La vera storia di Jack lo squartatore

 

Titolo originale: From Hell

Nazione: USA

Anno:  2001

Genere: Dramm.

Durata 121’

Regia: Allen & Albert Hughes

Cast: Jhonny Depp, Heater Graham, Ian Holm, Jason Fleming, Susan Linch

Scene: Martin Childs

Fotografia: Peter Deming

 

Un film decadente in tempi di post modernismo possibile?

Forse sì

L’elemento dominante è chiaramente la morte il che determina e giustifica la definizione precedente

Per capirci qualcosa partiamo come al solito dall’intreccio.

 

Un brillante detective impersonato da Jhonny Deep (non nuovo a parti simili ricordiamo Sleepy Hollow) viene incaricato di trovare il responsabile di una serie di omicidi di prostitute,

barbaramente sgozzate e  fatte a pezzi… troverà l’assassino e, perdendosi, forse troverà anche una strada per ricomporre finalmente se stesso …forse.

 

 

From Hell:  La vera storia di Jack lo squartatore

 

Sezioni, intersezioni, spezzoni montaggi accelerati, replay, echi, cosa hanno in comune tutti questi elementi presenti ripetutamente, a intervalli regolari ci verrebbe da dire, in questo film decadente?

La storia è ambientata nella fumosa Londra vittoriana e per i lubrichi vicoli ciechi dei suoi quartieri più malfamati   si aggira un professionista del taglio e cucito, specializzato nel prelevare souvenir da portare a casa in assenza di foto ricordo, risultando la macchina fotografica portatile, strumento ancora da inventare.

Il fatto è che come in Sleepy Hollow tra le atmosfere fumose, cioè in questo caso  ambigue, Deep si trova perfettamente a suo agio, al punto che, per risolvere i suoi casi, ricorre alle  visioni  prodotte dal largo consumo di  nuvole di oppio. Oppio, Laudano, Assenzio, come in ogni favola che si rispetti il pentolone ribolle degli ingredienti magici che questa volta  ci porteranno nel cuore, è  proprio il caso di dire, del mistero, mistero che, pur apparentemente risolto, come spesso capita nei trhiller parapsicologici che  si rispettino come questo, non fa che chiudere una porta per lasciarne aperte molte altre…  

Ma tornando alle dissezioni sono dunque queste il tema , il piatto forte del film? Se la risposta è sì queste non possono  che essere  significanti di una dissonanza intesa a più ampio raggio: l’uomo già nella società capitalistica della belle epoque è vivisezionato dalle esigenze della ragione di stato e di stampa, e allora ricorre, per sentirsi ancora vivo, ancora tutto d’un pezzo, ai rassicuranti riti, che testimoniano ancora l’esigenza di sempre: sentirsi per un’ora, un giorno, un momento il creatore o un suo stretto parente; così è per l’investigatore a caccia dell’indizio rivelatore, così è per l’assassino.

Non è  raro, allora, che le intersezioni non indichino  solo le direzioni e le posizioni assunte dai corpi delle vittime ma anche i presunti possibili incontri tra l’una e l’altra parte di noi, tra il bianco e il nero, tra il bene e il male, tra il nostro vecchio  domani e il nostro possibile ieri.

I registi giocano poi con i tagli, c’è un girare  con primi piani insistiti sui tagli che grondano sangue e abbiamo addirittura la misurazione statistica della gittata  (2 metri)    di un fiotto di sangue dall’arteria dell’aorta recisa. Ma cos’è il cinema se non l’arte del taglio del fotogramma, del montaggio accelerato, in che cosa diverso, in che cosa simile all’operazione di un serial killer?

Forse anche qui i tempi per una produzione possono apparentemente dilatarsi nella psiche  di chi scrive pensa, idea un film per poi restringersi a pochi istanti, a poche ore, se vogliamo, in uno studio di montaggio. E ancora questi film che parlano di assenze, qui l’assenza domina, assente è a lungo l’identità dell’assassino, assente come in ogni depistaggio come Dio comanda il movente Reale, assente la via d’uscita finale, come a dire l’incubo continua, l’incubo è dentro di noi non si intravede la luce di un nuovo giorno e infatti le scene in notturna predominano. La soluzione per il colpevole è la condanna alla lobotomizzazione ancora una volta una condanna all’assenza da sé e dagli altri, ma in fondo a chi non conosce altro codice, altro linguaggio non resta che questo.

Se lo conosci lo puoi battere mi pare recitasse un adagio proverbiale, qui non è prevista né l’una né l’altra possibilità, a chi non conosce rimedio, come a Ulisse di fronte alle sirene, non resta che legarsi all’albero della nave e lasciarsi trascinare dalla corrente, ancora una volta  si spera  paradossalmente che  sia propria l’assenza, l’assenza di volontà,  il caso a  portarci in salvo.

Di notevole interesse poi la frase ripetuta un paio di volte da Jack: “un giorno si dirà che io avrò aperto le porte al XX secolo”: il disordine aumenta, le risorse diminuiscono, siamo nel terzo millennio ma solo virtualmente, nella realtà siamo ancora nell’Ottocento sembrano dirci i registi.  Delitti come quello di Novi Ligure non sono né pochi né rari,  Hannibal Lecter è stato il protagonista del film campione d’incassi in America, l’uomo nella sua folle corsa con la sua distorta razionalità travolge ogni senso di comprensione umana e il sentimento viene oscurato da quel bisogno che ha preso il suo posto e che richiede una soddisfazione  di tipo fast, cioè veloce e allora fast food,  fast sex, fast movie  come succede qui in un vicolo qualsiasi o facendo film con un’handycam qualsiasi.

Perché stupirsi allora, qui è tutto un reality show dove il cinico è vincente e cos’è un cinico se non un freddo, uno stereotipato uomo omologato in cerca d’omologazioni, un uomo che cerca di ripetere cioè, alla meglio, quegli schemi inculcati, per evitare quel processo che in ogni caso, come Kafka profeticamente anticipava, ti attende dietro l’angolo e  che speriamo sempre il più lontano possibile. Anche il nostro protagonista in negativo, l’antieroe che ci invita a prendere coscienza che “siamo tutti all’inferno”, nonostante la sua perizia, non scamperà al suo giudizio e alla sua condanna, la sua mancanza di creatività, l’impossibilità di trovare un’alternativa all’unico creatore noto cioè a se stesso, costituiva già la garanzia più triste della certezza  della sua  fine. A noi non viene in mente altro allora che citare i versi della poesia  che definiscono meglio di ogni altra lingua la realtà profonda della razionalità e/o della (sua) assenza: tratteggiando infatti la figura di S. Tommaso Dante dice: “u ben s’impingua, se non si vaneggia” cioè: la ragione che è  luogo da cui si trae la più grande fonte di ricchezza se non si è vani, cioè      

Svuotati, vuoti dentro di ogni senso profondo e significato, inteso anche in termini di risultato della presenza di un sentimento umano.

Che sia poi questa la cifra stilistica del film e il filo rosso del Ciclo?

Forse è così la linea d’ombra da varcare perché l’uomo cresca è  la linea di demarcazione tra  ombra e luce tra assenza e presenza.

 

                                                                                              Enrico De Crescienzo