Tecniche di grotta
In ogni caso prima di entrare in grotta e' necessario imparare a
farlo seguendo un corso di speleologia. Ne vengono organizzati ogni
anno in tutte le località dove si trova un gruppo speleo. Se non
siete a conoscenza dell'esistenza di un gruppo speleo nella vostra città
potete chiedere informazioni a tal proposito alla Società
Speleologica Italiana.
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Illuminazione
Il primo problema che uno speleologo deve risolvere e' quello di vederci.
Sotto terra, come e' noto luce solare non arriva. Lo speleologo deve dunque
dotarsi di lampade che forniscano luce per un tempo sufficientemente lungo,
siano facilmente trasportabili ed abbiano un costo di esercizio basso.
Tutte queste caratteristiche
sono concentrate in quel ritrovato della tecnica che e' la lampada ad
acetilene. Si dira', "ma come, roba del secolo scorso!". Ebbene si,
nulla puo' superare la cara vecchia lampada ad acetilene o "carbura"
come la chiamiamo noi. Carbura perche' l'acetilene viene prodotto man mano
che si consuma a partire dal
carburo di calcio che, reagendo con
l'acqua, sviluppa appunto acetilene e lascia come residuo calce spenta.
Il carburo e' un solido piuttosto duro (provate a spaccarlo a pezzi col
martello per infilarlo nella lampada e ve ne renderete conto) che si riece
ad acquistare per pochi soldi, a patto di farlo in piccole quantita' (poi
subentrano problemi legali per lo stoccaggio). Nella figura si vede uno
schema di una tipica "bombola" o "carbura".
Come si vede la carbura e' un aggeggio cilindrico, formato da due parti:
un serbatoio per l'acqua ed un serbatoio per il carburo di calcio. Il serbatoio
dell'acqua si trova sopra a quello del carburo e comunica con quest'ultimo
attraverso un foro la cui apertura si regola tramite un rubinetto posto
sulla parte superiore della bombola. Attraverso il foro l'acqua scende
a gocce nel serbatoio inferiore e bagna il carburo. La reazione di formazione
dell'acetilene e' spontanea e sviluppa una discreta quantita' di calore.
L'acetilene esce dal serbatoio - reattore attraverso un tubo che termina
con un attacco sulla parte superiore della carbura. A questo attacco si
collega un tubo che porta il gas fino alla lampada vera e propria.
Questa e' situata sul caschetto da speleologo ed e' costituita da un ugello
da cui esce a pressione l'acetilene, un riflettore per rivolgere anteriormente
tutta la luce ed un sistema piezoelettrico di accensione del gas.
Oltre alla lampada ad acetilene ogni speleologo porta normalmente montata
sul caschetto una lampada elettrica (chiamata amichevolmente "l'elettrico")
che produca un fascio di luce piu' potente e concentrato di quello dell'altra
lampada. L'elettrico viene impiegato per la visione su lunghe distanze,
per esempio per scrutare le pareti di un pozzo dalla sua sommita'. Qualcuno
usa l'elettrico anche nella normale progressione, ma la luce diffusa dell'acetilene
e' molto migliore, con l'elettrico si vede benissimo un metro quadrato
di grotta ed il resto e' buio. Il mio amico Andrea dice sempre: "Usi l'elettrico?
Sono un po' scettico! Usi il carburo? Sei speleo duro!" tanto basta.
Altre lampade possono essere tenute a mano per particolari esigenze.
Alcune volte mi e' capitato di usare un potente faro alimentato con una
batteria da 12V per guardare il soffitto di ambienti particolarmente ampi
alla ricerca di camini da risalire.
Abbigliamento
Lo
speleologo indossa solitamente una tuta intera di materiale piu'
o meno impermeabile. Le piu' diffuse sono le tute in cordura che garantiscono
una certa traspirazione, ma dopo alcune esplorazioni hanno perso tutta
la loro impermeabilita' all'acqua e diventano come un capo di cotone, col
vantaggio che si asciugano prima. Vi sono anche tute in PVC che sono sempre
perfettamente impermeabili e non lasciano nemmeno traspirare il sudore,
tanto che dopo una mezz'ora in un meandro al loro interno si possono tenere
i pesci rossi, quanto fanno sudare! Sono comunque indispensabili se si
finisce sotto una cascata, posso garantire che trovarsi sotto un getto
di acqua gelata con una tuta non impermeabile e' una delle cose meno piacevoli
e piu' pericolose del mondo. Pericolosa perche' la perdita di calore
e' un nemico per lo speleologo. Stare sotto una cascata la cui temperatura
e' attorno ai 6 gradi (se va bene) fa si che il corpo perda molto calore.
