RESPONSABILITÀ PERSONALI

Accademia della Flotta Stellare, Blocco J.
San Francisco, Terra.

Nella stanza il silenzio era totale.

Non un suono filtrava dal variegato mondo esterno attraverso le spesse pareti del Blocco J. Chiuso nella sua bolla di concentrazione, un uomo era immerso in profonde meditazioni, avvolto nelle lente volute degli incensi tradizionali.

Rifuggendo le comodità offerte dal suo alloggio, Vaarik si era accovacciato in terra, concedendosi l'unico conforto di una morbida stuoia per isolarsi dal freddo contatto del pavimento. Seduto con le gambe incrociate, il vulcaniano aveva assunto la posizione tradizionale, con le mani giunte e gli indici uniti che si protendevano in avanti.

Gli ampi e spessi abiti tradizionali che lo avvolgevano lasciavano appena intravedere la presenza di un corpo all'interno di essi, come se non fosse altro che l'oscuro fantasma di se stesso. I lunghi capelli corvini ricadevano immoti ai lati del suo viso, grati di essere finalmente liberi dalla severa coda che consuetamente li imprigionava.

Nei tratti rigidi del suo volto era possibile leggere una intensa concentrazione, evidenziata dalle palpebre tenacemente chiuse sotto le sopracciglia aggrottate. Respirava lentamente, e il suo torace si sollevava impercettibilmente ad ogni respiro, senza produrre alcun rumore.

Il silenzio era importante.

Gli permetteva di essere in un altro posto, in un altro tempo, dove la vita non era più facile o più felice, ma almeno sembrava avere un senso.

Nei profondi recessi della sua mente, in un luogo a tutti interdetto e dove lui stesso si avventurava raramente, risiedeva l'unica cosa che ancora lo legava al suo passato, a quello che era stata la sua vita fino a dieci mesi prima. Lì, Vaarik poteva raggiungere l'eco di un'altra mente, un nucleo etereo ed impalpabile, ma che era tutto ciò che gli restava di T'Eia.

T'Eia, la sua compagna, la sua amata, la sua sposa.

T'Eia, che era morta tra le sue braccia dieci mesi prima, lasciando dentro lui un vuoto che aveva rischiato di inghiottirlo per sempre.

Ma prima di morire, T'Eia aveva impresso la traccia luminosa della sua anima nella mente del suo sposo, e in quel luogo Vaarik poteva tornare a sentire la sua presenza, il suo profumo, e la sua voce che ancora gli sussurrava: Io Non Ti Lascerò.

Quei brevi momenti erano tutto ciò che l'aveva salvato dalla cupa spirale di disperazione in cui era scivolato, e dalla rabbia che aveva avvelenato la sua anima. Una rabbia gelida, silenziosa, ma non per questo meno profonda.

Eppure si ritrovava lì, cadetto all'Accademia della Flotta Stellare, un organismo nato per servire una Federazione a cui sapeva di non appartenere, in una universo in cui sarebbe stato sempre e solo un estraneo.

Forse però la Flotta aveva davvero qualcosa da offrirgli. Non un motivo, o un senso alla sua esistenza, questo no.

Ma uno scopo.

Il destino aveva ucciso la sua sposa, ma non lo scienziato che viveva in lui. Durante la sua vita aveva viaggiato a lungo tra le stelle, prima come semplice ricercatore e poi come capo del dipartimento scientifico a bordo del vascello del Reggente. Non si può dire che l'Alleanza stravedesse per la ricerca scientifica, ma perfino loro si rendevano conto dell'importanza di mantenere un vantaggio tecnologico sui loro nemici. Essendo ampiamente riconosciuto che sia i klingon che i cardassiani preferissero dedicarsi ad altre attività piuttosto che alla mera ricerca, esponenti di razze più portate, come vulcaniani, trill e anche terrestri, venivano largamente impiegati sui vascelli dell'Alleanza come scienziati e ricercatori. Anche se ancora giovane secondo gli standard vulcaniani, Vaarik, per un misto di fortuna e di abilità, aveva ricoperto un posto piuttosto importante, e nonostante rimanesse sempre uno schiavo, tra i suoi simili era considerato comunque un privilegiato.

D'altro canto, il genio di famiglia era sicuramente T'Eia. Lei riusciva ad intuire con una sola occhiata le soluzioni di un problema che lui aveva impiegato interi giorni a risolvere. Ma lui era un uomo di ricerca sul campo, mentre lei era un'accademica nel puro senso della parola. T'Eia non solo era estremamente brillante, ma aveva anche l'incredibile dono di far sentire molto più intelligenti anche coloro che la ascoltavano. Per lei era tutto così semplice, così lineare, che alla fine ti ritrovavi sempre a chiederti come avessi fatto a non arrivarci da solo.

Dannazione, T'Eia, quanto mi manchi...

Infastidito dal riaffiorare delle sue emozioni, il vulcaniano si impose di porre termine a quel flusso di pensieri. Doveva mantenere la concentrazione, evitare di farsi trascinare dai ricordi, altrimenti non sarebbe mai riuscito a ritrovare il centro di gravità della sua sanità mentale. Era stato un cammino lento e difficile, quello che l'aveva condotto dai cupi meandri della follia verso la dolorosa luce della consapevolezza, e ora che, grazie alla Disciplina e ad un massiccio uso della meditazione, era riuscito a stabilire una sorta di equilibrio nella sua anima tormentata, non poteva permettersi di precipitare nuovamente nell'abisso da cui era così faticosamente uscito.

Nelle settimane precedenti, Vaarik aveva dovuto fare appello a tutta la sua forza di volontà, altrimenti non sarebbe mai riuscito a sopportare l'esposizione al mondo caotico e chiassoso dell'Accademia di Flotta.

Al contrario della maggior parte degli altri studenti, non era la difficoltà delle materie a impensierirlo. Come aveva profetizzato il Rettore, le sue difficoltà erano state tutte legate al fattore umano, se così si può dire, anche se in effetti sarebbe stato ingiusto addossare ai terrestri più colpe di quante già non ne avessero. Certo, una considerevole fetta dei suoi problemi risiedeva nella malaugurata abitudine dei terrestri di fare domande a cui non aveva nessuna intenzione di rispondere, ma, a dirla tutta, Vaarik aveva problemi ad interagire semplicemente con chiunque avesse la malaugurata idea di rivolgergli la parola.

Più di una volta il vulcaniano si ritrovò a pensare che avrebbe preferito affrontare orde di sorveglianti cardassiani armati di agonizzatori, piuttosto che sopportare i ripetuti e petulanti tentativi di conversazione degli altri cadetti.

