UNO A ZERO

SPARARE, SPARARE, SPARARE...

"Caricare programma Shermann Delta 15."

<Programma caricato ed attivo.>

Shermann si voltò verso il gruppo di cadetti armati e determinati.

"Le regole sono molto semplici," esordì. "Tanto che perfino un paramecio le capirebbe al volo" continuò poi, con la solita grazia dello stereotipo dell'istruttore della sicurezza. "Regola uno: tutti contro tutti. Regola due: non fatevi colpire. Regola tre: sparare, sparare, sparare. È tutto chiaro?"

"Sissignore" rispose un coro di voci.

"E allora muoversi, muoversi, muoversi!"

Le porte della sala ologrammi si spalancarono e trenta persone si riversarono all'interno.

L'ambiente olografico era abbozzato, le griglie del pavimento e le pareti erano proiezioni ancora semitrasparenti a cui ci si poteva passare attraverso.

Appena entrato, il gruppo si disperse ai vari angoli della stanza, mentre una voce sintetica scandiva il conto alla rovescia.

<Dieci secondi all'inizio dell'esercitazione... nove... otto...>

Musuko Senman era senza rete sensoria e non vedeva nulla dell'ambiente circostante ma poteva percepire il leggerissimo pizzicore dato dalle proiezioni delle pareti olografiche quando vi passava attraverso.

<Cinque secondi all'inizio dell'esercitazione... quattro...>

Perciò il ragazzo, malgrado la propria cecità, era abbastanza sicuro di essersi posizionato in un punto sufficientemente protetto e non privo di vie di fuga.

I cadetti erano armati di un fucile phaser e nient'altro. Non avevano né tricorder, né padd, né nessun tipo di arma bianca, fosse anche un tagliaunghie.

<...due... uno.>

La luce si abbassò di colpo, le pareti divennero solide così come il mobilio. Oddio, mobilio... l'ambiente olografico riproduceva una nave mercantile alla deriva, l'energia al minimo, interi settori bruciati o danneggiati. Parlare di mobilio era senz'altro un'esagerazione in termini.

"Un ambientino allegro, senza ombra di dubbio" mugugnò Musuko, alle cui narici giungeva odore di cenere e distruzione. "Spero per loro che fossero in regola con l'assicurazione."

Il cadetto capì che l'illuminazione si era notevolmente abbassata perché aveva percepito una diminuzione di calore sulla pelle.

Allungò una mano verso una parete in cerca di informazioni. A tentoni riuscì ad arrivare fino ad un terminale, tentò di accenderlo ma non accadde nulla.

"Maledizione!" imprecò, poi avvertì un calore insolito provenire dal pannello sottostante e, con molta cautela, avvicinò le mani per tentare di capire cosa fosse successo.

Quando fu sicuro che non si sarebbe ustionato, Senman aprì il pannello ed affondò le mani fra i circuiti, scoprendo che alcuni dei collegamenti erano interrotti. Fortunatamente il danno non era grave, anche un bambino avrebbe capito dove stava il problema ma, sfortunatamente, Musuko non possedeva nessun attrezzo e la propria cecità non migliorava di certo la situazione.

Senza perdersi d'animo, il cadetto si industriò come meglio poteva per riattaccare i fili ma il suo tentativo sembrava destinato al fallimento, stava quasi per lasciar perdere quando una voce lo fece sobbalzare.

<In funzione.>

I suoni famigliari e i blirp-cirp del computer riempirono l'aria.

Ce l'aveva fatta.

Musuko si gettò sulla consolle ed iniziò a digitare, aveva già perso abbastanza tempo. I dati erano impostati in 'galacta' e scorrevano sul display, perfettamente inutili, dal suo punto di vista.

Il cadetto sfiorò la combinazione di comandi che serviva a convertire il linguaggio del terminale dal 'galacta' al 'kentari'.

A causa dell'enorme varietà di razze che se ne andavano a zonzo per l'universo, i computer funzionavano con più di una modalità, il 'kentari', nello specifico, era studiata appositamente per quelle prive di vista.

Fu così che Musuko venne a conoscenza di essere sopra ad un mercantile, che definire disperata la condizione della nave era un inno all'ottimismo e che c'erano ancora venticinque cadetti ancora 'vivi' che non vedevano l'ora di eliminarsi a vicenda per un voto più alto.

Richiamò l'intera pianta delle zone agibili e la memorizzò. A causa della sua condizione era allenato a questo e non gli ci volle molto a stamparsela bene in testa.

Senman raccattò il fucile che aveva lasciato ai suoi piedi e fece fuoco sulla consolle. La materia olografica era programmata per reagire come se fosse stata colpita da un vero fascio di energia, anziché un'arma a salve, e il metallo si liquefece in un tripudio di scintille. Non gli era mai piaciuta la storia di Pollicino e non aveva la benché minima intenzione di lasciare briciole o indizi del suo passaggio a beneficio degli avversari.

La prossima mossa era togliersi da lì.

Musuko iniziò a muoversi velocemente lungo il corridoio. Non poteva mettersi a correre a causa dei detriti sul pavimento ma l'andatura che riusciva a tenere lo soddisfaceva comunque.

