Vaarik stava attraversando i lindi corridoi dell'Accademia quando venne intercettato da Ilaij.
"Salve, tavarish! Dove vai di bello?"
"Mi stavo dirigendo verso l'alloggio del cadetto Foster. Dobbiamo andare a lezione insieme."
"Foster... Foster..." ripeté Ilaij, meditabondo. Poi si illuminò. "Ah, già! Quello del ventesimo secolo!"
"Definizione piuttosto erratica, ma sostanzialmente esatta."
"Senti..." Ilaij si guardò intorno con fare sospetto, poi si avvicinò al vulcaniano. "Che rimanga fra noi, ma... ho il sospetto che quello sia una spia imperialista."
"Io non azzarderei ipotesi in tal senso," disse cautamente Vaarik, "soprattutto perché non ho assolutamente idea di cosa tu stia dicendo."
"Voglio dire... ventesimo secolo... il crollo dell'Utopia... il trionfo del capitalismo... io non mi fiderei..." disse Ilaij blandamente, con l'aria di uno che la sa lunga.
"Mi sembra prematuro, Ilaij, ma starò 'con gli occhi aperti'..." disse con serietà Vaarik, ricorrendo al metodo più rapido per levarsi di torno il russo.
"Oh, finalmente qualcuno che mi dà ascolto! Lo dico sempre, io: la minaccia imperialista è costantemente in agguato, e il vero socialista non potrà dormire sonni tranquilli finché..."
"Se mi vuoi scusare..." disse rapidamente Vaarik, sottraendosi al comizio di Ilaij. Perfino mentre si stava allontanando, il vulcaniano poteva sentire dietro di sé Ilaij lanciare oscure minacce di 'soggiorni in Siberia' e di 'strutture di rieducazione'...
Quando Vaarik suonò il campanello, fu Renko ad aprigli la porta, il che era piuttosto strano, visto che l'alloggio era quello di Foster.
Il mistero venne risolto in fretta quando da dietro una porta arrivò l'inequivocabile scroscio di una doccia in funzione, seguito dalla voce dell'umano "...sono in bagno!"
In ritardo, come al solito... pensò il vulcaniano, scuotendo lentamente la testa.
Nel frattempo Renko stava trafficando con il computer di Foster. "Ehi, Vaarik, guarda qui! Paul mi ha chiesto di scaricargli la posta, e guarda quante lettere gli sono arrivate. A me al massimo arriva qualche cartolina dai miei genitori, circa una ventina la settimana..." commentò Renko, un po' invidioso della prolifica attività epistolare del Colonnello. Come c'era da aspettarsi, Vaarik non fece alcun commento al fatto che lui, ovviamente, non riceveva mai nulla, anche perché non c'era più nessuno da cui potesse ricevere qualcosa. A parte, pensò Vaarik permettendosi una punta di irritazione, le noiose comunicazioni mensili del consigliere Memok, in cui il suo stimato tutore si informava sui suoi progressi all'Accademia. Il consigliere faceva solo il suo lavoro, naturalmente, ma questo non impediva a Vaarik di considerarlo un vero scocciatore.
Proprio in quel momento Foster riemerse dal suo bagno, saltellando mentre cercava di infilarsi una scarpa.
"Be', cos'è quella faccia?"
"Paul, tu ricevi un sacco di posta!" esclamò Renko facendo un cenno verso lo schermo illuminato. "Picard... Ltcmdrdata ... Ossye... Will..." disse, leggendo l'elenco che era comparso sul video. Poi si fermò, interdetto. "Ltcmdrdata? Che strano nome! Di che razza è?"
Vaarik si passò una mano sul volto, sconsolato.
Foster trattenne una risatina. "Non è un nome strano... separa le lettere: Lt Cmdr Data..."
"Chi ti ha dato cosa?" chiese candidamente Renko, che come al solito cadeva dalle nuvole.
"DATA! L'ANDROIDE! NON VOCE DEL VERBO DARE!" esclamò Foster, esasperato, mentre cercava di infilarsi anche l'altra scarpa.
Finalmente illuminato dalla luce della comprensione, Renko sgranò gli occhi dietro le lenti scure. "Data? Proprio quel Data?"
"Esattamente," rispose Foster come se fosse la cosa più normale del mondo.
"Sembra logico supporre, quindi, che quel Picard sia il celebre capitano dell'Enterprise..." dedusse Vaarik, con l'aria di chi sta spiegando il quinto postulato di Euclide ad un lepidottero.
"Ossia zio Jean-Luc..." completò Foster, osservando lui stesso il monitor. "Ehi! Ma c'è una lettera della mia Benansharith!" poi sfrattò letteralmente Renko dalla sedia "...fammi leggere!"
Renko era talmente estasiato da non fare caso ai modi dell'umano. "Vaarik, ti rendi conto!?! Foster è in corrispondenza con il capitano dell'ammiraglia della Flotta! E con Data, il famoso androide senziente!"
"...e con il comandante Riker... con Deanna... con Worf..." elencò Foster rivolto allo schermo. "Smettila di agitarti che voglio leggere..."
"COSA? Non ci credo!"
