La prima immagine che gli venne in mente fu quella dell'oblò di una antica nave, coperto da un velo sottile di condensa. Poi si chiese da dove gli era venuta fuori un'idea del genere e allungò una mano per dissipare il vapore che si era condensato sullo specchio del bagno. Il vulcaniano si ritrovò a fissare dall'altra parte del vetro il volto di un uomo che lo scrutava con espressione torva. Per un lunghissimo istante Vaarik fissò quell'uomo negli occhi con intensità crescente, chiedendosi non per la prima volta come sarebbe stato guardare negli occhi quell'altro se', il suo speculare, il doppelganger che abitava questo universo. Cosa avrebbe trovato in quegli occhi? Avrebbe trovato la compassione, per tutto quello che il suo alter ego aveva sofferto? Avrebbe trovato il senso di colpa, illogico ma comprensibile, per essere nato dalla parte giusta dello specchio? O piuttosto avrebbe trovato l'indifferenza, indifferenza per qualcuno che non era altro che un macabro scherzo del destino, una esotica personificazione della meccanica quantistica?
Una parte di sé avrebbe voluto trovarsi di fronte quell'uomo, guardarlo negli occhi, prenderlo per il bavero della tunica e scuoterlo, scuoterlo con tutta la forza che aveva in corpo e gridargli in faccia: guardami! guardami!!!
Mi riconosci?
Io sono il negativo della lastra fotografica, il lato oscuro della luna, il rovescio della tua dorata medaglia. Io sono colui a cui tutto e' stato negato solo perche' un altro lo potesse avere...
Ma non l'aveva mai fatto. Eppure non sarebbe stato difficile rintracciarlo, se davvero avesse voluto. Gli sarebbe bastato premere qualche tasto sul terminale del suo alloggio, impostare una ricerca incrociata, ed il risultato sarebbe apparso sullo schermo.
Nonostante questo, non l'aveva mai fatto.
Non l'aveva mai fatto perché dentro di lui c'era un'altra parte, illogica ma fortemente radicata della sua mente, una parte che guardava con timore al confronto con quell'altro se stesso. Un Vaarik che non aveva dovuto vivere sotto il tallone dell'Alleanza, che non aveva subito le sferzate dei sorveglianti, che non aveva visto la morte coi suoi occhi centinaia di volte, che non portava dentro al cuore il pugnale di acciaio incandescente che il destino gli aveva piantato alle spalle. Aveva timore di quel confronto perché c'era una domanda che continuava a ronzare fastidiosamente nella mente del vulcaniano.
E se quel Vaarik, il Vaarik che lui sarebbe potuto essere date le giuste condizioni, non fosse stato all'altezza?
>E se, nonostante tutto il benessere e la liberta' di cui poteva godere in questo universo, non fosse stato altro che un perdente?
Un vulcaniano che ha paura della verità. Di certo l'avrebbe trovato molto divertente, se solo avesse avuto ancora voglia di ridere.
Scuotendo la testa con malcelata ironia, sciacquò con energia la lama del suo antiquato rasoio manuale e prese a farsi la barba con meticolosità, come ogni mattina. Nel frattempo cominciò ad organizzare i tempi della sua giornata, che comunque si preannunciava piuttosto interessante. La mattina doveva seguire un paio di corsi in Accademia, ma per il pomeriggio Vaarik era riuscito a programmare una visita all'Osservatorio di Palomar, così chiamato in onore del vecchio osservatorio astronomico, ma che era col tempo diventato uno degli istituti di cosmologia più avanzati dopo l'Accademia delle Scienze di Vulcano. La sera, infine, era stato invitato da Ilaij e la sua solita combriccola ad assistere ad uno spettacolo teatrale. Vaarik di certo non adorava quel genere di intrattenimento, ma nonostante tutti i suoi sforzi non era proprio riuscito a schivare l'invito. Il titolo era 'Cats', o qualcosa del genere, riadattamento di un vecchio musical terrestre ad opera della Compagnia Teatrale Caitiana alla San Francisco Opera Hall. Nonostante l'irritazione per non essere riuscito a scansare l'invito, il vulcaniano si consolava ugualmente con il pensiero che almeno per una sera non si sarebbe dovuto sorbire le insopportabili nenie coreane che venivano immancabilmente diffuse nel locale di Chun...
Soddisfatto della forma del suo pizzo corvino, Vaarik si diresse verso il guardaroba, dove ripose la tunica del pigiama e i pantaloni che aveva abbandonato sul letto quando era andato a farsi la doccia. Poi indossò la sua uniforme, appuntò sul colletto la spilla che indicava la sua appartenenza al primo anno di corso, sfilò dal polso il cordino che usava per legarsi i capelli e se li strinse in una severa coda. Si diede un'ultima occhiata allo specchio per assicurarsi d'essere presentabile, poi raccolse il PADD che usava come quaderno e aprì la porta della sua stanza, emergendo di colpo dal confortevole silenzio della sua stanza all'affollato corridoio, rutilante di chiassosa gioventù accademica. Non per la prima volta, Vaarik si sorprese ad elevare un silenzioso ringraziamento agli dei dimenticati per il fatto che non gli era stato ancora assegnato un compagno di stanza. Poi si incamminò risoluto verso l'aula dove si sarebbe tenuta la prima lezione.
I cambi di aula erano sempre stati, nella storia di tutte le università della galassia, un'occasione gradita per spezzare il ritmo delle lezioni e scambiare quattro chiacchiere con amici e compagni di corso. All'Accademia della Flotta Stellare non si faceva eccezione.
Dopo la seconda ora di lezione, i cadetti stavano sciamando a gruppetti verso la grande aula del dipartimento medico dove si sarebbe svolta la lezione della Dottoressa Leneorat, parlottando del più e del meno tra loro. Vaarik invece camminava da solo, badando poco a quello che succedeva intorno a sé. La sua attenzione era tutta concentrata nel ripensare alla lezione appena terminata. Il capitano Stark aveva introdotto alcune interessanti funzioni vettoriali in grado di descrivere il potenziale gravitazionale in presenza di effetti quantistici rilevanti, e Vaarik stava ancora ripensando alle equazioni che erano state presentate a lezione. Alcune delle loro implicazioni sarebbero state decisamente interessanti.
La sua attenzione venne attirata da un inconsueto assembramento di cadetti proprio in mezzo al corridoio. Nel centro della calca Vaarik intravide il guardiamarina Marok, il giovane vulcaniano assegnato alla Segreteria, che, sormontato da una pila di fascicoli quasi più alta di lui, tentava di distribuirli a tutti i cadetti. Vaarik si avvicinò con passo misurato e il guardiamarina gli porse due moduli. Il primo recava la scritta 'Test James-Worker-Weight', mentre il secondo esibiva il simbolo del dipartimento medico e veniva identificato come 'Questionario dei dati clinici'. Gli altri cadetti sembravano piuttosto delusi da quello che si trovavano in mano, probabilmente avevano sperato si trattasse di un invito a qualche serata organizzata dall'Accademia, tanto che qualcuno si lasciò scappare un mormorio distratto: "Un'altra scartoffia. La compilerò più tardi..."
Ma ben poco sfugge alle acute orecchie di un vulcaniano. Senza nemmeno voltarsi, il guardiamarina Marok rispose all'umano che aveva pronunciato il commento con voce abbastanza alta perché tutti sentissero.
