Shakespeare ed il cinema giapponese: RAN di Akira Kurosawa

Sarebbe fin troppo facile accusare Kurosawa di fare del cinema sulla letteratura, caratteristica peraltro comune ad altri grandi cineasti quali quali Stanley Kubrick e Max Ophlus.

In realtà la rilettura del regista giapponese è estremamente originale e si riallaccia al filone della letteratura giapponese di questo secolo, ispirandosi ad autori quali Rynosuke Akutagawa e Yukio Mishima. Il suo cinema si caratterizza per la potenza evocativa delle immagini, la violenza delle scene di battaglia, (degne di un quadro di Paolo Uccello) ed al contempo, per la decadente bellezza della sua simbologia, che rimanda a capolavori immortali quali bellezza e tristezza di Kawabata

Due tematiche predilette da Kurosawa sono senz’altro il problema dell’identità e la fallacità dello sforzo umano di riscattarsi di fronte al destino. Tipici esempi di questa riflessione sono rappresentati da "Kagemusha l’ombra del guerriero" e dal suo primo film (ancora in bianco e nero), Il cane randagio .

Nel primo, ambientato nel periodo delle guerre civili giapponesi (1573-1603) un volgare ladro condannato a morte viene costretto dal clan nobiliare dei Takeda ad impersonare la figura di Shingen, principe aspirante al ruolo di Shogun, rimasto ferito mortalmente durante l’assedio della sua fortezza da parte dell’esercito del signore della guerra Oda Nobunaga.

L’uomo si immedesima talmente in questa maschera che nella battaglia finale (1582, sconfitta di Takeda Katasuyori), girata dal regista con grande profusione di mezzi, si immolerà al posto del suo defunto sosia, riscattando in tal modo la sua esistenza. Il personaggio del ladro, il cui nome non viene mai pronunciato, è sicuramente accostabile a molti dei derelitti buffoni shakespearini, quali lo Yorick di Amleto ed il matto di Re Lear, entrambi accomunati dal loro ruolo di comparse nel palcoscenico della storia, ma anche parodie viventi della follia del potere.

Ran (follia), 1985

Dando per scontata , per ovvie ragioni di spazio, la conoscenza della trama di Re Lear, interessante si presenta una comparazione tra il film e l’opera Shakespeariana.

Una prima differenza riguarda i protagonisti: nel dramma teatrale sono le tre figlie di Re Lear, Cordelia, Gonerilla, Regana ad ereditare il regno del monarca loro padre, mentre la figura del cospiratore, Edmund, è maschile.

Nel film Il principe Hidetora di Hikimonshi, corrispettivo giapponese di Re Lear, distribuisce le proprie terre tra i tre figli maschi del casato, ed il ruolo di cospiratore spetta alla principessa Kaede, figlia di un suo antico nemico sconfitto ed ucciso in battaglia. Kaede sposa del maggiore dei fratelli eredi, la cui famiglia fu in passato decimata dal grande principe.

Esattamente come nel re Lear, non appena avvenuta la distribuzione delle terre, i tre figli tendono ad esautorare il padre, che orgogliosamente vuole mantenere il titolo di principe ed una guarnigione di 30 samurai scelti a lui fedeli.

A difendere Hidetora interviene il principe Saburo, suo figlio e corrispettivo maschile di Cordelia, il quale può contare sull’amicizia e la protezione di Fujimaki un principe da sempre amico del clan.

Intanto la lotta intestina tra i fratelli contendenti continua, alimentata dalla trame occulte di Kaede. Rimasto ucciso in battaglia Taro, suo marito, la donna riesce a sposare il secondogenito Hishiro, nuovo capo del casato, adescandolo e costringendolo a ripudiare la sua prima moglie, la principessa Sue, la quale rappresenta il personaggio femminile positivo del film. Hidetora sterminò la sua famiglia e, per evitare pretese dinastiche, accecò il giovane erede maschio, che da allora vaga in compagnia dei superstiti della famiglia, suonando il flauto protetto da Sue, sua sorella, seguace del culto del Budda Amida.

Nella sua spietata volontà di vendetta Kaede arriva a chiedere al nuovo marito di uccidere l’ ex moglie, confessandogli: "non sopporto l’esistenza in vita di un’altra donna che abbia conosciutio il tuo corpo" All’esecuzione di Sue si oppone Kurogane, capo dei samurai al servizio del principe, che affronta la donna a viso aperto definendola "una volpe" che si aggira per i boschi.

La questione dell’assassinio di Sue resta sospesa sino alla fine del film, quando troverà il suo drammatico epilogo.

