"Ottimo lavoro, cadetti."
Foster, Renko e Vaarik, rigidi sull'attenti, espirarono lentamente il respiro che avevano trattenuto fino a quel momento.
"Da soli, siete riusciti a catturare una spia che aveva eluso più volte il nostro sistema di sicurezza. Un'operazione brillante, non c'è che dire. Penso che vi meritiate un encomio." Il colonnello Kharla, ufficiale dello SFIC e docente di tecniche di spionaggio, era sempre stata avara di complimenti, ma questa volta sembrava davvero soddisfatta. Anzi, per gli standard vulcaniani, le sue parole erano addirittura adulatorie.
A dire la verità, Vaarik non si era aspettato di cavarsela così bene.
"Ora, se volete scusarmi, devo andare ad interrogare il prigioniero."
La vulcaniana girò marzialmente sui tacchi e si allontanò a grandi passi, raggiungendo gli agenti della sicurezza che scortavano McBride. Ad un suo cenno, i due uomini la seguirono, portandosi dietro il mutaforma che, dal canto suo, non accennò la minima resistenza. Per un attimo, Vaarik rimase perplesso da tanta mansuetudine. Forse, rifletté mentre li guardava allontanarsi fino a sparire dietro un angolo, la permanenza all'interno del bidone aspiratutto l'aveva condotto a più miti consigli. O forse, sapeva che tentare una fuga su un terreno scoperto tra due uomini armati di fucili phaser era impossibile perfino per un mutaforma.
Ma poi, come in un flash, Vaarik rivide l'espressione che si era dipinta sul volto di McBride mentre le guardie lo portavano via. E dagli sguardi preoccupati di Foster e Renko, il vulcaniano intuì che anche gli due erano arrivati alla sua stessa conclusione. "Ehm," disse Renko, lanciando loro uno sguardo in tralice da sopra gli occhiali schermanti, "sbaglio, o McBride stava... sorridendo?"
"Non sbagli, amico mio, non sbagli," disse Foster scuotendo cupamente la testa. Poi continuò, voltandosi verso Vaarik. "E, secondo voi, qual è l'unica ragione per cui un uomo in stato di arresto dovrebbe sorridere?"
Il vulcaniano non rispose, limitandosi a guardare fisso davanti a sé.
Non c'erano dubbi, in proposito: McBride era convinto di avere ancora qualche asso nella manica...
Il sole sorgeva sempre così lentamente, o era Vaarik che quella mattina si sentiva più inquieto del solito?
Quel che è certo, è che Vaarik non aveva chiuso occhio quella notte, ripensando agli avvenimenti delle ultime settimane. Per motivi che ancora gli sfuggivano, dopo mesi di Accademia, non gli era ancora stato assegnato un compagno di stanza, e così Vaarik poteva godere di una tanto insperata quanto gradita privacy.
Ad essere sinceri, Vaarik cominciava a sospettare che la relativa tranquillità di cui aveva potuto godere fino a quel momento fosse da imputare più che altro al fatto che nessuno, finora, avesse accettato di andare in stanza con lui, e che i fantomatici disguidi evocati dalla segreteria non fossero altro che pie scuse per non far sentire il vulcaniano troppo isolato.
Come se la cosa fosse per lui di qualche interesse, figuriamoci...
Inoltre, a voler essere pignoli, lui era isolato, isolato in un senso talmente profondo e assoluto che forse nemmeno chi gli stava vicino riusciva ad immaginare.
Giorno dopo giorno, Vaarik aveva la sensazione di vedere le persone che lo circondavano agitarsi intorno a lui come foglie mosse dal vento, intenti in una danza di cui non comprendeva i ritmi e neppure gli scopi. Passavano attraverso la sua esistenza come se fossero fatti d'aria, come creazioni olografiche in una enorme, insensata simulazione.
Il vulcaniano sapeva di essere ingiusto nei loro confronti, sapeva che quelle persone non meritavano la sua indifferenza. Ma, per quanto si sforzasse, Vaarik aveva da tempo smarrito ogni interesse in ciò che lo circondava, come se tutto quello che accadeva intorno a lui non lo riguardasse. Da un certo punto di vista, Vaarik si sentiva come se avesse perso uno dei suoi sensi, senza però riuscire a dire con certezza quale. Era come... come se avesse perso la capacità di vedere i colori, o di percepire la profondità. Sapeva che c'era qualcosa di sbagliato nel vedere un mondo a due dimensioni, ma non riusciva a ricordare cosa.
Per lui il sole si era spento il giorno in cui aveva perso la sua compagna, e da allora la vita era stata solo mettere un piede davanti all'altro.
All'inizio, Vaarik era riuscito a provare rabbia, anche se come vulcaniano non l'avrebbe mai ammesso neppure con se stesso: rabbia per quello che gli era capitato, rabbia per aver essersi visto strappare la sua sposa proprio mentre stavano raggiungendo la libertà. Ora non più. Ora provava solo dolore. Dolore e tristezza.
Erano passati quasi due anni, ormai, da quando la Spada di Surak aveva affondato la sua lama nel tessuto stesso dello spazio-tempo, facendoli emergere infine in un luogo diverso da quello che li aveva visti nascere. Ma, con la crudele ironia che li contraddistingueva, gli dei dimenticati avevano permesso a T'Eia di raggiungere un altro universo solo per lasciarcela morire.
Contrariamente a quanto riportano i diari della nave che li raccolse, non vi furono superstiti di quel salto.
Nel momento in cui il cuore di T'Eia smise di battere, anche quello di Vaarik si spense.
La logica in cui aveva sempre creduto ciecamente gli insegnava che vivere era sempre preferibile a morire, ma in quel giorno Vaarik imparò che ciò non sempre era vero.