"Quello che ha tra le mani, cadetto Foster, è il modulo per un'adeguata assistenza medica in caso di traumi ed emergenze. Sono a conoscenza che tra un'ora avrete la lezione del tenente comandante Sherman; vi consiglio di redigere il questionario ed il test prima di allora."
L'umano esitò un attimo, sorpreso di essere stato chiamato in causa. Poi lanciò uno sguardo di allegra sfida al vulcaniano. "E' una minaccia, signore?"
Gli angoli delle sue labbra si arricciarono in quello che pochi non-vulcaniani avrebbero riconosciuto come un sorriso. "Assolutamente no, signor Foster. Piuttosto una premonizione."
L'enigmatica affermazione di Marok non stupì la maggior parte dei cadetti: le voci in Accademia girano veloci, e quelle sul tenente Sherman non erano tra le più incoraggianti. Le sue lezioni erano l'incubo supremo di tutti i cadetti, e, nelle notti più buie, si sussurrava che ogni anno numerosi cadetti scomparissero senza lasciare traccia durante le sue esercitazioni sul campo.
Naturalmente, Vaarik non prestava la minima attenzione a queste voci. Di certo, erano solo storie messe in giro dai cadetti anziani per spaventare le matricole.
Ma in questo caso, per quale motivo il suo senso del pericolo aveva preso a trillare in maniera così intensa?
Il tenente Ted Sherman era un umano di circa quarant'anni, abbastanza alto, con le spalle larghe e il fisico atletico. Il suo viso era duro e squadrato, incorniciato da una folta barba. Come il resto dei cadetti raccolti nella palestra dell'Accademia, indossava l'uniforme da allenamento, una specie di tuta grigia con il simbolo dell'Accademia là dove si sarebbe dovuto trovare il comunicatore e che riportava il colore della sezione di appartenente lungo una striscia che correva lungo la parte superiore del torace. Particolare piuttosto inconsueto, l'ufficiale indossava anche un paio di occhiali con lenti gialle da cecchino, e, frustino da istruttore ben stretto sotto l'ascella, passeggiava avanti e indietro con passo marziale di fronte alla truppa, squadrando i cadetti a uno a uno.
"Cadetti, at'ti!", ordinò d'improvviso. La truppa, pur colta alla sprovvista, non impiegò comunque più di mezzo secondo per scattare sull'attenti. Poi Sherman continuò. "Allora, disgustosi residui di melma rigelliana, ci sono due cose che dovete sapere. La prima," ed enumerò sulla punta delle dita, "è che io non sopporto i rammolliti. Alcuni di voi forse pensano che la Flotta Stellare sia una specie di club del taglio e cucito, dove poter fare i vostri comodi mentre la seconda cosa che dovete sapere è che se l'Accademia fosse un sogno, io sarei il vostro incubo peggiore. Vi farò sudare, sudare e sudare, e quando non avrete più sudore vi farò sudare sangue. Io non amo particolarmente i discorsi, quelli li lascio agli altri istruttori. Io amo l'azione, quindi non perdiamo tempo e cominciamo subito l'allenamento. Fatemi vedere come affrontate un avversario disarmato. Formate delle coppie." L'istruttore si mise ad indicare i cadetti. "Tu vai con lui. Tu con lei... Ehi, ma quest'anno siete solo classi dispari? Poco male, vorrà dire che anche questa volta potrò sgranchirmi un po' anch'io! Tu, vieni qui al centro con me!", disse Sherman indicando Rebecca, che impallidì ma fece risolutamente un passo avanti.
"No, non dicevo a te. Dicevo al cadetto dietro..."
Vaarik impiegò una frazione di secondo per capire che l'istruttore si stava rivolgendo a lui. Per una frazione di secondo provò una fortissima fitta di irritazione, poi il vulcaniano si costrinse a non perdere la concentrazione. Avvertendo i suoi sensi che si tendevano in preparazione allo scontro, il vulcaniano avanzò senza esitazioni in mezzo alla palestra, portandosi ad un angolo del quadrato di lotta. Sherman si fece verso di lui, assumendo una posizione di guardia. I due cominciarono a muoversi in circolo, lentamente, squadrandosi a vicenda.
"Attaccami," intimò l'istruttore.
Vaarik sollevò un sopracciglio, sempre continuando a muoversi. "Non vi è nessuna ragione logica per cui dovrei attaccarla, signore."
"Ho detto attaccami, cadetto!" rispose l'istruttore, mentre le vene del suo collo cominciavano a gonfiarsi in maniera preoccupante.
"Sarebbe illogico, signore. Aggredire un ufficiale superiore è espressamente vietato dal regolamento della Flotta, articolo 17, paragrafo C, comma 7. Però, se desidera ha la facoltà di promuovermi sul campo. In questo modo aggireremmo l'ostacolo..."
"Vulcaniani," mormorò Sherman tra i denti. "Non puoi vivere con loro, e non puoi vivere senza di loro."
Poi si lanciò come un coguaro verso Vaarik.
Il giovane vulcaniano si mosse in fretta, tentando di evitare l'attacco e intanto preparandosi a colpire una volta che l'istruttore si fosse trovato sbilanciato.
Sarebbe stata una buona tattica. Se avesse funzionato, naturalmente...
Sherman capì immediatamente le intenzioni di Vaarik e, agguantato il braccio proteso del vulcaniano, lo fece passare sopra la sua spalla, proiettando poi il suo avversario in aria con un colpo d'anca.
Vaarik non vide mai arrivare il colpo. L'unica cosa di cui si accorse è che un momento prima era in piedi, e l'attimo dopo urtava violentemente il pavimento della palestra.
Con la vista ancora annebbiata, il vulcaniano intravide il volto sorridente di Sherman chino su di lui. "Tutto bene cadetto?", lo schernì.
Poi si rivolse agli altri cadetti, che nel frattempo avevano interrotto i loro allenamenti per seguire l'interessante scontro tra l'istruttore e quel vulcaniano dall'aria stranamente pericolosa. "Quando l'avversario vi attacca, badate di non muovervi troppo presto per evitarlo, altrimenti avrà la possibilità di cambiare approccio e sarete voi a trovarvi sguarniti. Aspettate fino all'ultimo momento, quando ormai non avrà più il tempo di cambiare tattica."
Vaarik approfittò di quella piccola pausa per issarsi faticosamente in piedi. Il movimento non sfuggì all'istruttore, e, fissandosi negli occhi, i due ricominciarono a muoversi in circolo. Questa volta il vulcaniano non ebbe bisogno di alcun tipo di incoraggiamento per attaccare l'istruttore.
La sua combinazione di attacchi e parate fu veloce, ma non poteva certo competere con quella del tenente Sherman. In effetti, tutta l'esperienza del vulcaniano nel combattimento corpo a corpo si limitava a qualche rissa per il cibo, quando qualcuno degli altri schiavi decideva di avere diritto ad una porzione extra di cibo o acqua a scapito dei suoi malcapitati compagni, e soprattutto nel cercare di farsi fare meno male possibile quando i sorveglianti dell'Alleanza decidevano che era il momento di una punizione, o che avevano voglia di divertirsi un po'.
Ted Sherman gli diede una severa ripassata, e Vaarik si ritrovò con il fiato mozzo e le costole doloranti, mentre Sherman continuava ad arringare i presenti come se nulla fosse. "Cercate di utilizzare lo slancio del vostro avversario contro di lui. Non opponetevi ai suoi attacchi, ma schivateli e poi colpite senza pietà."
La superiorità del suo avversario era palese, ma il vulcaniano non si permise di provare frustrazione nel constatarlo.
