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- ERO UNA VOLTA GIOVANE E AGGIORNATO E LUCIDO... - |
Sara |
Il sesso mi stava distruggendo. Sara era appena uscita dal letto per rifugiarsi sotto la doccia calda. Io avevo inconsciamente raccolto il telecomando e acceso la televisione che poi avrebbe continuato a parlare da sola. Pensavo a Lei nuda in bagno mentre scorrevano le immagini della guerra nel Kosovo e fuori il freddo d’aprile stava lasciando il posto a temperature più gradite alla maggior parte degli Italiani. Il problema per questa stagione estiva era la guerra. Certamente ci sarebbe stato un calo nelle presenze di turisti italiani e stranieri. Mi ero acceso una sigaretta e la venivo fumando fissando il soffitto bianco e vuoto. Sara tra un po’ sarebbe uscita dal bagno. Si sarebbe asciugata i corti capelli neri con un semplice asciugamano. Si sarebbe rivestita cominciando dall’ultimo indumento che le avevo sfilato poco prima, quando nella testa mi stava frullando l’idea di tenerla con me per tutta la vita. Poi se ne sarebbe andata credo senza salutare ma strizzandomi l’occhio in segno di complicità… Ormai era un rituale proprio come il tg delle venti. Ma non quella sera….e già me lo sentivo nelle ossa il presentimento di un rito spezzato. Come un falco che volteggia nell’aria in cerca di una preda per poi scendere in picchiata e divorarla, Sara mi avrebbe ingoiato in un boccone. In questi frangenti di attesa, in perfetta solitudine, riempivo la camera di fumo ed i pensieri volavano per conto loro. Una volta pensai ad un sogno ricorrente che facevo da bambino. Mi trovavo sotto il mare e per tutti gli sforzi che facevo non riuscivo mai a riemergere e così ero costretto, da uno strano incantesimo, a vivere sotto l’acqua tra pesci e alghe. Credo che l’avrò fatto migliaia di volte questo sogno e ogni volta mi svegliavo piangendo. Lo
scroscio dell’acqua si diffondeva in tutta la stanza e ingordi pensieri
di sesso mi tornavano alla mente distogliendomi dalle mie linde fantasie. Nei
primi giorni di guerra gli italiani andavano in gita ad Aviano dove si
potevano ammirare gli aerei da guerra che decollavano. La mia vita
sessuale mi impegnava così tanto da non avere il tempo di fare
scampagnate di nessun genere. Non avevo neanche il tempo per partecipare a
manifestazioni di pace per tirare qualche sasso alla polizia. La
vita universitaria era finita da poco. I miei genitori, stanchi della mia
condotta, avevano rinunciato a ricondurmi su una strada a loro gradita.
Della laurea non me ne facevo niente. Di un lavoro rispettabile e onesto o
di una carriera con i fiocchi me ne sbattevo le palle. Stavo facendo
lavori occasionali come cameriere, volantinaggio e a volte trasportavo
pizza a domicilio. Il mercoledì di coppa me lo passavo per le strade
correndo da una casa all’altra. Dico tutto questo pensando a mio padre
che mi vorrebbe stampato su qualche banconota in Euro (mentre io
preferirei finire sulla cartaigienica), e a mia madre che a quattordici
anni mi regalò “Il gabbiano Jonathan Livingston” dicendomi che come
lui mi sarei dovuto impegnare per migliorarmi sempre di più e poter
raggiungere la perfezione. Io! Che ancora oggi reputo Livingston uno
stacanovista del cazzo. A
parte il sesso, soprattutto nei primi mesi, con Sara era un vero disastro.