Ogni tanto allungava una mano, prendendo le paratie come punto di riferimento sulla direzione da seguire. Teneva il fucile quasi parallelo al suo corpo, davanti a sé, se ci fosse stato un ostacolo sulla sua strada lo avrebbe 'rilevato' prima di impattarci con la faccia. Tuttavia, in caso di necessità, la punta del fucile sarebbe stata riabbassata in meno di due decimi di secondo, pronta a far fuoco.

Un colpo di phaser riecheggiò in distanza. Musuko si acquattò. Si trovava nei livelli inferiori, l'aria era rarefatta , le pareti fredde ed immobili. Ora che sapeva di essere su di una nave, la mancanza della vibrazione data dai motori gli riportava alla mente l'immagine di una bara.

Posto ideale per morire, ma quel giorno non ne aveva voglia.

Avanzò respirando polvere, abbassandosi il più possibile verso il pavimento. Aveva contato quattro colpi di phaser, poi più niente. Ora regnava il silenzio.

Il suo udito era teso al massimo, sentì un cigolio in lontananza, ma il ritmo era troppo meccanico per avere origini biologiche. Poi di nuovo il silenzio.

Musuko avanzò di mezzo metro. Silenzio. Trattenne il fiato, l'adrenalina alle stelle, fece scorrere una mano lungo la parete fino a che non incontrò il vuoto. La ritrasse immediatamente, scostandosi dalla zona di pericolo, sperando di non trovarsi allo scoperto.

Richiamò la mappa alla mente, era arrivato all'incrocio a T.

Ok, tutto a posto, male che fosse andata almeno avrebbe saputo dove sarebbe morto. Non aveva udito passi allontanarsi e non era così ottimista da sperare che gli antagonisti si fossero eliminati a vicenda.

Destra o sinistra? Avere il cinquanta per cento di essere colpiti alle spalle, significa vedere il bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno?

Al diavolo! Che fine aveva fatto lo spirito kamikaze dei suoi antenati?

Si tolse la giacca dell'uniforme restando in maglietta. Subito la pelle iniziò a reagire all'ambiente esterno ritraendosi sulle ossa, ma Musuko si sforzò di ignorare i brividi di freddo, concentrandosi invece sulla prossima mossa. Afferrò saldamente il fucile con la destra mentre, con la sinistra, raccattava un pezzo di metallo dal pavimento. Inspirò a fondo e lanciò il detrito oltre l'intersezione dei corridoi.

Il pezzo di metallo colpì la paratia e rimbalzò sul pavimento, producendo un 'tlank-clank' che riecheggiò nel vuoto.

Nulla.

A quanto pareva non avevano abboccato.

Poco male, piano di riserva. Sistemò la giacca sulla punta del fucile e la sporse con cautela oltre l'angolo. Ecco il cadetto che, non avendo avuto risposta al suo trucchetto, si sporge sentendosi al sicuro.

Un fascio di phaser colpì la giacca in pieno, facendola ondeggiare e sbalzandola via dalla punta del fucile. Musuko non stette ad arrovellarsi con teorie. Si gettò invece a terra tenendo il fucile con entrambe le mani e sparando a raffica nella direzione da cui era arrivato il raggio.

Quando la propria spalla impattò contro il pavimento, il cadetto rotolò di lato come aveva fatto milioni di altre volte durante gli allenamenti di arti marziali.

Si sarebbe fiondato dietro ad un riparo, se solo ne avesse visto uno, ah, ah.

Dovette invece accontentarsi di alzarsi in piedi e tuffarsi, letteralmente, nel corridoio da dove era venuto. Operazione che concluse appena in tempo, perché un'altra raffica di fucile colpì la parete dove Musuko si trovava solo qualche secondo prima.

Stavolta il raggio di energia proveniva da un'altra direzione. C'era un altro cadetto in cerca di preda. Peccato per lui che questa preda in particolare fosse armata e poco propensa al dialogo.

Senman, ancora in volo, stava tenendo il fucile phaser con entrambe le mani, concluse il tuffo appoggiandolo a terra e facendo una specie di verticale. Solo che, invece di scattare per rizzarsi poi di nuovo in piedi, si accasciò su di una spalla, lasciandosi cadere fluidamente e puntando la canna verso l'imboccatura del corridoio. Questo tipo di caduta gli aveva fatto guadagnare quella manciata di secondi che altrimenti avrebbe sprecato e, quando l'altro cadetto si affacciò da oltre l'angolo con il phaser puntato, Musuko era già pronto a far fuoco nella direzione da cui aveva sentito venire i passi. Il rumore di un corpo che cadeva a terra seguì subito dopo.

Senman tirò un sospiro di sollievo e si rialzò, il respiro si era fatto affrettato, l'adrenalina gli scorreva prepotentemente in corpo. Scavalcando i corpi rimasti a terra. Musuko continuò nella sua marcia.

I fucili erano caricati a salve ma, per rendere le cose più realistiche, ai cadetti era stato temporaneamente impiantato un chip sotto pelle. Appena questo veniva colpito dalla frequenza delle armi a salve, il computer attivava un campo di forza che bloccava a terra il 'morituro', ed il cadetto sconfitto era costretto, suo malgrado, in quella posizione fino alla fine dell'esercitazione.