"Paul dice sul serio," intervenne Vaarik ponendo fine al piccolo battibecco. "La discontinuità temporale in cui Paul è incappato l'ha proiettato proprio sull'Enterprise... e se non ricordo male dovrebbe essere rimasto a bordo circa sei mesi..." continuò il vulcaniano, rivolgendosi a Foster per avere una conferma. L'umano annuì silenziosamente mentre continuava a leggere.
"Fantastico! Piacerebbe anche a me visitare una Sovereign..." sospirò Renko, le cui esperienze su un vascello spaziale erano limitate all'astrotraghetto di suo zio.
"Per essere bella è bella, ma non è che sia poi tutta 'sta gran cosa... chiedi a Vaarik! Anche lui è stato per un po' sulla Nemesis."
Renko rivolse al vulcaniano uno sguardo gelido. "E TU, per quale motivo tu saresti stato a bordo di cotanto vascello?"
"Ero ospite del consigliere Memok", rispose Vaarik, impassibile come un gargoyle di granito.
"Tze! Raccomandati..." ringhiò sprezzantemente Renko, incrociando le braccia.
"Vaarik, a proposito del consigliere Memok..." disse Foster, "la mia Benansharith dice di avere una cosa per te da parte sua."
Vaarik sollevò lentamente un sopracciglio. "Mi sembra di poter dedurre che questa... Benansarith... stia venendo qui."
"Benan-SHA-rith... e non è un nome, ma un vezzeggiativo imprimano. Significa 'Arpa di Gioia'... e devo andarla a prendere allo spazio porto tra mezz'ora! Mi spiace ma dovrò saltare la lezione di Stark." Detto questo Foster acchiappò al volo un giubbotto e uscì di gran carriera dal suo appartamento.
"Mah!" si stupì Renko. "Sinceramente non capisco tutta questa fretta per un'arpa, per quanto gioiosa possa essere. Io, personalmente, preferisco di gran lunga l'ukulele... tu che ne dici, Vaarik?"
Ma il vulcaniano si stava carezzando il pizzetto con aria meditabonda. "Devo ammettere di essere incuriosito. Se non fosse qualcosa di molto importante, il consigliere me l'avrebbe fatto recapitare da un normale corriere... Penso proprio che accompagnerò Paul allo spazioporto." Poi si rivolse a Renko con aria professionale. "Mi raccomando, prendi bene gli appunti che poi me li passi." E uscì dalla porta con passo cadenzato ma innegabilmente rapido.
A quel punto, l'umore di Renko era ancora più scuro delle lenti dei suoi occhiali da sole. "Abbandonato per uno strumento musicale e un souvenir vulcaniano. Che razza di amici..."
Lo spazioporto di San Francisco era sorto alla fine del ventunesimo secolo come evoluzione del precedente aeroporto, quando i viaggi da e per le destinazioni extraorbitali erano divenuti accessibili alla maggior parte della popolazione. Da allora, la sua crescita era stata esponenziale, soprattutto da quando San Francisco era stata scelta come sede del Consiglio della Federazione, e, bisogna ammetterlo, anche dell'Accademia della Flotta Stellare. Nel tardo ventiquattresimo secolo, era ormai diventato uno dei più grandi nodi del traffico spaziale della Terra, e probabilmente uno dei più importanti della Federazione.
Ma, quando Vaarik è Foster vi arrivarono, l'umano sembrò non notare minimamente la grandiosità della struttura. Si gettò tra la folla colorata e rumorosa che sciamava sotto le grandi campate in alluminio trasparente come spinto da un impulso irresistibile, e in breve tempo lasciò indietro Vaarik, nonostante il vulcaniano, dal canto suo, non avesse grossi problemi ad attraversare la folla. L'aura di disastro imminente che consuetamente lo circondava, infatti, faceva sì che in genere la gente tendesse a mantenersi a tre metri buoni di distanza da lui, permettendogli di avanzare come un coltello arroventato nel burro.
Arrivato al terminal a cui doveva arrivare la navetta, il vulcaniano trovò Foster appoggiato ad un parapetto, intento ad osservare un gruppo di passeggeri che ritirava i bagagli ad una ventina di metri di distanza.
Pochi secondi dopo, una giovane donna avvolta nell'uniforme della Flotta si voltò nella loro direzione. Le labbra di Foster si distesero in un sorriso.
"Hmm...", fece Vaarik, meditabondo. "Quella donna l'ho già vista da qualche parte..."
"Non è di certo una che passa inosservata, non credi?" commentò l'umano senza distogliere lo sguardo dalla figura che si avvicinava ondeggiando.
"Un... esemplare eccellente, non c'è che dire", sentenziò il vulcaniano, sollevando leggermente un sopracciglio.
In poche falcate la donna li aveva raggiunti. Pronunciò alcune parole in una lingua che Vaarik non conosceva, poi si gettò letteralmente tra le braccia di Foster, generando intorno a loro una vera e propria nuvola di capelli argentei.
Vaarik sollevò anche l'altro sopracciglio.
Rimasero stretti qualche secondo, poi si allontanarono uno dall'altro, riguadagnando un certo contegno. "Ossye, questo è il cadetto Vaarik..." lo presentò Foster, mente il vulcaniano continuava a studiare la donna con aria sospetta.
