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SOUND

- L'arte di scriver storie sta nel saper tirar fuori da quel nulla che si è capito della vita tutto il resto; ma finita la pagina si riprende la vita e ci s'accorge che quel che si sapeva è proprio un nulla... Quello che le mie orecchie udivano, i miei occhi socchiusi trasformavano in suoni e le mie labbra silenziose in parole e parole e la penna si lanciava per il foglio bianco a rincorrerle. La pagina ha il suo bene solo quando la volti e c'è la vita dietro che spinge e scompiglia tutti i fogli del libro. La penna corre spinta dallo stesso piacere che ti fa correre le strade. Il capitolo che attacchi e non sai ancora quale storia racconterà è come l'angolo che svolterai uscendo -

(I. Calvino)

 

L'INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL'ESSERE - Milan Kundera

Il tempo umano non ruota in cerchio ma avanza veloce in linea retta. E' per questo che l'uomo non può essere felice, perché la felicità è desiderio di ripetizione.

 

IL SENTIERO DEI NIDI DI RAGNO - Italo Calvino

Perché combattono allora? Non hanno nessuna patria, né vera né inventata. Eppure tu sai che c'è coraggio, che c'è furore anche in loro. E' l'offesa della loro vita, il buio della loro strada, il sudicio della loro casa, le parole oscene imparate fin da bambini, la fatica di dover essere cattivi. E basta un nulla, un passo falso, un impennamento dell'anima e ci si trova dall'altra parte, come Pelle, dalla brigata nera, a sparare con lo steso furore, con lo stesso odio, contro gli uni o contro gli altri, fa lo stesso. [...] Questo è il significato della lotta, il significato vero, totale, al di là dei vari significati ufficiali. Una spinta di riscatto umano, elementare, anonimo, da tutte le nostre umiliazioni: per l'opera di sfruttamento, per il contadino dalla sua ignoranza, per il piccolo borghese dalle sue inibizioni, per il paria dalla sua corruzione. Io credo che il nostro lavoro politico sia questo, utilizzare anche la nostra miseria umana, utilizzarla contro se stessa, per la nostra redenzione, così come i fascisti utilizzano la miseria per perpetuare la miseria, e l'uomo contro l'uomo.  

 

IL BARONE RAMPANTE - Italo Calvino

c'erano anche da noi tutte le cause della Rivoluzione francese. Solo che non eravamo in Francia, e la Rivoluzione francese non ci fu. Viviamo in un Paese dove si verificano sempre le cause e non gli effetti. 

 

IL CAVALIERE INESISTENTE - Italo Calvino

Era un'epoca in cui la volontà e l'ostinazione d'esserci, di marcare un'impronta, di fare attrito con tutto ciò che c'è, non veniva usata interamente, dato che molti non se ne facevano nulla e quindi una certa quantità ne andava persa nel vuoto. Poteva pure darsi allora che in un punto questa volontà e coscienza di sé, così diluita, si condensasse, facesse grumo, come l'impercettibile pulviscolo acquoreo si condensa in fiocchi di nuvole, e questo groppo, per caso o per istinto, s'imbattesse in un nome e in un casato, come allora ne esistevano spesso di vacanti, in un grado nell'organico militare, in un insieme di mansioni da svolgere e di regole stabilite; e - soprattutto - in un'armatura vuota...   

 

IL VISCONTE DIMEZZATO - Italo Calvino

Ecco dunque la storia di Medardo, come Pamela l'apprese quella sera. Non era vero che la palla di cannone avesse sbriciolato parte del suo corpo: egli era stato spaccato in due metà; l'una fu ritrovata dai raccoglitori di feriti dell'esercito; l'altra restò sepolta sotto una piramide di resti cristiani e turchi e non fu vista.

 

LE CITTA' INVISIBILI - Italo Calvino

Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un'altra. - Io non ho né desideri né paure,- dichiarò il Kan, - e i miei sogni sono composti o dalla mente o dal caso. - Anche le città credono d'essere opera della mente o del caso, ma né l'una né l'altro bastano a tener su le loro mura. D'una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda. - O la domanda che ti pone obbligandoti a rispondere come Tebe per bocca della Sfinge.  