Tuttavia, i saggi dicono che il tempo è un perfetto guaritore, e forse se non fosse stato così disperatamente testardo, Vaarik avrebbe forse potuto lasciarsi aiutare, dividendo il peso che lo opprimeva con qualcun altro.
Il consigliere Memok, durante tutto il periodo in cui aveva seguito il suo recupero psicologico, aveva cercato di persuaderlo in quel senso, ma Vaarik non avrebbe potuto lasciarsi alle spalle il proprio passato neppure se lo avesse voluto.
Liberarsi di quel peso sarebbe stato come dimenticare T'Eia, come lasciarla morire una seconda volta.
E questo non era disposto ad accettarlo.
A nessuna condizione.
Appoggiando la testa tra le mani, Vaarik rimase seduto sul suo letto a guardare la moquette della sua stanza, mentre fuori dalla finestra un sole che non era il suo si alzava lentamente in quel cielo maledettamente azzurro.
Muoversi è sempre stato un ottimo metodo per concentrarsi, lasciando che il movimento del corpo funga da catalizzatore per i processi di pensiero.
Su questo assunto si basano molte forme di meditazione nate spontaneamente in quasi tutte le culture del quadrante, basti pensare al tai-chi praticato da alcuni terrestri, o al mok'bara klingon. Anche i vulcaniani avevano discipline analoghe, utilizzate anche dagli iniziati al Kolinahr per purgare la mente dalle emozioni residue. Senza arrivare in ogni caso a questi livelli di tecnicismo, camminare all'aria aperta è essenzialmente un utilizzo spontaneo di questa tecniche di concentrazione, talmente diffuso che nessuno vi si ferma a riflettere più di tanto. Se poi questa attività fisica viene svolta in ambienti ameni e rigogliosi, come può essere il parco del campus all'Accademia della Flotta Stellare, l'effetto benefico risulta notevolmente amplificato.
Ciò che invece non favorisce minimamente la concentrazione, almeno per quanto riguarda i vulcaniani, è avere una terrestre al fianco che tenta di intavolare una conversazione sulle sue sventure sentimentali.
"Come ti stavo dicendo, quell'imbecille di Ilaij si è preso una cotta per quella smorfiosa di Eru, e adesso passa tutto il tempo a ronzarle attorno come un fuco, tentando di farsi concedere un po' d'attenzione. Non che ci riesca, bada bene. Quella chiropteriana è più sfuggente di un'anguilla. Ormai la situazione è diventata ridicola: Ilaij che sbava e lei che di dilegua. Non che la cosa mi interessi, naturalmente. Tuttavia vedere quella smorfiosa fare la superiore in quella maniera mi fa venire il nervoso. E Ilaij che le va dietro come un cagnolino. Cosa ci troverà poi in quella ..."
Rebecca era furibonda. Non erano passati trenta secondi da che Eru aveva fatto la sua grondante comparsa, e già Vaarik aveva ipotizzato che quella ragazza avrebbe provocato un terremoto di proporzioni bibliche nella tranquilla vita del Blocco J. E infatti così era stato. Prima aveva messo Vaarik in una situazione a dir poco imbarazzante, soprattutto considerata l'eccezionale capacità dei corridoi dell'Accademia di trasmettere mormorazioni e voci indiscriminate.
Sarebbe già stato un risultato più che sufficiente, no?
E invece Ilaij aveva avuto la brillante idea di invaghirsi dei vellutati occhi a mandorla della chiropteriana, scatenando la furia nibelunga di Rebecca. La ragazza, dopo essere stata il bersaglio preferito delle avance del dongiovanni russo per un buon trimestre, ed averlo mandato in bianco con una regolarità disarmante, una volta trovata alle prese con una rivale, si era scoperta essere più gelosa di una gatta soriana. Vaarik aveva avuto la saggia intuizione di non far notare questa apparente contraddizione nel comportamento di Rebecca, ma non poteva far a meno storcere il naso di fronte ad una logica così contorta.
"E poi, non dirlo a nessuno, ma ho sentito da fonti ben informate che in realtà non è lei che si è trasferita, ma è stata allontanata dalla sezione di Chiroptera per aver colpito un istruttore che stava maltrattando un cadetto. Tu te l'immagini? Quella sarà sì e no uno e sessanta, al limite può averlo morso ad un polpaccio!"
Rebecca non poteva saperlo, ma Vaarik aveva sperimentato di persona l'indole combattiva di Eru durante il loro primo incontro, quando la chiropteriana l'aveva atterrato senza troppi complimenti con una presa di judo.
"Dovresti imparare a non giudicare le persone dal loro aspetto, Rebecca," disse una voce alle loro spalle, una voce che fece sobbalzare sul posto Rebecca e fece emettere a Vaarik un sospiro di rassegnazione.
Quando si voltarono, i due si trovarono di fronte all'oggetto della loro conversazione, la quale sembrava avere in comune con Chun la capacità di comparire alle spalle delle persone senza il minimo preavviso.
"Salve, Eru," disse Rebecca con tono glaciale, come sfidando la chiropteriana a dire qualcosa di più su quello che aveva sentito poco prima.
"Salve, Rebecca," rispose invece Eru, continuando a sorridere come se nulla fosse.
Nonostante il contegno apparentemente tranquillo di quest'ultima, non bisognava essere una torpedine per percepire le scintille di elettricità statica che rimbalzavano tra di loro. Le due ragazze rimasero immobili per alcuni secondi, studiandosi a vicenda come duellanti in attesa che uno dei due si decidesse a fare la prima mossa.