Lei sorrise amichevolmente, sollevando la mano nel tradizionale segno di saluto. "Pace e lunga vita, cadetto. Il tenente comandate Memok mi ha parlato spesso di lei..."
Vaarik rispose al gesto, ma i suoi lineamenti non si distesero di una frazione di millimetro. "Lunga vita e prosperità..." poi sbirciò i gradi sul colletto della donna "...comandante. Sono curioso: come conosce il consigliere Memok?"
"Be', si può dire che lavoriamo letteralmente 'fianco a fianco'..." disse la donna con aria divertita.
Vaarik inclinò la testa da un lato. "Non credo di capire."
A questo punto intervenne Foster a salvarli. "Vaarik, posso presentarti Ossydianne Kastual Dej Rejkun Foster, primo ufficiale nonché ufficiale scientifico della Nemesis."
Vaarik rimase perplesso un istante. "Ma... il primo ufficiale della Nemesis non era un maschio umano di nome Stevenson?"
"In effetti sì", spiegò l'imprimana, "ma attualmente il comandante Stevenson risulta assegnato ad una missione speciale, quindi io, come ufficiale anziano, ne ho assunto gli oneri."
Vaarik assorbì l'informazione con un cenno del capo. "Congratulazioni per la promozione, allora. E' raro incontrare un ufficiale che assorba due incarichi di questa portata..." Poi il vulcaniano si bloccò, assolutamente allibito. "Mi perdoni, comandante, potrebbe ripetermi il suo nome?"
"Ossydianne Kastual Dej Rejkum Foster" disse lei allegramente.
Se le fosse spuntato un terzo occhio in mezzo alla fronte, Vaarik non avrebbe potuto guardarla in maniera più incredula. Poi il suo sguardo passò dalla donna al suo compagno di corso. "Hmm... mi pare ovvio che voi due non siate fratello e sorella..."
"Biologicamente e temporalmente impossibile" fece notare Foster scuotendo la testa.
PER LE ARMATE DI SURAK!, imprecò mentalmente Vaarik. "Siete marito e moglie!"
"Non da molto" disse lei intrecciando le sue dita con quelle di Foster. "Ma da quando lui è entrato all'Accademia" aggiunse sorridendo, "non ci siamo visti molto spesso..."
Foster tossicchiò imbarazzato "Ehm, adesso si dice 'visti' per intendere..."
Ossydianne lo interruppe con una piccola gomitata nelle costole. "Paul!" lo fulminò.
Foster la guardò stupito, massaggiandosi leggermente il torace. "Che ho detto di male?" si lamentò. Poi, veloce un battito di cuore, Foster vide qualcosa passare sul volto di Vaarik, un'espressione fugace, rapida ma tuttavia innegabile... tristezza? No, non semplice tristezza, ma qualcosa di più intimo, più profondo... dolore. Sì, dolore: negli occhi di Vaarik c'era un tale vuoto, un tale senso di perdita che Foster desiderò di poter fare qualcosa per lui.
Ma nel frattempo il volto di Vaarik era tornato la fredda maschera di sempre. "E' vero," disse meditabondo, "voi umani non avete la gioia del pon-farr..."
"Io direi che non abbiamo il Problema del pon-farr, ma è solo una questione di punti di vista..." stava dicendo Ossydianne, come se non fosse successo niente, ma Foster sapeva che era solo per evitare di mettere in imbarazzo il vulcaniano.
"Assolutamente logico," spiegò Vaarik, con l'aria di tenere una conferenza. "Ma tornando a noi... Paul mi aveva detto che il consigliere Memok le aveva affidato qualcosa per me..."
Lei inclinò la testa da un lato. "In un certo senso, sì. Ma mi ha anche detto di dargliela alla mia partenza, cioè domani sera."
"Sembra una cosa importante..." commentò il giovane vulcaniano, facendo sparire un sopracciglio nella frangia di capelli corvini.
"Mi dispiace cadetto, ma per ora non posso dirle nulla. Dovrà essere paziente."
I lineamenti di Vaarik si distesero lievemente. "Sono un vulcaniano," annunciò. "Essere pazienti è la nostra specialità."
"Su questo ha perfettamente ragione, cadetto. Naturalmente, lei saprà anche che gli imprimani non godono certo della stessa fama. Quindi, se ci vuole scusare..." disse Ossydianne con un accento formale.
Il vulcaniano rispose con un cenno della testa. "Comandante." Poi si rivolse all'umano "Buona giornata, Paul. Capirò se non sarai presente a lezione quest'oggi."
Foster si esibì in un timido sorriso di scuse ma, sfortunatamente, erano entrambi troppo felici per nascondere il sorriso malizioso che brillava nei loro occhi mentre si prendevano per mano e si dirigevano verso l'uscita dello spazioporto. Il vulcaniano li osservò allontanarsi sottobraccio e immergersi nella calda luce del sole. Per un lungo, interminabile istante Vaarik rimase immobile al suo posto, alto, oscuro e doloroso come la sagoma di una spada conficcata nel terreno. Poi, veloce e improvvisa come il vento del deserto, la sua nera figura si animò, scomparendo in mezzo alla folla come un brutto sogno alle prime luci dell'alba.
