e poi che ne sai amore
di quante volte mi sono inginocchiata
della mia bocca bianca con
dentro una ciliegia che ne sai
se prego sul tappeto e brucio
le tue foto come una strega
mi pento ma non chiedo
perché anche tu
possa naufragare
dove l’ardore spiega le
vele e nel buio i singhiozzi
assomigliano a un canto
Alina
hai detto
una campana,
sotto un velo
di luce sbrindellato
incurante
della lingua
di quel prato
ben accudito
tra le gambe
annuncio di prima estate
torno a casa
abbracciando
pioggia e tuoni
nelle mucose
un sasso
No – hai detto
e l’eco di
quel suono ottuso
si raggomitola
nel petto
tra le costole
l’alba
non ha colore
Giano bifronte
vi prendo entrambi
sovrappongo
gli sguardi che
non combaciano
ma tanto non
sento e
senz’altro non svelo
il segreto
aranciato del mio desiderio
vi scambio
ignari e non ci penso
mi arrovello
svilita scavata svanita
e voi lontani
con gli artigli affondati
supponete
smembrando carni ottuse
e il cuore già
perso dietro le grida
che non lesino
per fuorviarvi
parole
soltanto nei sensi vi sfuggo
mi perdo per
non guardarvi
per non
sentire il peso concreto di quel
vuoto riempito
che poi si ritrae
ed è solo
carne
da mangiare a
pane e baci
da leccare
piano accucciata
tra le cosce
scure di terra
alla terra
ancorate radici
dove la mia
lingua prepara
un nido di
sospiri e tu
che mi afferri
la testa – così!
così
trattenuta
con mani molli
e affamate
del ventre
biscotto che ti riporta
arreso da quel
bianco bacio
poi condiviso
quietato
a lei che
spoglia il tuo silenzio
deluso
a lei che
semina bambini sui
davanzali
dolci come
chicchi rotondi
forti contro
ogni tempesta
a lei che
apparecchia il tuo posto
ti stira i
sorrisi
cammina al tuo
fianco nelle
domeniche di
aprile
non dire
della lingua
sulle ferite
delle dita
nello sgomento
che
t’addormenti tra le mie gambe ricucito
non dirle –
mai
che c’è stato
uno scambio