Forse era questo il motivo per cui ogni volta che avevamo consumato i
nostri desideri avrei voluto una gomma per cancellarla del tutto. Spesso
mi parlava senza che l’ascoltassi. Ero troppo preso con i miei problemi
oppure era lei che continuava a blaterare cose del tipo vestiti, rossetti,
scarpe, amiche…feste! Non sopportava neanche le mie idee
sull’inutilità di una carriera e sulla voglia di vivere col minimo
indispensabile. Voleva che lavorassi con mio padre e diventassi anch’io
un avvocato ricco e rispettato. Se non fosse per tutto questo, se non
fosse per i miei genitori, se non fosse per gli altri,…. Purtroppo
in questo mondo che continua a girare sempre nello stesso verso, il
problema è quello che gli altri pretendono da me….solo questo! Ogni
tanto fissavo le sue scarpe di cuoio scuro con tacco medio che lei come al
solito teneva sotto la finestra e mi venivano in mente i suoi piedi scalzi
in giro per casa. Le calze buttate su una sedia anche se prive delle sue
gambe mi lasciavano intuire tutta la sua bellezza. Un filo di luce
arancione dell’illuminazione stradale era solito passare tra le stecche
della persiana e posarsi sul letto all’altezza della testa. Di fronte a
me un quadro raffigurava un’ombra di uomo e donna semi nudi. Mi ci
perdevo dentro e immaginavo che fossimo io e Sara lì fermi a guardarci. Comunque,
nonostante qualche litigio ed incomprensione me la sarei tenuta stretta
almeno fino all’estate prossima, poi si vedrà. Nei miei discorsi
mentali ricorre spesso il “poi si vedrà” e alla soglia dei ventisette
anni credo che oltre ad una laurea appesa al muro non abbia concluso un
gran che. Anche il rapporto con Sara spesso mi sembrava un rapporto
adolescenziale dove non ci si domanda nessun perché aspettando di
crescere ancora un po’. In fin dei conti, guardandomi allo specchio
potrei non riflettere nulla. In
un mercoledì di coppa mi capitò di recapitare una pizza in una villetta
un po’ fuori mano, appena a sud della città. Mi ci volle quasi
mezz’ora solo per trovare l’abitazione. Il giardino che dava sulla
strada e il grosso cancello tra due colonne lasciavano prospettare una
ricca mancia. Un cane da guardia cominciò ad abbaiare appena scesi
dall’auto e in pochi secondi se ne aggiunsero almeno altri due
dall’altro lato. Non dovetti neanche suonare il campanello. Il cancello
automaticamente si aprì e raggiunsi il pianerottolo di casa dopo essermi
accertato che la bestia fosse legata. Mi venne incontro una signora dai
tre o quattro decenni alle spalle e a dir poco svestita. Insistette per
farmi entrare. Il suo fascino mi trasportò dentro senza accorgermene. Ci
guardammo la partita insieme ma non tutta, solo il primo tempo. Tornai a
casa la mattina senza aver completato le consegne. Ci mangiammo almeno tre
pizze a testa. Mi offrì in continuazione vodka e gin. Salimmo a stento al
piano di sopra mentre mi continuava a ripetere che il marito era un lurido
bastardo. Mi diceva che da anni se la faceva con l’infermiera
dell’ospedale. Il marito era un medico, come capii più tardi. Mi
continuava a ripetere che lei era lo zimbello del paese. In realtà non ci
credevo più di tanto a tutta quella storia ma se la raccontava per
portarmi a letto ero disposto a sentire tutte le stronzate del mondo. Era
una donna veramente sensuale e anche se l’alcool circolava regolarmente
in tutte le vene non poteva certo sfuggirmi la sua bellezza. Ormai era
rimasta solo in mutandine e reggiseno ma ben presto volarono di sotto
passando per la ringhiera delle scale. Non mi era rimasto altro che
farmela. Poi
mi obbligò a vedere le foto della sua famiglia, compreso il marito. Ma a
quel punto credo che nel suo corpo non c’era più sangue ma solo vodka.