"Data una funzione d'onda y(x), essa può essere scritta come sommatoria degli autostati yn(x), che come abbiamo visto formano una base, ognuno moltiplicato per la proiezione della funzione d'onda su quel particolare autostato..." Un sonoro sbadiglio interruppe la dotta dissertazione di Vaarik. Il vulcaniano si voltò verso Renko e vide che stava pietosamente tentando di coprirsi la bocca con una mano, un'abitudine presa dagli umani e alla quale non era ancora del tutto avvezzo.
"Scusami," si giustificò Renko. "Ieri sera sono stato da Chun e ho fatto un po' tardi..." Poi si stiracchiò come un gatto. "Senti, che ne dici di smettere qui per oggi? Io credo di averne avuto più che abbastanza di autostati e funzioni d'onda."
Vaarik fece scorrere lo sguardo sugli altri del gruppo di studio. Rebecca si stava massaggiando un muscolo indolenzito alla base del collo, Gabriel fissava i suoi appunti come se non sapesse da che parte si guardassero, mentre la povera Dizzie era ormai in stato catatonico.
Vaarik dovette riconoscere che forse Renko aveva ragione. Non tutti avevano la sua passione quando si trattava di meccanica quantistica. "Sono d'accordo. Surak diceva: 'E' inutile insegnare a coloro la cui mente è in un altro luogo'." Renko fece un sorriso storto. "E il Maestro diceva sempre: 'E' più facile per un uomo raccogliere un fiocco di neve in una busta di plastica che per un pinguino bere vino a temperatura ambiente'."
Nel perplesso silenzio che seguì questa affermazione, tre teste si voltarono interrogativamente verso Renko. Dopo un lungo istante, fu Rebecca a dare voce ai loro pensieri. "E che cosa cavolo vorrebbe dire?"
Renko scrollò tristemente il capo. "Mi venisse un accidente se l'ho mai capito..."
Saggiamente, gli altri non aggiunsero nulla.
Usciti dall'alloggio di Rebecca, Renko si affiancò a Vaarik. "Com'è che da ieri mattina Foster non si fa vedere?" chiese incuriosito.
"Non saprei," mentì spudoratamente Vaarik. "Sarà stato occupato..."
"Ti avrà pur detto qualcosa. Sei stato tu l'ultimo a vederlo, quando siete andati allo spazioporto."
"Mi stai chiedendo se ho un alibi? Mi sembra un po' prematuro, almeno finché non viene ritrovato il corpo."
"Fai poco lo spiritoso. Voi due mi nascondete qualcosa."
"Questo è del tutto illogico. I Vulcaniani non mentono."
Renko sorrise ironicamente. "Certo. E i Klingon hanno sempre avuto la fronte corrugata..."
Vaarik sollevò lievemente un sopracciglio. "Pensi davvero che potrei mentirti?" chiese, con una nota di divertimento nella voce.
"Assolutamente no. Però potresti non rivelarmi delle informazioni in tuo possesso per mantenere un vantaggio tattico," disse Renko guardandolo furbescamente da sopra gli occhiali scuri.
"Questo sarebbe un comportamento logico," commentò Vaarik, in maniera del tutto casuale.
"Quindi, tirando le somme: Foster è sparito dopo essere andato allo spazioporto e, a quanto pare, tu non hai alcuna intenzione di dirmi dove è finito. Secondo me, tutto questo ha a che fare con una certa Arpa..." Renko poteva essere tutto, ma di certo non era uno che mollava facilmente.
"Le tue doti deduttive sono davvero non comuni, Renko," disse Vaarik continuando a camminare. "Mai pensato di darti alle investigazioni private?"
"Nemmeno per idea! Si incontra un sacco di brutta gente!"
Per un attimo, la battuta fece quasi sorridere Vaarik. Entrambi sapevano che il tenente comandante Memok, molti anni prima di arruolarsi nella Flotta, aveva lavorato con un socio in una agenzia di investigazioni private.
"A proposito," aggiunse Renko, momentaneamente ispirato, "che cosa ti ha mandato il consigliere Memok?"
Come era ovvio aspettarsi, in quel momento il comunicatore di Vaarik emise un suono acuto.
"Ossydianne a cadetto Vaarik..." disse una voce argentina, diffondendosi tutto attorno.
Vaarik sollevò una mano a toccare lo stemma sul suo petto. "Mi dica, comandante."
"Io partirò tra due ore. Potremmo incontrarci tra mezz'ora sul viale principale, se per lei va bene."
"Benissimo, comandante. Ci vedremo lì."
"Okay. Ossydianne, chiudo."
Renko lo stava fissando con uno sguardo inequivocabile. "Niente da nascondere, eh?"
"Assolutamente nulla," rispose Vaarik, più serafico che mai. Poi girò sui tacchi. "Se mi vuoi scusare..."
Non aveva fatto tre passi che la voce di Renko lo raggiunse. "Ehi! Dove vai?"