 

ULTIMO VIENE IL CORVO - Italo Calvino

La Corsica sparì bevuta dalla luce, ma tra mare e cielo il confine non si quagliò: rimase quella zona ambigua e smarrita che fa paura guardare perché non esiste. A un tratto case, tetti, vie nacquero a piè delle colline, in riva al mare. Ogni mattina la città nasceva così dal regno delle ombre, tutt'a un tratto, fulva di tegole, baluginante di vetri, calcinosa d'intonachi. La luce ogni mattino la descriveva nei particolari più minuti, raccontava ogni suo andito, enumerava tutte le case.

 

PALOMAR - Italo Calvino

In tempi in cui tutti dicono troppo, l'importante non è tanto il dire la cosa giusta, che comunque si perderebbe nell'inondazione di parole, quanto il dirla partendo da premesse e implicando conseguenze che diano alla cosa detta il massimo valore. [...] anche il silenzio può essere considerato un discorso, in quanto rifiuto dell'uso che altri fanno della parola; ma il senso di questo silenzio-discorso sta nelle sue interruzioni, cioè in ciò che di tanto in tanto si dice e che dà un senso a ciò che si tace. O meglio: un silenzio può servire a escludere certe parole oppure a tenerle in serbo perché possano essere usate in un' occasione migliore. Così come una parola detta adesso può risparmiarne cento domani oppure a obbligare a dirne altre mille.     

 

SE UNA NOTTE D'INVERNO UN VIAGGIATORE - Italo Calvino

Leggere è sempre questo: c'è una cosa che è lì, una cosa fatta di scrittura, un oggetto solido, materiale, che non si può cambiare, e attraverso questa cosa ci si confronta con qualcos'altro che non è presente, qualcos'altro che fa parte del mondo immateriale, invisibile, perché è solo pensabile, immaginabile, o perché c'è stato e non c'è più, passato, perduto, irraggiungibile, nel paese dei morti... O che non è presente perché non c'è ancora, qualcosa di desiderato, di temuto, possibile o impossibile, leggere è andare incontro a qualcosa che sta per essere e ancora nessuno sa cosa sarà...   

 

NOVECENTO - Alessandro Baricco

Non è quel che vidi che mi fermò/ E' quel che non vidi/ Puoi capirlo fratello?/ [...] C'era tutto/ Ma non c'era una fine. Quel che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo/ Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu, sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare. Loro sono 88. Tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu/ Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi/ Milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai e questa è la vera verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita/ Se quella tastiera è infinita allora/ Su quella tastiera non c'è musica che puoi suonare. Ti sei seduto su un seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio/   

 

SETA - Alessandro Baricco

è bella la tua mano sul tuo sesso, non smettere, a me piace guardarla e guardarti,signore amto mio, non aprite gli occhi, non ancora, non devi aver paura son vicina a te, mi senti? sono qui, ti posso sfiorare, è seta questa, la senti? è la seta del mio vestito, non aprire gli occhi e avrai la mia pelle, avrai le mie labbra, quando ti toccherò per la prima volta sarà con le mie labbra, tu non saprai dove, a un certo punto sentirai il calore delle mie labbra, addosso, non puoi sapere dove se non apri gli occhi, non aprirli, sentirai la mia bocca dove non sai, d'improvviso.    

 

VISIONI DI GERARD - Jack Kerouac

io ho sempre detto che il fatto che gli uomini esistano, è più interessante di qualunque cosa essi possano fare- è solo una misera recitazione su un palcoscenico improvvisato e lo scenario (la contraffazione) lo si vede spostarsi e tremolare, nei fondali, i macchinisti di scena sono maldestri, maldestro lo scenografo, e rapido il tuo occhio- Inadeguate le scene, malpagati i carpentieri- Ti svegli nel cuor della notte e vedi che l'orizzonte sguscia rapido al suo posto, e pensi "Oh Dio, è sempre la stessa cosa" - Che ci sia un mondo, anzi, che sembri esserci un mondo, questo è infinitamente più interessante di tutto quello che per un verso o per l'altro può accadervi nel mondo stesso, come il Nirvana in un formicaio o un formicaio nel Nirvana, tutt'uno- Benedetta l'anima mia, la morte è l'unico argomento decente, visto che segna la fine dell'illusione e della delusione- La morte è l'altra faccia della stessa medaglia, che noi chiamiamo ora, Vita- L'apparire del dolce volto in fiore di Gerard, seguito dalla sua scomparsa...