Non era una sensazione piacevole, a volte capitava di rimanere bloccati per un'intera giornata, senza cibo né acqua e tentando di trattenersi dall'urinare. Quando si veniva liberati, i muscoli, costretti per tante ore nella stessa posizione, erano così contratti che dolevano persino nel mettersi a sedere. Un'operazione complicata come l'alzarsi in piedi richiedeva di solito qualche minuto.

Per ora Musuko era solo al primo anno ma nei corsi superiori, le esercitazioni di tipo Delta duravano due o tre giorni, allora sì, che era meglio non farsi colpire e men che meno nelle prime ventiquattr'ore.

Nel frattempo il giapponese continuava ad avanzare, alla faccia del freddo e della graduale scomparsa dell'ossigeno. Respirare era diventato sempre più faticoso ed il fucile sempre più pesante ma, nonostante questo, durante il tragitto era riuscito ad eliminare altri due cadetti. Il primo era un edoano, il secondo era un enorme insetto che si teneva attaccato al soffitto tramite una specie di tela e che aveva tentato di colpirlo dall'alto.

Fortunatamente per Musuko non si trattava dell'essere senziente più silenzioso di quest'universo, tutt'altro.

Era quasi arrivato, pochi metri separavano il cadetto dal ponte in cui l'energia era ancora ad un livello decente ed il supporto vitale non faceva le bizze. Secondo i dati avuti dal computer, il resto della nave sarebbe diventato invivibile (per la fisiologia terrestre) nel giro di una mezz'ora al massimo.

I suoi polpastrelli trovarono il pannello di chiusura del tubo di jeffries. Aveva scartato immediatamente l'opzione 'condotto del turbolift', tanto valeva tatuarsi un bersaglio in fronte, piuttosto. Senman controllò accuratamente i bordi del pannello ed incontrò un sottile strato di ghiaccio.

Se la condensa aveva fatto in tempo a gelare significava che non era stato aperto di recente, indi per cui, il passaggio doveva essere ragionevolmente sicuro.

Musuko aprì il condotto e spinse il fucile all'interno, poi si issò anche lui, infilandosi nell'apertura ed iniziando a strisciare sui gomiti, spingendo il fucile in avanti man mano che guadagnava terreno. Era il tubo di jeffries più stretto che avesse mai spolverato. Perché era questo che stava facendo, lo stava praticamente lucidando con la propria uniforme. Gli sarebbe piaciuto fare due chiacchiere in privato con il progettista, peccato che ora non ne avesse il tempo, doveva andare a sparare ai propri compagni di corso.

Il fucile si inclinò pericolosamente ed incominciò a scivolare, Musuko lo afferrò prima che cadesse.

-Meno male- pensò, -appena in tempo.-

Era arrivato ad una curva a gomito, il condotto deviava bruscamente verso il basso, costeggiando gli ultimi due ponti e sfociando nelle gondole che, in questa classe di navi, si trovavano sotto lo scafo.

Musuko tentò di girarsi per poter scendere di piedi ma non ne aveva lo spazio, non ci riuscì nemmeno sfruttando l'area dove il condotto deviava bruscamente ed il fucile stava quasi per cadergli.

Il giapponese imprecò nella sua lingua madre. Se fosse entrato nel condotto di piedi ora non gli sarebbe toccato scendere a testa in giù, maledizione. Ma prima c'era il problema del fucile. Non poteva tenerlo in mano, gli servivano entrambe per non cadere e schiantarsi il collo. La soluzione ideale sarebbe stata legarselo alla schiena ma, inutile dirlo, accessori inutili come cinghie, cinture o quant'altro non erano stati forniti ai cadetti.

Musuko sospirò e decise di infilarselo sotto l'uniforme, sperando che la maglietta lo avrebbe tenuto sufficientemente fermo. Inserì la sicura per evitare di spararsi sul mento una volta iniziata la discesa e diede il via all'operazione di inglobamento dell'arma.

Sbatté i gomiti, la testa, la schiena e tutto quello che poteva sbattere contro le pareti del tunnel ma, alla fine, il fucile era ben fermo, trattenuto all'interno dei propri vestiti. Certo che, a questo punto, un vago senso di claustrofobia stava iniziando ad attanagliarlo.

Si infilò nel condotto che scendeva facendo una fatica disumana per riuscire a passare perché il fucile stava rigido, non era di certo snodabile come il proprio corpo. Il cadetto rischiò perfino di rimanere incastrato ma alla fine ce la fece... ed iniziò a cadere, precipitando verso il basso.

Musuko allargò mani e gambe per frenare la caduta, sentì la pelle bruciargli a causa dell'attrito ma l'operazione ebbe successo. Puntellandosi alternativamente sulle pareti del condotto, prima con gli arti inferiori e poi con quelli superiori, continuò la discesa crogiolandosi nel pensiero di tutto ciò che avrebbe fatto a Sherman una volta diplomatosi.

Uno spiffero d'aria calda gli sfiorò il volto, era arrivato alla grata del ponte diciannove, la sua fermata.

