L’ORA DI RELIGIONE
Di Marco Bellocchio
Il titolo parrebbe evocare un discorso sull’insegnamento della
Religione, e sui problemi connessi a qualcosa su cui il dibattito è già
ampiamente avviato, in ogni tipo di ambiente.
In realtà, l’insegnamento della Religione, in questo film, è solo un
qualcosa per introdurre un discorso di più ampio respiro. Un discorso che va al
di là, anche, della stessa Religione, ponendoci in una dimensione completamente
diversa.
Una causa di beatificazione della madre di un noto pittore, Ernesto
Picciafuoco. Tutto questo dà solo il via al lavoro, sviluppando sino in fondo
le tematiche relative allo spirito, all’elevazione dell’uomo e ai suoi
significati.
L’argomento della spiritualità è di certo dominante, nel film. Dal modo
candido (ma non povero di efficacia) con cui una bambina, la figlia di
Picciafuoco, se lo pone, sino ai modi di porselo dei “grandi”, modi di certo
meno limpidi e spesso molto lontani dalla vera Spiritualità.
Il film, infatti, ben lungi dall’essere anti-spirituale (il modo con
cui è descritto lo dimostra) scaglia strali contro una religiosità fatta solo
di forme, di interessi, di riti. Belloccio si oppone con forza ad un modo di
intendere la spiritualità e l’elevazione dell’individuo che anteponga a tutto
l’interesse personale.
Di certo il Regista si oppone al convenzionalismo, al ritualismo, alle
pratiche non sentite, ma sposa completamente la causa della coerenza, di coloro
che vanno fino in fondo in quello in cui credono, senza nascondersi dietro a
forme e convenzioni. In questo, Bellocchio è molto deciso, e non sposa di certo
il motto “Parigi val bene una messa”. Anzi! Prima di tutto viene la coerenza
con sé stessi, ed a questo tutto deve essere anteposto, rinunciando anche a
possibili privilegi.
In questo, Picciafuoco appare forse il personaggio più positivo nel
film, anche per la sua capacità di vivere e sublimare il Reale ad un tempo.
Qui i personaggi sono un altro punto ricco di interesse. Spesso
caricati, talvolta al di là delle convenzioni, altre volte al limite del
grottesco. Talvolta, ogni personaggio appare muoversi in uno spazio ed in un
tempo suoi personali, quasi incurante di quanto accade al di fuori di sé. Ma
questo non è così un mistero! Ogni individuo ha un suo “universo interiore”,
che spesso fatica a comunicare con gli universi altrui, e molte volte la
comunicazione non avviene.
In questo film la comunicazione è in alcuni momenti offuscata dal
dogmatismo, da quell’insieme di regole che, invece che avvicinare alla Verità,
da questa allontana in modo drastico.
La comunicazione va cercata, invece, (ed il Regista lo lascia intendere)
in quello che di più profondo appare in noi, quel qualcosa che può unire
persone diverse, quel dialogo fatto non di preconcetti ma di vera apertura e di
coerenza.
Il modo con cui il Regista descrive le arie situazioni è a tratti pura
poesia. La dimensione del sogno, molto marcata in alcune scene, trascende
qualsiasi discorso, cercando di portarci su un diverso livello di percezione.
Spesso ci troviamo in situazioni al limite dell’incredibile, ove tempi, spazi e
piani di realtà appaiono dilatarsi, restringersi, confondersi. In questi casi
ci conviene, per gustare fino in fondo quanto vediamo, non opporre resistenza,
ma lasciarsi trasportare dai suoni, dalle musiche, dalle immagini, vivendo le
sensazioni che ci possono dare, gustandole appunto come una poesia che, se a
tratti può apparirci ermetica, quando viene letta più “sentendola” che cercando
di interpretarla ci sa donare splendide sensazioni.
A tratti, alcune scene appaiono come dei veri e propri dipinti, dove il
linguaggio figurativo è molto forte, e l’immagine ci pare più statica. In
realtà, il tutto ci mostra un grande gusto per l’immagine, per l’inquadratura,
per la ricerca del particolare.
In tal senso, non è un caso che Picciafuoco sia un pittore. Un
personaggio, quindi, che ritrae la realtà, ma al contempo la trasfigura, la
plasma, ne fa una “sua” realtà. E
questo appare con decisione nei disegni sul computer, dove vengono modificati,
a piacere, importanti monumenti, cancellandone parti, facendoli scomparire o
aggiungendone particolari apparentemente senza legame con la loro struttura e
collocazione. Forse questo è un altro modo per esprimere il disappunto con una
Realtà che non viene accettata in quanto finta, cercando invece la più
autentica espressione di sé.
Il tutto, letto oltre le apparenze, ci porta invece ad una comprensione
più profonda della Realtà tangibile, dove la trasfigurazione è solo un modo per
inquadrare ogni cosa in un ambito più ampio, più profondo, in cui le differenze
appaiono appianarsi, ed ogni cosa risulta invece come una parte di un grande
affresco. Non è un caso, infatti, che a Cannes il film abbia conquistato il
“Premio Ecumenico”.
Ma,
forse, come dicevo prima, il film va anche gustato per quello che realmente può
darci. E credo proprio che, osservandolo cercando di “entrare dentro” lo
schermo, lasciandosi trasportare dalle immagini, dai suoni e dalla musica, ne
possa derivare qualcosa di davvero interessante.
Qualcosa per cui vale la pena prestare un po’ di attenzione, andando
oltre pareri e preconcetti, per poter osservare panorami e spazi più ampi e
luminosi.
Sergio Ragaini