Una cosa che sfuggiva completamente alla sua capacità di comprensione era la testardaggine di alcuni suoi compagni di corso nell'instaurare una comunicazione con lui. Una volta esposto chiaramente il suo totale e completo disinteresse per l'interazione sociale, Vaarik aveva sperato che il resto del mondo avrebbe ben presto dimenticato la sua esistenza, finendo per prestandogli la stessa attenzione che dedicava ad un complemento d'arredo particolarmente trascurabile. Invece, con insospettabile efficienza, una fitta rete di relazioni sociali e ricreative si era intessuta lentamente attorno a lui, apparentemente dimentica del fatto che lui non avesse nessuna intenzione di restarne coinvolto. Dopo appena un mese di corso, il vulcaniano aveva le stesse speranze di liberarsi di una farfalla intrappolata nella tela di un ragno.

L'unica nota di soddisfazione in un paesaggio altrimenti desolato era la constatazione che, grazie al suo contegno cupo e all'aria di disastro imminente che lo circondava, solo i più coraggiosi e cocciuti si avvicinavano a lui. Gli altri si limitavo ad osservarlo, cercando di dissimulare la loro curiosità e bisbigliando nelle orecchie dei loro vicini commenti che il vulcaniano a causa del suo udito affilato non poteva evitare di sentire. Aveva colto più volte una frase ricorrente, 'corvaccio con le orecchie a punta', e spinto dalla curiosità aveva avviato una ricerca lessicale, i cui risultati erano però stati piuttosto inconcludenti.

Ma la cosa che più di tutte lo confortava in questa situazione a dir poco disagevole era che, fortunatamente, poteva ancora trovare un silente e tranquillo rifugio nella stanza che gli era stata assegnata. Per una fortunosa combinazione, il cadetto che era stato assegnato come sui coinquilino aveva avuto alcune difficoltà a prenderne possesso, in quanto il suo sistema respiratorio era progettato per un'atmosfera di metano e acido solforico concentrato. Ne conseguiva che il suo alloggio risultasse felicemente, anche se temporaneamente, vuoto.

Rallegrandosi ancora una volta del silenzio di cui poteva godere, Vaarik si immerse ancora più nella concentrazione, accedendo a livelli di meditazione sempre più profondi. Cercò di escludere dalla sua mente tutto ciò che riguardava l'ambiente esterno, annullando le sue sensazioni ad una ad una. Cercò di...

La porta.

Percepì i passi all'esterno della porta un istante prima di sentire trillare il campanello. Quel suono, in altre situazioni innocuo, ebbe l'effetto di un tuono nelle sensibili orecchie di Vaarik. Il vulcaniano si riscosse rapidamente, facendo il possibile per evitare il ripetersi di quel suono. Alzandosi in piedi sfilò dal polso il cordino che usava per legare i capelli, e con gesti resi rapidi dall'abitudine sistemò la capigliatura corvina, rendendosi così presentabile. Con un tocco silenzioso, e una lieve irritazione, Vaarik aprì la porta, la quale obbedì diligentemente emettendo solo un sibilo pacato.

Un giovane umano di piccola corporatura era in piedi davanti alla porta, esibivendo con notevole disinvoltura una forte stempiatura, che alcuni avrebbero piuttosto definito calvizie precoce, e un curato pizzo castano. La pelle chiara e i lineamenti decisi lo inquadravano come caucasico, almeno di origine.

"Buonasera Ilaij. Cosa posso fare per te?" domandò il vulcaniano, come esigeva la cortesia.

"Buonasera, tavarish Vaarik," esordì l'umano, strascicando le vocali con un forte accento russo. "Questa sera ho organizzato una cena fuori per tutti i cadetti del corridoio. Sono certo che vorrai partecipare anche tu a questa iniziativa."

"No." Il vulcaniano non lo degnò di ulteriore considerazione e fece per chiudere la porta.

"Un momento!" lo supplicò l'umano, mettendo però intanto un piede sulla soglia e impedendo così alla porta di chiudersi correttamente. "Di certo non vorrai mancare a questa importantissima occasione, da me organizzata con tanta solerzia e spirito di collaborazione."

Chissà per quale motivo, Ilaij era convinto che una tattica del genere avrebbe convinto il vulcaniano ad intervenire alla sua cena.

"Mi sembra di averti già risposto," gli ricordò Vaarik, lanciandogli un'occhiata gelida.

Il russo sembrò accusare il colpo. "Oh," disse semplicemente, assumendo un'aria contrita, "che peccato. Speravo proprio che avremmo potuto discutere di quella ricerca di meccanica relativistica che ci aveva assegnato il comandante Stark."

Al sentir nominare il compito assegnato, Vaarik tese metaforicamente le orecchie. "Sono giorni che tento di convincerti a portare avanti quella ricerca, Ilaij," disse seccamente il vulcaniano. "Mi sembra quantomeno capzioso da parte tua tirarlo in ballo in questo momento."

A quelle parole, il russo si stampò in faccia un enorme sorriso. "Facciamo così," propose, "tu stasera vieni fuori a cenare con noi e io ti prometto che domani appena possibile ci mettiamo sotto con il compito."

In effetti, il vulcaniano avrebbe potuto portare avanti quel lavoro anche da solo, ma sapeva che l'istruttore se ne sarebbe accorto facilmente. E l'ultima cosa di cui Vaarik sentiva la mancanza era l'ennesima ramanzina sull'importanza del lavoro di gruppo nella Flotta Stellare.

"D'accordo," disse dopo un attimo di riflessione, poi sollevò un dito ammonitore per interrompere l'eventuale eccesso di entusiasmo del russo. "Ma ad una condizione."

"Sarebbe?" domandò l'umano con aria sospettosa.

"Niente domande stupide, niente chiacchiere inutili, e niente racconti della tua famiglia," disse implacabilmente il vulcaniano. "Prendere o lasciare."

"Hai vinto," concesse graziosamente Ilaij, ben sapendo che in realtà aveva vinto lui. "Passa da me tra trenta minuti."

"Trenta minuti," concordò il vulcaniano. "Cerca di essere puntuale."

Il russo fece rapidamente retro front, poi si fermò, come se avesse avuto un ripensamento. "E se ti chiedessi di unirti al popolo rivoluzionario?" domandò, colmo di speranza.

"Dovresti stare attente a non tirare troppo la corda, Ilaij, altrimenti rischi di spezzarla," disse il vulcaniano, lanciandogli un'occhiata che non lasciava spazio a dubbi su cosa intendesse.

"Da, da, non ti arrabbiare," si scusò il russo. "Ci vediamo tra mezz'ora. Das vidanija."

"Das vidanija," rispose Vaarik, con evidente insofferenza.

Ilaij Vladimirovic Ulianov era umano, cresciuto sul mondo coloniale di Pravda VI. La colonia era stata fondata un paio di secoli prima da un gruppo di nostalgici, e aveva ispirato il suo sistema istituzionale ad un'antica filosofia politica chiamata, a quanto ne sapeva Vaarik, "socialismo". Ma forse questo potevate immaginarlo da soli...