Musuko si puntellò bene, facendo forza con le ginocchia, la schiena ed un braccio sulle pareti del condotto, mentre con la mano destra allentava la grata e la spingeva verso l'esterno. Accompagnò il pezzo in lega più che poté per impedire che questo cadesse tutto d'un colpo, provocando frastuono ed attirando attenzioni non gradite. Dopodiché dovette usare entrambe le mani per togliersi il fucile da sotto i vestiti, affidandosi unicamente alla schiena ed alle gambe come puntelli contro una caduta nel vuoto. Fortunatamente l'operazione andò a buon fine e, in men che non si dica, Musuko aveva gettato l'arma all'esterno ed era sbucato a sua volta fuori dal condotto, raccattando subito il fucile ed allontanandosi immediatamente dalla zona.

Mossa saggia, perché neanche due secondi dopo, un colpo di phaser colpì l'apertura del condotto. Una serie di altri colpi seguirono il percorso della sua fuga finché Musuko non si voltò nella direzione d'origine dell'assalitore e fece fuoco a propria volta. Premette il grilletto e... non accadde nulla, il fucile non si attivò.

-Maledizione, la sicura!-

Il giapponese, che non aveva smesso di correre, pregando di non schiantarsi contro qualche ostacolo, si lanciò a terra, cambiando improvvisamente direzione nella speranza di spiazzare l'avversario.

Musuko sentì l'energia del raggio phaser passargli a pochi centimetri sopra la testa ma ora non aveva tempo per calcolare quanto vicino fosse andato alla disfatta. Tolse la sicura al volo ed ebbe un moto di sollievo quando, premuto il grilletto, il fucile gli rispose con un wheep ed il raggio raggiunse l'avversario colpendolo in pieno.

Tornò la calma, Senman era di nuovo in piedi ma stavolta se l'era vista brutta. Avanzò a tentoni fino a trovare una pila di casse, staccò la bolla di carico e si infilò nello spazio fra le casse e la parete.

Si trovava nella stiva nove, le casse erano tutte vuote, ovviamente. Perché fornire ai cadetti la possibilità di attingere a del materiale? Questa era un'esercitazione spara, spara, spara (regola n. 3, ricordate?) non una sfida d'ingegno.

Anche se le casse contenevano il nulla, la bolla descriveva dettagliatamente i prodotti che avrebbero dovuto essere al loro interno ma, la cosa che più interessava Musuko, era che ogni bolla conteneva l'esatta posizione delle merci all'interno della stiva. Grazie a questo e al kentari, il cadetto riuscì a farsi un'idea molto precisa della disposizione del magazzino e la sua allenata mente registrò ogni particolare della planimetria del luogo.

I contenitori erano disposti in alte pile che formavano un labirinto di corridoi stretti e poco raccomandabili. Il suo usuale sorriso sbilenco gli affiorò alle labbra. Non c'era posto migliore per essere colti di sorpresa. Nascondigli ed angoli bui di certo non mancavano anche se, a causa della sua cecità, sfruttare questi ultimi non era un'opzione praticabile.

Nemmeno accovacciato fra le pile di casse e la parete, Musuko poteva dirsi del tutto al sicuro, erano troppe le angolazione dalle quali poteva giungere un attacco. Il cadetto respirò a fondo e strinse fra le mani il fucile phaser, assicurandosi che fosse carico e pronto a far fuoco. Con un balzo si portò al centro del corridoio, fece una capriola e si tuffò dietro ad un'altra pila di casse.

Nulla.

Nessuno sparo nella sua direzione ma, ascoltando bene, sentì dei passi in avvicinamento. Probabilmente qualcuno aveva udito il rumore e veniva a controllare cosa fosse stato.

Musuko si massaggiò una caviglia che aveva sbattuto contro le casse, non era riuscito a calcolare con millimetrica precisione le distanze ma sperava di rifarsi in futuro o, meglio, sperava di avere un futuro in cui rifarsi. Camminando a gattoni e tenendosi il più possibile al riparo, aggirò le merci impilate, i sensi all'erta. Il suo fine ed allenato orecchio percepì più di un rumore: fruscii, un leggero raschiare, i soliti passi.

No, decisamente non era solo.

Perché rammaricarsi? Non si era aspettato di esserlo.

Ci voleva un piano, e ci voleva piuttosto in fretta, anche.

Musuko sentì chiaramente qualcuno appoggiarsi all'altro lato della pila di casse. Senza esitazione arretrò di qualche passo e puntò il fucile contro la torre di merci.

Fuoco. Fuoco. Fuoco. Fuoco.

La materia olografica reagiva come se fosse colpita da vere scariche. Ciò che non esplose in frantumi si sciolse, colando sul pavimento. Con tre colpi di fucile, il cadetto aveva abbattuto l'ostacolo fra lui e l'avversario, con il quarto aveva abbattuto l'avversario.

Tutti i colpi erano stati diretti nello stesso punto, la quarta di sette casse era stata disintegrata, le altre tre, che contavano su di lei per restare in equilibrio, rimasero sospese in aria giusto il tempo di permettere all'ultima scarica di phaser di passare, dopodiché crollarono su stesse. La torre restò pendente per qualche secondo ancora e si abbatté al suolo.