 

SULLA STRADA - Jack Kerouac

I ragazzi dormivano, e io ero solo al volante con la mia eternità, e la strada correva dritta come una freccia. Non era come guidare attraverso la Carolina, o il Texas, o l'Arizona, o l'Illinois; ma come guidare attraverso il mondo stesso e in quei luoghi nei quali avremmo finalmente imparato a conoscere noi stessi in mezzo ai fellàh indios della terra, la vena essenziale della primitività fondamentale...    

 

SIDDHARTA - Hermann Hesse

Il fiume tendeva alla meta, Siddharta lo vedeva affrettarsi, quel fiume che era fatto di lui e dei suoi e di tutti gli uomini ch'egli avesse mai visto, tutte le onde, tutta quell'acqua si affrettavano, soffrendo, verso le loro mete. Molte mete: la cascata, il lago, le rapide, il mare, e tutte le mete venivano raggiunte, e a ogni meta una nuova ne seguiva, e dall'acqua si generava vapore e saliva in cielo, diventava pioggia e precipitava giù dal cielo, diventava fonte, ruscello, fiume, e di nuovo riprendeva il suo cammino, di nuovo cominciava a fluire. Ma l'avida voce era mutata. Ancora suonava piena d'ansia e d'affanno, ma altre voci si univano a lei, voci di gioia e di dolori, voci buone e cattive, sorridenti e tristi, cento voci, mille voci. Siddharta scoltava. Era tutt'orecchi, interamente immerso in ascolto, totalmente vuoto, totalmente disposto ad assorbire; sentiva che ora aveva appreso tutta l'arte dell'ascoltare.   

 

IL NOME DELLA ROSA - Umberto Eco

questo libro potrebbe insegnare che liberarsi della paura del diavolo è sapienza. Quando ride, mentre il vino gli gorgoglia in gola, il villano si sente padrone, perché ha capovolto i rapporti di signoria: ma questo libro potrebbe insegnare ai dotti gli artifici arguti, e da quel momento illustri, con cui legittimare il capovolgimento. Allora si trasformerebbe in operazione dell'intelletto quello che nel gesto irriflesso del villano è ancora e fortunatamente operazione del ventre. Che il riso sia proprio dell'uomo è segno del nostro limite di peccatori. Ma da questo libro quante menti corrotte come la tua trarrebbero l'estremo sillogismo, per cui il riso è il fine dell'uomo! Il riso distoglie, per alcuni istanti, il villano dalla paura. Ma la legge si impone attraverso la paura, il cui nome vero è timor di Dio.    

 

IL VECCHIO E IL MARE - Ernest Hemingway

Pensava sempre al mare come a la mar, come lo chiamano in spagnolo quando lo amano. A volte coloro che l'amano ne parlano male, ma sempre come se parlassero di una donna. Alcuni fra i pescatori più giovani, di quelli che usavano gavitelli come galleggianti per le lenze e avevano le barche a motore, comprate quando il fegato di pescecane rendeva molto, ne parlavano come di el mar al maschile. Ne parlavano come di un rivale o di un luogo o perfino di un nemico. Ma il vecchio lo pensava sempre al femminile e come qualcosa che concedeva o rifiutava grandi favori e se faceva cose strane o malvagie era perché non poteva evitarle. la luna lo fa reagire come una donna, pensò.  

 

DOPPIO SOGNO - Arthur Schnitzler

Condurre una specie di doppia vita, essere il medico valente e fidato dal promettente avvenire, il buon marito e padre di famiglia - e allo stesso tempo un libertino, un seduttore, un cinico che giocava con la gente, con uomini e donne a seconda dell'estro - tutto ciò gli sembrò in quel momento molto attraente; ma la cosa più attraente era il pensiero che un bel giorno, quando Albertine si sarebbe creduta ormai protetta dalla sicurezza di una vita domestica e coniugale senza scosse, le avrebbe rivelato con un freddo sorriso tutte le sue colpe, ripagandola così dell'amarezza e del disonore che gli aveva cagionato col suo sogno. 