"A rispondere alla tua domanda!" rispose il vulcaniano, voltandosi appena
Vaarik non ebbe bisogno di voltarsi per sapere che qualcuno che si stava avvicinando. Il vulcaniano chiuse gli occhi per un secondo, concentrandosi sul suono che proveniva dalle sue spalle. Passi umanoidi. Due persone. Toni distinti: un uomo e una donna, probabilmente. Falcata lunga: entrambi piuttosto alti. I passi sembravano stranamente sincronizzati... Distanza... sei metri. Quattro. Due metri. Vaarik si voltò tentando di mantenere la sua espressione accuratamente neutra.
"Foster. Comandante" disse formalmente, indirizzando ad entrambi un cenno del capo.
I due ricambiarono con un sorriso. "Cadetto Vaarik, è un piacere rivederla," disse l'imprimana, inclinando la testa da un lato.
Poi Vaarik si rese conto del perché di quel curioso sincronismo che aveva notato nei loro passi mentre si stavano avvicinando: i due si stavano tenendo per mano.
Vaarik tornò a fissarli in volto senza muovere un muscolo, ma, per quanto la sua espressione fosse controllata, nei suoi occhi non era difficile scorgere il riflesso di qualcosa che nulla poteva estinguere.
La donna sorrise con un accenno di tristezza. "Il consigliere Memok aveva ragione su di lei. Lei non riesce a dimenticare il suo dolore..."
Vaarik si irrigidì immediatamente. La sua reazione fu talmente immediata e viscerale che Foster arretrò istintivamente di una decina di centimetri. Ma non Ossydianne.
"Mi è stato detto che aveva qualcosa per me." Mentre il vulcaniano pronunciava queste poche parole con voce sepolcrale, Foster pensò di riuscire a vedere un enorme cartello NON ANDATE OLTRE issato a viva forza alle spalle del vulcaniano.
Ossydianne si avvicinò di un passo. "Infatti sono qui per questo."
Vaarik inclinò la testa da un lato, chiaramente perplesso. E altrettanto perplesso appariva Foster, chiaramente allo scuro di tutto.
Ossydianne sorrise maliziosamente. "Forza, cadetto. Non sia timido..."
Vaarik rimase interdetto un secondo, poi i suoi occhi si spalancarono quando il vulcaniano intuì quello che voleva dire l'imprimana. "Non dirà sul serio..." balbettò.
"Mai stata così seria," disse Ossydianne senza esitazioni.
Gli occhi di Vaarik fulminarono l'imprimana. "Con quale diritto può chiedermi una cosa del genere? La fusione mentale è una questione estremamente privata. Può essere instaurata solo tra persone che condividono un profondo legame personale!"
Il viso della donna si addolcì. "Non sono io a chiederglielo... ma LEI."
Vaarik ancora non capiva. "Lei, chi?"
"T'Eia."
Al sentir pronunciare il nome della sua compagna, Vaarik sbiancò letteralmente in volto. Non ebbe la forza di dire nemmeno una parola.
Intanto Ossydianne stava continuando. "E' una cosa che T'Eia avrebbe voluto succedesse tempo fa. Si fidi di me, Vaarik. Si fidi di LEI."
Vaarik intanto aveva rinunciato a capire. Ma ormai non gli importava più.
Sollevò la sua mano verso il volto della donna, appoggiando delicatamente i polpastrelli nei punti katra del suo volto. Si concentrò, lasciando che la magia che univa due menti scaturisse dalle sue dita, così come i figli di Eridanus avevano fatto fin dalla notte dei tempi.
"La mia mente nella tua mente. I tuoi pensieri nei miei pensieri."
E quando i due spiriti furono uno, con stupore Vaarik trovò quello che ancora non sapeva di stare cercando.
Un vulcaniano sedeva su una roccia, sotto un albero, contemplando il tramonto. Il sole si stava immergendo lentamente nella fredda distesa vetrosa della baia di San Francisco, ma i suoi raggi erano ancora abbastanza forti da tingere il cielo di un arancione caldo e silenzioso.
Sembra il cielo di Vulcano, pensò Vaarik, e il suo cuore corse al vento del deserto, carico di profumi e di promesse, alla sabbia calda e sottile, che scivolava tra le dita come una carezza timida e consolatrice. Ogni giorno della sua vita passata, e ogni giorno della sua vita futura, Vaarik si sarebbe dato del tveeokh per un pensiero del genere, e sarebbe stato disgustato della sua mancanza di disciplina. Ma non oggi. Oggi era il giorno per guardare il tramonto e pensare a ciò che sarebbe potuto essere.
Foster si avvicinò cautamente, come se si stesse muovendo in una casa di vetro. "Disturbo?"
Senza distogliere lo sguardo, il vulcaniano fece un cenno indicando la roccia sulla quale era seduto. "Certo che no. Siedi pure." Foster stentò quasi a riconoscere la voce di Vaarik.
Rimasero qualche istante in silenzio, contemplando il paesaggio che si presentava davanti ai loro occhi. L'umano si sorprese ad invidiare un po' Vaarik, il quale poteva osservare quella meraviglia senza rimanere accecato dalla luce del sole.
Fu Vaarik a rompere il silenzio. "Paul... tu cosa sai di me?"