Solo sconfiggendo la tua rabbia potrai sconfiggere il tuo avversario, ricordò le parole di Surak.
Giusto. Vaarik inspirò profondamente, lasciando che una calma assoluta fluisse nel suo spirito. Poi si preparò ad affrontare nuovamente il suo istruttore. La sua mente era limpida, la sua concentrazione assoluta. Ma, di nuovo, la sua tecnica non poteva certo competere con quella di un uomo che aveva fatto della lotta la propria filosofia di vita. In una frazione di secondo, Sherman lo abbrancò in una presa di judo e, facendogli perdere l'equilibrio, lo scaraventò in aria, mentre con voce tranquilla spiegava la sua mossa agli altri cadetti. "... ed in questo modo Tori (colui che esegue la mossa) proietta Uke (colui che subisce la mossa) al di sopra delle ancheeee!"
Vaarik si lasciò sfuggire un grugnito di dolore quando atterrò contro il tatami, la cui imbottitura sembrava ad ogni urto meno consistente.
A quanto pare, sconfiggere la rabbia è condizione necessaria ma non sufficiente per sconfiggere il proprio avversario, constatò cupamente.
Aprendo dolorosamente gli occhi, Vaarik vide l'ombra di Sherman che si parava di fronte a lui. Sembrava una situazione disperata, ma per fortuna il vulcaniano sapeva che non sarebbe durata a lungo.
Infatti, in perfetto orario con il suo cronometro biologico, la campanella di fine lezione pose fine alle sue sofferenze. Ansimando vistosamente, Vaarik si sollevò dal pavimento, notando con lieve disappunto che durante l'intero scontro gli occhiali di Sherman non si erano mai mossi dal suo naso. In quel momento Ilaij e Rebecca si avvicinarono a lui.
"Tutto bene, Vaarik?"
"Affermativo, Rebecca. Dovresti sapere che Vulcaniani sono piuttosto resistenti."
Rebecca ghignò soddisfatta. "Sì, sta decisamente bene."
Ilaij lo guardò con aria di estremo divertimento "Oh, io non mi preoccuperei per questo. Non crederai mica che uno come Vaarik si faccia intimorire per così poco..."
Vaarik non poté trattenere una smorfia sardonica. Anche se non poteva saperlo, Ilaij aveva detto una cosa assolutamente vera. Nel posto da cui veniva, una ripassata del genere era poco più che una punizione veniale.
Ma questo non poteva dirglielo. C'erano state fortissime pressioni su di lui perché mantenesse il più assoluto riserbo riguardo la sua provenienza.
"Non so cosa te lo faccia pensare, Ilaij," rispose senza scomporsi, "ma se ti fa piacere puoi continuare a crederlo." Poi, massaggiandosi una spalla dolorante, aggiunse, "ora, se volete scusarmi, credo proprio che andrò a riposare nel mio alloggio."
Lasciò i due umani che sorridevano e si incamminò zoppicando lievemente verso l'uscita della palestra.
Arrivato davanti alla porta del suo alloggio, Vaarik si permise un sospiro soddisfatto. Secondo i suoi calcoli, aveva ben due ore a disposizione prima di dover prendere l'antigrav di linea che l'avrebbe portato all'Osservatorio di Palomar. Aveva tutto il tempo per rilassarsi, fare una doccia, medicarsi le lesioni traumatiche causate dallo scontro con Sherman e prepararsi ad uscire.
Attivato con un gesto il comando di apertura, il vulcaniano fece due passi all'interno dell'alloggio, permettendosi di provare per un attimo quella piacevole sensazione di separazione che gli dava il fatto di avere un posto tutto per sé, silenzioso e lontano dalla confusione e dalla frenesia degli altri studenti che popolavano l'Accademia.
Dall'altra parte dello Specchio godere di un alloggio privato era un privilegio quasi impossibile da ottenere per uno schiavo, vulcaniano o di qualsiasi altra razza, e solo quando era stato promosso capo del dipartimento scientifico sul vascello del Reggente gli era stata concessa una stanza privata, anche se più che una stanza sarebbe stato esatto definirla uno squallido ripostiglio puzzolente annesso a quello che i klingon dell'equipaggio chiamavano con inconsapevole ironia il laboratorio scientifico principale.
Scuotendo la testa a quel ricordo, Vaarik si tolse la parte superiore dell'uniforme da allenamento, madida di sudore ed impregnata di odori alieni che non aveva nessuna voglia di enumerare. Ignorando il bisogno tutto vulcaniano di ripiegarla con cura, ampiamente superato il quel frangente dalla necessità fisica di farsi una doccia e di rimuovere la fastidiosa sensazione del sudore sulla sua pelle, il vulcaniano si liberò anche della maglietta, anch'essa completamente zuppa, e lanciò senza troppe cerimonie le scarpe da ginnastica da un lato della stanza.
Con addosso praticamente solo i calzoni, si diresse verso la stanza da bagno, dove una rilassante doccia sonica lo stava chiamando con voce quasi da sirena.
Con il pensiero già proiettato alle gradevoli onde che liberavano il suo corpo dalla stanchezza e dalla fatica accumulata durante l'addestramento con Sherman, il vulcaniano rimase piuttosto stupito quando la porta della stanza da bagno si aprì prima che il sensore potesse rilevare la sua presenza, inondandolo di una ventata di aria carica di vapore.
Colto completamente alla sprovvista, Vaarik urtò contro qualcosa che non riconobbe immediatamente, ma che inaspettatamente reagì allo scontro emettendo un'inequivocabile esclamazione di sorpresa.
Agendo solamente in base ad un istinto ancestrale, Vaarik agguantò al volo con violenza la sagoma contro cui aveva urtato, prima che l'inerzia dell'urto li facesse rovinare a terra entrambi, cercando contemporaneamente di non perdere l'equilibrio e di bloccare qualunque reazione potesse tentare quello che non poteva essere altro che un assalitore.
Fu in quel momento che Vaarik cominciò a rendersi conto che il suo presunto assalitore non aveva esattamente l'aspetto che si era aspettato, e che anzi sembrava assomigliare sempre più in maniera allarmante ad una giovane donna il cui corpo non appariva velato da alcun tipo di indumento.
Mollata per un attimo la presa a causa della sorpresa, Vaarik si allontanò quel tanto che bastava per vedere che la ragazza appariva sorpresa almeno tanto quanto lui, e che ai suoi piedi giaceva arrotolato scompostamente un asciugamano che doveva averla coperta mentre usciva dal bagno ma che ora era scivolato a terra a causa dell'urto.
Paralizzato per un attimo dalla sorpresa e dal panico, il vulcaniano non si accorse che la ragazza, nuovamente libera di muoversi, l'aveva abbrancato per un polso in quella che non poteva essere altro che una presa di judo. L'unica cosa di cui si rese conto fu che stava volando verso il pavimento con una vaga sensazione di deja-vù, per poi atterrare pesantemente sulla schiena mentre la ragazza gli atterrava agilmente sulla pancia immobilizzandolo completamente a terra.
Per uno di quegli strani fenomeni temporali in cui il tempo soggettivo sembra rallentare a dismisura, i due si fissarono a vicenda per un lasso di tempo che parve lunghissimo, guardandosi in maniera ridicola senza riuscire a muoversi o a dire neppure una parola.
Legge di Murphy: "Tutto quello che può andare male, lo farà."