"Io vado," sentenziò infine Vaarik, frantumando con noncuranza tipicamente vulcaniana quello che era un momento dalla fortissima tensione emotiva.
"No, me ne vado io," sibilò invece Rebecca, stringendo in una linea sottile le labbra curvilinee. "Devo andare a lezione."
Senza aspettare risposta la ragazza partì di gran carriera, lasciando indietro gli altri due in poche rapide falcate.
Vaarik ed Eru la videro sparire velocemente dietro una curva del vialetto, scomparendo così alla loro vista.
Il vulcaniano tentò di approfittare di quel momento di distrazione per allontanarsi dalla chiropteriana, ma la sua fuga ebbe breve durata. Eru lo raggiunse dopo pochi passi, conversando con lui come se nulla fosse successo.
"Hai sentito che il capitano Maxwell non si trova più?" domandò la ragazza, adattandosi con sorprendente abilità al passo rapido di Vaarik.
Vaarik non si prese nemmeno la briga di sollevare un sopracciglio. "Affascinante," fu il suo unico commento.
"Dico davvero. Non ti sembra una cosa inconsueta?" proseguì lei imperterrita. "Non è mica facile perdere un capitano della Flotta Stellare. Hanno sguinzagliato alcune navi di neo-diplomati a cercarla, ma al momento nessuno sa dove sia."
Vaarik non disse nulla, ma dentro di sé dovette ammettere che la cosa era piuttosto strana.
"Stanno pensando addirittura di mandare un supplente," continuò Eru. "Io non sono qui da molto e non dovrei essere io a giudicare, ma spero solo che non sia come quel Cobledick. Quell'istruttore da ogni giorno un nuovo valore all'arte dello spelling..."
Senza più nemmeno preoccuparsi di ascoltare quello che gli stava dicendo la ragazza, Vaarik cominciò a ripensare a tutta la catena di avvenimenti che si erano susseguiti da quando lui e numerosi suoi compagni di corso avevano trovato una serie di buste dal contenuto compromettente. Più ci pensava, e più il vulcaniano si convinceva che c'era qualcosa che non quadrava nell'equazione. Buste proditoriamente sparpagliate in tutta l'Accademia, i servizi di sicurezza della Flotta che facevano acqua da tutte le parti, le lodi sperticate del colonnello Kharla, la licenza generosamente offerta dall'ammiraglio De Leone...
L'entusiasmo dei loro istruttori poteva essere spiegato facilmente, ma d'altro canto non si poteva certo trascurare il fatto che la loro azione fosse stata portata avanti in maniera piuttosto sconsiderata, in palese violazione dei regolamenti di Flotta che li obbligavano a fare rapporto ai superiori e addirittura andando contro agli ordini diretti dell'ammiraglio De Leone che aveva raccomandato esplicitamente di lasciar perdere l'intera faccenda.
E la Flotta cosa fa?
Li propone per un encomio, e li premia con una settimana di licenza.
- A frustate, li dovevano premiare, altro che licenza! - pensò il vulcaniano, permettendosi una metafora. - Così imparavano ad infrangere gli ordini diretti di un ufficiale superiore. -
Vaarik sapeva che la Flotta Stellare utilizzava dei metodi estremamente morbidi, almeno rispetto agli standard a cui era abituato nell'universo dello Specchio, ma questo era davvero eccessivo. Premiare chi commetteva un'insubordinazione, anche se la sua azione era coronata dal successo, era illogico per qualsiasi istituzione gerarchica, in qualsiasi universo. E la Flotta non poteva non saperlo. No, decisamente c'era qualcosa che non andava.
"...già il nome è tutto un programma. Ahl Cobledick, " stava intanto dicendo Eru, che, tutta presa dal suo discorso sull'el-auriano, aveva condotto Vaarik in una zona del campus che il vulcaniano non ricordava di avere mai visto. "Ho sentito nomi più belli tra le marche di detersivo per piatti. Ahl Cobledick. No, non mi convince. Ha un suono così artificiale..."
PER LE ARMATE DI SURAK! imprecò mentalmente Vaarik, fermandosi di botto.
Poi si diede dell'imbecille: come aveva fatto a non pensarci prima? I nomi degli agenti della scorta erano gli stessi degli alias di McBride! Una coincidenza era talmente improbabile da non poter essere neppure presa in considerazione. Purtroppo questo non portava che ad una conclusione, ed in quel momento Vaarik ebbe la certezza che questa conclusione non sarebbe piaciuta per niente al colonnello Kharla.
Non avvertendo più la sua presenza al suo fianco, la chiropteriana si voltò indietro continuando a camminare. "Vaarik, c'è qualcosa che non..." iniziò a dire, ma non riuscì a finire la frase.
Il vulcaniano la vide rimbalzare come contro un muro invisibile e finire a terra rigida come un pezzo di legno.
Avvicinandosi cautamente al punto in cui la sua compagna di corso era caduta, Vaarik si ritrovò a toccare con la punta delle dita il misterioso ostacolo invisibile. Facendo scorrere la mano su di esso, Vaarik riconobbe una superficie metallica, rendendosi rapidamente conto di trovarsi di fronte ad un vascello occultato.
"Siam tre piccoli porcellin, siamo tre fratellin..." canticchiava intanto Eru, semisvenuta sull'erba madida di rugiada.
Se già Vaarik non si aspettava di trovare un vascello occultato nel campus dell'Accademia della Flotta Stellare, quello che si aspettava ancor meno era che il suo portellone si aprisse spontaneamente non appena rilevata la presenza di qualcuno all'esterno.