Foster tacque un secondo, restio ad intraprendere quel discorso. "Probabilmente più di quello che immagini."
Il vulcaniano emise un impercettibile sospiro. "Lo supponevo. Ossydianne..."
Ma Foster scosse la testa. "No, non è stata lei. Diciamo che ero curioso e, aggirando un paio di codici di sicurezza, sono riuscito a dare un'occhiata ai tuoi files."
L'espressione di Vaarik era indecifrabile. "Allora saprai anche che quando sono arrivato in questo universo, non ero solo. Sfortunatamente, la nostra nave era danneggiata, e durante il salto qualcosa è andato storto. Quando la Nemesis ci ha raccolti, ormai non c'era più nulla da fare." Vaarik deglutì, sentendosi la bocca improvvisamente riarsa. "Lei se n'è andata, ma io non l'ho persa del tutto. Ho accolto il suo katra, facendo sì che ciò che era non andasse perduto. So che voi umani non potete capire, ma una parte di lei resterà sempre con me. Però... mancava qualcosa. Allora non me ne rendevo conto, ma persino mentre deponevo il suo corpo nelle sabbie di Vulcano, c'era ancora qualcosa che T'Eia voleva dirmi. Qualcosa che voleva fare per me."
Il vulcaniano tacque, voltandosi verso Foster. "Ti ricordi quando ti ho detto che mi sembrava di avere già visto Ossydianne, nonostante sulla Nemesis non ci fossimo mai incontrati? Ora ricordo quando l'ho vista."
L'umano inclinò la testa, perplesso.
"Paul, lei era là. In infermeria, poco prima che T'Eia morisse. Io non ricordo distintamente quei momenti, ero confuso, disorientato, impotente di fronte alla consapevolezza che stavo perdendo la mia compagna. C'erano tutte quelle persone che si affollavano intorno al suo lettino, ma per me erano solo ostacoli che mi impedivano di raggiungere T'Eia. Allora non potevo saperlo, ma mentre io arrancavo in mezzo a quei volti senza nome per raggiungerla, qualcos'altro stava succedendo. Ora posso vedere nella mia mente T'Eia che prende la mano di una donna dai capelli argentei, e la poggia sul suo ventre. I suoi occhi neri affondano in quelli viola della donna, mentre con un filo di voce pronuncia una parola. Succede qualcosa, poi la donna, colta da un capogiro, si ritrae, scioccata, e scompare di nuovo nella piccola folla di medici e infermieri."
Vaarik chiuse gli occhi, visibilmente provato, e si appoggiò al tronco dell'albero.
"T'Eia era incinta."
Anche Foster chiuse gli occhi. Oh, Cristo..., pensò.
Il vulcaniano continuò a parlare, implacabilmente. Ora che aveva iniziato, doveva arrivare fino in fondo, non importava quanto fosse doloroso. "Non so perché non me l'abbia detto. Forse aveva paura che le avrei impedito di tentare il salto. Probabilmente aveva ragione, come al solito..." Per un attimo il vulcaniano diede l'impressione di stare per sorridere. Ma era un sorriso infinitamente triste. "Sono stato uno sciocco. Tutti quei discorsi sul futuro, sulla libertà, su un universo libero e pacifico dove avremmo potuto vivere insieme, finalmente lontani dalla tirannia dell'Alleanza... T'Eia non parlava per sé, ma per il nostro bambino che doveva nascere."
Vaarik si agitò sulla roccia sulla quale era seduto, imbarazzato per quello che stava per dire.
"Quando T'Eia morì, io ne rimasi schiantato. Per un lungo periodo, la mia integrità mentale fu messa a dura prova. Mi chiusi in me stesso, rifiutando ogni contatto esterno. Memok, anche se a modo suo, tentò di aiutarmi, ma avvalermi di aiuti esterni non è mai stata per me un'opzione accettabile. Considerando lo stato mentale in cui mi trovavo allora, Memok sconsigliò di rivelarmi l'accaduto, temendo di dare uno strappo decisivo ad un filo che era già in procinto di rompersi." Vaarik guardò in volto Foster con una punta di sarcasmo negli occhi. "Ora però il consigliere Memok ha evidentemente reputato che il suo oggetto di studio preferito fosse pronto ad accettare quello che era accaduto. Così Ossydianne è venuta da me, e mi ha portato il katra di quel bambino mai nato."
Vaarik inspirò profondamente, chiudendo gli occhi per assaporare il profumo dell'aria carica di salsedine, così aliena per un vulcaniano come lui.
"Se chiudo gli occhi, posso sentirlo dentro di me. E'... difficile da spiegare, ma ora che ho riavuto anche il katra di mio figlio, qualcosa nella mia vita ha trovato compimento. Finalmente siamo di nuovo tutti e tre insieme, come saremmo dovuti essere fin dall'inizio. Io, T'Eia... e il nostro bambino."
Foster immaginò come sarebbe stato vedere una singola lacrima scendere lungo la gota di Vaarik, cadere lentamente a terra, e venire inghiottita dal suolo polveroso come se non fosse mai esistita. Ma nulla di tutto ciò avvenne. Come a colmare quel vuoto, un soffio di vento rapì una foglia all'albero sotto il quale erano seduti, la fece librare dolcemente davanti ai loro occhi, per poi depositarla delicatamente ai piedi del vulcaniano.