Vaarik aveva fatto la sua conoscenza il suo secondo giorno di Accademia, quando il russo aveva praticamente fatto irruzione nel suo alloggio, tentando di coinvolgerlo in un acceso dibattito sul marxismo. Nonostante il poco successo riscosso dal primo incontro, l'umano non si era arreso, autoeleggendosi infine organizzatore della pallida, a suo dire, vita sociale del vulcaniano. Come c'era da aspettarsi, Vaarik aveva più volte fatto notare che tutte quelle premure non erano né necessarie né gradite, ma Ilaij si era dimostrato di una determinazione granitica. Alla fine, Vaarik si era arreso all'inevitabile e ormai lo considerava una condanna quasi sopportabile.

Con un impercettibile sospiro, Vaarik accantonò i suoi progetti per una serata di tranquilla meditazione e si preparò ad uscire.


 

Esattamente trenta minuti dopo, il campanello della stanza di Ilaij stava suonando. L'umano corse ad aprire, leggermente trafelato.

"Già qui? Sei in anticipo!" lo apostrofò il russo, sorpreso.

"Negativo, Ilaij. Sei tu ad essere in ritardo," - come al solito...- stava per aggiungere Vaarik, ma si trattenne.

"Uh, è vero! Be', prendo il giaccone e arrivo."

L'umano corse ad infilarsi una giacca a vento e raggiunse il vulcaniano che lo attendeva rigorosamente fuori dalla porta. Poi si incamminarono lungo il corridoio, mentre Ilaij suonava ai campanelli degli alloggi per chiamare a raccolta gli altri. A quanto pareva, Ilaij aveva fatto le cose in grande. Alla fine dell'adunata il gruppo contava più di quindici persone, molte delle quali Vaarik aveva visto solo di sfuggita lungo i corridoi dell'Accademia, o nelle aule di lezione.

Il vulcaniano gemette mentalmente al pensiero di doversi presentare a tutta quella gente semisconosciuta, occhi curiosi che l'avrebbero fissato con malcelato sospetto, e mani sudate che avrebbero tentato goffamente di stringere la sua, per poi ricordarsi con imbarazzo che toccare un vulcaniano è come minimo scortese, e, nel suo caso specifico, anche piuttosto pericoloso.

Ma, fortunatamente, gli altri cadetti sembravano per il momento più interessati a decidere in quale ristorante cenare piuttosto che a fare la sua conoscenza. Vaarik innalzò un silenzioso ringraziamento agli dei dimenticati, e si concentrò nel tentativo di sembrare semplicemente un vulcaniano poco a suo agio tra la folla, cosa che in effetti non gli riuscì particolarmente difficile. Ogni tanto rilevava l'occhiata fugace di qualcuno che tentava di immaginare da quando su Vulcano andassero di moda i capelli con la coda, oppure se il suo pizzo fosse modellato secondo qualche funzione matematica, per poi ricordare decisamente a sé stessi che quello secondo cui tutti i vulcaniani si pettinavano alla stessa maniera era niente più di una diceria.

E poi, era il pensiero condiviso da molti, un vulcaniano un po' fuori dai canoni non era necessariamente una cosa negativa.

Forse la serata non sarà così drammatica, pensò Vaarik rilassandosi leggermente.

Una mano dotata di artigli si sollevò silenziosamente dietro le spalle del vulcaniano, fuori dal suo campo visivo. Era nera e lucente, e le squame che la ricoprivano mandavano infuocati riflessi metallici sotto le intense luci del corridoio. Le lunghe dita si aprirono di scatto, facendo guizzare sotto le scaglie i robusti tendini da rettile. Con un movimento lento ma inesorabile, la mano cominciò a scendere verso la spalla di Vaarik, fendendo l'aria con gli artigli affilati... per poi poggiarsi con delicatezza sulla spallina della veste del vulcaniano. Vaarik si voltò di scatto, e non parve per nulla sorpreso di trovarsi faccia a faccia con una schiera serrata di denti aguzzi, saldamente innestati in un muso che ricordava terribilmente da vicino quello di un Velociraptor.

La creatura sibilò, mentre i suoi occhi gialli da rettile si fissavano inespressivi in quelli neri di Vaarik.

"Buona sera, Dizzie," salutò il vulcaniano. "Come è andata l'esercitazione con l'ingegner Vinsar, stamattina?"

Anche se il suo muso non aveva la capacità di cambiare espressione, la giovane nykkus riuscì comunque ad esprimere una notevole frustrazione.

"Argomento di conversazione accantonare meglio sarebbe. Danza di rabbia su di me l'istruttore ha eseguito, poiché la matrice di trasferimento riuscita non sono a sistemare priva di errori. Confusione non piccola ho fatto, volta non prima."

Dizzie era in realtà il nome che era stato dato alla giovane nykkus all'entrata in Accademia, in quanto la sua razza rettiloide non aveva mai sviluppato il concetto di nome proprio. La sintassi imperfetta tipica di quelli della sua razza è dovuta al fatto che la loro lingua si avvale del linguaggio corporeo come parte integrante del discorso, un protocollo molto complicato che non è ancora stata possibile integrare nei traduttori standard. Dizzie era un ingegnere piuttosto dotata, ma ancora aveva qualche problema nelle esercitazioni pratiche. Vaarik sospettava segretamente che fosse perché durante le prove tendeva a emozionarsi di fronte al professore, e non riusciva quindi a lavorare con la dovuta attenzione.

"L'anno accademico è appena agli inizi. Hai ancora tutto il tempo per recuperare," rispose il vulcaniano. Non era un gran che per tirare su di morale la giovane nykkus, ma cosa pretendete da un vulcaniano?

"Danza di verità eseguono le tue parole, ma nel tempo di mezzo la non sufficienza tenere mi devo..."

Mentre Dizzie proseguiva con vari cadetti le sue rimostranze sul docente del corso di Ingegneria, Ilaij tentava di attirare l'attenzione dei presenti, intenti a chiacchierare tra loro.

"Tavarisha, compagni, ascoltatemi. Dove vogliamo andare stasera?"

Le sue parole caddero nel vuoto.

"Allora, mi state ascoltando? dove andiamo stasera?"

Il gruppo continuò a chiacchierare con invidiabile noncuranza.

"Ehi?!? Qualcuno mi sta ad ascoltare?!? Dove decidiamo di andare stasera?"

Un paio di persone sollevarono perplesse la testa, come se non fossero sicure di aver sentito qualcosa nelle vicinanze. Poi tornarono alla loro conversazione scuotendo la testa, forse pensando che fosse frutto della loro immaginazione.

Vaarik frattanto si limitava ad osservare la curiosa situazione, sapendo che in ogni caso non avrebbe potuto fare nulla per velocizzare quello che sembrava un consumato rituale. Quando si fossero stancati di chiacchierare e di raccontarsi le notizie salienti di una giornata di Accademia, il gruppone, come guidato da un istinto atavico, si sarebbe mosso verso i cancelli e si sarebbe poi ritrovato davanti ad un locale del centro con la stessa efficienza di un salmone che torna al fiume che l'ha visto nascere.

Fino ad allora, i disperati richiami di Ilaij non avrebbero sortito alcun effetto.

"Allora, volete ascoltarmi? dove andiamo?