Mi fece vedere anche la foto di sua figlia. Me ne innamorai subito. Il suo
nome era Sara. Prima
di conoscere Sara passò un po’ di tempo. La mia relazione sessuale con
la madre si stava facendo sempre più intensa. Praticamente ogni volta che
il marito faceva i turni di notte lei mi invitava a casa sua. Consumavamo
litri e litri di alcool ma anche ore e ore di sesso. Con il “poi si
vedrà” era arrivata già l’estate del ’98 ed erano passati più di
cinque mesi da quella volta che le consegnai la pizza. La voglia di
passare le sere con lei diventava sempre più forte. L’appetito sessuale
sembrava che venisse col farlo. Non mi ero neanche mai domandato cosa
stavo combinando. Ogni tanto mi veniva il desiderio di incontrare Sara e
appena la madre si infilava sotto la doccia andavo a trafugare nella sua
stanza per scoprire qualcosa di lei. L’incontro
con Sara avvenne proprio in quell’estate. I mondiali di calcio erano
appena terminati. L’Italia si era arresa alla Francia di Zidane ed il
sole avrebbe continuato a riscaldarci ancora per un po’. Riuscii
finalmente a conoscerla durante una festa in spiaggia. C’era un falò e
un po’ di gente a fumare improbabili spinelli accompagnati da buona
birra. Il mare e le onde facevano il resto. Qualche nota era strimpellata
da una chitarra mentre si parlava del millennio che andava scemando. Si
discuteva sul fatto storico più disastroso del secolo e ne uscirono
tanti. Era facile nominare le due guerre mondiali o nomi come Hitler.
Venne poi citato il Vietnam e la più recente guerra del golfo. Un paio si
ricordarono della strage in Ruanda. Certamente di fronte a questi fatti,
l’evento positivo della caduta del muro di Berlino non poté che
apparire pura cronaca regionale. Tutti sembravano concordi che la guerra
in Bosnia dovesse essere l’ultimo massacro del secolo. Certo ci
sbagliammo. Sara
non intervenne mai nel discorso. Silenziosa e attenta, se ne stette lì in
disparte. Altrettanto feci io. Dopotutto erano discorsi senza speranze. La
bella mora dai capelli corti guardava nella direzione di un uomo
disattento, distratto da una bellezza divina. I nostri sguardi si
incrociarono spesso, qualcuno accompagnato da sorrisi intrisi di
significato. Alla fine ce ne andammo a braccetto verso il mare.
Dall’altra parte, dove per noi era l’orizzonte notturno, una bomba si
stava di nuovo innescando. Non restava che baciarci. Solo
il giorno dopo pensai al gran casino nel quale mi stavo gettando a
capofitto. Certo la madre di Sara avrebbe presto saputo il tutto ma questo
non mi interessava molto. Pensai addirittura che avrei continuato a
vederla per un po’, e poi si vedrà. Solo non avevo ancora idea di come
l’avrebbe presa la sensuale signora. In quel momento non provavo tutto
l’affetto che poi sarebbe venuto fra me e Sara e questo mi consentì di
portare avanti, su due binari perfettamente paralleli ma veramente
contigui, due relazioni sentimental-sessuali che non avrei più in futuro
saputo conciliare. Il treno che avrebbe dovuto passarci sopra sarebbe
deragliato facilmente. Non parlatemi di sensi di colpa, quelli non li ho
avuti mai, se non fosse stato per qualche sentimento del cazzo avrei
vissuto con entrambe senza problemi. Certo ne è passato del tempo da
quando facevo il chierichetto. Non pensate che non credo più in Dio,
solamente i nostri ideali di vita viaggiano in due direzioni opposte alla
ricerca di qualcosa l’uno e di quasi niente l’altro. Quello
che mi stupì fu la reazione della signora. Una mattina in spiaggia mi
chiamò sotto il suo ombrellone. Era in topless e il suo seno la faceva da
padrone. Le mutandine nere davano quel tocco in più di sensualità. Mi
disse “bravo Giovanni, sei molto bravo tu con le ragazze! Non ti
preoccupare, non sono gelosa…. Ma noi due dobbiamo continuare