Estensione relativistica della Legge di Murphy: "Tutto quello che può andare male, lo farà contemporaneamente."
Proprio mentre i due cominciavano a riprendersi dallo shock abbastanza da riguadagnare una parvenza di controllo motorio, la porta del suo alloggio sibilò nuovamente, rivelando una figura che attendeva nel corridoio.
"Sorpresa!!!" esultò il tenente comandante Cobledick, irrompendo nella stanza con immotivata allegria. "Nonidovineràmaichièvenut..."
Alla vista di quella scena, le parole si spensero in gola al povero Cobledick, mentre l'istruttore impallidiva e il suo sguardo si posava sulla equivocabilissima scena di un vulcaniano con addosso solo i pantaloni disteso per terra ed una ragazza completamente nuda a cavalcioni del suo stomaco.
Un silenzio raggelato regnò per un interminabile istante, poi una voce che non apparteneva a nessuno di loro risuonò nella stanza.
"Beh, signor Vaarik, mi sembra che si sia ambientato piuttosto bene, qui in Accademia..." disse la voce, assumendo un tono inequivocabilmente divertito.
Come riscossa da quelle parole, la ragazza lanciò un grido di protesta, balzando agilmente in piedi e correndo a rifugiarsi terrorizzata in bagno, non prima di aver raccolto al volo il suo asciugamano nel tentativo di coprirsi almeno parzialmente.
Quando una seconda figura venne avanti, emergendo dalla porta alla relativa luce della stanza, Vaarik non ebbe alcun dubbio su chi sarebbe comparso.
"Consigliere Memok..." mormorò con estremo disappunto il vulcaniano, lasciando crollare con disperazione la testa contro il pavimento e desiderando ardentemente come mai prima di allora che una testata al plasma spazzasse via l'intero complesso dell'Accademia, la città di San Francisco e possibilmente tutta la vita su questo lato della Terra.
Il tenente comandante Memok, consigliere di bordo della USS Nemesis, aveva tentando di non seguire con lo sguardo la ritirata della ragazza, e stava quindi fissando deliberatamente il giovane vulcaniano con aria sorniona.
Nei suoi occhi segnati da leggere rughe d'espressione c'era più divertimento di quello che ci si sarebbe aspettati di trovare in quelli di un vulcaniano, ma Vaarik aveva avuto modo di notare da tempo che il consigliere non rientrava esattamente nei canoni dei figli di Eridanus.
Per prima cosa era stranamente basso per un vulcaniano, tanto che Vaarik, dal suo medio metro e ottantatré, lo superava di tutta la testa. I suoi capelli erano raccolti in una lunga coda spruzzata di grigio, ma, al contrario di quelli di Vaarik, sembravano rifiutare ogni forma di assoggettamento tricologico. Ma la cosa che stupiva di più era l'espressione di divertimento che affiorava un po' troppo spesso sui suoi lineamenti, ma che si armonizzava stranamente bene con le sue orecchie a punta e la barba meticolosamente curata. Se Vaarik fosse stato a conoscenza delle leggende terrestri, non avrebbe potuto fare a meno di paragonarlo ad un membro del piccolo popolo delle leggende celtiche.
Ma questa volta, dovette ammettere il vulcaniano più giovane, il suo divertimento era più che giustificato.
"Sono lieto di constatare, signor Vaarik," disse con deliberata noncuranza, "che le mie preoccupazioni riguardo la sua disponibilità alle relazioni sociali erano del tutto infondate." Memok si concesse un quasi-sorriso, togliendosi dalla testa l'immancabile cappello di feltro, una strana reliquia a cui pareva tenere moltissimo.
"Non so cosa lei stia pensando, consigliere, ma non è assolutamente quello che sembra," disse Vaarik alzandosi in piedi, ma lui stesso si poteva rendere conto che la sua affermazione non era molto convincente.
"Deduco quindi che lei possa fornire una spiegazione adeguata sulla scena che abbiamo appena avuto modo di vedere. Una spiegazione che non abbia implicazioni biologiche, intendo dire."
"Be', ecco, in realtà..."
"Se vuole posso spiegare io, signore."
Tre paia di sguardi si voltarono dalla stessa parte, posandosi sulla pietra dello scandalo che nel frattempo era riemersa dal bagno, perfettamente abbigliata in una uniforme da cadetto.
La ragazza aveva un aspetto vagamente orientale, con grandi occhi a mandorla su un viso ampio e dalla carnagione dorata. A prima vista sembrava piuttosto giovane, poco sopra i vent'anni, ma la sensazione poteva essere amplificata dai corti capelli neri, tagliati alla maschietta.
In ogni caso, da quel che Vaarik aveva visto, il suo corpo non era di certo quello una ragazzina.
Il vulcaniano sentì le sue orecchie diventare calde a quel pensiero, e si costrinse a riprendere il suo colorito normale.
La ragazza s'irrigidì sull'attenti di fronte a Cobledick.
"Cadetto del primo anno Eru a rapporto, signore," disse con aria estremamente formale. "Sono stata appena trasferita dalla sezione distaccata dell'Accademia su Chiroptera."
Chiroptera? si chiese Vaarik, che non ne aveva mai sentito parlare.
L'istruttore parve lievemente imbarazzato dalla formalità della presentazione, soprattutto a seguito dello shock precedente.
"Riposo,cadetto,riposo. Sapevodelsuotrasferimento, mapensavochenonsarebbe arrivataprimadidomani."
"Infatti era così, signore, ma ho preferito anticipare il mio arrivo in modo da familiarizzare con l'ambiente. In Segreteria mi hanno informato che quest'alloggio aveva un solo occupante e che avrei potuto usarlo fino all'assegnazione definitiva."
Vaarik non seppe se essere più irritato per l'intrusione o più sollevato per la sua temporaneità. Decise che avrebbe avuto tempo per rifletterci in seguito.
"Oh,maquestospiegatutto," stava dicendo intanto Colbledick, sorridendo copiosamente. "Miscusoperlanostraintrusione, miacara, maparechenessunodinoi fossestatoavvertitodelsuoarrivo." Poi si rivolse al consigliere, che nel frattempo era rimasto ad osservare la scena con interesse. "Comevedeeratuttounimbarazzanteequivoco..."
Memok si esibì in uno degli sguardi più scettici a memoria di vulcaniano, poi lasciò che Cobledick lo presentasse.
"QuestièiltenentecomandanteMemok,consiglieredibordodellanavestellareNemesis", disse con affabilità.
"Signore," salutò la ragazza, scattando di nuovo sull'attenti.
Il vulcaniano si limitò ad indirizzarle un breve cenno del capo. "Al suo servizio," intonò, come se volesse sbrigare le presentazioni nel più breve tempo possibile.
Poi Cobledick fece per presentarle Vaarik.
"Questiinveceè... madov'è? Ah,eccolo", disse, mentre afferrava il braccio del giovane vulcaniano che tentava inutilmente di defilarsi sullo sfondo. "QuestièilcadettoVaarik, concuidivideràl'alloggioquestanotte.Avanti,cadetto,nonsiatimido,chenonlamordemica..."
Eru fece un sorrisino come se l'el-auriano avesse appena fatto una vecchia battuta, e si rivolse al giovane vulcaniano.
"Nor-sah-lem" disse in una lingua che Vaarik non conosceva, chinando lievemente il capo e unendo le mani a coppa.
"Lunga vita e prosperità," rispose Vaarik con voce atona, mentre il suo imbarazzo si tramutava in disappunto nel constatare quanto la ragazza si stesse divertendo in quel momento.