Musuko non era certo rimasto immobile, aspettando di venire sepolto, appena scaricato il quarto colpo di phaser si era spostato immediatamente. Orizzontandosi grazie alla mappa memorizzata, il cadetto aveva percorso uno stretto corridoio delimitato dalle merci finché non era giunto ad un punto che considerava ragionevolmente al riparo.

Il frastuono appena creato era stato l'interruttore che aveva fatto scattare la battaglia. Poteva sentire colpi di phaser che fendevano l'aria. L'empasse, il momento di studio del territorio e dell'avversario, era stata frantumata ed il combattimento all'ultimo colpo impazzava ora nella stiva.

-Beh...- si disse il giapponese fra sé e sé, -non è stata certo l'azione silenziosa e letale che avevo in mente ma non posso lamentarmi.-

Musuko piegò le spalle in avanti e vi appoggiò il fucile orizzontalmente, agganciandolo con il mento per non farlo cadere.

-Bene, operazione fire on high.-

Con le mani, che ora aveva libere, si agganciò ad una delle pile di casse ed iniziò ad arrampicarsi. In pochi istanti si era issato oltre i tre metri di altezza a cui svettava l'ultima cassa. Era stata una specie di azione kamikaze perché il vantaggio derivatogli dallo poter sorprendere dall'alto, era ampiamente compensato dallo svantaggio di non avere ripari quando, dal basso, avrebbero risposto al fuoco.

Solo che, a questo punto, ciò che interessava di più al cadetto era accumulare più punti possibile e farla finita con questa esercitazione. Musuko iniziò a sparare nei punti in cui sentiva erano appostati gli altri cadetti. Grazie alla sua posizione ed alla mancanza di ostacoli riusciva a spostarsi molto velocemente, del resto molte delle pile erano una adiacente all'altra ed i loro coperchi allineati formavano come un reticolato di passerelle. La sua tecnica era colpire e gettarsi in avanti subito dopo, appiattendosi in più possibile sui coperchi delle casse per non fornire un bersaglio troppo facile a chi gli sparava dal basso. Funzionò piuttosto bene, tanto che, dopo una serie di raid ben riusciti, i colpi di phaser diretti alla sua persona cessarono del tutto.


 

Nella stiva ora regnava il silenzio. Musuko era appiattito contro i coperchi delle casse ed ascoltava attentamente. Possibile che fosse finita? L'atmosfera era carica, si erano attivati talmente tanti campi di forza, in quell'ambiente, che Musuko poteva avvertire l'energia a pelle.

Si accucciò restando sempre all'erta. L'aria sapeva di bruciato e di metallo fuso. Sentì un rumore provenire dal basso ad ore tre, più o meno. Concentrò la propria attenzione in quella direzione ma il rumore non si ripeté. Poteva essere stato qualsiasi cosa, un pezzo di cassa che cadeva, per esempio. Non necessariamente doveva esserci qualcuno.

E lui? Era al coperto rispetto a quell'angolazione?

Negli ultimi dieci minuti, nella stiva si era scatenato l'inferno, va bene avere una mente allenata ma Senman non era certo un computer. Non aveva potuto tenere il conto di quante casse fossero state incenerite e di quante si fossero schiantate al suolo. La sua posizione era meno che sicura, ora. Fino a dieci minuti prima poteva muoversi in quella specie di passerella sopraelevata senza mettere un piede in fallo, si era fatto una mappa ben precisa di quel suolo composto da coperchi. Ma una delle tattiche dei cadetti a terra era stata proprio quella di fargli franare il terreno da sotto i piedi, letteralmente, ed ora avrebbe fatto meglio a scendere da lassù prima di fare un passo nel vuoto.

Il rumore lo aveva sentito ad ore tre, decise di scendere dall'altro lato.

In condizioni normali, Musuko sarebbe balzato giù e via andare ma, non sapendo se ci fossero o meno detriti sul terreno, decise per un approccio più prudente. Senman gettò il fucile e lo sentì chiaramente cadere di piatto. Bene, nessun ostacolo, cosa chiedere di più? Saltò.

Se c'era ancora qualcuno a piede libero doveva aver sentito per forza, Musuko non si illudeva che la manovra fosse passata inosservata.

Controllò il fucile phaser, il numero di colpi concessi stava quasi per esaurirsi. Altra limitazione che Shermann aveva gentilmente concesso ai cadetti. La carica di un vero fucile phaser, infatti, poteva durare giorni. Musuko, invece, aveva sparacchiato sporadicamente solo per qualche ora e adesso si sentiva quasi sollevato che la propria arma stesse per esaurirsi.

Perché avrebbe dovuto sentirsi diversamente? Era stanco, sudato, la sua divisa era impregnata di fumo e sporcizia... non vedeva l'ora di finirla con quella maledetta esercitazione per rilassarsi in una tradizionale vasca di acqua bollente.

Ormai il suo lavoro l'aveva fatto, ma se il programma non si era ancora bloccato e l'arco d'entrata non era ancora apparso, evidentemente erano rimasti dei cadetti ancora illesi in giro. Shermann non avrebbe fermato l'esercitazione fino a che tutti i contendenti non si fossero eliminati a vicenda, secondo le regole avrebbe dovuto restarne solo uno e, possibilmente, neanche quello.