Vinto dalla curiosità, il vulcaniano non riuscì a resistere all'impulso di affacciarsi all'interno del velivolo, per poi scivolare al suo interno subito dopo. A bordo del piccolo vascello occultato, Vaarik impiegò meno di tre secondi per riconoscere la strumentazione romulana, più o meno lo stesso tempo che impiegò il computer della nave per capire che quello che non era entrato non era il suo legittimo proprietario.
"EIA ALTER ALTERI OBVIAM EAMUS!" tuonò minacciosamente una voce romulana, diffusa dagli altoparlanti della navetta.
Se quella era una frase in codice, il computer si aspettava ovviamente un qualche tipo di risposta, probabilmente un gesto di cortesia prima di inondare l'abitacolo di un qualche simpatico gas nervino.
"EIA ALTER ALTERI OBVIAM EAMUS!" ripeté la voce, mentre sulle consolle alcune luci cominciavano a lampeggiare in maniera preoccupante.
Non sapendo assolutamente cosa fare, Vaarik stava tentando di vagliare delle ipotesi alternative, che è più o meno l'equivalente vulcaniano di farsi prendere dal panico, quando una voce alle sue spalle rispose altrettanto stentorea.
"VASTA MACULA SUDORIS IN TERGO VESTIS TUAE EST!"
A quella frase il computer di bordo mise fine alla condizione di allarme, forse appagato dalla risposta o forse semplicemente stupefatto dall'innominabile idiozia che permeava coloro che avevano scritto i protocolli di sicurezza romulani.
Ma ancor più stupefatto era Vaarik, che si volse a guardare Eru che avanzava rapidamente verso la consolle di comando, massaggiandosi la testa.
"Be', cos'è quella faccia? Adesso è vietato parlare il romulano?"
Le sopracciglia di Vaarik si corrugarono mentre osservava la ragazza con un vago senso di sospetto.
"Non è il fatto che tu sappia il romulano ad impensierirmi," domandò il vulcaniano, "ma il fatto che tu conosca il codice per disattivare il sistema di sicurezza."
"E' una citazione da un famoso poema sull'esodo dei romulani," rispose Eru con naturalezza, "e lo sapresti anche tu se avessi seguito il corso di Letteratura Comparata invece di ostinarti a stare attento solo alle lezioni di Stark."
Poi la chiropteriana si guardò intorno, sfregandosi le mani con aria compiaciuta. "E ora che siamo dentro che cosa vogliamo fare?"
Il vulcaniano sollevò un sopracciglio, lanciando un'occhiata in tralice alla consolle del pilota. "Dimmi, Eru," domandò poi in tono casuale, "ti hanno mai raccontato la storia dei sabot?"
"Vaarik..."
Dalla sua posizione, la voce di Eru gli arrivava ovattata, ma non abbastanza da impedirgli di percepire il tono di vago allarme di cui il suo nome era stato pronunciato.
"Stavo ascoltando le frequenze federali, tra parentesi, questo apparecchio ha tutti i codici di decodifica della Flotta, e sembra che ci sia un po' di agitazione..." la ragazza ascoltò per qualche secondo nel suo auricolare, poi continuò con tono contrito. "Sono desolata di rovinarti il divertimento, là sotto, ma una navetta non autorizzata ha appena lasciato gli hangar... pare che la tua spia sia riuscita a scappare."
Vaarik fece emergere la testa da sotto il pannello su cui stava lavorando. "Spero tu stia dando prova della tua ben nota propensione per l'umorismo fuori luogo," disse con aria cupa.
"Temo di no," rispose la ragazza, esibendosi in un pallido sorriso di scuse. "Sembra che in qualche modo sia riuscito a manomettere il sistema di posizionamento dello spazioporto di San Francisco, mandando fuori rotta decine di navi civili. Le navette della Flotta sono impegnate a impedire che si schiantino tra loro o brucino al rientro nell'atmosfera." Fece una pausa significativa. "Potremmo essere l'unica nave in grado di inseguirla."
Un attimo di silenzio scese nella piccola cabina. "D'accordo," sospirò infine il vulcaniano. "Dammi un minuto."
Poi gettò uno sguardo sconsolato ai chip sparsi alla rinfusa sul pavimento della navetta.
"Facciamo tre minuti..."
"Ora tutti i sistemi dovrebbero essere di nuovo on-line."
"Controlliamo subito." Eru digitò una serie di rapidi comandi alla consolle. "Sembra tutto a posto."
Vaarik si sedette alla consolle del co-pilota, accanto alla chiropteriana. "Computer, accensione propulsori di manovra," ordinò il vulcaniano.
"CICERO PRO DOMO SUA."
Vaarik rimase interdetto dalla risposta del computer, ma fortunatamente i propulsori si accesero a dovere.
"Tutti i sistemi rispondono, propulsori a pieno regime," confermò Eru. "Decollo al mio segnale."
La ragazza fece danzare le mani sulla consolle di pilotaggio, cercando di familiarizzare con i comandi romulani. Fortunatamente i controlli di volo erano sostanzialmente gli stessi delle navette federali, e non ebbe troppe difficoltà.
"Tre due, uno..." contò la ragazza.
"VENI, VIDI, VICI," segnalò di rimando il computer di bordo, mentre il sibilo dei motori si faceva sempre più intenso.
"Contatto!"
Il vascello romulano, ancora occultato, si sollevò da terra, facendo scuotere furiosamente le cime degli alberi come se si fosse levato un tornado in miniatura all'interno del campus.
Eru manovrò con una certa destrezza, facendo scivolare la navetta senza troppi scossoni, ma lo stomaco di Vaarik non gradì ugualmente la brusca accelerazione. Odiava volare nell'atmosfera.
"Rilevazione della navetta rubata?" domandò la ragazza non appena furono in volo.
"Direzione 103.7... direttamente sull'Oceano Pacifico."