Tveeokh!, si disse, irritato con se stesso. Non hai battuto ciglio di fronte agli agonizzatori dei Cardassiani e ti fai mettere in imbarazzo come un ragazzino con la metà dei tuoi anni!
A dispetto di tutta quella assurda situazione, infatti, ciò che infastidiva più di tutto il giovane vulcaniano era stata la sua totale e inaspettata mancanza di autocontrollo di fronte a quella situazione.
Vaarik, come tutti i vulcaniani, coltivava dentro di sé la ferma convinzione di essere preparato a tutto, solido come una roccia e freddo come il ghiaccio. Ora, invece, era bastata un quella sfortunata situazione a metterlo in difficoltà. Due superiori scelgono il momento sbagliato per fare irruzione nel suo alloggio ed ecco che il gelido vulcaniano si mette a balbettare come un adolescente colto a sbirciare nello spogliatoio delle ragazze. Non era un comportamento adeguato ad un vulcaniano, e soprattutto non era comportamento adeguato a lui.
Dal momento della morte di T'Eia, quasi due anni prima, Vaarik aveva saputo nel profondo della sua anima che non sarebbe mai riuscito a lenire il suo dolore e la sua solitudine, e che l'unica compagna dalla quale avrebbe potuto accettare conforto sarebbe stata la morte. Di conseguenza, il pensiero che un paio di estranei potessero aver pensato il contrario, nonostante le giustificazioni a loro carico per l'equivocabilità della situazione in cui l'avevano colto, era per lui quasi intollerabile.
Per un momento, una parte del cervello del vulcaniano accarezzò perfino l'idea di mettere a tacere tutta quella storia in maniera semplice e pulita, come era costume dall'altra parte dello Specchio, ma poi si rese conto che: primo, non sarebbe stato così facile far passare sotto silenzio la sparizione di due ufficiali e di un cadetto; secondo, anche se fosse riuscito a portare a termine l'idea che gli pizzicava in testa, non avrebbe risolto nulla. La colpa non era di quelli che l'avevano messo in imbarazzo, ma sua che si era lasciato mettere in imbarazzo.
Per fortuna durante le presentazioni nessuno fece ulteriori commenti, anche se Eru continuava a fissarlo con quello sguardo irritante.
"Spero vogliate scusarmi," disse la ragazza con tono pratico, "ma devo andare a pagare le tasse d'iscrizione, e non so perché ma pare che debba farlo il più possibile vicino ad un orario prestabilito. A quanto ho capito deve essere una specie di tradizione, da queste parti...", aggiunse, pensierosa. Poi salutò formalmente i due ufficiali superiori e fece per uscire dall'appartamento.
Ma, appena ebbe varcato la soglia dell'alloggio si fermò, come se si fosse ricordata improvvisamente di qualcosa. Si volse verso Vaarik e gli scoccò un sorriso da predatrice, facendo brillare una luce maliziosa tra le ciglia castane.
"E' stato un piacere..."
La porta che si chiudeva sibilando non le impedì di vedere la carnagione del vulcaniano farsi scura per la rabbia e l'imbarazzo.
Passeggiando nel giardino del campus, ogni cosa sembrava assumere una prospettiva diversa. Di certo era questo che aveva in mente chi l'aveva progettato, e Vaarik sapeva che questa sua percezione era stata accuratamente calcolata e progettata dagli artefici di quella meraviglia. Questo però non gli impedì comunque di trarre un certo giovamento dal senso di quiete e tranquillità che sembrava aleggiare in quel luogo.
Ciò che invece non gli era di nessun giovamento erano le domande del consigliere Memok.
"Allora, signor Vaarik, vuole raccontarmi qualcosa della sua permanenza qui in Accademia?"
"No, signore," disse Vaarik con espressione neutra.
"No nel senso che non ha nulla da raccontare, o no nel senso che non vuole raccontarmelo?" chiese Memok con aria tranquilla.
"No in entrambi i sensi, signore."
"Ci sono due maniere in cui questa conversazione può proseguire, signor Vaarik," disse il consigliere dopo un attimo di riflessione. "Nella prima ipotesi, lei risponde alle mie domande con sollecitudine e spirito collaborativo, nel qual caso la conversazione termina al più presto possibile e io faccio felicemente rientro alla mia nave stellare.
"Nella seconda," proseguì Memok con uno sguardo significativo, "lei persiste nel suo atteggiamento ostinato e io mi vedo costretto a restare in Accademia a seguire personalmente i suoi progressi per un lungo, lungo, lungo periodo."
Vaarik emise un leggero sospiro, arrendendosi all'evidenza.
"Bene," disse Memok con aria di approvazione. "Mi parli delle lezioni."
Fortunatamente, quello era un argomento sul quale Vaarik non aveva problemi a parlare. "In generale le ho trovate piuttosto interessanti. Nonostante continui a non capire per quale motivo vi ostiniate a perdere tempo con inutili lezioni di filosofia e tecniche diplomatiche, i corsi scientifici e tecnici sono di primissimo ordine. In particolare, ho avuto modo di apprezzare le lezioni di fisica del capitano Stark."
Memok lo osservò da sotto la falda del suo cappello di feltro. "Il capitano Stark? Quando frequentavo io l'Accademia era ancora assistente, ma le sue lezioni avevano la fama di essere le più noiose di tutto il corso."
"Non direi, signore," rispose Vaarik perplesso. "La sua trattazione della dinamica quadrivettoriale è a dir poco illuminante."
"Temo di non avere una grande familiarità con la meccanica relativistica," disse Memok senza apparire spiacente più di tanto. "Il mio interesse è sempre stato più rivolto alle persone."
"Be', questa è definitivamente una cosa che non abbiamo in comune," concluse Vaarik pensierosamente.
"Questo è un vero peccato, signor Vaarik, perché ci sono un sacco di persone da cui lei potrebbe imparare, se solo desse loro una possibilità."
Vaarik emise un grugnito di incredulità. "E una di queste persone sarebbe lei, consigliere Memok?" disse in tono sprezzante.
Per un attimo il consigliere parve quasi sul punto di scoppiare a ridere. "Oh, no," disse scuotendo la testa. "Spero proprio di no. Io non ho nulla da insegnarle, signor Vaarik. Ma là fuori ci sono alcune persone che sarebbero liete di insegnarle tutto quello che non sa."
Vaarik rimase perplesso, non sapendo se dovesse sentirsi rassicurato dalle parole del consigliere, oppure ancora più preoccupato. A pensarci bene, era quasi certo di propendere per la seconda ipotesi.
"Comunque adesso abbiamo altri problemi di cui preoccuparci," proseguì Memok cambiando rapidamente discorso. "Ho avuto notizia di alcuni problemi che le sono occorsi qui in Accademia."
Vaarik lo guardò stranito. "Non ho idea di cosa stia parlando," disse con aria perplessa.
"Via, non faccia quell'espressione innocente, non è il suo forte," lo rimproverò il consigliere con un'occhiataccia. "Crede che non abbia saputo della rissa in mensa? O del suo diverbio allo spazioporto?"
Vaarik lo guardò con aria sospetta. Poteva capire che fosse informato della rissa, in fondo era accaduta all'interno dell'Accademia. Ma la faccenda dello spazioporto? Come faceva a sapere cosa era successo? A meno che...