Con esso se ne vanno le forze, i movimenti rallentano e se si resta sotto
per troppo tempo si muore per ipotermia. Questo e' purtroppo accaduto a
molti speleologi ed e' la ragione per cui ci si veste sempre con cura e
si evita di scendere o risalire sotto cascata.
Sotto la tuta si portano abiti caldi ma che non rendano difficili i
movimenti. Una volta si utilizzavano maglioni e mutandoni di lana, oggi
ci sono delle fantastiche tute intere di materiale sintetico tipo Paille
che tengono caldo, sono leggere e non danno fastidio se sono bagnate. L'unico
inconveniente, a mio avviso, dei capi moderni sintetici e' che non danno
l'effetto "muta" dei vestiti di lana, ovvero non trattengono l'acqua per
formare uno strato caldo, ma si asciugano velocemente. Questo e' un inconveniente
dato che l'evaporazione avviene a spese del calore corporeo e questo contribuisce
a raffreddare lo speleologo.
Ai piedi si portano normalmentestivali
di gomma con una suola scolpita in modo da garantire una buona tenuta
sulla pietra e sul fango. In grotte con poca acqua o del tutto asciutte
o dove l'acqua sia sotto forma di neve o ghiaccio si posso indossare tranquillamente
scarponi da montagna, che hanno il vantaggio di dare maggiore tenuta e
di proteggere la caviglia dalle storte. L'esperienza mi insegna comunque
che anche in una grotta piena di ghiaccio ci puo' essere un laghetto ed
entrare nell'acqua a 0 gradi con gli scarponi non e' piacevole.
Una cosa che gli speleologi non dimenticano mai sono i guanti.
La roccia in grotta e' spesso scabrosa e riduce le mani in condizioni pietose
dopo poche decine di metri di progressione in un cunicolo. I guanti proteggono
inoltre dalle abrasioni quando si tiene la corda in discesa o dalle scottature
quando si apre un discensore che si
e' scaldato.
In
testa
si porta sempre il caschetto, anche qualora non ci si trovi
in un pozzo che scarica pietre, la quantita' di testate che si danno dentro
un cunicolo e' incredibile. Certo gli speleologi hanno la testa dura, ma
a lungo andare prendere craniate non fa bene e poi senza caschetto non
si saprebbe dove attaccare la lampada ad acetilene.
Una cosa che ci si dovrebbe portare sempre dietro, anche se non e'
un capo di vestiario, e' il telo termico. Si tratta di uno di quei
maledetti fogli alluminati che non pesano niente, se ne stanno piegati
in un pacchetto di sigarette, tengono caldo in modo dignitoso ma ripiegarli
e' roba da fare perdere la pazienza ad un santo e si strappano quando non
devono. Adesso un produttore fiorentino (di cui non faccio il nome perche'
altrimenti dovrei chiedergli di pagare la pubblicita') fabbrica un poncho
termico di cui si dicono meraviglie.
Comunque, se si rimane in grotta per tempi superiori le 10 ore, e'
veramente necessario avere con se un telo.
Sotto il casco ci sta bene una bella cuffia di lana, se si e' in una
grotta fredda, personalmente sotto il casco indosso sempre un fazzolettone
rosso che, oltre a risolvere problemi di sudore nelle grotte piu' calde,
mi da' l'idea di portare fortuna. Oggi molti speleo quando si tolgono il
caschetto sembrano pirati, ma qualche anno fa ad Udine non si usava questo
fazzoletto ed io ero lo zimbello del gruppo, l'importante e' sentirsi bene
quando si e' in grotta, almeno li' la moda non centra niente.
Una cosa che fa parte, in un certo senso, dell'abbigiamento dello speleologo
e' l'imbrago, ovvero quell'ammasso di fettucce cucite in modo da
formare un seggiolino e che consente allo speleo di appendersi agli attrezzi
quando scende o risale un pozzo. L'unica cosa che conta veramente in un
imbrago e' che sia robusto, ma anche la comodita', dovendoci stare appesi
per ore, e' una qualita' non da poco.
Progressione in orizzontale
Il modo piu' semplice di andare in grotta e' camminare
(e qui rubo il concetto a Giovanni Badino, ma che ci posso fare e' cosi'
che si va avanti, camminando). Se non ci sono pozzi o salti non e' necessario
altro. Dato che tutti noi dovremmo essere capaci di camminare fin da quando
eravamo piccoli non credo che sia necessario spiegare come si fa.