"Tempo stimato all'intercettazione?"
Vaarik fece un rapido calcolo mentale. "Alla velocità attuale... 84 secondi."
Eru si voltò per un attimo ad osservare il vulcaniano. "E una volta che lo intercettiamo?"
"Tu resti ai comandi e io mi teletrasporto a bordo della navetta."
La chiropteriana si voltò nuovamente verso di lui, guardandolo questa volta con gli occhi fuori dalle orbite. "Starai scherzando?!? Non vorrai andare da solo!!!"
"Ma io non sarò da solo," disse il vulcaniano con tranquillità, facendo un cenno con la mano. "Ci sarà lei con me."
Lo sguardo di Eru seguì il percorso della sua mano fino a posarsi sul fucile disgregatore che Vaarik aveva poggiato di fianco al suo sedile.
"Andiamo bene..." commentò cupamente la ragazza.
"Sempre disponibile ad essere di aiuto," commentò distrattamente Vaarik, continuando a trafficare con la sua consolle.
Il vulcaniano guardò la ragazza con aria non del tutto convinta. "Sei proprio sicura di sapere come funziona?"
"Assolutament... AHIA!" confermò Eru con sicurezza, nonostante continuasse a sobbalzare quando la consolle si rifiutava di accettare i suoi dati e punendola con una leggera scarica elettrica.
Scuotendo cupamente la testa, Vaarik fece scattare la sicura del suo fucile disgregatore, e controllò un'ultima volta che la cellula di energia fosse carica. "Sono in posizione. Puoi dare energia quando vuoi."
"Energia," ripeté Eru più che altro a se stessa, facendo scorrere lentamente le dita sui controlli.
L'ultima cosa che Vaarik udì prima di essere avvolto dal raggio del teletrasporto fu il computer della nave che declamava.
"ALEA IACTA EST."
Questa volta il tetro vulcaniano non ebbe nulla da ridire sulla scelta delle parole.
Vaarik, come tutti i Vulcaniani, in situazioni di pericolo poteva contare su una prontezza di riflessi leggermente superiore agli standard umani. Non è una questione di presunzione, ma di mera fisiologia. Il sistema nervoso vulcaniano può trasmettere informazioni a una velocità superiori perché le sue cellule nervose contengono rame, che è un forse uno dei migliori conduttori esistenti in natura. Il trasporto delle informazioni risulta così essere molto più veloce, e più veloce risulta anche quindi la risposta agli stimoli.
Sfortunatamente per Vaarik, quando si materializzò sulla piccola pedana del teletrasporto, inserita nella parete posteriore del piccolo e affollato abitacolo della navetta, nemmeno i proverbiali riflessi vulcaniani avrebbero potuto fare alcuna differenza.
Semplicemente, successero troppe cose e troppo in fretta.
Alla sua destra c'erano i due agenti della sicurezza, disarmati e con le mani alzate. Proprio davanti ai suoi piedi era riversa il colonnello Kharla, stordita o forse peggio. Alla sua sinistra c'era McBride, con un phaser miniaturizzato tra le mani.
Appena vide materializzarsi il vulcaniano, il mutaforma si voltò allarmato verso di lui. "Aspetta," iniziò a dire, "non è come sembra..."
Vaarik aveva meno di mezzo secondo per decidere.
In situazioni come quella, in genere è il condizionamento psicologico a prendere il sopravvento, molto prima che la mente cosciente riesca a reagire.
Il condizionamento psicologico di Vaarik era quello di preoccuparsi innanzitutto di ciò che presentava un pericolo maggiore, che in quell'occasione era rappresentato da un mutaforma armato di phaser.
Fu così che, prima ancora di rendersene conto, il vulcaniano si ritrovò a puntare il fucile disgregatore direttamente in faccia a McBride.
Purtroppo, anche se perfettamente logica, quella si dimostrò essere decisamente la mossa sbagliata.
Per una frazione di secondo, nessun'arma fu puntata verso gli altri due occupanti della navetta, che in quel preciso istante si gettarono agli opposti angoli dell'abitacolo.
Uno si lanciò verso McBride, facendogli volare il phaser di mano con un calcio.
L'altro invece si gettò contro il vulcaniano, tentando di strappargli di mano il fucile. Vaarik fu sbalzato indietro dallo slancio della guardia, ma in qualche modo riuscì a mantenere ben salda la stretta sul disgregatore, sapendo che mollarlo sarebbe equivalso ad una morte rapida e decisamente sgradevole.
Inciampando nel corpo riverso del colonnello Kharla, Vaarik tentò di liberarsi dell'umano facendolo sbattere ripetutamente contro una paratia, ma quello, seppur grugnendo di dolore, non sembrava minimamente intenzionato a farsi mettere al tappeto tanto facilmente.
Intanto, McBride stava lottando con il suo antagonista, che però difficilmente poteva competere con la forza del mutaforma. Con i tentacoli avvolti attorno alla gola della guardia, McBride la sollevò da terra, lanciandola violentemente contro la paratia opposta. La guardia impattò con violenza, ma non si arrese. Con la forza della disperazione, e ruggendo come un animale ferito, l'uomo si gettò di peso contro il mutaforma. McBride non riuscì ad evitarlo, e i due si ritrovarono a rotolare insieme verso la parete posteriore dell'abitacolo, dove era inserita la pedana del teletrasporto. La spia colpì rovinosamente con la testa contro una paratia, perdendo immediatamente i sensi, ma McBride si infilò di misura dentro all'alloggiamento del teletrasporto. In qualche maniera, l'urto attivò il dispositivo, e nell'aria si diffuse il musicale ronzio della smaterializzazione.