"Questa è una cosa alla quale si deve abituare, signor Vaarik," disse il consigliere come se gli avesse letto nel pensiero. "Lei non potrà muovere più di tre passi in una qualunque direzione senza che io ne sia immediatamente informato."
Non era una prospettiva allettante, ma in fin dei conti Vaarik era stato tenuto sotto sorveglianza per tutta la vita, e quindi per lui questa situazione non costituiva certo una novità.
Intanto Memok stava continuando la sua ramanzina. "Come lei sa, visti i precedenti, le interazioni tra questo universo e quello dello Specchio sono severamente regolamentate, e lei non è stato rispedito indietro subito dopo il suo arrivo solo perché questo sarebbe equivalso ad una condanna a morte. A questo proposito, le abbiamo ribadito più volte il fatto che fosse di estrema importanza mantenere il più assoluto riserbo sulla sua... provenienza. I suoi files biografici sono stati posti sotto sigillo dalle autorità di sicurezza, e solo alcuni tra i più alti rappresentanti dell'Accademia sono stati informati della sua reale situazione. Sono state prese misure straordinarie per la sua sicurezza, e per garantirle il massimo anonimato." Il vulcaniano fece una pausa, come se avesse perso il filo del discorso.
"Alla luce di queste disposizioni, ci saremmo aspettati che lei mantenesse un basso profilo qui in Accademia, evitando di mettersi in mostra. Invece, il suo comportamento è stato inappropriato, ed ha dato adito a sospetti."
Lo sguardo di Vaarik si incupì leggermente. "Che tipo di sospetti?"
"Nulla di specifico, se è questo che la preoccupa," disse Memok, "ma le voci cominciano a circolare. Oltretutto, non si può certo dire che lei passi inosservato..." accennò il consigliere, riferendosi al suo aspetto piuttosto inconsueto per un vulcaniano.
Questa volta però Vaarik non riuscì a resistere all'impulso di rispondere per le rime. "Con tutto il rispetto, signore, ma si è mai visto allo specchio?"
Le labbra di Memok si arricciarono lievemente in quello che pochi non vulcaniani avrebbero riconosciuto come un sorriso.
"D'accordo, touchè," concesse il consigliere. "Ma questo non fa differenza. Non sono i capelli lunghi o il pizzo a renderla sospetta, ma il suo comportamento."
Memok si fermò, come se volesse ammirare più da vicino la pianta grassa che ornava il vialetto. Poi continuò a parlare in tono quieto.
"Il vero problema è che lei continua a pensare e ad agire come se si trovasse ancora dall'altra parte dello specchio. Qui non c'è nessuno che voglia farle del male. Non ha bisogno di difendersi in ogni momento. Lei si comporta come questa pianta," disse, protendendo un dito a sfiorare gli aculei del cactus. "I suoi schemi comportamentali sono talmente abituati a operare in un ambiente ostile che, perfino ora, in un luogo dove non ha nulla da temere, appena una persona le si avvicina, tak, lei la allontana, con violenza, se necessario," disse, ritirando il dito da cui stillava una goccia di sangue verde.
Memok la osservò per un istante, poi prese a succhiarsi distrattamente il dito. "La pianta non si è preoccupata del fatto che avessi intenzione di farle del male o che invece volessi annaffiarla. Lei si è difesa contro una eventuale aggressione, ma così facendo avrebbe potuto ferire anche chi voleva aiutarla. E ora che mi ha punto, col cavolo che l'annaffio!" concluse, sollevando un sopracciglio appuntito a sottolineare l'eccessiva enfasi con cui aveva pronunciato l'ultima parte della frase.
Ripresero a camminare, mentre Vaarik rifletteva sulle parole del consigliere. "La sua argomentazione è logica, signore, ma non esauriente," disse tutto d'un fiato. "Prima di tutto, tanto per restare nella metafora, la pianta non ha bisogno di nessuno che l'annaffi. Per migliaia di anni la sua specie è riuscita a sopravvivere senza che nessuno si prendesse cura di lei, magari in un ambiente dove coloro che ora sembrano tanto interessati al suo benessere non sarebbero mai sopravvissuti. E ora che si trova al sicuro, che ha tutta l'acqua di cui ha bisogno, c'è qualcuno che pensa che la pianta sia interessata alle sue attenzioni. Senza offesa, signore, ma mi sembra un comportamento piuttosto presuntuoso."
Nonostante fosse una delle persone più pacifiche della galassia, a Memok non piacque per niente come suonava quell'ultima parola.
"Come consigliere di bordo della nave che l'ha raccolta," disse con voce dura, "mi sono preso personalmente la responsabilità di raccomandarla presso il Comitato d'Ammissione all'Accademia, poiché la logica suggeriva che, nonostante la sua travagliata posizione, lei sarebbe stato un buon elemento per la Flotta Stellare, e poiché personalmente ritenevo che l'addestramento l'avrebbe aiutata a superare il difficile momento che stava affrontando. Devo quindi ricordarle che non sarebbe saggio da parte sua non tenere nella giusta considerazione le mie, come dice lei, attenzioni."
Se c'era una cosa che Vaarik aveva imparato nel corso degli anni era capire quando un discorso non ammetteva repliche. A giudicare dal tono, in quel momento chi parlava non era il consigliere Memok, psicologo di bordo di un vascello da esplorazione, ma il tenente comandante Memok, terzo in comando di una delle navi ammiraglie della Flotta.
"Comprendo perfettamente," rispose quindi con circospezione.
Continuarono a camminare in silenzio per un lungo momento, con le lunghe capigliature che oscillavano all'unisono.
"Ho parlato con il Rettore prima di raggiungerla al suo alloggio..." 'e di trovarla sdraiato sotto una ragazza completamente nuda', stava per aggiungere Memok, ma si trattenne. Non era il caso di infierire, non in quel momento. "Ho saputo che il vostro incontro è stato piuttosto burrascoso."
"Non posso negarlo," ammise Vaarik ricordando l'incontro.
"Poteva andarle peggio, le assicuro. La prima volta che ha visto me, al mio primo colloquio, il Rettore si è messo le mani nei capelli e ha detto: 'Oddio, ci mancava solo questa. Un vulcaniano capellone!"
Il commento strappò un mezzo sorriso anche al tetro Vaarik.
Memok sospirò, sperando di aver alleggerito almeno un po' la tensione che si era generata tra loro. Non era facile lavorare con Vaarik, nemmeno per lui. Forse, se fosse stato un essere a sei braccia che respirava anidride solforosa sarebbe stato più semplice, si sarebbe sentito meno coinvolto in quella situazione.
Ma Vaarik era un vulcaniano, un vulcaniano esattamente come lui. Ma allo stesso tempo, era la cosa più aliena che riuscisse ad immaginare. Il consigliere era stato il primo ad ascoltare il racconto che Vaarik aveva portato dal suo universo, un racconto inimmaginabile di logica e di disperazione, di coraggio e di dolore.
Memok, come molti altri ufficiali della Flotta, aveva sentito parlare di quell'universo parallelo, ma non aveva prestato più di tanta attenzione ai rapporti, classificandoli come esoterie della meccanica quantistica. Ma quando si era trovato di fronte quell'uomo, molte cose erano cambiate. Il suo racconto era andato avanti per ore, ininterrotto, e nella luminosa infermeria della Nemesis il consigliere Memok aveva ascoltato ogni singola parola con un misto di stupore e incredulità. Attraverso gli occhi di Vaarik aveva visto cose che non sarebbe mai riuscito a ripetere, orrori, torture, devastazioni, brutalità oltre ogni immaginazione inflitte con crudeltà quasi chirurgica. E dietro tutto questo, il crimine più abietto, l'omicidio più efferato, la morte della speranza vissuta giorno per giorno, come se non vi fosse altra realtà che quella fatta di dolore e umiliazioni.