….perché… altrimenti, altrimenti potrei dirle tutto… tu mi capisci
vero?”. Rimasi lì fermo impalato mentre lo sguardo si perdeva sul suo
corpo e qualcosa cominciava ad intravedersi nel mio costume. Lì per lì
mi sembrò che meglio non potesse andarmi. Solo adesso posso rendermi
conto che invece fu la cosa peggiore che potesse dirmi. Mentre
saltavo da un letto all’altro e a volte sullo stesso letto, passò anche
l’estate. Ciò che mi sembrava strano era proprio vivere le stesse
situazioni erotiche nella stessa casa, nelle stesse stanze, fra gli stessi
mobili e suppellettili ma con due persone diverse. Il profondo sesso con
l’una e quello più amorevole con l’altra sembravano completarsi in
un’estasi perfetta. A volte lo facevo con una pensando che fosse
l’altra e le mie fantasie erotiche si rincorrevano continuamente senza
fermarsi. Mi venivano in mente paragoni e classifiche. La madre era una
bestia assatanata mentre la figlia era molto più dolce ma sempre vicina
alla ninfomania. Poi
venne a rovinare tutto l’amore che iniziai a provare per la mia bella
ragazza. Uno come me, privo di ogni propensione al sentimento,
all’astrattezza e ad ogni sorta di idealismi si ritrovò invischiato in
quella sensazione più banale e convenzionale che potesse esistere:
l’amore. In realtà non so cosa fosse di preciso, ma ciò mi impedì di
continuare su quella rotta e così presi, forse per la prima volta nella
vita, la decisione più ovvia e necessaria. In quel momento, tutti i
problemi fra me e Sara mi apparivano facilmente risolvibili. Solo
dall’inizio del nuovo anno cominciai a dubitare e a tirare avanti. Ma
già avevo deciso di chiudere una delle due storie, quella con la madre.
Dapprima cominciai a disertare i nostri incontri clandestini per poi
frequentarla sempre meno. Ormai erano passati quasi due mesi dall’ultimo
incontro e sembrava che tutto stesse andando per il meglio. Le difficoltà
ed i problemi erano problemi di una normale giovane coppia. Sara
era ancora sotto la doccia. Il tg parlava della strage compiuta da due
giovani studenti a Denver commentata da Clinton con un discorso sugli
ideali da insegnare ai figli tra cui primo e fondamentale quello della
Pace. Un discorso così bello che avrei voluto farlo io. Era passata circa
mezz’ora da quando la mia bella era entrata in bagno. Cominciavo a
sentirmi un po’ solo tra la quiete della stanza e le nuove notizie sul
fronte di guerra. I pensieri si intervallavano fra Sara, la madre ed un tg
che mi stava stancando. Qualcosa mi sussurrava che Sara mi avrebbe
piantato in asso. Temevo che la madre le avesse rivelato la nostra
relazione e lei avesse deciso di lasciarmi. Infatti quando mi era distesa
accanto, sembrava che avesse un respiro pesante e i suoi occhi fissavano
il vuoto andando alla ricerca dell’inconsistente. Le mie mani sul suo
seno e la mia coscia sulla sua sembravano appoggiate su un altro corpo.
L’orgasmo a cui arrivammo insieme mi sembrò solo mio. L’oggetto del
suo desiderio sembrava il lampadario spento che si trovava proprio sopra
il letto. Questo insieme di cose mi convinsero che Sara sarebbe uscita dal
bagno, si sarebbe asciugata i capelli con un semplice asciugamano, si
sarebbe rivestita con l’ultimo indumento che le avevo tolto, si sarebbe
rimessa le scarpe che erano sotto la finestra e mi avrebbe detto “caro
Giovanni ti saluto...per sempre! Non chiedermi spiegazioni, credo che non
ne hai bisogno. Non chiedo neanche io spiegazioni. E’ talmente assurda
tutta la storia che non vale nemmeno la pena di soffermarsi un istante di
più e rifletterci sopra. Non farmi neanche le tue scuse, non c’è
bisogno, sarebbero d’obbligo e scontate. Diciamo che le accetto ma con
riserva. Ti auguro tutta la felicità che puoi desiderare e addio...”