"Compagni! mi state a sentire?

"Oohoo! c'è nessuno che mi ascolta?"

Accademia della Flotta Stellare, Aula di Scienze Matematiche.
Ore 8.25...

Il mattino dopo, Vaarik stava seguendo con interesse il corso del comandante Stark. Fortunatamente la lezione del giorno non era particolarmente impegnativa: Rappresentazione vettoriale di spazi n-dimensionali.

"Un iperspazio V a n dimensioni può venire rappresentato come Span di un certo numero di vettori, cioè come insieme di tutte le loro combinazioni lineari. Questi vettori (che non possono essere in numero inferiore a n) vengono genericamente indicati come generatori dell'iperspazio. Nel caso in cui i generatori siano anche tutti linearmente indipendenti, l'insieme dei generatori prende il nome di base dell'iperspazio, e la indicheremo con B. Sarà vostra cura dimostrare che in questo caso il numero dei vettori della base è pari esattamente a n. Quando invece all'interno di questo iperspazio consideriamo un sottospazio affine a n-1 dimensioni, ossia quello che viene chiamato un iperpiano, abbiamo naturalmente bisogno di una base composta da almeno n-1 vettori linearmente indipendenti..."

Dal fondo dell'aula giunsero numerosi sbadigli. Vaarik non ebbe bisogno di voltarsi per sapere che molti di essi erano stati prodotti dai suoi compagni della sera precedente. Avevano fatto le ore piccole in uno dei tanti locali che affollavano il lungomare di San Francisco, e, sfortunatamente per loro, non avevano dalla loro parte la fisiologia vulcaniana che permetteva a Vaarik di essere perfettamente riposato anche se aveva dormito solo poche ore. Inoltre, curiosamente, Vaarik aveva la sensazione di uno de pochi realmente interessati alla lezione del comandante Stark. Infatti stava cominciando a notare che il consueto brusio del fondo aula era decisamente più elevato del solito. Più elevato di circa il 35-40%, ad essere precisi. Evidentemente il docente aveva deciso che era comunque entro i limiti tollerabili, poiché non si era dato pena di richiamare all'ordine i disturbatori. L'attenzione di Vaarik venne catturata da un paio di cadetti che, totalmente avulsi dalla lezione, si stava amabilmente raccontando di quello che avevano visto la settimana prima durante una pausa tra le lezioni. Pare che in un'altra ala dell'Accademia vi fosse una specie di galleria dei ritratti, dove venivano conservate le effigi di alcuni degli ufficiali più famosi della Flotta Stellare. Uno dei due era rimasto molto colpito della cosa, e sperava che un giorno la sua olografia avrebbe fatto bella mostra di sé insieme a quelle di quei celebri personaggi. Vaarik si astenne dal commentare (ma non dal pensare...) che la sua immagine avrebbe catturato sicuramente l'attenzione: il cadetto somigliava infatti ad un grosso criceto pezzato, con tanto di dentoni e guance cadenti. Il suo amico, un umano con una pettinatura decisamente fuori moda che sembrava un po' troppo navigato per fare ancora l'Accademia, gli stava invece facendo presente che sotto numerose immagini aveva notato la dicitura "disperso in azione", oppure "deceduto nell'adempimento del proprio dovere", ecc... A quella affermazione il criceto incrociò le zampine sul petto con fare risoluto, bofonchiando poi qualcosa che nemmeno l'affilato udito del vulcaniano riuscì a percepire. Poi il discorso venne rapidamente indirizzato verso altri argomenti. Vaarik si sorprese a pensare di fare un salto da quelle parti, giusto per curiosità. Chissà se tra quei ritratti avrebbe trovato qualcuno la cui controparte era famosa anche nel suo universo, magari come crudele tiranno, o magari come vassallo dell'Alleanza... Scuotendo la testa come per liberarsi dei cattivi pensieri, Vaark lasciò che la sua attenzione venisse totalmente assorbita dall'affascinante spiegazione del comandante Stark.


 

"... se sul nostro iperspazio creiamo un prodotto scalare arbitrario... denotiamolo ad esempio con (a,b)... possiamo immediatamente definire una condizione di ortogonalità, cioè quella condizione per la quale, dati due vettori v e w, il loro prodotto scalare sia (v,w) = 0. A questo punto viene spontaneo, ricongiungendosi con ciò che abbiamo detto prima, immaginare che esistano basi tali che i vettori che le compongono siano ortogonali a due a due, ossia basi ortogonali. Ma ora chiediamoci: in un qualunque iperspazio, dotato di un prodotto scalare, è possibile trovare una base ortogonale? La risposta, fortunatamente, è sì. Infatti il teorema di Graam-Schmidt, che ho testé dimostrato, permette, data una base qualsiasi, di crearne una ortogonale con un semplice procedimento ricorsivo. Vediamo un esempio..."

Accademia della Flotta Stellare, Sala Mensa.
Alcune ore dopo...

Vaarik non aveva mai assaggiato nulla di più buono in tutta la sua vita. Il vulcaniano rimase letteralmente sbalordito, e per un attimo lasciò che un'ondata di piacere lo attraversasse da parte a parte. Nel luogo da cui veniva, la fame era una nera compagna, con cui uno schiavo era condannato a convivere per tutta la sua vita. Anche se Vaarik era stato più fortunato della maggior parte dei Vulcaniani, costretti al lavoro negli altiforni o nelle industrie metallurgiche del pianeta, non aveva mai potuto permettersi di rendere appena più che commestibile ciò che consumava. Da quando era stato scaraventato in questo strano, bizzarro universo, aveva scoperto che per alcuni il cibo non era solo una fonte di energia per la sopravvivenza, ma addirittura una fonte di piacere. Questo lo aveva lasciato piuttosto perplesso, almeno fino a quando non aveva scoperto che nella galassia esisteva anche qualcosa di più saporito della cucina vulcaniana, o di meno disgustoso di quella klingon. A quel punto, Vaarik aveva quindi già qualche familiarità con le forme gastronomiche del piacere, ma nulla poteva reggere il confronto con il capolavoro che gli stava di fronte. Ciò che stava mangiando doveva essere frutto di un talento sublime, di una ricerca elaborata. Doveva essere l'opera di un'artista.

"Ti piace? E' torta di mele. Una ricetta di mia nonna." Rebecca Goldblum lo guardava sorniona, il mento appoggiato delicatamente sulle mani. Il suo viso era incorniciato come al solito dalla sua esuberante chioma rosso fiamma, lunga ben oltre i limiti della praticità. Ma quei capelli erano il suo orgoglio, e non li avrebbe tagliati per nulla al mondo.

"Devo ammettere che non è male... per essere un piatto terrestre", commentò Vaarik, non riuscendo però del tutto a spegnere il sorriso che era affiorato sulle sue labbra.

Il sorriso di Rebecca si allargò ancora. "Non ti preoccupare. Nessuno riesce a resistere alla torta di mia nonna. Vero, ragazzi?"