L'importante e' che la grotta non e' un marciapiede, per cui non si
puo' camminare tranquillamente guardandosi attorno e buttando i piedi dove
e come capita. Ogni movimento deve essere ragionato in modo da non perdere
l'equilibrio. Non e' necessario, anzi e' sconsigliato, avere fretta.
I movimenti devono essere fatti con calma e continuita', in grotta
non si fanno scatti, non si salta, si controlla ogni passo.
Qualche volta capita di procedere in orizzontale ma con alcuni metri
di vuoto sotto i piedi. No, non dico che noi speleologi sappiamo levitare
come i monaci buddisti, ma che qualche volta in un meandro non si procede
sul pavimento, dove magari tutto e' complicato perche' li' la sezione si
restringe o c'e' troppa acqua, ma un po' piu' in alto. In questo caso si
deve sfruttare il fatto che le suole delle nostre calzature riescono a
fare buona presa sulle pareti del meandro anche se non ci sono dei veri
e propri appoggi. Spesso un accenno di incavatura della roccia e' sufficiente
a sostenere il nostro peso, a patto di saperlo scaricare sull'appoggio
in modo opportuno (si dice progressione in aderenza o in opposizione se
si aggiunge la spinta che si ottiene appoggiandosi anche all'altra parete
del meandro e facendo forza). Spiegare come si fa, secondo me, non si puo'
con uno scritto, per cui questa e' una di quelle cose che e' bene apprendere
ad un corso di speleologia.
Progressione in meandri e strettoie
Il problema numero uno dei meandri e' comunque quello che la
larghezza della galleria diminuisce, per cui,
a volte, ci si trova ad andare avanti con meno di mezzo metro di spazio.
Pur essendo piuttosto ingombrante io riesco a passare tranquillamente in
meandri della larghezza di appena 35 centimetri, i magrolini fanno di meglio.
Comunque un meandro raramente e' rettilineo, anzi, la maggior parte delle
volte ha un andamento "meandreggiante" (che scoperta!) il che obbliga a
continue svolte. Nulla di concettualmente complicato, ma farlo in 35 centimetri
di larghezza con addosso l'imbragatura per le calate e portandosi dietro
uno o due sacchi pieni di materiale non e' facile. In questo caso e' importante
essere ancora piu' attenti a non fare movimenti bruschi, ad avanzare
con calma e continuamente, evitando di incastrarsi e di rendersi la vita
faticosa. Cosi' facendo si risparmiano energie fondamentali per potere
andare ancora piu' avanti o per tornarsene indietro tranquillamente. Lo
speleologo deve cercare di non essere mai troppo stanco per potere affrontare
situazioni che richiedono attenzione e rapidita'.
Nelle strettoie la calma e' ancora piu' importante. In questo caso
se si fanno le cose sbagliate non si va proprio avanti. La tecnica permette
spesso a persone di una certa stazza (come il sottoscritto) di passare
dove gente magra non ce la fa. Questo perche' e' molto importante affrontare
la strettoia nel modo giusto. Ogni strettoia si passa solo facendo una
ben determinata combinazione di movimenti, se si cerca di passare in
altro modo si fallisce. Personalmente ritengo poco divertente superare
le strettoie, per cui il primo limite da superare in questi casi non
e' quello delle dimensioni, ma quello psicologico. Molto spesso
strettoie che possono essere superate facilmente ci bloccano per il semplice
fatto che temiamo di non farcela o abbiamo paura di incastrarci. Capita
anche dopo anni di attivita'. Una cosa e' certa pero': quasi tutte le strettoie
sono percorribili nei due versi. Se si passa all'andata si riesce anche
ad uscire. Magari sara' piu' complicato, come nel caso di strettoie
in pozzi, dove all'andata ti lasci scivolare, al ritorno arranchi penosamente
in salita. Anche qui bisogna soprattutto pensare a risparmiare fatica.
Il risparmio di energie puo' sembrare una ossessione stupida
se si fa una esplorazione di poche ore, ma dopo 10 ore sottoterra le forze
iniziano a diventare un bene prezioso. Alcune esplorazioni si protraggono
per 48 o piu' ore, quindi il risparmio ha un senso ben preciso.