Il concetto non era nuovo al giapponese, cresciuto secondo i crismi tradizionali della propria cultura. Quando un samurai si impegnava in un combattimento, qualunque esso fosse, metteva sempre in gioco la propria vita, ma fra gli onorevoli scontri corpo a corpo con katane e yari condotti dai propri antenati e questo baraccone da gaijin... c'era una bella differenza.

-Ma allora ci sei?-

Mentre la parte razionale di Musuko era impegnata a lamentarsi, questo pensiero gli attraversò la mente, formulato dal proprio istinto. Musuko concentrò tutto il proprio essere sull'ascolto ma non riuscì a cogliere nulla. Ciò che aveva percepito d'intuito sembrava svanito nel vuoto.

Il cadetto si appiattì ancora di più contro le casse rimaste in piedi ed iniziò a muoversi nella direzione da cui gli era sembrato aver udito il rumore. Arrivato all'angolo imbracciò il phaser e, tenendo solo una spalla a contatto con la parete, tese i suoi sensi, chiedendosi se fosse prudente o meno sporgersi. Stava per fare un ulteriore passo quando qualcosa lo colpì alla base della nuca.

"Bang!"

Musuko si girò di scatto e fece fuoco due volte. Poi rotolò di lato, scansando solo per pura fortuna un colpo che gli veniva sparato in risposta e, a tentoni, si piazzò dietro un'altra cassa, in modo che questa fosse frapposta fra sé ed il proprio avversario.

Il cadetto si scoprì a tremare leggermente, gli era quasi venuto un infarto. Irritato per la propria reazione emotiva, Senman fece due ampi respiri vedendo di calmarsi, ma ciò che riuscì a fargli distendere i nervi in maniera definitiva fu un'imprecazione nella propria lingua madre.

Qualcuno gli aveva puntato le dita alla base del collo ed aveva gridato quel bang. Se c'era una cosa che Musuko proprio non sopportava era essere preso per i fondelli a quel modo. Soprattutto perché erano in pochi a poterselo permettere. Ma la cosa che lo faceva risentire di più era il fatto che fossero riusciti a strisciargli alle spalle. Poteva anche non vedere, poteva anche ignorare la presenza di un muro a mezzo metro di distanza ma era rarissimo che, in un combattimento, qualcuno potesse sorprenderlo così.

Batterlo si, ma sorprendere no.

Musuko era sempre stato tanto sicuro di questo che ora un moto spontaneo di sfogo in lingua madre gli sgorgò dal petto in maniera tanto lirica quanto liberatoria. Alla fine di una sequela di frasi rimaste non tradotte, l'unica domanda sensata che il cadetto riuscì a porre al suo misterioso avversario suonava più o meno come:

"Che cazzo ti salta in mente?"

"Non volevo spararti alle spalle" fu la risposta che spontaneamente scaturì da oltre il buio.

"Mi stai prendendo in giro?" gridò Musuko che, nel frattempo, non si era minimamente tranquillizzato.

"No..."

Il giapponese aveva un'idea della posizione dell'altro grazie a questo scambio di battute. Certo la cosa valeva anche per il proprio avversario, per questo Senman stava strisciando tenendosi a filo delle casse, per cambiare nascondiglio e non essere un facile bersaglio. La sua frustrazione maggiore era non poter avere idea dello scenario in cui si stava muovendo. Grazie al suo udito, il tatto, l'olfatto e quel particolare sesto senso per gli ostacoli che aveva dovuto sviluppare fin da bambino per forza di cose, Musuko poteva muoversi in maniera abbastanza sicura ed individuare posizione e presenza di altri esseri viventi od oggetti in movimento, ma gli era comunque preclusa la capacità di intuire muri ed ostacoli inanimati posti a distanza.

Il giapponese sentì distintamente qualcuno balzare sulla barricata di casse dietro alla quale si stava nascondendo. Mentre il cervello era distratto ad analizzare le proprie limitazioni, il suo udito gli aveva comunicato l'informazione en passant.

Senza esitazione Senman rotolò su di un fianco e fece fuoco, le casse andarono in frantumi, non aveva avuto tempo di mirare ma almeno gli avrebbe fatto crollare il terreno da sotto i piedi. Per il secondo colpo alzò il tiro ma lo sentì andare a vuoto. Musuko sparò ancora più che altro per impedire al proprio avversario di mettersi comodo e prendere la mira in tutta calma.

Pochi istanti dopo udì una voce che lo apostrofava.

"Nervosetto, eh?"

Il suono proveniva da una direzione del tutto inaspettata ma, comunque, da oltre la barriera di casse. Musuko non aspettava altro, si sporse oltre l'orlo della barricata e fece fuoco, i colpi di rimando non tardarono ad arrivare ma il giapponese, invece di acquattarsi di nuovo al riparo delle casse, aveva optato per un'altra tattica kamikaze, superando l'ostacolo con una capriola ed avvicinandosi all'avversario con un unico, rapido balzo.