Ilaij e Dizzie, seduti accanto a Vaarik, annuirono con energia.

In quel momento dietro le loro spalle si udì un curioso ronzio. I quattro si voltarono, appena in tempo per vedere una poltroncina antigravità che si avvicinava al loro tavolo. Rebecca si alzò in piedi e corse a dare un bacio sulla guancia pallida del ragazzo seduto sulla poltroncina. Lui sorrise con affetto sotto gli impianti metallici e sollevò una mano meccanica a carezzarle la chioma ribelle. "Ciao, sorellina."

Il viso di Rebecca si illuminò. "Ciao, Gabriel. Vieni a sederti con noi." La ragazza guidò la seggiola antigrav fino al tavolo dove la aspettavano gli altri. La nykkus sibilò un saluto, mentre l'umano e il vulcaniano si scambiarono uno sguardo perplesso. Ilaij fu il più svelto a presentarsi e tese la mano all'inconsueto avventore.

"Io sono Ilaij. Piacere di conoscerti..., Gabriel?"

" Lieto di conoscerti " disse il ragazzo, mentre la sua voce assumeva una leggera sfumatura metallica.

Poi fu il turno del vulcaniano, che tese la mano nel saluto tradizionale. "Io sono Vaarik, figlio di Temnok. Lunga vita e prosperità."

Il borg sorrise lievemente all'indirizzo di Vaarik. "Anche a te."

A quel punto Rebecca intervenne nel discorso con la sua solita esuberanza. "Avete finito di fare i formali, voi tre? Non siamo mica davanti al Consiglio Federale!"

Il borg annuì a quella affermazione. "Hai ragione. Mi sono fatto trasportare. Credo di avere ancora qualche problema a indovinare il tono delle conversazioni."

"Non preoccuparti: hanno dei problemi anche quelli che vivono nelle società individualistiche da sempre. Guarda me!", concluse ridendo Rebecca, e il suo sorriso rese subito l'atmosfera più allegra.

Ma, naturalmente, Ilaij non poteva farsi sfuggire una ghiottissima occasione di non farsi gli affari suoi. E infatti aggiunse: "Scusa, Rebby, ma voi due siete... parenti?"

L'umana annuì, evidentemente conscia che non sarebbe stata né la prima né l'ultima volte che avrebbe sentito quella domanda. Ma la cosa non sembrò pesarle.

"Sì, Gabriel è mio fratello adottivo. E' stato assimilato quando era molto piccolo, e dato che per un difetto genetico non poteva camminare, venne destinato ad una occupazione che non richiedesse grande mobilità. Se c'è una cosa che si deve riconoscere ai Borg è che sanno essere maledettamente adattabili. Durante una qualche missione di ricognizione, il cubo al quale apparteneva lo teletrasportò insieme a qualche altro borg su un pianeta. Improvvisamente sorsero delle complicazioni, e la nave dovette andare via immediatamente. Non vi fu il tempo di far rientrare la squadra, e così il collettivo decise che era meno dispendioso in termini di risorse perdere quei pochi elementi piuttosto che ritardare la partenza. Il collettivo prese la sua decisione in un millisecondo. Disconnessi. Senza possibilità di appello. Il cubo se ne andò, e loro vennero lasciati lì a morire, da soli, con la consapevolezza di essere stati abbandonati senza nemmeno saperne il motivo. Quel pianeta fu la tomba dei suoi compagni, ma in qualche modo Gabriel sopravvisse. Venne trovato da una nave pakled, ma essi, non sapendo cosa fare, lo portarono alla Flotta Stellare. La Flotta lo studiò, lo esaminò, lo rimise in sesto e poi si ritrovò con il problema di cosa fare di lui. Il suo pianeta era stato distrutto dai Borg, e tutto il suo popolo assimilato. Non aveva un posto dove andare, e tutto quello che la Flotta poté fare fu di affidarlo ad una famiglia per aiutarlo ad adattarsi alla nostra società. E così io e Gabriel siamo diventati fratello e sorella...", continuò Rebecca, appoggiando la sua mano su quella organica del borg. Sembravano molto affiatati, perfino più della maggior parte dei fratelli biologici. Ma, a pensarci bene, non era una cosa poi così strana.

Tra quelli seduti al tavolo, Vaarik fu il primo ad accorgersi che in un tavolo lì vicino il tono della conversazione era mutato lievemente. Il volume si era fatto più alto, e le voci più dure. Vaarik si tese immediatamente, fiutando aria di guai.

Pochi secondi dopo, anche i suoi commensali non poterono fare a meno di accorgersi di quello che stava succedendo. Un cadetto del terzo anno, un tellarite di grossa stazza, stava importunando una matricola, sostenendo che quel tavolo era per consuetudine riservato ai cadetti anziani. La matricola in questione era un andoriano che Vaarik aveva visto nel corso di Analisi Funzionale. Il fatto che Vaarik ricordasse come si chiamava non era motivo di stupore, in quanto il ragazzo rispondeva all'inusuale nome di L'Amico Andoriano, e il racconto della genesi del suo nome era uno dei suoi cavalli di battaglia. In ogni caso, a dispetto del suo nome che invocava la fratellanza, Andoriano non sembrava intenzionato a farsi mettere i piedi in testa da un prepotente, e la situazione si stava surriscaldando.

D'improvviso, in un lampo azzurro, Andoriano si alzò di scatto e sferrò un poderoso pugno sul viso del cadetto anziano. Questo, preso totalmente alla sprovvista, barcollò all'indietro tenendosi il naso con una mano, mentre un rivolo di sangue comincia a colare sul suo mento. Reso furioso dal dolore, il tellarite si gettò ringhiando addosso alla matricola, rovesciando il tavolo dietro di loro. I rispettivi amici accorsero tentando di separarli, ma rapidamente si trovarono anche loro coinvolti nella rissa.

Ne venne fuori una rissa che non restarono intere neanche le cannucce nei bicchieri.

Decine di cadetti si gettarono nella mischia, mentre la mensa si trasformava in un immenso saloon. Volarono spintoni, pugni, calci, morsi, schiaffoni, bottigliate in testa. La resistenza di numerosi complementi d'arredo venne ripetutamente testata sulle schiene di malcapitati cadetti, mentre altri studiavano le leggi della dinamica dei solidi volando oltre i tavoli ormai rovesciati. In un angolo, un pianista continuava a suonare un infuocato charleston.

Anche Vaarik e i suoi commensali si ritrovarono loro malgrado coinvolti nella rissa. Rebecca si difendeva anche con troppo entusiasmo, senza elemosinare calci e gomitate, con i capelli che le ondeggiavano selvaggiamente. Ilaij sembrava un pugile al settimo round, e Dizzie lanciava terrificanti ruggiti mentre faceva volare cadetti da tutte le parti. Gabriel infine faceva saettare da uno scomparto della sua poltroncina un enorme guantone a molla, con un inequivocabile sorriso stampato sul volto pallido. Vaarik si trovò accerchiato e fu costretto a rifilare qualche rapido colpo col palmo della mano, ritrovandosi sulla coscienza un paio di setti nasali in più. Schivò più per istinto che per abilità una fatale torta alla panna, che andò fortunosamente a sfracellarsi sulla faccia di Ilaij, che lo seguiva a breve distanza.