L'ultima cosa che Vaarik riuscì a vedere con la coda dell'occhio prima che McBride scomparisse in una colonna di luce azzurrina fu l'espressione di assoluto stupore stampata sulla faccia del mutaforma.
Sibilando per la frustrazione, Vaarik decise di rischiare e, mollata di colpo la presa sul fucile, ruotò su se stesso lasciando che la stessa inerzia del suo movimento mandasse a gambe all'aria il suo aggressore.
Ma l'agente della sicurezza non si fece sorprendere del tutto, e mentre cadeva pesantemente sul pavimento, tentò di fare fuoco contro il vulcaniano, momentaneamente indifeso. Resosi conto del pericolo, Vaarik fece partire grazie solo all'istinto un violento calcio verso la canna del fucile disgregatore, facendo sì che il raggio lo mancasse di pochissimo, infrangendosi contro la consolle di pilotaggio, in quel momento impostata evidentemente sul pilota automatico, facendola saltare in aria in un'esplosione di scintille.
Immediatamente in tutta la cabina si attivarono gli allarmi, e la navetta iniziò a roteare vorticosamente, perdendo rapidamente quota. Nella confusione che esplose nell'abitacolo, Vaarik tentò di guadagnare un minimo di equilibrio e si diresse verso i comandi ausiliari, tentando di riprendere in qualche modo il controllo del velivolo.
Ma, andando contro al suo stesso istinto di sopravvivenza, l'agente della sicurezza si avventò contro di lui da dietro e gli serrò un braccio attorno al collo, tentando di strangolarlo. Tentando disperatamente di far arrivare aria alla sua trachea, Vaarik colpì più volte con la nuca il volto dell'umano, fino a che non sentì il sonoro crock di un setto nasale che si fratturava.
Mugolando per il dolore, la guardia lasciò la presa portandosi le mani al volto insanguinato, e il vulcaniano ne approfittò per voltarsi e colpirlo nuovamente con un pugno in pieno plesso solare. La guardia si accasciò al suolo rantolando, ma anche il vulcaniano perse per un istante l'equilibrio quando il pavimento della navetta gli venne strappato letteralmente da sotto in piedi da uno scossone improvviso.
Senza un attimo da perdere, Vaarik si rialzò rapidamente e di diresse barcollando verso il corpo di Kharla, mentre intorno a lui l'urlo del vento contro le paratie della navetta si faceva sempre più intenso. Purtroppo non c'era tempo per le buone maniere, e Vaarik sollevò di peso il colonnello, lanciandosi contemporaneamente verso la pedana del teletrasporto.
Poteva essere una follia, ma al momento non è che avessero molte alternative. Appena si trovò in posizione, il vulcaniano gridò: "Computer! Energia!" sapendo che se il sistema di trasporto automatico fosse stato danneggiato dalla scarica di disgregatore per loro non ci sarebbe stato più niente da fare. Per un attimo non successe nulla, poi Vaarik iniziò a sentire il conosciuta ronzio musicale del telestrasporto che si diffondeva tutt'intorno.
Un attimo prima che il raggio del teletrasporto lo avvolgesse, Vaarik vide la guardia che recuperava il suo fucile e lo puntava nella sua direzione.
Fu una questione di attimi, ma quando il raggio color smeraldo raggiunse la loro posizione, né Vaarik né il colonnello Kharla erano più là.
Esattamente tre secondi prima che la navetta impattasse contro la superficie dell'oceano, esplodendo in mille schegge incandescenti, i due vulcaniani si rimaterializzarono a molte miglia di distanza, e precisamente alle stesse coordinate alle quali si era teletrasportato McBride.
La caccia non era ancora terminata...
La prima impressione che il vulcaniano avvertì dopo il teletrasporto fu di essersi materializzato in un ambiente scuro e umido, e che la temperatura era di almeno una quindicina di gradi più alta rispetto a quella a cui era abituato sulla Terra.
In altre condizioni Vaarik avrebbe anche potuto apprezzare l'aumento di temperatura, ma non era quello il momento per crogiolarsi.
Il vulcaniano si piegò su un ginocchio per depositare a terra il corpo ancora svenuto del colonnello Kharla, la quale però emise un gemito quando la sua schiena urtò il pavimento senza troppa delicatezza.
Vaarik fece appena in tempo a metterle una mano davanti alla bocca prima che la donna potesse emettere un altro suono, facendo contemporaneamente cenno alla vulcaniana di parlare a bassa voce. Riconoscendo il volto che si trovava di fronteo e superando l'attimo di smarrimento che l'aveva assalita, il colonnello si rilassò, permettendo a Vaarik di togliere la mano da davanti la sua bocca.
"Cos'è successo alla navetta? E lei cosa ci fa qui, cadetto?" domandò la vulcaniana, già perfettamente in controllo della situazione.
"Comincio a chiedermelo anch'io, colonnello," rispose Vaarik con aria esausta, poi si ricompose. "Mi sono materializzato sulla vostra navetta. C'è stata una breve colluttazione, poi McBride finito per errore sulla pedana del teletrasporto. La navetta stava precipitando, quindi ho dovuto effettuare un teletrasporto di emergenza alle stesse coordinate di McBride."
"Le altre due persone sulla navetta?"
"Sparse sull'Oceano Pacifico," rispose Vaarik con freddezza. "Si può sapere chi erano?"
"Spie cardassiane, o almeno questo è quello che mi hanno detto prima di stordirmi."