 

IL PARTIGIANO JOHNNY - Beppe Fenoglio

Viaggiavano alla morte,senza un voto, senza una preghiera, irosi e intenti a se stessi. si calarono tra la più alta neve come un pelago: quello era il vero track of death, avrebbero avuto neve fino al traguardo, ed oltre. La neve era compatta, ma farinosa, come tutta la neve stantia, e, sotto la media luna, dava sotto i loro cauti passi un crocchio insolito. La campagna innevata si spaziava tra loro moventi e gli attestati tedeschi vasta, immobilmente ondante, odiosamente imparziale. Per il fisso mareggiare della terra la linea dei fari rossi appariva e spariva, a dar nausea. Furono presto mortalmente stanchi di quel viaggiare, la neve era femminilmente cedevole all'affondo e maschilmente ostile al risollievo; cominciarono ad approfittare dei più notevoli avvallamenti per sostare minuti, rigorosamente muti, senza cercare reciproco sollievo e coraggio, a cerchio di cavallo intorno alla reliable figura del Biondo. Johnny sighed, noisily in the dead silence: pensava a Tito, che l'aveva già fatto, che era fuori dall'accerchiamento, pur giacendone nel cuore... era poi tanto difficile?

 

UNA QUESTIONE PRIVATA - Beppe Fenoglio

Milton partì di lì e si fermò non prima dell'arco al principio del paese. guardò lungo in direzione di Benevello e Roddino. La nebbia si era sollevata dappertutto, in basso non ne restava che qualche francobollo appiccicato sulla fronte nera delle colline. La pioggia cadeva sottile e regolare,senza disturbare minimamente la visibilità. Torse la testa dall'altra parte e guardò in profondo verso Alba. Il cielo sulla città era più cupo che altrove, decisamente violetto, segno di una pioggia molto più violenta. Pioveva a dirotto su Giorgio prigioniero, forse su Giorgio già cadavere, pioveva a dirotto sulla sua verità di Fulvia, cancellandola per sempre. «Non potrò saperlo mai più. Me ne andrò senza sapere».   

 

LA CASA IN COLLINA - Cesare Pavese

Devo dire - cominciando questa storia di una lunga illusione - che la colpa di quel che mi accadde non va data alla guerra. Anzi la guerra, ne sono certo, potrebbe ancora salvarmi. Quando venne la guerra, io da un pezzo vivevo nella villa lassù dove affittavo quelle stanze, ma se non fosse che il lavoro mi tratteneva a Torino, sarei già allora tornato nella casa dei miei vecchi, tra queste altre colline. La guerra mi tolse soltanto l'estremo scrupolo di starmene solo, di mangiarmi da solo glianni e il cuore, e un bel giorno mi accorsi che Belbo, il grosso cane, era l'ultimo confidente sicero che mi restava. Con la guerra divenne legittimo chiudersi in sè, vivere alla giornata, non rimpiangere più le occasioni perdute. Ma si direbbe che la guerra io l'attendessi da tempo e ci contassi, una guerra così insolita e vasta che, con poca fatica, si poteva accucciarsi e lasciarla infuriare, sul cielo della città, rincasando in collina.

 

LA LUNA E I FALO' - Cesare Pavese

eppure, disse lui, non sapeva cos'era, se il calore o la vampa o che gli umori si svegliasseri, fatto sta che tutti i coltivi dove sull'orlo si accendeva il fal davano un raccolto più succoso, più vivace. - Questa è nuova, - dissi. - Allora credi anche nella luna? - La luna, - disse Nuto - bisogna crederci per forza. Prova a tagliare a luna piena un pino, te lo mangiano i vermi. Una tina la devi lavare quando la luna è giovane. Perfino gli innesti, se non si fanno ai primi giorni della luna non attaccano. Allora gli dissi che nel mondo ne avevo sentite di storie, ma le più grosse erano queste. Era inutile che trovasse tanto da dire sul governo e sui discorsi dei preti se poi credeva a queste superstizioni come i vecchi disua nonna. E fu allora che Nuto calmo calmo mi disse che superstizione è soltanto quella che fa del male, e se uno adoperasse la luna e i falò per derubare i contadini e tenerli all'oscuro, allora sarebbe lui l'ignorante e bisognerebbe fucilarlo in piazza. Ma prima di parlare dovevo ridiventare campagnolo. [...] Io sono uno scemo, dicevo, da vent'anni me ne sto via e questi paesi mi aspettano. Mi ricordai la delusione ch'era stata camminare la prima volta per le strade di genova - ci camminavo nel mezzo e cercavo un po' d'erba. C'era il porto, questo sì, c'erano le facce delle ragazze, c'erano i negozi e le banche, ma un canneto, un odor di fascina, un pezzo di vigna, dov'erano? Anche la storia della luna e dei falò la sapevo. Soltanto, m'ero accorto, che non sapevo più di saperlo.