Incapace si trattenere un ghigno, Vaarik perse la concentrazione e non vide arrivare il pugno di un irato benzita. Un suono di gong rimbombò cupamente nella sua testa per alcuni istanti, poi il vulcaniano si voltò verso il suo aggressore, socchiuse con freddezza gli occhi e fece saettare il suo ginocchio sull'inguine del malcapitato. Il benzita si accasciò strabuzzando gli occhi, la gola troppo serrata anche solo per emettere un gemito. Vaarik pose rapidamente fine alle sue sofferenze con una presa ai nervi vulcaniana. Poi guardò Ilaij che si stava ancora togliendo le ultime tracce di panna dalla faccia, e fece cenno agli altri di seguirlo.

Mentre stavano guadagnando l'uscita schivando piatti e suppellettili, fecero irruzione nella mensa numerosi istruttori e addetti della sicurezza, richiamati dalla confusione. Sbalorditi dalla visione che si presentava loro, questi esitarono per un attimo, e proprio in quell'istante una scodella di zuppa ploomek terminò la sua folle corsa contro l'uniforme dell'ingegner Vinsar. Il viso del massiccio klingon si rabbuiò, e le sue mani si serrarono a pugno.

"ORA BASTA!!!", tuonò il klingon, oscurando ogni altro suono. I contendenti, atterriti da quel ruggito furioso, si congelarono immediatamente, bloccati in posizioni laocoontiche. La mensa venne avvolta da un silenzio di tomba, mentre l'unico suono che ancora si udiva era il lento gocciolare della zuppa dall'uniforme del klingon. "Voglio sapere chi è stato. SUBITO!"

Nel frattempo anche l'Ammiraglio De Leone e il Rettore D'Elena in persona erano arrivati in mensa, sgranando gli occhi.

Dal canto suo, Vinsar non sembrava minimamente intenzionato a considerare chiuso l'incidente. "Sapete tutti chi ha cominciato. Voglio i responsabili!"

Nessuno aprì bocca.

"Non lo sapete? Molto bene." Il suo guardo si indurì ulteriormente. "Da questo momento tutte le libere uscite e tutti i permessi sono sospesi fino a che i colpevoli non si presenteranno per la giusta punizione. Sono stato chiaro?"

Un brusio di disapprovazione serpeggiò per la sala. Molti sguardi saettarono verso i due cadetti che avevano dato inizio alla rissa, ma nessuno disse niente. Anche Vaarik era intenzionato a tenere ben chiusa la bocca. Nonostante non avesse motivi per proteggere i colpevoli, la sua esperienza gli aveva insegnato che i delatori non vivevano mai molto a lungo. E anche se qui le cose sembravano un po' diverse, Vaarik sospettò che le buone abitudini fossero le stesse ovunque.

Ma, nello stupore generale, un cadetto fece un passo avanti. Un lampo di riconoscimento balenò negli occhi di Vaarik.

Renko? Cosa diavolo pensava di fare quel ragazzo?

"Signore...?"

Anche gli istruttori sembravano stupiti. "Si, cadetto?"

Renko sembrò temporeggiare, e diede quasi l'impressione di voler tornare sui suoi passi. Ma ormai l'attenzione di tutti era concentrata su di lui, non poteva più sfuggire Poi il suo sguardo prese a brillare di una luce preoccupante. "E' stato un uomo con un braccio solo, signore."

Una vena prese a pulsare sul collo dell'istruttore. "Che cosa?"

Renko deglutì visibilmente, ma si rifiutò di cambiare la sua versione. "E' stato l'uomo con un braccio solo. Signore."

D'improvviso i cadetti si rianimarono, come ispirati dalle parole di Renko.

"E' vero..." "E' stato proprio lui..." "...l'uomo dal braccio solo..."

"Silenzio! Volete prendermi in giro?"

La folla dei cadetti ammutolì nuovamente.

Questa volta fu il turno del Rettore di prendere la parola. "Molto bene," disse l'anziano andoriano, con l'aria di prendere la cosa molto sul serio, "a cominciare da adesso avete un'ora di tempo per portare questo famigerato uomo dal braccio solo di fronte all'istruttore Vinsar. In caso contrario, la punizione che sarebbe ricaduta soltanto sui colpevoli ricadrà su tutti voi, fino alla settima generazione. Così sia scritto, e così sia fatto."

Detto ciò, uscì dalla mensa senza voltarsi indietro, calamitando dietro di sé l'intero corpo insegnante che lo seguì con passo marziale.

"Adunata!" fu il grido che si levò non appena gli istruttori furono fuori dalla mensa.

Questo diede inizio ad una specie di confuso comizio, in cui ognuno proponeva le sue ipotesi senza preoccuparsi minimamente di ascoltare quelle degli altri. Vaarik si ritrovò nel capannello che comprendeva anche Renko. Ognuna aveva la sua idea su come risolvere la situazione, e le ipotesi erano molte e disparate, dal consegnare i colpevoli ad autodenunciarsi tutti insieme, a seconda della disposizione d'animo del promotore. Ma quella che riscosse più successo fu quella di Dizzie.

"Io di dare loro in pasto Vaarik propongo, perché su di lui eseguano danza di punizione."

Il vulcaniano si ritrovò a fissare con freddezza la nykkus. L'unica cosa che trattenne un piccolo, silenzioso, affilato d'k tagh dall'inserirsi tra le costole del rettile fu la curiosità.

"Spiegati."

"Perché quello tu sei che meno da perdere hai. Parole da persone alcune ho sentito, che tu è come se l'Accademia già fatto avessi..." rispose, seppur priva di qualunque malizia.

Vaarik si rabbuiò lievemente a quella affermazione. A quanto pareva le voci correvano veloci nei corridoi dell'Accademia. I suoi occhi neri si socchiusero freddamente mentre rispondeva a bassa voce. "Questo non è del tutto esatto."

Ma Dizzie sembrò non sentirlo. "... quindi, perché se già su una nave di stelle danza di lavoro hai eseguito, perché l'Accademia per volta non prima devi rifare?"

Vaarik, si tese, preparandosi all'azione. La sua mente stava già analizzandosi svariate ipotesi su come ridurre al silenzio l'inopportuna rettile. "Ho le mie buone ragioni," affermò, mentre un riflesso d'acciaio affiorava nei suoi occhi, "ragioni che non ti riguardano minimamente."

Evidentemente la nykkus avvertì il pericolo dietro alle parole del vulcaniano, poiché dopo una veloce occhiata lasciò cadere il discorso.

Una saggia decisione, pensò Vaarik cupamente.

Lì vicino un robusto klingon stava ringhiando la sua opinione. "Se i colpevoli avessero un briciolo di onore, si prenderebbero la responsabilità delle proprie azioni."

