UNBREAKABLE – IL PREDESTINATO

 

(M. Night Shyamalan – USA ; 2000)

 

Il mondo dei fumetti. Gli eroi fanno parte di questo universo.

Quanti bambini, e non più bambini, hanno sognato su storie di eroi invincibili, con corazze impenetrabili.

Quante generazioni hanno ammirato i vari Batman, Superman e simili; esseri che da tranquille persone si trasformavano in esseri senza macchia e senza paura, in grado di sconfiggere i nemici più implacabili.

Quanti giovanissimi, in passato come ora, si perdono letteralmente davanti alle avventure dei vari “robot” invincibili, sempre protesi a sconfiggere il Male.

Dai fumetti al Mondo. Descrivere un supereroe in carne ed ossa, con riferimento ai fumetti, può essere davvero interessante, per mostrare anche i rapporti tra un mondo favolistico, ma bidimensionale, ed un mondo tridimensionale, che è quello in cui ci muoviamo.

Shyamalan ci prova, in un modo piuttosto interessante. E diverso da quello che ci possiamo immaginare.

Se ci si aspetta azione a livello vibrante, persone che volano o cose simili, rimarremo di certo delusi. Così come se ci si aspetta di vedere qualche “Goldrake”, “Mazinga” e simili in azione.

David Dunn (Bruce Willis), infatti, è ben lungi dall’essere l’eroe senza macchia e senza paura che potremmo pensare. Ne appare, per contro, un uomo, con drammi e conflitti interiori, con situazioni e problemi del tutto “umani”. Ben lontano, quindi, da quegli eroi dei fumetti che possiamo immaginare. Infatti, lo scopo del regista non è di certo quello di prendere un personaggio dei fumetti e farlo, quasi per magia, camminare nel nostro Mondo, non è di certo quello di associare i “cartoons” alla Realtà (come in lavori quali “Fuga dal Mondo dei Sogni” o “Chi ha incastrato Roger Rabbit”), ma è quello di utilizzare i fumetti come punto di partenza, suggestivo, per mostrare un qualcosa che di fumetto ha davvero poco.

Il ritmo, poi, ben lontano dall’essere sempre frenetico, è spesso meditativo, cadenzato, e ci troviamo sovente catapultati in situazioni di autentico delirio, ove i piani di realtà si confondono, ove i suoni, i rumori, appaiono amplificati, ove le voci appaiono rallentate, ove il tempo stesso sembra fermarsi.

La macchina da presa inquadra spesso l’eroe, non per evidenziarne caratteristiche sovrumane, modi di essere incredibili, ma per mostrarne un personaggio intenso, ricco di emozioni, vibrante ma dal punto di vista umano.

Come nei fumetti: spesso qui gli eroi hanno un contraltare, un anti-eroe che, ha caratteristiche opposte, ma che è unito da qualche filo conduttore, spesso oscuro, all’eroe. Qui, l’anti eroe è Eljah Price, detto “l’uomo di vetro”. Le sue ossa soggette ad una rara malattia genetica, non hanno consistenza. Egli è finito molte volte in ospedale per fratture. Appare malfermo, è nero di pelle (forse anche questo è un simbolo, nel senso che David è bianco? Forse un contrasto tra il bene e il male, naturalmente senza nessun riferimento o giudizio razziale, ma solo associando al colore bianco il bene ed al nero il male? Questo il Regista non ce lo dice), ed ha una grande passione: i fumetti, forse per cercare, tra gli Esseri Umani, il suo eroe, il suo opposto. E lo trova in David. Anche se, forse, non è il tipo di eroe che si aspettava di trovare. Ma anche Elijah non è l’anti - eroe che ci si potrebbe attendere. Apparentemente, infatti, egli non è malvagio, e viene descritto con modi e caratteristiche che possono in qualche modo avvicinarsi a David. Le inquadrature su di lui lo mettono in evidenza come un soggetto misterioso, ambiguo, di certo inquietante. La sua presenza incute sempre una certa soggezione. Anche i luoghi in cui lo si ritrova appaiono quasi irreali. L’irrealtà, comunque, è una caratteristica di Elijah, quasi fosse un personaggio che si muove con tempi e modi diversi dal Mondo esterno. Il modo con cui viene inquadrato, comunque, ne mostra un qualcosa di maligno, di destabilizzante, di incerto.

Il Regista è lo stesso de “Il Sesto Senso”. Ed anche il protagonista, Bruce Willis, è il medesimo. Simile è, decisamente, anche lo stile del racconto. L’inquietudine, una sottile tensione che lega tutta la storia, il senso dell’irrealtà, un’atmosfera quasi allucinata, che spesso scuote ma senza mostrare violenza, sono caratteristiche di entrambi i lavori.

Il mistero è un’altra delle componenti che possiamo notare. Lo stesso David è misterioso, nel suo incedere. Il mistero attorno a lui è descritto in modo da lasciare un forte senso di attesa. La suspense viene creata, come già dicevo, dilatando, rallentando, attraverso un uso dei suoni e dei rumori.

Il narrare crea, come già evidenziavo, molta inquietudine. L’angoscia, la tensione è inferiore, probabilmente, a quella de “Il Sesto Senso”, ma l’impressione di sospensione che il regista crea, di oscurità, di un qualcosa che viene detto e nello stesso tempo celato, che volutamente vuole non essere rivelato, è presente con forza in questo lavoro.

La sospensione è un’altra delle caratteristiche che balzano subito all’occhio. I colori stessi, le immagini, tendono a confondere, a porci fuori da una spazialità ed una temporalità come noi ce la possiamo attendere. E forse a collocarci all’esterno dello spazio e del tempo. Le stesse ellissi temporali, che nella storia sono presenti in alcuni momenti, tendono a dare una sensazione di una continuità ricercata su altri piani, magari più analitici, magari addirittura mentali o astratti.

L’impressione generale che si può ricavare da questo lavoro è senza dubbio positiva. Il modo che Shyamalan ha scelto per descrivere il supereroe è interessante perché mostra, al di là di qualsiasi idea, l’”umanità” che ‘è in fondo ad ogni persona. Interessante anche per il modo di descrivere, con quel filo di inquietudine, quella sottile angoscia che pervade il tutto, senza eccessi, ma quel tanto che basta per suscitare l’interesse dello spettatore, per non fargli perdere l’attenzione, per trasportarlo in un’atmosfera davvero, a tratti, coinvolgente.

Se un appunto si vuole fare al film, si può notare che, in alcuni momenti, il regista eccede in questi rallentamenti, dilata ed amplifica in modo forse sovrabbondante, con scene eccessivamente lunghe. Risulta, infatti, qua e là, qualche confusione tra i piani temporali, che possono rendere il lavoro, in alcuni momenti, di non immediata comprensibilità, e destare un po’ di confusione.

Ma è solo un dettaglio, in un lavoro di buona fattura, che ha il pregio di riprendere l’argomento, non nuovo, del rapporto tra “cartoons” e realtà, in modo nuovo, interessante, non scontato, con un linguaggio descrittivo coinvolgente e ben utilizzato.

E, come già accennavo prima, al di là dei vari “rambi”, fa emergere quello che di vero e profondo c’è nell’uomo, sia esso o meno un Supereroe.

 

Sergio Ragaini