Poi l'aveva sentito raccontare di T'Eia, la sua compagna, del dispositivo di trasferimento dimensionale, della nave prototipo, della distruzione dell'installazione spaziale e della fuga rocambolesca. Aveva rivissuto l'inseguimento, lo scontro con la nave del Reggente e il salto dimensionale. E infine aveva sentito il racconto della morte di T'Eia, spirata tra le sue braccia sotto lo sguardo impotente del personale medico della Nemesis.
Allora sarebbe stato impossibile sapere se Vaarik sarebbe riuscito a sfuggire alle spire della follia che avevano minacciato di inghiottirlo, ma evidentemente la sua disciplina era stata abbastanza forte da non farlo cedere. Ma quello era solo il primo passo di un lungo itinerario, un itinerario che l'avrebbe portato infine ad accettare ciò che gli era successo.
Come consigliere della nave, Memok aveva fatto del suo meglio per aiutarlo, ma uno dei fondamenti della psicologia, perfino quella vulcaniana, recitava che è possibile aiutare il paziente solo se il paziente vuole essere aiutato.
E Vaarik non voleva.
Memok, in fondo, capiva la logica del suo ragionamento. Quel dolore era l'unica cosa che ancora lo legava al suo passato, alla sua vita, alla sua sposa. Come vulcaniano, riusciva a dominare quel dolore, a confinarlo in un angolo del suo cuore, ma non riusciva a liberarsi dell'idea che continuare a provarlo era l'unica cosa che gli restava per non dimenticare. Così Vaarik si autoinfliggeva quella tortura, solo per paura di non trovare nient'altro una volta che il dolore si fosse placato. Cosa faresti, se l'unico appiglio per non precipitare nell'abisso fosse una lama affilata sulla quale la carne delle tue mani si aprisse fino all'osso? Memok poteva solo immaginare quello che Vaarik provava, e sperare di non provarlo mai a sua volta.
Sperando di avergli lasciato abbastanza tempo per ritrovare la calma, Memok dovette forzarsi a continuare l'interrogatorio.
"Passiamo ad altri argomenti," disse con aria professionale. "Ha conosciuto qualcuno durante il suo soggiorno in Accademia?"
Il vulcaniano emise un lievissimo sospiro. "Sì. Ma le assicuro non è colpa mia."
Memok lo guardò con una faccia strana, ma lo lasciò proseguire ugualmente.
"Credo sia nato tutto da un fraintendimento culturale," disse Vaarik iniziando a raccontare. "Qualche tempo fa sono entrato in un locale nei dintorni dell'Accademia, e l'unico posto libero era vicino ad un curioso individuo, una cadetto per l'esattezza. Come spesso succede in questi casi, questo individuo si è sentito in dovere di tentare di instaurare una conversazione, ma le cose che mi diceva non sembravano avere molto senso. Avevo sentito parlare di alcune razze che si esprimevano per enigmi ed oscure metafore, e ho tentato di capire se fosse questo il caso. Alla fine siamo riusciti a superare i problemi di contesto, ma nel frattempo questo cadetto si deve essere fatto l'idea che fossi interessato a fare amicizia o qualcosa del genere, e da allora non sono riuscito a convincerlo del contrario."
Memok rimase in ascolto, poiché aveva la sensazione che l'altro vulcaniano non avesse ancora finito.
Infatti, dopo un attimo di silenzio, Vaarik riprese a parlare, quasi di malavoglia. "Ad ogni modo, ho scoperto di non trovare del tutto irritante la presenza di questa persona, soprattutto se se confrontata con quella degli altri insopportabili inquilini del mio corridoio. In particolare, trovo la sua capacità di guardarmi senza schemi precostituiti quasi... rilassante."
"Detto da lei, suona quasi come una dichiarazione d'amicizia."
Vaarik si immobilizzò sul posto, anche perché la voce che aveva parlato non era quella di Memok, ma veniva dalle loro spalle. Volgendosi di scatto, i vulcaniani videro che dietro di loro c'erano solo un cartello di indicazione con la scritta <tutte le direzioni> e un arbusto di kentrocet denebiano.
Mentre sul volto di Vaarik si dipingeva la perplessità, i lineamenti di Memok si distesero in un infinitesimale sorriso.
"Sei sempre inconfondibile..." disse, rivolto al cartello.
Immediatamente il cartello cominciò a piegarsi e a perdere di definizione, sfumando in una danza di riflessi protoplasmatici. Quando la forma riprese consistenza, al posto del cartello c'era una giovane donna dai capelli rosso scuro e la pelle ramata che indossava con grazia l'uniforme della Flotta.
Il suo sorriso fu a dir poco luminoso. "Vedo che non ti sfugge nulla," scherzò, rivolta al consigliere.
Memok le offrì le due dita nel gesto in cui i vulcaniani interagivano in pubblico con la loro compagna. "I vecchi segugi non perdono mai il loro fiuto," disse con aria divertita, rivolgendole un elegante inchino.
Il sorriso di lei si allargò mentre ricambiava il gesto.
Poi lo sguardo della mutaforma si posò sul giovane vulcaniano. "Signor Vaarik, è sempre un piacere rivederla", disse, senza dare la minima indicazione se stesse dicendo sul serio e lo stesse prendendo allegramente in giro.
"Il piacere è mio, tenente Wak Inyan," rispose freddamente Vaarik, accompagnando le parole con un cenno del capo.
"Spero che l'Accademia le stia facendo bene," disse ancora la donna, sorridendo divertita. Poi passò ad un tono cospiratorio, come se temesse di essere sentita. "A lui non è servita a niente..." sussurrò, indicando distrattamente Memok con un pollice.
Vaarik lanciò uno sguardo stupito al vulcaniano, ma lui scosse la testa.
"Umorismo mutaforma," disse semplicemente, come se fosse una spiegazione sufficiente.
"Hai già finito?" domandò poi Memok, rivolto alla mutaforma.
"Sì. Ho aggiornato il mio archivio con i files del Comando di Flotta. Di questi tempi è sempre meglio essere informati sulle novità." La mutaforma si riferiva ovviamente alla guerra con il Dominio, una questione che, per ovvi motivi, la coinvolgeva personalmente.
Anche se, aveva notato Vaarik, l'essere cresciuta tra i Camaleontidi, un'altra specie di cambianti, aveva indebolito di molto il suo legame con la propria razza.
Memok annuì pensosamente. "Giusto."
"Senti, Mek, io ho ancora un paio di cose da fare al Comando," disse la donna con aria pratica. "Quando hai finito ti posso aspettare là."
"Ti ringrazio. Io devo finire un certo discorso con il signor Vaarik," rispose il consigliere.
Sul volto ramato della mutaforma si dipinse un sorriso dall'aria innocente. "Sai, Mek, mi sono sempre chiesta di cosa parlino i Vulcaniani quando sono tra loro..."
Ma Memok non era tipo da farsi cogliere alla sprovvista.
"Botanica, per lo più," rispose, senza la minima inflessione di voce.
"Spiritoso," lo apostrofò la mutaforma. Poi si rivolse al vulcaniano più giovane. "Adesso devo proprio andare. Signor Vaarik, spero di rivederla presto," disse con un cenno del capo, poi sollevò un dito ammonitore verso il suo compagno. "Io e te invece ci rivediamo più tardi," disse, stemperando con un sorriso il significato delle parole.