Fu lo stesso Andoriano a rispondergli, spaventatissimo. "Ma hai visto la faccia di Vinsar? Ci piallerebbe!"

Anche il tellarite si dichiarò d'accordo con il suo antagonista. "Non avrei nessuna esitazione nel presentarmi a rapporto, se fossi certo di ricevere una punizione adeguata. E avrei già fatto più del dovuto visto che non ho iniziato io la rissa, ma il puffetto. Lui ha tirato il primo pugno."

Andoriano si voltò verso di lui, seccato.

"Mi avevi pesantemente provocato."

"Avresti dovuto resistere, matricola. Individui ostili alla Flotta ci provocano in continuazione. Cosa farai una volta diventato ufficiale? Creerai incidenti diplomatici a catena solo perché non sei in grado di controllarti?"

Andoriano stava per rispondere, ma Renko, finora rimasto silenzioso, prese decisamente la parola. "Basta, smettetela. Non serve a niente litigare fra noi. Dobbiamo decidere qualcosa."

Il tellarite si rivoltò contro di lui. "Senti chi parla! Bella trovata che hai avuto, dovremmo linciarti per primo."

"Soluzione piuttosto drastica e poco pratica", fece Renko a muso duro.

Un sorriso si fece strada sul volto del tellarite. "Perché? Possiamo sempre staccarti un braccio e dire che sei stato tu. L'idea è stata tua in fondo."

"Ehm. Torno subito."

"Ehi!, dove credi di andare?" lo richiamò Andoriano, che sembrava sinceramente preoccupato per la sanità mentale dell'ibrido.

Renko gli rispose senza fermarsi. "Mi è sembrato di capire che l'unico reale problema sia l'entità della punizione," disse rapidamente. "Datemi mezz'ora di tempo e tenterò di risolvervi il problema, altrimenti mi staccherò il braccio da solo e mi autodenuncerò, d'accordo?" e scomparve oltre le porte della mensa.

Pensando probabilmente che fosse definitivamente impazzito, decine di occhi di vari forme e colori seguirono l'uscita di Renko, per poi lanciarsi l'un l'altro sguardi allibiti. Ma non ci volle molto perché l'attenzione dei cadetti venisse di nuovo assorbita dalla discussione sulle rispettive responsabilità.

Nel trambusto, nessuno fece caso ad una figura che, silenziosamente, si dirigeva verso l'uscita. Allo stesso modo, nessuno fece caso al sibilo delle porte automatiche quando, pochi istanti dopo, si richiusero alle sue spalle.

Fu solo dopo qualche minuto che, come colpito da un'improvvisa ispirazione, Ilaij sollevò la testa con aria perplessa.

"Ehi, dov'è finito Vaarik?"

San Francisco, Financial District.
Venti minuti dopo...

Vaarik stava percorrendo di buon passo il viale che dall'Accademia scendeva a San Francisco. Ora sapeva di chi aveva bisogno. Il problema era solo trovarlo. Fortunatamente, il capitano Patchwork era un abitudinario. Secondo i suoi calcoli, vi erano il 73,8 % di probabilità che a quell'ora fosse al locale di Chun a ingollare il suo solito boccale di rhum orioniano. Aumentando il passo, Vaarik si diresse verso China Town.

Le campanelle coreane appese dietro la porta tintinnarono non appena Vaarik aprì la porta della "Salamandra Lucente nel Sole del Mattino che varca i Cancelli del Regno del Coleottero Danzante". Un sorridente Chun comparve per accogliere il nuovo venuto.

"Oh, giovane vulcaniano. Che sorpresa per Chun vederti nel suo umile locale a quest'ora. Desideri che venga preparato il solito tavolo?"

"No, grazie, non sarà necessario. E' qui il capitano Patchwork?"

Vaarik non ebbe bisogno di sentire la risposta del coreano. Dal fondo del locale, infatti, giunsero alle sue orecchie degli inequivocabili schiamazzi. Voltandosi da quella parte, il vulcaniano si ritrovò allibito ad osservare il capitano Quijote Patchwork XIII che, ubriaco fradicio, faceva roteare con il suo unico braccio una stecca da dom-jot, mentre raccontava agli spaventatissimi avventori del locale una delle sue famose cacce all'asteroide.

"L'ho trovato da solo," disse significativamente il vulcaniano, poi si diresse risoluto verso l'occhio del ciclone.

Il capitano Patchwork era discendente di una famiglia di cacciatori di asteroidi, che aveva votato la sua esistenza alla cattura del Grande Asteroide Bianco, un asteroide radioattivo che si raccontava incrociasse nelle parti esterne del sistema solare. Una volta gli asteroidi vagabondi erano molto pericolosi, poiché causavano una quantità di incidenti alle navette di trasporto che viaggiavano tra le orbite dei pianeti esterni. All'epoca i Cacciatori di Asteroidi erano un'élite di piloti della Flotta Aerospaziale Terrestre, onorati e rispettati, poi, con il graduale miglioramento dei sistemi di rilevazione dei sensori, i loro servizi erano divenuti obsoleti. Quasi tutti i grandi asteroidi erano stati distrutti, e il tempo delle Cacce si era concluso. Solo qualche asteroide era scampato, e incrociava nelle buie profondità della nube di Oort. I pochissimi Cacciatori rimasti si dedicavano con le loro vecchie navi alla ricerca di questi ultimi, ma la loro era solo l'ultima battaglia di un tempo ormai passato.

Il capitano Quijote Patchwork XIII era l'ultimo della sua famiglia a occuparsi della caccia agli asteroidi. In gioventù aveva tentato di sottrarsi al destino di famiglia, e si era arruolato nella Flotta Stellare, dove aveva servito per molti anni guadagnandosi il grado di capitano. Il suo stato di servizio era impeccabile, e molti dicevano che la Flotta avesse grandi progetti per lui. Ma una notte, durante il turno gamma, il capitano Patchwork si era alzato dalla poltrona di comando, aveva fissato le stelle sullo schermo visore, e levando il pugno aveva gridato: "IL DESTINO E' QUEL CHE E', NON C'E' SCAMPO PIU' PER ME!!!"

Da quel momento il capitano Patchwork aveva dedicato la sua esistenza alla caccia del Grande Asteroide Bianco, ma godeva ancora di grande rispetto tra i membri della Flotta.

Naturalmente Vaarik non aveva avuto idea di tutto questo fino a qualche giorno prima, quando il capitano lo aveva coinvolto in un sua "performance", molto simile a quello che stava terrorizzando i clienti in quel momento. Pur di liberarsene, Vaarik aveva detto al capitano di essere un esperto in rotte asteroidali. Tecnicamente, non era una menzogna: Vaarik aveva una buona preparazione astrofisica e le rotte asteroidali erano nel suo programma di studi. Ma in questo modo, il vulcaniano aveva avuto modo di dilungarsi in una dissertazione estremamente minuziosa dei vettori orbitali da lui classificati. Il capitano si era appisolato quasi immediatamente, complice il rhum e la più temuta delle arti mentali vulcaniane. Ma al momento, Vaarik tendeva a considerare in maniera diversa quell'incontro.