I due si ritrovarono uno di fronte all'altro, fucili puntati... e fecero fuoco.

L'unico rumore che scaturì da entrambe le armi fu un timido whee... avevano esaurito gli ultimi colpi ed ora erano scariche.

L'altro lasciò cadere la propria arma ed iniziò a muoversi ma Musuko non era minimamente intenzionato a farsi precedere. Aveva udito il leggerissimo ronzio di un campo di forza nelle vicinanze, segno distintivo che dei cadetti erano stati abbattuti lì.

Dei cadetti con le loro armi, ovviamente. Il giapponese si gettò verso la fonte del ronzio, in pochi attimi aveva trovato un altro fucile phaser ma non era stato l'unico, anche l'avversario aveva avuto la stessa idea e le due canne quasi cozzarono fra loro mentre i due si puntavano nuovamente l'un l'altro per far fuoco.

Whee...

"Ma porc..." fu il commento di Senman, appena fu chiaro che anche quei fucili erano entrambi scarichi. Il giapponese afferrò l'arma come fosse un bastone e tentò di colpire l'antagonista. Non importava quanto inutile potesse essere quell'attacco, dati i parametri dell'esercitazione, perché l'adrenalina e lo spirito aggressivo risvegliati dopo tre ore di combattimenti stavano prendendo il sopravvento. Qualcosa dentro di lui gli stava severamente facendo notare che quello non era un comportamento da samurai, ma Musuko gli rispose stizzito che, piuttosto che lasciar perdere con sto' tizio, si faceva ninjia.

L'altro parò con la propria arma sia quella bastonata di fucile phaser che le tre successive. I due finirono quasi faccia a faccia. I fucili, tenuti per le estremità con entrambi le mani, premevano uno sull'altro formando una X.

"Senti..." propose infine l'avversario. "Ci sono altri fucili dietro ad ognuno di noi."

La pressione sul fucile dell'antagonista cambiò e Musuko fu costretto ad adattare la propria posizione.

"Adesso siamo equidistanti" continuò il tizio, "perché non ce la giochiamo?"

Il giapponese non sapeva cosa pensare, avrebbe potuto sospettare una trappola od uno scherzo di cattivo gusto, ma dal ronzio dei campi di forza che tenevano i cadetti intrappolati all'interno capiva chiaramente che il nemico gli stava dicendo la verità, indicandogli così la posizione di un'altra arma.

"Ma sei coglione o cosa?" Musuko non intendeva offendere il cadetto che aveva di fronte, quella frase gli era scappata prima che si potesse trattenere. Il fatto era che il giapponese riservava il proprio onore da samurai per i combattimenti tradizionali, gli spara-spara fra gaijin li affrontava seguendo una morale molto più spicciola e con molto più cinismo ed ora si stava chiedendo come questo tizio fosse riuscito ad arrivare fino a lì senza essere abbattuto molto prima.

Senman non aveva avuto intenzione di offendere od insultare ma era chiaro che l'altro cadetto ci era rimasto male, il giapponese lo aveva capito da un cambiamento nella tensione dei muscoli.

Tuttavia, se Musuko si aspettava risposte acide, era destinato a rimanere deluso. L'avversario, invece di ribattere, si limitò a disimpegnarsi dalla posizione in cui erano e fece qualche passo indietro. Dopo qualche secondo un clac-clang segnalò che aveva lasciato cadere a terra il phaser, scarico ed inutile. Da quella direzione non arrivò nessun attacco ma solo attesa. Forse che l'altro volesse dargli qualche secondo in più per ripensare alla proposta?

"D'accordo." Si limitò a dire Musuko, posticipando eventuali scuse o chiarimenti e facendo sapere al suo avversario che accettava più che volentieri la sfida. "Dov'è il fucile, esattamente?"

"Ad un metro di distanza dal centro del campo di forza, quattro metri da dove sei ora in linea retta. L'impugnatura è girata verso di te."

"Bene. Quando vuoi."

Partirono all'unisono, scattando indietro e dirigendosi il più veloce possibile verso le armi. Musuko poteva sentire, come sottofondo, le evoluzione dell'altro cadetto che facevano eco alle sue ma la tecnica era decisamente diversa e più esotica della propria.

In tre secondi il giapponese era arrivato a destinazione ed aveva trovato il fucile esattamente dove se lo aspettava. Lo afferrò al volo, senza problemi o ritardi e si preparò a fare fuoco. Mentre stava per premere il grilletto un raggio lo colpì in pieno petto.

Il rumore di una sirena riecheggiò per la stanza ed un aumento del calore sulla propria pelle gli indicò che il livello dell'illuminazione era aumentato.

Musuko non fu imprigionato da un campo di forza perché era il penultimo cadetto rimasto, l'esercitazione era finita.

L'arco apparve, preannunciato da un effetto sonoro, e Shermann entrò a grandi passi, con la solita andatura e la solita parlantina forbita.

"Su da terra, lazzari spennacchiati!" disse, rivolto ai cadetti che erano appena stati liberati dai campi di forza ed ora si stavano sgranchendo i muscoli.