Intanto la situazione precipita ed il principe Hishiro decide, spinto dalla nuova moglie e contro il parere di Kurogane, di attaccare battaglia in una pianura contro le forze di Fujimake.

La scena della battaglia è memorabile per il suo tragico impatto scenico. I fucilieri nemici di appostano nel bosco e decimano, colpendoli di lato, i cavalieri di Hishiro, che tentano inutilmente di caricare il grosso delle truppe schierato sul costone di una montagna.

Una volta visto che il suo esercito è falcidiato, Hishiro si asserraglia nella sua fortezza, antica residenza di Hidetora, deciso a resistere ad oltranza.. Qui Kaede riceve dalle mani del suo sicario la testa della principessa Sue, assassinata all’insaputa del marito e di Kurogane.

Raggiunto il suo scopo, ossia la distruzione del clan degli Hikimonshi, la principessa confessa tutto ad uno sconvolto Kurogane, che, con una violenza mista a terrore per la sua perversità disumana, la decapita con un colpo netto di spada.

Intanto, nella pianura, si consuma un’altra tragedia: Saburo, sotto gli occhi del padre ormai impazzito e farneticante, viene colpito ed ucciso sul colpo da un cecchino nemico. Hidetora muore dal dolore, come Re Lear, mentre il buffone impreca contro l’indifferenza divina alle sorti degli uomini.

A questo punto un’interpretazione del film richiederebbe conoscenze di cinema e letteratura giapponese di cui siamo sprovvisti. Molto si potrebbe dire sulle similitudini tra il film ed il dramma.

Certamente comune a Shakespeare è anche una certa misoginia nel dipingere il ruolo della donna come artefice di vendette e lotte intestine per il potere: anche in Ran sono le donne, ed in particolare la "volpe"Kaede, a manovrare gli uomini, usandoli cinicamente come mezzi per la soddisfazione delle loro ambizioni o per consumare vendette sognate da tutta una vita. Un pessimismo cui fanno da contraltare in entrambe le opere personaggi positivi quali Cordelia ed il principe Saburo. E’ tuttavia quantomeno curioso che nella pellicola la scelta del capro espiatorio cada su un maschio, mentre nel dramma Shakespeariano questo ruolo sia affidato ad una donna. Questo è probabilmente dovuto ad un motivo che per ragioni di spazio possiamo solo accennare, ovvero alla struttura fortemente maschilista della società giapponese del tardo medioevo ( e forse anche del Giappone moderno) .

A riprova di ciò è bene notare come nel film il personaggio femminile positivo è rappresentato dalla principessa Sue, seguace del Budda Amida (budda della Montagna), la quale incarna il concetto tipicamente orientale della rassegnazione e della sottomissione al fato e che ricorda per molti aspetti un'altra figura di donna rassegnata, devota alla stessa divinità, la Tomo di Onnazaka, capolavoro di Fumiko Enchi.

La principessa viene infatti assassinata da un sicario di Kaede, mentre il fratello cieco, nella memorabile scena finale, cammina aiutandosi con un bastone verso un precipizio, mentre la pergamena raffigurante il Budda giace in fondo ad un burrone, irraggiungibile. Il film si chiude con questa tragica allegoria che tocca forse il vertice del pessimismo antropologico del grande vecchio del cinema giapponese.

Un pessimismo da cui l’ultimo Kurosawa (Sogni, Rapsodia d’Agosto) sembra prendere le distanze , ripiegando verso un sofisticato ma talvolta vacuo estetismo.

Bibliografia

William Shakespeare: Re Lear

Yasunari Kawabata: bellezza e tristezza

Yokio Mishima: opere

Fumiko Enchi: Onnazaka, il sentiero dell’ombra

Rynosuke Akutagawa: Rashomon ed altri racconti

 

filmografia

Akira Kurosawa:

il cane randagio

Kagemusha, l’ombra del guerriero

Ran

Sogni

Rapsodia d’agosto

 

A Cura di Elisabetta Bacillieri e Roberto Meloni

 

Cara Cyn,

ti eri detta ansiosa di leggere il nostro nuovo parto shakespeariano e abbiamo pensato bene di accontentarti stante pede. Devo tuttavia precisare che Elisabetta, mia semplificatrice, è in villeggiatura e pertanto, senza le sue amorevoli cure, potrei aver preso il volo come sempre.

Ora mi concederò una –vera- pausa di riflessione, anche perché Niegel, il mio amico inglese, ha ben altro da fare in questo periodo che occuparsi di William Byrd.

Un saluto anche a Silva,

Roberto

e lo costringe a ripudiare la propria moglie, anch’essa figlia di un nobile sconfitto , la principessa Sue