LA LINGUA DEL SANTO

Origine e Anno: Italia, 2000

Regia: Carlo Mazzacurati

Produzione: Rodeo Drive/Medusa

Distribuzione: Medusa

Soggetto e Sceneggiatura: C. Mazzacurati, Franco Bernini, Umberto Contarello, Marco Pettenello.

Direttore della fotografia: Alessandro Pesci

Montaggio: Paolo Cottignola

Scenografia: Leonardo Scarpa

Cast: Antonio Albanese( Antonio), Fabrizio Bentivoglio( Willy), Toni Bertorelli( Krondano), Ivano Marescotti( Roncatelli), Isabella Ferrari( Patrizia), Marco Paolini( S.Antonio), Giulio Brogi (Maritan).

Durata: 110’

 

Questa è la storia di Antonio e Willy, due uomini resi perdenti dalle circostanze che scelgono di essere inutili, o meglio dannosi, per quella società che li ha emarginati. Compagni di furti bizzarri e fughe rocambolesche si lasciano trascinare passivamente dagli eventi, decidendo di sprofondare lentamente tra le bassezze e le miserie di quanti ormai hanno perso la dignità, e non sono interessati a riacquistarla.

Il silenzioso e rozzo Antonio, un tarchiato, ma in forma Antonio Albanese, dopo la morte dei genitori sprofonda in una desolante solitudine, l’inizio del declino. Perennemente in tuta, Antonio, che nella vita non ha trovato né un posto né un ruolo, si dedica al rugby riscuotendo soldi ad ogni goal segnato…almeno lì le regole sono chiare, e il suo lavoro diviene l’evitar di lavorare, come spiega la voce over di Willy. Quest’ultimo, interpretato da un fascinoso, ma sfiorito Fabrizio Bentivoglio, è la coscienza incosciente della strana coppia. Costantemente in giacca e cravatta, Willy mantiene la parvenza da uomo sposato e rappresentante, ma perde sia il lavoro sia la moglie, Patrizia, un’Isabella Ferrari tanto amata e venerata da sembrare una sacra apparizione, che lo abbandona per un noto e stimato chirurgo. Inizia la resa e l’abbandono di fronte alla realtà, inaccettabile, ma passivamente accettata.

I due vagabondi s’incontrano all’ombra di quella ricca provincia veneta, che così miseri li aveva resi. Complici di piccoli ed inconsistenti furti, vengono a trovarsi al centro di un vortice in grado di risucchiarli. Ignari di avere tra le mani il colpo della loro vita, apprendono dai media di aver trafugato la sacra lingua di Sant’Antonio, custodita nella teca d’oro e rubini che aveva colpito l’attenzione del grossolano Antonio. Il sacrilego furto suscita l’indignazione di Padova e attiva la mobilitazione popolare. Di fronte a tutto ciò emergono le due diverse personalità, i due modi di affrontare la situazione, le due diverse sensibilità. Antonio è interessato solamente a sfruttare l’occasione di riscatto, ad ottenere la vittoria in una vita fatta solo d’insuccessi. Willy, invece, nutre rispetto per quel prezioso bottino, il cui valore è innanzi tutto simbolico, e si lascia suggestionare a tal punto da sentirsi protetto ed incoraggiato a concludere il colpo. Proprio quel sacro che lui aveva violato lo rende forte per affrontare la realtà, proprio quella lingua che aveva sottratto gli restituisce le parole che non aveva mai trovato.

“La Lingua Del Santo” è un film divertente, a tratti esilarante, ma definirlo commedia sarebbe riduttivo. E’ l’amaro ritratto di due corpi che si lasciano trasportare dalle maree, lasciando a queste la facoltà di stabilire l’intensità e la direzione del loro viaggio alla deriva. Ma la malinconica bellezza della laguna risveglia l’anima dei corpi dormienti, e restituisce quella dignità che sembrava ormai definitivamente compromessa.

La Padova di Mazzacurati non è più l’opulenta provincia del Nordest, ma la piccola ed ordinaria città vista dagli occhi di due emarginati. Quegli occhi non più costretti ad abbassarsi e disperdersi nell’anonimato, ma riconoscibili dagli altri occhi, ora non più indifferenti.

Alessandra Sessa