"...stavo per agganciare quel grosso pezzo di nichel con il mio arpione magnetico quando, per tutte le anguille del Mar dei Sargassi, un secondo, enorme asteroide spunta fuori dal nulla dritto di tribordo e punta come un razzo contro la mia goletta. Allora io..."

"Capitano Patchwork, posso avere la sua attenzione?"

"...allora io guardo in faccia il mio nostromo, Starbuck, e gli grido: Cazza quella gomena, Starbuck!, ma lui non capisce e così..."

"Capitano Patchwork!"

"Oh!, Vaarik, vecchio filibustiere!" disse il capitano accorgendosi finalmente della sua presenza. "Vieni, vieni, unisciti a noi! Locandiere! Un boccale del tuo rhum migliore per il mio amico dalle orecchie a punta!..."

"La ringrazio, capitano, ma non sono qui per festeggiare," disse Vaarik rapidamente, prima di vedersi sbattere in mano un boccale di quella roba rivoltante. "Sono venuto a chiedere il suo aiuto."

Il capitano scese dal tavolo e si diresse zoppicando verso Vaarik. "Per la barba di Nettuno, marinaio, cosa può fare un vecchio bucaniere per un cadetto della Flotta Stellare?"

"E' una questione urgente, capitano," rispose Vaarik impassibile. "Se si sbriga, facciamo ancora in tempo."

"Quanta fretta, marinaio! Dev'essere importante."

"Della massima urgenza, le assicuro. All'Accademia ci aspetta qualcuno che risponderà a tutte le sue domande."

Campus dell'Accademia della Flotta Stellare.
Venti minuti dopo...

Arrivati nei pressi del cancello dell'Accademia, Vaarik trovò Renko esattamente dove l'aveva lasciato, cioè che sonnecchiava appoggiato ad un muretto mentre ascoltava le prediche di un vecchio halkan sulla violenza nella Flotta Stellare.

Vaarik immaginò che l'ibrido stesse facendo uno dei suoi trucchi di proiezione extracorporea. Qualche tempo prima, Renko gli aveva raccontato che la sostanza chimica che il suo popolo usava come cura contro l'instabilità genetica, dava come effetto collaterale la capacità di avere delle esperienze extracorporee, ossia di addormentarsi e di viaggiare con un altro corpo al di fuori del proprio vero corpo. Non era una cosa facile, ed era necessario essere dotati di una ferrea disciplina e di grande esperienza per controllare le proiezioni, perché il subconscio tendeva a prendere il controllo e a fare quello che gli pareva. In realtà Vaarik non aveva capito molto, ed era quindi ancora piuttosto scettico sulla cosa, ma quando arrivò a tiro l'altro cadetto era ormai del tutto sveglio e non ebbe modo di approfondire la questione.

Senza perdere altro tempo, Vaarik si limitò ad indicare con un cenno del pollice il suo accompagnatore. "Che dici, può servire?".

Renko non si preoccupò nemmeno di rispondere all'insinuazione del vulcaniano, rapito dalla visione del vecchio bucaniere dal braccio solo.

"Capitano Patchwork! Sento sempre parlare delle sue imprese quando vado nel locale di Chun."

"Ero nel locale di Chun, prima che il mio zelante collaboratore mi chiamasse per un compito tanto urgente quanto misterioso," commentò il capitano, distrattamente.

Renko si voltò stupito verso il vulcaniano. "Collaboratore?"

"Il Capitano Patchwork si trova sulla Terra da qualche giorno e dal momento che io sono un esperto di rotte asteroidali abbiamo trovato il tempo di fare... due chiacchiere, come dicono i terrestri", disse Vaarik

"Be'? Allora, marinai, cosa volevate chiedermi?"

I due cadetti spiegarono in poche parole al capitano il problema, chiedendogli di intercedere per loro presso Vinsar. Dall'espressione corrucciata dipinta sul volto del vecchio Cacciatore di Asteroidi non si sarebbe potuto immaginare alcunché di buono, finché, d'improvviso il capitano non riuscì ad estrarre dall'unico polmone buono una grassa risata da lupo di mare.

"Corpo di mille fulmini! Conosco quel vecchio bucaniere di Vinsar da quando era capo ingegnere sulla Dominus, quasi dieci anni fa! Sono l'uomo dal braccio solo che fa per voi!"

Detto così, il vecchio ufficiale si tolse di tasca una bottiglia dal contenuto facilmente indovinabile e si diresse zoppicando di buon umore verso l'edificio che ospitava le sale insegnanti.

Seguendo pensierosamente i passi del capitano, Vaarik si rivolse all'ibrido al suo fianco.

"Che ne dici, pensi che il capitano possa risolvere la questione?" Non ottenendo risposta, il vulcaniano si voltò verso il suo compagno. "Renko, hai sentito quello che ti ho dett..."

Oh, cielo, si è addormentato di nuovo!

* * *

Stralcio da un articolo da "Academy Herald - Il Bastone e la Carota", bollettino del corpo insegnanti edito dall'Accademia della Flotta Stellate, San Francisco.

"...a seguito dell'azione eversiva portata termine in mensa questo pomeriggio, l'ottimo corpo docente ha deciso di essere disgustosamente magnanimo nei confronti di coloro che hanno partecipato alla sommossa. Sono state prese infatti sanzioni punitive esclusivamente contro quattro dei cadetti coinvolti. Il cadetto del terzo anno Tarc, tellarite, e il cadetto del primo anno L'Amico Andoriano, andoriano, rei di aver dato inizio alla colluttazione, sono stati assegnati alla pulizia della sala mensa, da svolgersi tramite uso di spazzolino da denti klingon. Punizione ben più infamante è stata invece la sospensione delle libere uscite per quattro settimane inflitta ai cadetti del primo anno Vaarik e Renko, rei di aver tentato vilmente di ingannare l'autorità durante le indagini che sono seguite all'incidente e ..."

- Autore: Comandante Arvan tai-Vinsar -


 

Stralcio da "Academy Bugle - Tra l'Incudine e il Martello", giornale studentesco indipendente edito dall'Accademia della Flotta Stellate, San Francisco.

"...a seguito della giusta rivolta social-proletaria scoppiata oggi pomeriggio e causata dalla capitalistica distribuzione dei posti a sedere in mensa, l'oligarchia accademica plutocratica ha ingiustamente intrapreso delle misure ritorsive contro quattro dei nostri compagni, e precisamente il compagno Tarc e il compagno L'Amico Andoriano, condannati a pulire la mensa con uno spazzolino da denti imperialista, e i compagni Renko e Vaarik, privati delle libere uscite garantite loro dalla Carta dei Diritti dei Cadetti per un mese intero..."

- Autore: Cadetto Ilaij Vladimirovic Ulianov -

FINE CAPITOLO