Intanto, i due vulcaniani si guardarono intorno, cercando di capire in che diavolo di posto erano capitati. A prima vista sembrava il corridoio di una nave, solo che era molto più stretto e buio di quelli usati nei vascelli della Federazione. Le pareti, il pavimento e il soffitto erano costruite di un metallo scuro e compatto, ed erano percorsi da fasci di cavi e tubature che correvano lungo tutta la superficie ad eccezione del pavimento. L'aria era terribilmente umida, tanto che la condensa formava piccole gocce che scendevano lungo le pareti.
Attraverso le strutture metalliche, Vaarik poteva sentire le vibrazioni di una fonte di energia, un motore di qualche tipo, probabilmente molto vecchio. Insieme alla vibrazione, però, percepì anche un altro suono, più lontano e meno regolare, come un gemito metallico, o il suono causato pressione dell'acqua all'interno di un...
"Un sottomarino," sussurrò il colonnello Kharla, giungendo alla stessa conclusione a cui era giunto anche Vaarik.
Con tutta probabilità si trovavano all'interno di un sottomarino, probabilmente a migliaia di chilometri di profondità sotto la superficie dell'Oceano Pacifico, preparato in qualche modo da McBride in previsione della fuga. Posizionato su uno dei tanti camini vulcanici che caratterizzavano la dorsale pacifica, un vascello sottomarino opportunamente progettato avrebbe potuto restare invisibile ai sensori orbitali per settimane, se non addirittura per mesi. Così, mentre mezza Flotta Stellare si affannava a cercarlo su tutti i cieli dell'emisfero nord del pianeta, il mutaforma si sarebbe nascosto lì per qualche tempo, aspettando che le acque si fossero calmate, in attesa di un passaggio per lasciare il pianeta.
- Un piano ingegnoso, non c'è che dire, - pensò Vaarik con una punta di ammirazione.
Con un cenno di intesa, i due vulcaniani avanzarono lungo lo stretto corridoio, tentando di fare il meno rumore possibile. Se il sottomarino non era equipaggiato con sensori interni, c'era una possibilità che McBride fosse ancora allo scuro della loro presenza.
Continuando ad avanzare, iniziarono a sentire dei suoni, dapprima indistinti, poi sempre più chiari. Vaarik riconobbe la voce di McBride, e a giudicare dalla sua espressione anche la vulcaniana aveva fatto lo stesso. La spia stava animatamente discutendo con qualcuno, ma non nessuna risposta giungeva alle loro orecchie.
Facendo attenzione a qualsiasi rumore, raggiunsero quella che sembrava una piccola plancia. McBride era di spalle, seduto di fronte ad un terminale di computer, ma dalla loro posizione non era possibile vedere chi fosse il suo interlocutore.
Kharla e Vaarik si scambiarono uno sguardo, poi la vulcaniana estrasse da uno dei suoi stivaletti militari un phaser miniaturizzato, molto simile, ironia del caso, a quello perso da McBride sulla navetta.
"Fermo dove sei, McBride!" esclamò la donna, puntando il phaser contro di lui.
Il mutaforma scattò in piedi per la sorpresa, voltandosi verso di loro, ma appena vide chi lo stava minacciando ricadde pesantemente sulla poltroncina, portandosi le mani al viso e scuotendo la testa con aria sconsolata.
"Su le mani e niente scherzi," disse il colonnello con voce dura. "Come direbbero gli umani: il gioco è finito."
"Temo di doverla contraddire, colonnello," disse una voce nota, alle spalle dei vulcaniani, cogliendoli completamente di sorpresa. Contemporaneamente, Vaarik, sentì la canna di un'arma appoggiarsi con delicatezza nella parte destra della sua schiena, all'altezza del cuore. "Ora la pregherei di gettare via la sua arma, altrimenti qualcuno potrebbe farsi male sul serio."
Il colonnello Kharla esitò un istante, uno solo per fortuna, poi abbassò il phaser e lo gettò per terra.
Al contrario Vaarik, come se non fosse minimamente preoccupato delle minacce che si era sentito rivolgere, si voltò a fronteggiare il suo antagonista.
"Sono piuttosto deluso, signor Vaarik," si sentì dire il vulcaniano con una nota di biasimo. "Farsi sorprendere alle spalle in questo modo non è da lei."
"Anch'io sono piuttosto deluso da lei, comandante," rispose Vaarik, ritrovandosi a fissare gli occhi castani del tenente comandante Memok. "E' caduto talmente in basso da vendersi al Dominio?"
Il consigliere Memok, sempre tenendoli sotto tiro, girò loro attorno, mettendosi accanto a McBride. Al posto della consueta uniforme da ufficiale, Memok indossava abiti civili, e una specie di soprabito spiegazzato dal colore indefinibile. "La logica raccomanda di diffidare delle conclusioni affrettare, signor Vaarik," disse scuotendo la testa con aria paternalistica. "Proprio lei dovrebbe sapere che le cose non sono sempre quello che sembrano."
"Lei chi sarebbe?" domandò il colonnello Kharla, gli occhi verdi duri come ghiaccio. "E come mai conosce il cadetto Vaarik?"
"Il mio nome è Memok," rispose l'altro vulcaniano, "consigliere di bordo della USS Nemesis. Il signor Vaarik è, come dire, il mio pupillo."
Alla parola pupillo, gli occhi di Vaarik avvamparono, ma il vulcaniano non fece alcun movimento, consapevole che il phaser del consigliere era ancora puntato verso di lui.
A quel punto McBride, ancora seduto accanto al consigliere, non riuscì a trattenere una risatina. "Adesso però ti stai divertendo un po' troppo, Mek," disse il mutaforma con aria di rimprovero.
Al sentire quel diminutivo, Vaarik sollevò un sopracciglio. C'era solo una persona che chiamava il consigliere con quel nome.