"Complimenti, se questo fosse stato uno scenario reale i vostri eredi starebbero festeggiando alla grande, rammaricandosi solo di avere del DNA in comune con un branco di paguri zoppi!"

L'istruttore doveva essere particolarmente di buon umore quel giorno perché, invece di far fare ai cadetti le solite cinquanta flessioni per festeggiare la fine dell'esercitazione, li congedò su due piedi.

"Raccattate armi e bagagli e passate in fureria. Entro mezz'ora voglio che tutti i fucili e tutti i chip siano tornati ai loro legittimi scaffali. Muoversi, muoversi, muoversi!"

Shermann iniziò a battere le mani per sottolineare le proprie parole e per dare il ritmo d'andatura che, secondo lui, avrebbero dovuto tenere i cadetti nello sgombrare la sala ologrammi.

"E voi due," tuonò poi, rivolto a Musuko e al suo antagonista. "Dovrei considerare il vostro risultato nullo per essere riusciti a rimanere con due fucili scarichi a testa."

L'istruttore si avvicinò e strappò la targhetta di riconoscimento che ad ogni cadetto era stata appuntata sull'uniforme prima dell'esercitazione. Portandosela davanti agli occhi ne lesse i nomi.

"Musuko Senman e Renko..." in bocca a lui sembravano insulti "se la vostra tattica era quella di strappare un voto più alto facendo ridere a crepapelle il vostro istruttore, mi spiace per voi ma con me non attacca. Comunque sarò magnanimo, per stavolta. Avete ottenuto ottimi punteggi, complimenti."

Shermann porse nuovamente le targhette distintive ai legittimi proprietari.

"Che state aspettando, un bacio in fronte? Fuori dai piedi prima che cambi idea e vi prenda a calci in culo, muoversi!"

I due cadetti non se lo fecero ripetere e si mischiarono alla folla degli uscenti.

-Renko...- pensò Musuko, mentre si dirigeva prima alla fureria e poi agli spogliatoi. Tentò di ritrovarlo fra la mischia ma sembrava essere sparito, inghiottito dalla massa degli altri cadetti.

-Poco male- si consolò il giapponese -Questa era un'esercitazione esclusiva per i cadetti della sicurezza. Se era qui è perché sta seguendo i miei corsi, me lo ritroverò ancora fra i piedi e avrò modo di rifarmi...-

Alcuni dei cadetti con cui aveva fatto amicizia gli si avvicinarono per salutarlo e congratularsi. Musuko sorrideva e rispondeva con tono gioviale, restituendo le pacche sulle spalle e ridendo alle battute di spirito che i cadetti si scambiavano per alleggerire la tensione, ma dentro di sé aveva ancora un piccolo tarlo che non gli faceva andar giù del tutto la conclusione di quella prova. Questo lo irritava ancora di più.

Senman non aveva dubbi sul fatto di essere un tipo orgoglioso, se ne rendeva conto e ci viveva benissimo. Questa non era certo la prima volta che veniva sconfitto (purtroppo) ma in passato l'aveva sempre presa con più filosofia o con spirito sportivo.

-Pazienza- si disse -non si può vincere sempre, digerirò anche questa... certo che arrivare così vicini alla vittoria e vederla sfumare... vederla... non esageriamo.-

Con un'alzata di spalle ed un sorriso autoironico, Musuko accantonò la faccenda, seguendo la mandria che si recava agli spogliatoi. Attualmente stavano percorrendo un pezzo di cortile, dovevano infatti cambiare edificio.

"Oh, frullato genetico! Se hai finito di farti sparare addosso ci vediamo da Chun."

Senman udì chiaramente la voce maschile che stava chiamando qualcuno dei cadetti 'della mandria', ma ciò che gli fece drizzare le orecchie fu invece la voce che rispose all'appello. Quel timbro Musuko se l'era ormai stampato in mente.

"Va bene" gridò Renko di rimando al tizio che lo aveva apostrofato come 'frullato genetico'. "Andate, vi raggiungo in circa una mezz'ora."

La traiettoria di Musuko si era 'casualmente' spostata verso questo Renko. Senman si era così ritrovato affiancato al ragazzo ma, probabilmente, il giapponese calcolò male le distanze nel fare un passo perché un suo piede andò ad intralciare quelli dell'altro cadetto.

Renko si era voltato verso il suo interlocutore per potergli rispondere, quando si girò di nuovo si ritrovò ad inciampare e per poco non andò addosso a quel cadetto cieco con cui si era battuto poco prima. Per evitare l'impatto, Renko si lasciò scivolare al suolo nel punto dove l'altro l'aveva sgambettato, non che avesse scelta, del resto.

Musuko si affrettò ad abbassarsi verso il ragazzo a terra e lo afferrò per un braccio.

"Scusami" disse, aiutandolo a rialzarsi e fornendogli appoggio, "scusami tanto, non ti avevo visto."

Appena Renko fu di nuovo in piedi, Musuko gli diede qualche pacca sul braccio sia per rinnovare le scuse sia in segno di non belligeranza e si voltò dall'altra parte, continuando la marcia verso gli spogliatoi.

Sul volto del giapponese, man mano che si allontanava, affiorò un sorrisetto un po' enigmatico, un po' sornione.

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