuto al fatto che il poveretto doveva aver sofferto già abbastanza per colpa del terribile umorismo del consigliere Memok, cercò di avvertire Dalton della pericolosità del suo comportamento. "Luke, non credo sia il caso di non esagerare. Paul mi sembra piuttosto nervoso, stasera."
"Che fai, ti preoccupi per me?" insinuò Dalton, ammiccando in direzione del vulcaniano.
"No, penso solo che sarebbe faticoso pulire la tua uniforme da tutto quel sangue..." rispose Vaarik, mentre il suo sguardo si induriva come selce.
"Ahimè!" scherzò Dalton, mimando un colpo al cuore. "Da quando sono arrivato, la gente non ha fatto altro che minacciarmi. Cosa deve fare un povero pilota tanto lontano da casa per farsi volere bene?"
"Tacere?" domandò Foster, che intanto non aveva digerito le precedenti battute dell'umano.
Dalton gli fece una smorfia con la lingua, poi tornò a parlare. "Ragazzi, questa devo proprio raccontarvela! Ve l'ho detto che io ho un debole per il gentil sesso, no? Quando ero a bordo della Nemesis..." a quel nome Foster drizzò le antenne, "paff!, mi sono di colpo ritrovato circondato da donne. Voglio dire, anche dalle mie parti c'erano, ma gli ufficiali donne non erano così tante. Allora mi sono detto: Luke, ragazzo mio, questo è il tuo giorno fortunato! Con tutto questo ben di Dio, prima o poi ti andrà bene! Questa è statistica! Detto fatto, mi sono messo immediatamente in caccia."
"Non trovo che sia stata un'idea saggia," commentò cautamente Vaarik. "Da quello che ho sentito sembra che gli ufficiali della Nemesis abbiamo la tendenza a fare coppia tra loro..."
"Saperlo!" esclamò Dalton, portando le mani al cielo. "All'inizio mi sono fatto un paio di crepe da competizione, ma nulla di troppo compromettente. Poi, un giorno, mentre ero al bar di prora, la vedo: stupenda. Capelli lunghi, occhi chiari e luminosi, un corpo da fotomodella. Mi avvicino garbatamente e tento di iniziare una conversazione."
A quel punto Vaarik ebbe la spiacevolissima sensazione di sapere esattamente cosa sarebbe successo, ma di non poter far nulla per impedirlo.
"Lei prima non mi dà retta," continuava imperterrito l'umano, "poi si avvicina e mi mette una mano sulla nuca, come una carezza... BANG! Non faccio in tempo a battere le palpebre che il suo ginocchio ha già ridotto i miei gioielli di famiglia ad un mucchio di ferraglia. Poi, mentre io tento di riprendere fiato, mi rovescia in testa il suo drink, dicendomi che avrei dovuto tentare raffreddare i miei bollenti spiriti prima di provarci con una donna sposata. Ma io mica lo sapevo! Così quella mi lascia dolorante e inzuppato e se ne va. Fosse finita lì..." Dalton buttò giù un sorso della sua birra, "poi me la sono dovuta vedere con due agenti della sicurezza che, vedendomi importunare il loro primo ufficiale, hanno pensato bene di spiegarmi le buone maniere a modo loro..."
Ma Foster non stava più ascoltando. Come se fosse dotata di una volontà propria, la sua mano si contrasse in un pugno e si sollevò dal tavolo. Vaarik si rese conto del movimento di Foster, ma questo fu semplicemente troppo veloce perché lui fosse in grado di fermarlo. In un attimo, il boccale di Dalton era volato dall'altra parte del locale, e il poveretto se ne stava a gambe all'aria a un buon metro di distanza da quella che una volta era la sua sedia. Foster troneggiava su di lui, i pugni stretti lungo i fianchi e il volto divenuto ormai paonazzo.
"Ma che t'ho fatto io?" domandò Dalton con un filo di voce, più stupito che altro dal comportamento dell'altro terrestre.
"CHE M'HAI FATTO? C'HAI PROVATO CON MIA MOGLIE, BRUTTO STRONZO!"
Prima che la situazione degenerasse, Renko e Vaarik si erano lanciati verso Foster, trattenendolo per entrambe le braccia. "Basta, Paul!" gli stava dicendo Vaarik con tono autoritario. "Comportati in maniera confacente ad un ufficiale!" Dal canto suo, Renko era troppo stupito per dire qualsiasi cosa.
"Ma, ma... com'è possibile?" stava mormorando Dalton, massaggiandosi la mandibola nel punto dove Foster l'aveva colpito.
"OSSYDIANNE E' MIA MOGLIE, PEZZO DI CRETINO!" continuava a gridare Foster, anche se la sua rabbia andava man mano scemando.
"E' vero," confermava intanto Vaarik. "Paul e il comandante Ossydianne si sono sposati poco meno di un anno fa..."
"Non ci posso credere," mormorava ancora Dalton, mentre si rendeva piano piano conto della surrealtà della situazione. "Non solo ci provo con una donna sposata, con tutte le conseguenze del caso, ma poi vado anche a raccontarlo al marito..."
"Per uno che chiamano Lucky," disse Renko, aprendo la bocca per la prima volta dall'inizio del diverbio, "hai davvero cominciato bene..."