Vaarik la raccolse, rigirandola pensierosamente tra le mani. "Sarebbe stato... affascinante."
Per un lungo momento, Foster rimase silenzioso, profondamente consapevole di aver condiviso con il vulcaniano qualcosa di molto speciale. Forse per la prima e unica volta, aveva intravisto il volto che si celava dietro alla maschera di ghiaccio del cupo vulcaniano, e si era trovato davanti un uomo che avrebbe avuto tutte le ragioni dell'universo per abbandonarsi al disordine e alla disperazione... e tuttavia aveva rifiutato di farlo, portando avanti con una forza di volontà che sfiorava l'ossessione la sua silenziosa battaglia contro il dolore e il vuoto di una vita a cui era stata portata via la luce.
L'umano abbassò gli occhi per un istante, sapendo già quello che avrebbe fatto, ma tentando ugualmente di allontanare quel pensiero il più possibile. Poi sospirò.
"Nel mio mondo... nel mio tempo... io ero un soldato. Combattevo un guerra segreta, di cui la gente comune era allo scuro. Combattevo contro gli alieni."
Vaarik sollevò lo sguardo, e nei suoi occhi non era difficile leggere lo stupore.
Foster continuava a parlare, sempre fissando i suoi piedi. "Hai capito bene: alieni. Nel mio tempo, noi due non staremmo su una roccia a parlare. Uno di noi due sarebbe morto." Si sistemò meglio sulla roccia. "Tutta la mia esistenza era votata alla causa, a difendere la Terra dalle forze che la minacciavano. Non avevo una vita mia... era impossibile averla: la missione aveva semplicemente la precedenza su tutto. Nessun legame, nessuna relazione, niente di niente. Avevo degli amici, certo, compagni che combattevano con me e a cui devo la via non so quante volte... ma, in fin dei conti, ero semplicemente solo. Così, quando ho fatto il 'salto', il trauma non è stato tanto la solitudine, o il rimpianto per coloro che avevo lasciato. La cosa veramente difficile è stato imparare a convivere con ciò che mi avevano insegnato ad odiare. Avevo passato talmente tanti anni della mia vita a combattere contro gli 'alieni cattivi', che non mi era nemmeno venuto in mente che potessero essere semplicemente persone come me, con i miei stessi pensieri, le mie stesse paure, speranze, emozioni, che però combattevano dall'altra parte della barricata." Foster sorrise lievemente in direzione di Vaarik. "Ce n'è voluto di tempo perché l'idea di vivere accanto a persone i cui antenati non si fossero evoluti nello stesso brodo primordiale dei miei cominciasse a non sembrarmi poi così terribile. Devo anche benedire la passione di Picard per l'archeologia, perché proprio ad un congresso indetto sull'Enterprise ho incontrato una di quelle persone nate sotto un sole diverso dal mio, e in meno di un battito di cuore, ho capito che sarebbe diventata la donna della mia vita. Sembra strano a pensarci, ma in fondo anche Ossydianne è un'aliena. Nel mio tempo, in mezzo agli umani, non sono riuscito a legarmi con nessuna... ora, invece, non riesco ad immaginare la mia vita senza Ossydianne. Ironico, non trovi?"
Vaarik annuì. "Probabilmente sì."
"E sai una cosa? Se non avessi incontrato delle persone splendide, persone come il capitano Picard, Will, Data, amici che mi hanno aiutato a superare le mie barriere... non so se ce l'avrei fatta."
Gli occhi di Vaarik si velarono per un attimo. "Al contrario, io non sono mai stato capace di farmi aiutare."
Foster guardò direttamente negli occhi neri del vulcaniano. "Allora forse è il momento di una inversione di tendenza."
Vaarik rimase qualche secondo in silenzio, soppesando la proposta dell'umano. Anche se sul suo volto non era possibile leggere alcun indizio dei pensieri che in quel momento attraversavano la sua mente, una parte di lui si stava chiedendo se sapeva davvero quello che faceva. Condividere quello che aveva passato, la schiavitù, la perdita di T'Eia, il periodo che era seguito al suo arrivo in questo universo... non era certo di essere pronto per tutto questo. Ma la domanda più importante in quel momento era un'altra: sarebbe mai stato pronto?
Inspirò profondamente, come per trovare la forza di dire quelle parole. Quando espirò, la sua voce fu poco più di un sussurro. "Forse hai ragione."
"Se il mio dolore e la mia felicità possono aiutarti," sorrise l'umano, "amico mio..."
Vaarik sollevò una mano verso il volto di Foster, il quale chiuse lentamente gli occhi: era la sua prima fusione mentale, e come tutti gli umani ne era un po' spaventato. Il vulcaniano svuotò la mente, pronunciando le parole che preannunciavano il contatto:
"La mia mente nella tua mente. I tuoi pensieri nei miei pensieri..."
E la magia scaturì di nuovo.