"I vulcaniani non si divertono," puntualizzò Memok, arricciando però impercettibilmente le labbra nel suo quasi-sorriso. "Tuttavia, alcuni di noi possono trarre piacere da una conversazione intellettualmente stimolante."
"Evidentemente abbiamo idee diverse su cosa sia intellettualmente stimolante, consigliere," disse Kharla sollevando un sopracciglio. "Ad esempio, io troverei oltremodo affascinante sapere cosa sta succedendo."
Come in risposta a quella domanda, il consigliere abbassò l'arma, riponendola nella fondina che teneva sotto il soprabito.
"Ha deciso di costituirsi, consigliere?" domandò Kharla guardandolo di sottecchi.
"Temo di no, anche se credo che molti dei detenuti troverebbero nel suo umorismo un motivo in più per uscire di lì al più presto," si intromise McBride, lanciando un'occhiata sardonica al vulcaniano. Poi continuò. "Colonnello, ha mai sentito parlare del Protocollo 24?"
Kharla sollevò un sopracciglio. "Protocollo 24 è il nome in codice di un'operazione di controspionaggio dei Servizi Segreti della Flotta. Indica la sostituzione di un agente ostile con uno dei propri, allo scopo di carpire informazioni al nemico." Kharla non ci mise molto a fare due più due. "Mi sta dicendo che la sua fuga era una montatura?"
"Lei lavora per lo SFIC da molto tempo, colonnello," disse McBride con aria sollecita. "Credo quindi che capirà se l'abbiamo tenuta allo scuro del vero obiettivo di questa operazione."
A quel punto, la figura di McBride cominciò a sfumare e a dissolversi, dando prova della sua natura di mutaforma. Quando riprese solidità, al posto dell'anziano uomo dai capelli grigi, vi era una giovane donna dalla pelle ramata e i lineamenti di una nativa americana.
"Colonnello Kharla," disse il consigliere Memok con aria formale, "le presento il tenente Wak Inyan, archivista di bordo della USS Nemesis."
La giovane donna sorrise, come a scusarsi della sua improvvisa apparizione. "Anche se temo che questa operazione vada un po' oltre i miei compiti di archivista."
Vaarik, che fino a quel momento era rimasto in silenzio a guardare quella scena, fece perentoriamente un passo avanti. "E il vero McBride?"
"Si trova al sicuro in una cella dello SFIC, tenuto sotto controllo e sorvegliato a vista," spiegò Memok con tono sicuro. "Dopo la sua cattura, il Comando ha intravisto la possibilità di applicare un Protocollo 24, ossia di sostituirlo con uno dei nostri. Viste le sue particolarità, il tenente Wak Inyan è sembrata ovviamente la scelta naturale."
"Il Comando temeva che vi fossero degli infiltrati cardassiani all'interno," continuò la mutaforma, "ma non ne aveva la sicurezza. La cattura di McBride è sembrata una buona occasione per farli venire allo scoperto, confidando che avrebbero bruciato la copertura pur di aiutarlo a fuggire."
"Sarebbe stato tutto molto semplice, se non fosse intervenuto qualcuno ad interferire con i nostri piani."
Anche con tutti gli occhi puntati verso di lui, Vaarik si rifiutò caparbiamente di sentirsi in difetto.
"Come andrà a finire per Vaarik?" domandò Wak Inyan, seduta comodamente in una delle tante salette di attesa dell'edificio che ospitava il Comando di Flotta. Lei e il tenente comandante Memok stavano aspettando di incontrare l'ammiraglio De Leone per riferire sulla missione appena conclusa.
"Niente di grave, se è questo che ti preoccupa. Se la caverà con una bella ramanzina da parte di De Leone e qualche licenza cancellata. In fondo gli infiltrati cardassiani sono stati smascherati e resi inoffensivi." Il consigliere Memok indossava nuovamente l'uniforme della Flotta Stellare, con il suo colletto rosso della sezione comando.
"Temo però che sarà un po' difficile far loro qualche domanda," aggiunse la mutaforma.
"Già. Fortunatamente il ritrovamento della navetta romulana usata da McBride, con tutti i suoi archivi dati intatti e disponibili, depone ampiamente a suo favore."
"Archivi dati romulani," commentò a mezza voce l'archivista, come se già pregustasse di poter spulciare lì in mezzo per ore e ore. "Dici che mi ci faranno dare un'occhiata?"
Memok scosse la testa. "Temo di no. Le informazioni che hanno trovato sono classificate ai massimi livelli."
La mutaforma sembrò delusa, ma non era una di quelle persone che tenevano il broncio troppo a lungo. "Poco male. Ci saranno altre occasioni." Poi si accorse che Memok la stava osservando con una faccia strana. "Cosa c'è? Mi sono dimenticata di formare il naso?" domandò, tra il serio e il faceto.
"Il tuo naso è al suo solito posto," rispose il vulcaniano, ma senza smettere di fissarla. "Stavo solo pensando: non riuscirò mai ad abituarmi a vederti in panni maschili."
Wak Inyan non riuscì a trattenere una risata. "Tipica affermazione da fermo," disse l'archivista, usando il termine che utilizzava per includere tutti i non-mutaforma. "So che non ti piace che te lo ricordi, ma tra i mutaforma la differenza tra maschi e femmine non esiste. E' solo un caso che io abbia scelto come forma standard quella di una donna."
"Ecco, appunto, non ricordarmelo," rispose il vulcaniano, incrociando le braccia. Poi continuò, distendendo i lineamenti in quello che solo pochi non vulcaniani avrebbero interpretato con un sorriso. "In realtà, non è tanto il fatto che tu possa diventare un uomo, quanto il fatto che tu possa diventare un uomo più bello di me!"
Wak Inyan si passò una mano sul volto, sconsolata.