"Avanti, dagli una mano," ordinò Vaarik a Foster. Lui lo guardò male, poi per un attimo intravide negli occhi neri di Vaarik un lampo di un viola che di solito associava ad un'altra persona... e fece come gli veniva detto.
Dalton guardò con sospetto la mano che gli veniva porta, poi la afferrò con energia, facendo leva per rialzarsi.
"Pare che l'equivoco sia chiarito, dico bene?" chiese il vulcaniano. Quando Foster accennò a nicchiare, ripeté con maggiore convinzione. "Dico bene?"
Entrambi grugnirono in approvazione, e si strinsero con riluttanza la mano.
"Mi spiace per quel pugno," disse Foster, senza però sembrare affatto dispiaciuto.
"Non ti preoccupare, sono un uomo anch'io. Al tuo posto avrei fatto lo stesso." Poi si zittì di colpo, come se avesse appena detto una cosa compromettente. "Se avessi una moglie, cioè. Ma non ce l'ho. Assolutamente no. Non sono mai stato sposato. Libero come l'aria."
"D'accordo, Luke, d'accordo. Ci crediamo," lo rassicurò Foster.
Intanto, Renko stava fissando Vaarik con una faccia strana. Accortosi dello sguardo, il vulcaniano inclinò la testa, perplesso. "Vuoi dirmi qualcosa, Renko?" domandò, con la faccia più innocente del mondo.
"Niente da nascondere, eh?" ringhiò il frullato genetico.
"In che senso?" chiese Vaarik, facendo ancora finta di nulla.
"Smettila di fare lo gnorri. Tu e Foster. Mi avevi detto che non avevate nulla da nascondere, quando siete andati a prendere allo spazioporto quella famosa Arpa di Gioia..." Renko, naturalmente, non ci aveva messo molto a fare due più due. "Si può sapere perché non me l'avete detto?"
"E' una questione di privacy," spiegò Vaarik, in effetti un po' dispiaciuto di non aver detto la verità a quello che stava imparando a considerare un suo amico. "A Foster non piace che si sappia che è sposato con il primo ufficiale di una delle ammiraglie della Flotta. Teme che si pensi che ci siano dei trattamenti particolari nei suoi confronti. Per quanto riguarda me..." Vaarik fece un movimento con la testa che era l'equivalente vulcaniano di fare spallucce, "semplicemente non sono abituato a condividere qualcosa con un'altra persona."
A quell'ammissione, lo sguardo di Renko si addolcì dietro alle lenti scure. Mise una mano sulla spalla del vulcaniano, un gesto che non aveva bisogno di commenti.
Sul volto di Vaarik passò rapidissima un'ombra che poteva quasi sembrare un sorriso riconoscente.
Poi, come se il vulcaniano si fosse improvvisamente reso conto di essersi lasciato andare un po' troppo, la sua espressione si congelò nuovamente nella consueta maschera di autocontrollo. "Vogliamo riprendere i nostri posti?" chiese cortesemente, ma con un tono attentamente neutro. "Direi che abbiamo già dato abbastanza spettacolo per questa sera."
Renko all'inizio fu colpo di sorpresa dal repentino cambio di tono del vulcaniano. Poi però si rese conto che riuscire a fare abbassare le difese di Vaarik, anche solo per un attimo, era già di per sé un'impresa ammirevole. 'Colui che si muove più in fretta di quanto riesca a vedere non sa mai dove sta andando', pensò tra sé e sé il frullato genetico. Bisognava avere pazienza con quelli di razza pura: quando fosse venuto il momento giusto, forse anche Vaarik avrebbe deciso di parlargli della parte oscura che abitava dentro di lui...
Con il sorriso sulle labbra, Renko invitò il vulcaniano a passare per primo e insieme rimisero a posto le sedie che erano cadute all'inizio del diverbio. In pochi minuti i loro drink erano tornati a loro posti, e tutti nella sala si erano dimenticati dell'incidente, loro compresi.
Colto da una folgorante ispirazione, Dalton sollevò al cielo il suo boccale di birra appena riempito, facendo scendere lungo il vetro invitanti rivoli di schiuma bianca. "Propongo un brindisi: alla migliore compagnia che un profugo dimensionale possa desiderare," disse allegramente, sorridendo in direzione dei suoi nuovi amici.
"Al più sfortunato dongiovanni che questo universo abbia mai acquistato," disse di rimando Foster, facendo tintinnare contro il boccale di Dalton il suo, che da poco aveva sostituito il famoso bicchier d'acqua.
"Agli eserciti passati," intonò Renko, come se recitasse qualcosa mandato a memoria, "e alle battaglie che essi hanno vinto. E che quelli futuri non debbano mai combatterne."
"E che le ali della libertà non perdano mai le piume," concluse Vaarik, sorbendo compostamente un sorso del suo tevesh.
I due umani lo guardarono ammutoliti. Percependo il loro sguardo, il vulcaniano sollevò gli occhi nerissimi dalla sua bevanda, facendo sparire un sopracciglio sotto la frangia di capelli corvini.
"Be'? Cosa avete da fissarmi così? Ho detto qualcosa di sbagliato?"