"Pace e lunga vita," rispose Vaarik mentre la donna si voltava e si allontanava a grandi passi. In quel momento, Vaarik avrebbe giurato di aver visto con la coda dell'occhio il tenente comandante Memok seguire con lo sguardo il fondoschiena dell'archivista che si allontanava, ma quando si voltò per controllare il consigliere lo stava già fissando in volto.
"Mi sono spesso domandato cosa possa trovare di interessante una mutaforma in uno come lei," commentò Vaarik, assumendo un'aria di cupa disapprovazione.
"Evidentemente il mio fascino ironico l'ha fatta... sciogliere," rispose Memok sollevando un sopracciglio. Poi riprese a camminare lungo il vialetto del capus. "Vogliamo proseguire?"
Vaarik tentò di reprimere il desiderio di strangolare il consigliere e si incamminò dietro al consigliere.
Un rombo travolgente avvolse inaspettatamente Vaarik, che si ritrovò per un attimo del tutto spaesato. Poi si rese conto che tutto il pubblico intorno a lui aveva cominciato a battere furiosamente le mani, come in preda a un raptus inspiegabile. Ma, al contrario di quanto fosse logico supporre, i loro volti non erano contratti in dolorose smorfie, ma distesi nel più ampio dei sorrisi. Alcuni lanciavano anche urla che parevano di incitamento. Ilaij, seduto di fianco a lui, gli rifilò una leggera gomitata, un gesto che Vaarik aveva imparato non implicare necessariamente ostilità.
"Applaudi," gli disse, guardandolo con divertimento.
"Perché?" chiese Vaarik, stupito.
"E' la tradizione. Significa che hai apprezzato lo spettacolo. Lo hai apprezzato?"
Per tutta risposta, Vaarik prese a battere insieme le mani, anche se sembrava non essere del tutto sicuro di sapere come si faceva. Poi alzò un sopracciglio in direzione del compagno di corso, come a dire: 'Va bene così?'
Ilaij gli annuì in segno di approvazione.
Fuori dalla San Francisco Opera Hall, la gente cominciava a sciamare lentamente verso le proprie abitazioni. Il gruppetto del corridoio appariva deliziato dallo spettacolo.
"Magnifica danza stata questa è," sibilò Dizzie, guardando ancora in direzione del teatro, come se aspettasse da un momento all'altro che dalla scalinata scendessero con agili balzi i componenti della Compagnia Teatrale Caitiana.
"Davvero magnifica," le fece eco Rebecca. "Avevo già visto 'Cats' rappresentato da una compagnia di Umani, ma devo dire che i Caitiani hanno saputo dare nuovo lustro al musical."
Vaarik si sentiva leggermente stordito dal volume dell'accompagnamento, ma doveva dire che era stato uno spettacolo davvero affascinante.
Ilaij si guardò intorno. "Be', adesso cosa vogliamo fare? Andiamo a prendere qualcosa in un locale qui vicino?"
La sua proposta sollevò un mormorio di approvazione. Mentre il gruppetto accennava a muoversi, Vaarik si rese conto che non vedeva l'ora di andare a dormire.
"Signori, sono dolente di lasciarvi, ma è stata un giornata molto faticosa. Ora preferirei tornare al mio alloggio."
"Dai Vaarik, solo un'oretta. Poi torniamo all'Accademia tutti insieme."
"Davvero, Ilaij. Sono molto stanco." Vaarik aveva passato tutto il pomeriggio a parlare con il tenente Memok, e, anche se aveva parlato quasi sempre lui, Vaarik poteva dire di avere ancora i crampi alla lingua.
"Ok, d'accordo. Allora ci vediamo domani mattina."
"Ovvio. Buonanotte."
"...'notte."
Arrivato al Blocco J, Vaarik si incamminò nei silenziosi corridoi dell'Accademia. Poteva sentire il respiro degli occupanti degli alloggi, e in un paio di casi anche il loro russare. Ad un certo punto qualcosa davanti ai suoi piedi richiamò la sua attenzione. Era un busta di carta, e quando Vaarik la raccolse con circospezione, vide che era sigillata e portava impressa la scritta 'Top Secret'.
Il vulcaniano la rigirò a lungo tra le mani, studiandola con attenzione. Il suo primo pensiero fu che si trattasse di una specie di scherzo: nessuno sano di mente avrebbe utilizzato una semplice busta di carta per proteggere dei documenti segreti. Tuttavia, vi era sempre la remota possibilità che fosse autentica, nel qual caso avrebbe fatto meglio a consegnarla alle autorità il più presto possibile.
Dopo un'attenta riflessione, Vaarik decise che il corso di azioni più logico, anche se il più rischioso, sarebbe stato di dare un'occhiata al contenuto della busta per assicurarsi che fosse di una qualche importanza, e in caso positivo consegnarla all'ammiraglio De Leone l'indomani mattina. Rimaneva la questione su come aprirla senza lasciare tracce, ma il vulcaniano ricordava qualcosa a proposito del vapore che gli sarebbe stato utili in quel caso.
Inoltre, come diceva un vecchio adagio terrestre: 'chi detiene le informazioni, detiene il potere', e, se proprio doveva scegliere, Vaarik era sicuro di preferire che il potere lo detenesse lui. Infilò quindi rapidamente la busta nella tasca della sua spessa veste nera e riprese a camminare in direzione del suo alloggio
Quando arrivò di fronte alla porta, fece istintivamente per allungare una mano e attivare il congegno di apertura della porta, ma un pensiero lo fulminò.
La ragazza, Eru, era lì dentro.
Dopo tutto il trambusto di quel pomeriggio, la discussione con il consigliere Memok e il rumoroso passatempo che aveva condiviso con Ilaij e gli altri cadetti del suo corridoio, se n'era completamente dimenticato.
Una dimenticanza imperdonabile, alla luce soprattutto della famosa memoria vulcaniana. Vaarik esitò per un istante con la mano sospesa a pochi centimetri dal comando di apertura, vagliando l'attraente possibilità di non far rientro in alloggio e di passare la notte in biblioteca, dove avrebbe potuto leggere in santa pace qualche interessante articolo di dinamica relativistica nell'attesa che, l'indomani mattina, la chiropteriana levasse le tende dal suo alloggio e gli restituisse la sua relativa tranquillità.
Ricacciando il pensiero, il vulcaniano scosse la testa con fastidio e dandosi del tveeokh per aver anche solo formulato quel pensiero. Era così terrorizzato dall'idea di essere messo in imbarazzo da una ragazzina da aver paura di rientrare nel suo alloggio? Era un comportamento assolutamente inammissibile, soprattutto per lui, che aveva affrontato nella sua vita terrori che non sarebbe riuscito a raccontare ma che l'avevano sempre visto uscirne senza un lamento.
Facendo appello a tutta la sua disciplina vulcaniana, Vaarik attivò il meccanismo di apertura della porta, guardandola scivolare di lato senza permettersi di provare alcun pentimento.
"Salve, Vaarik" disse una voce dall'interno, seria ma allo stesso tempo divertita. "Ti stavo aspettando."
Risolutamente Vaarik fece un passo in avanti, perfettamente consapevole che qualunque cosa fosse successa quella notte, lui l'avrebbe affrontata con tutta la dignità di cui un vulcaniano era capace.