La conoscevo talmente bene che con un errore trascurabile avrei
indovinato tutte le parole e perfino le pause durante l’esposizione
delle sue ragioni, ma forse mi sbagliavo e mi ero solo illuso… Solo
ora in realtà posso rendermi conto che l’amavo. Le cose non si
capiscono mai mentre si vivono e questo rende la vita dannatamente
complicata, dannatamente… Ed
ora che finalmente posso dire di conoscere Sara fino in fondo, sono certo
che avremmo vissuto insieme per molto tempo. Purtroppo la vita è fatta di
cose vissute, perse negli attimi più fatali. E’ facile sentirsi soli
tra miliardi di stelle e tra milioni di vite proprie vissute in parallelo
di cui una sola è quella che conta: la peggiore. Sono
convinto che Sara non l’avrei mai lasciata e il “poi si vedrà” mi
avrebbe portato dritto all’altare. Il prete avrebbe ritualmente detto
messa, avrebbe chiesto a Sara se voleva prendermi in sposo e lei
guardandomi fisso negli occhi con quella sicurezza quasi sfacciata avrebbe
detto “si”, convinta che un giorno mi sarei convertito alle sue idee e
sarei diventato l’avvocato più famoso di quest’Italia a pezzi,
garantendole uno schifo di strada in discesa troppo monotona e facile per
un Marco Pantani come me… Poi
il sacerdote si sarebbe rivolto allo sposo ed io guardando in basso verso
le scarpe della sposa mentre nella testa mi sarebbero sicuramente passate
immagini di lei nuda sul letto, in cucina, sul divano, sotto la doccia,
insomma ovunque, avrei sussurrato “si” e aggiunto fra me e l’eterno
vuoto che ho “poi si vedrà”.
Il
tg era finito da un pezzo. I ponti di Belgrado erano completamente
distrutti. Preoccupato mi alzai nudo dal letto e bussai alla porta del
bagno. Attesi un attimo e poi entrai. L’acqua era uscita dalla vasca
bagnando il pavimento fino all’angolo più lontano. La luce sopra lo
specchio era fioca. Il vapore acqueo s’era condensato sulla parete. La
testa di Sara era completamente immersa sotto uno strato di schiuma
dall’odore di rosa. Avevo intuito subito il gesto sconsiderato che aveva
compiuto. La tirai fuori dall’acqua e rimasi a guardarla. Non provai
neanche a soccorrerla, era troppo tardi. Mi limitai a stargli accanto
senza neanche la speranza di poterla rivedere in vita. Mi balenò solo
l’idea di imbalsamarla e tenerla con me per sempre. Vederla ora, lì
ferma, inanimata, Morta, mi sembrava che si fosse compiuta la tragedia
più grande del millennio. La guerra e tutti i profughi non contavano più
nulla, con lei mi sembrava che fosse morta tutta l’umanità. La
sera stessa dormii accanto a lei. Le asciugai i suoi capelli neri con un
semplice asciugamano e poi riposammo insieme. Non parlò mai. Facemmo
l’amore ad occhi chiusi e in silenzio. Poi la tenni stretta per non
farla scappare. Tornò la sera. Le feci fare un nuovo bagno e poi le
asciugai di nuovo i capelli. Quella
sera rifeci il sogno che facevo da bambino. Ero sott’acqua e non
riuscivo a riemergere. Qualcosa però non andò come al solito e annegai. La
mattina quando mi svegliai guardai sotto la finestra. Le scarpe di Sara
erano ancora lì e mi sembrò la fine di un incubo.
Jeff
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JEFF@KATAMAIL.COM |
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