Il gruppo sedeva come di consueto al solito tavolo, immerso nel piacevole chiacchiericcio della sala mensa. Un vecchio proverbio dice che si è ciò che si mangia, e nel caso dei cadetti seduti intorno a quel tavolo, forse nulla avrebbe potuto essere più veritiero. Foster stava attaccando con energia un bel piatto di tagliatelle al sugo, mentre sul piatto di Renko languiva qualcosa di non ben identificato, ma che diffondeva nell'aria un odore sorprendentemente gradevole. Dal canto loro, Rebecca era alle prese con una bistecca dall'aspetto coriaceo, Ilaij lottava con una minestra di cavoli molto proletaria, Gabriel si stava nutrendo assorbendo energia direttamente da una cellula di ricarica e Eru sorseggiava un calice di liquido rosso scuro sulla cui origine nessuno aveva avuto il coraggio di informarsi. Dizzie sbranava con entusiasmo un simpatico animale dall'aspetto a metà strada tra un pollo e una lucertola, mentre Vaarik... be', Vaarik stava mangiando la solita zuppa di patate andoriane con la solita espressione torva stampata in faccia. Un attimo dopo, però, il vulcaniano sollevò lo sguardo, come per una ispirazione improvvisa. Foster, seduto di fianco a lui, lo guardò con aria interrogativa. "Qualcosa non va?"
Vaarik si guardò in giro con aria da cospiratore, e cercando di non farsi sentire dagli altri gli disse a voce bassa, "Stavo pensando... hai poi scoperto come ha fatto la giacca a finire sotto il letto?"
Foster sgranò gli occhi, mentre le sue guance divennero improvvisamente rosso porpora. Il vulcaniano lo guardò a sua volta con aria perplessa, non riuscendo a capire la reazione dell'umano. A quel punto Foster prese d'istinto il piatto di tagliatelle che aveva davanti a lui e lo rovesciò senza tanti complimenti sulla testa corvina del vulcaniano.
Gli occupanti del tavolo si gelarono, aspettando con terrore di vedere la mano di Vaarik saettare al collo di Foster e spezzarglielo con un precisa tal-shaya, la versione mortale della presa vulcaniana. Era talmente ovvio che sarebbe successo che gli altri cadetti immaginarono quasi di sentire il secco schiocco delle vertebre che si rompevano.
Ma, contrariamente alle aspettative di tutti, Vaarik sollevò semplicemente il cespo di tagliatelle che ricadeva sui suoi occhi come una sugosa pettinatura rasta, li studiò per un attimo con puro interesse scientifico. Poi commentò distrattamente, "Probabilmente la domanda non era poi così rilevante..."
In quel momento, Ilaij ebbe la pessima idea di cogliere la palla al balzo. Con fare cameratesco, diede una sonora pacca sulla spalla del vulcaniano, esclamando poi con il più ampio dei sorrisi: "Vaarik! Finalmente anche tu hai sviluppato un sano senso dell'umorism..."
Non finì mai la frase. Senza alcun motivo apparente, il suo volto si contrasse in una smorfia silenziosa, e il russo finì con la faccia nella sua minestra di cavoli. Vaarik sollevò con molta tranquillità la mano dalla spalla dell'umano, poi disse, serafico come non era mai stato: "Non abbiate timore. Si riprenderà tra meno di due minuti. Purtroppo..."
Torquato, un amico di Foster, vide la scena e si alzò di scatto. "Vulcaniano, ti sembra il modo di fare?" sbraitò, incurante degli sguardi che cominciavano a concentrarsi su di lui. "E tu, Paul, appoggi un tale comport ..." Poi anche lui si bloccò a metà della frase e i suoi occhi si fecero vacui. Quando crollò svenuto sul tavolo, fu solo grazie ai suoi riflessi da rettile che Dizzie riuscì a salvare il suo pasto dall'essere coinvolto nella rovinosa caduta.
Tutti guardarono Vaarik, cercando di riuscire a capire se il vulcaniano avesse sviluppato l'incredibile capacità di effettuare una presa ai nervi a distanza. Quando videro che anche Vaarik appariva stupito quanto loro, si voltarono verso Foster, che si stava osservano con aria affascinata la mano destra, sospesa a poca distanza dalla spalla del suo amico. "Interessante," commentò il terrestre, sollevando un sopracciglio.
"Foster?!?" esclamò Renko, con gli occhi sgranati dietro alle eterne lenti scure. "Come fai a conoscere...?"
Anche Foster sembrava incredulo. "E che ne so? Mi è venuta così... d'istinto!"
"Per le armate di Surak," sussurrò Vaarik, cominciando a comprendere.
Anche Foster non ci mise molto ad arrivarci. "Non mi dire che..."
Il vulcaniano annuì con energia, e Foster divenne improvvisamente rosso in viso.
Gli occhi di Renko si erano fatti due fessure. "Ragazzi, che cavolo avete combinato voi due?"
"Niente!" risposero all'unisono i due interessati.
"Sarà..." disse Renko, lanciando loro un'occhiata inquisitrice. 'Ma riuscirò a scoprire cosa mi nascondete,' promise Renko, 'mi ci gioco l'impermeabile del tenente Colombo...'