Progressione in verticale
E qui viene il bello. Le mani ed i piedi non bastano piu', o si
sa volare o si deve cercare un altro modo per scendere ad una velocita'
tale da non avere un atterraggio spiacevolmente brusco. Piccoli salti e
pozzi dalle pareti articolare possono essere scesi e risaliti in arrampicata,
e questa e' la prassi, ma spesso ci si trova davanti a pareti lisce o strapiombanti
o a pozzi lunghi in cui sarebbe comunque necessario l'impiego di tecniche
di assicurazione con la corda.
Per sveltire le cose gli speleologi si costruiscono la loro via per
continuare a "camminare" anche nell'aria. Un tempo si scendeva su scalette
di corda con pioli di legno ed assicurati con una corda di canapa dall'alto.
In seguito le scalette furono fabbricate con cavetti di acciaio e pioli
in lega, ma le cose cambiavano poco. Nel corso degli anni '70 la scaletta
speleo venne quasi del tutto abbandonata ed oggi si e' soliti usare la
progressione
su sola corda ancorata a chiodi ad espansione o spit. In pratica ogni
pozzo viene "armato" con una
corda fissa sulla quale si scende e
si risale. La discesa si effettua grazie a dei discensori
a pulegge dove la corda fa dei giri che permettono di dissipare l'energia
potenziale dello speleologo attraverso gli attriti. Si sviluppa ovviamente
un bel po' di calore ed il discensore diventa bollente. Bisogna stare attenti
a non farlo diventare troppo caldo, altrimenti fermandosi a mezz'aria si
rischia di danneggiare la corda. Dato che non esiste piu' la corda di sicura,
o meglio, si scende proprio su quella, in caso di danneggiamento della
stessa bisogna imparare a volare sul serio.
Il grosso problema di una corda fissa e' che un dato tratto di corda
rimane sempre in un dato punto del pozzo. Quando lo speleologo sale o scende
le sollecitazioni cui sottopone la corda fanno si che questa si allunghi
e si accorci come un elastico. Se ad un certo punto la corda tocca la roccia
sfreghera' su di essa di continuo. Come dicevo la roccia non e' decisamente
liscia e la corda si puo' danneggiare. Per
ovviare a questo inconveniente lo speleologo che arma il pozzo ancora la
corda nei punti critici a dei chiodi in modo che li' non possa muoversi,
si dice che viene fatto un frazionamento. In questo modo si evita
lo sfregamento.
In corrispondenza dei frazionamenti sulla corda c'e' un nodo, con il
quale e' fissata al chiodo, dato che non si puo' fare passare il discensore
attraverso il nodo (o viceversa) e' necessario superare il frazionamento
abbandonando momentaneamente la corda. In questa occasione lo speleologo
si assicura al chiodo del frazionamento con un corto spezzone di cordino.
La risalita sulla sola corda viene effettuata con l'ausilio di due
attrezzi che hanno una fantastica proprieta': scorrono sulla corda in un
solo verso. Uno di questi attrezzi e' agganciato all'imbrago in posizione
ventrale e viene chiamato per l'appunto "bloccante ventrale" o "ventrale"
o ancora "croll" (dal nome del modello piu' diffuso). L'altro attrezzo,
simile al primo ma dotato di una maniglia per essere impugnato dallo speleologo,
e' collegato all'imbragatura solo attraverso un "rinvio" di sicurezza.
Questo attrezzo, detto volgarmente "maniglia", viene spinto verso
l'alto a mano. Nella parte inferiore la maniglia e' collegata con una staffa
in cui lo speleologo appoggia il piede. Sollevandosi sulla staffa lo speleo
si porta verso l'alto e trascina con se il ventrale. Appena si lascia sedere
il ventrale si blocca ed il risalitore ha guadagnato un po' di strada verso
l'alto. La risalita di un pozzo e' una faccenda che richiede di ripetere
questa operazione per tante volte. La non corretta impostazione dei movimenti
comporta una fatica mostruosa, per cui capita spesso che i principianti
si stanchino anche su pozzi brevi (20 o 30 metri).
Le tecniche di progressione, e particolarmente quelle in verticale,
non possono essere apprese dai manuali, ma devono essere imparate con calma
sotto la guida di un istruttore preparato, vale ancora una volta l'invito
a frequentare i corsi di speleologia. I corsi non sono molto costosi, noi
istruttori siamo tutti volontari e non ci guadagnamo niente, semplicemente
vogliamo aiutare i nostri futuri compagni
di esplorazione a godere con piu' sicurezza delle meraviglie del mondo
sotterraneo.
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