BOWLING FOR COLUMBINE
Di Michael Moore – USA ; 2002
Cosa accomuna atti violenti in casa e atti violenti a livello sociale?
Cosa accomuna azioni violente contro popoli e nazioni a azioni violente nella vita di ogni giorno?
Perché la violenza? Perché siamo portati ad essere aggressivi, invece che basare il tutto sul dialogo e la comprensione?
Il bellissimo film documentario (anzi, visto come è strutturato, sarebbe più indicato chiamarlo "documentario film") di Michael Moore vuole studiare questo. In particolare vuole studiare l’uso di armi da fuoco negli Stati Uniti, ove gli omicidi con le medesime sono davvero moltissimi.
Non narra di storie, non costruisce una trama, non vuole andare a descrivere una vicenda, ma entrare nelle pieghe della società, nei meandri dell’Essere Umano, per cercare risposte alla violenza (con le armi ma non solo!) negli Stati Uniti, al perché una persona possa arrivare ad uccidere, a quali siano le cause che muovono la violenza.
Moore entra in ogni situazione esistenziale, ed è capace di confezionare circa due ore di reportage che ha decisamente pochi eguali. Ad una regia veloce, sempre puntuale, che non pende un colpo, il regista unisce un ritmo incalzante, che nulla ha da invidiare ad un film. Interviste, spezzoni di immagini del passato, incontri, azioni dal vivo, persone, si affollano sullo schermo, e tutto è teso ad avere delle risposte, che non siano quelle che le strutture e la cultura dominante, spesso ricca di moralismi inutili e di preconcetti, vogliono servirci, quasi su un piatto d’argento. La ricerca della Verità, della vera causa della violenza, è qui costantemente in primo piano. Attraverso l’unico modo possibile per ricercarla: partendo dalla gente, da quello che la gente fa e consuma, da quello che guarda in televisione, da come sente, da come percepisce. Le sensazioni della gente sono costantemente uno dei motivi dominanti di questo film. Moore, attraverso le sue riprese, riesce a farci sentire le situazioni, non solo a mostrarcele. Riesce a farci percepire veramente cosa ci sia al di là di quello che noi possiamo osservare. Riesce a portarci alle vere cause degli scoppi, sovente improvvisi, di violenza, all’uso improprio delle armi. Luci, colori, suoni, spesso apparentemente caotici (ma solo apparentemente, in realtà il lavoro presenta un grandissimo ordine), puntano tutti verso una sola direzione: andare oltre le pieghe dell’apparenza, così ben presentate con le loro sfavillanti luci, per centrare la sostanza, ed i motivi veri delle cose.
I risultati a cui il regista arriva possono essere addirittura inquietanti. Sin da subito il suo interrogativo è la ricerca dell’aggressività, insita (purtroppo) nel genere umano, ma da sensazioni esterne, di certo, stimolabile. La sua domanda: "cosa indirizza l’aggressività", la libido, verso la distruzione invece che verso uno sviluppo creativo? Cosa porta la persona, invece che ad organizzare i propri impulsi vitali verso la creazione, ad organizzarli verso la disgregazione?
La sua risposta appare inequivocabile, e purtroppo veritiera: la violenza, l’ostentazione della violenza, la "psicosi della violenza" non fa che generare altra violenza, in un circolo che, oltre a non avere fine, si ingrossa come una valanga, trascinando con sé tutto quanto trova sul suo percorso, non importa che siano popoli, luoghi, persone sofferenti e così via: questa psicosi della violenza trascina tutto.
Tutti noi sappiamo che, nell’uomo, esistono due motori fondamentali: l’eros (o forza creatrice) e il Thanathos (o forza distruttrice). La coesistenza di queste forze, ed il loro equilibrio, forma la personalità.
Mostrare in eccesso, e stimolare la violenza, inevitabilmente porta verso la generazione di nuova violenza, perché inevitabilmente porta l’attenzione verso la distruzione invece che verso la costruzione. Questa è la risposta, lapidaria ma reale, di Moore. Il paragone vincente è quello con il Canada, dove, pur avendo quasi tutti i cittadini armi da fuoco in casa, la violenza è senz’altro molto minore. Questo perché i canadesi non sono quotidianamente bombardati da messaggi inerenti la violenza, ma piuttosto ricevono input positivi a livello sociale, per la creazione di una società realmente più giusta ed umana.
Il "mito del superuomo", il "rambismo" il mostrare l’uomo vincente in quanto "uomo duro" porta ancora, inevitabilmente, a far emergere il peggio della persona, a far risultare il lato peggiore e più oscuro dell’individuo. E, purtroppo, a generargli esplosioni incontrollate di violenza.
Il bello del lavoro è che tutto questo è descritto senza falsi moralismi, senza giudizi pietistici, senza falsi pudori di coloro che si mettono dalla parte dei "buoni", mettendo tutti gli altri dalla parte dei "cattivi". Qui sono tutti buoni o cattivi, dipende da quello che viene fatto passare nelle persone.
Tra l’altro, il moralismo, il benpensantismo, il giudizio "facile" che etichetta con "che disgraziati" gli autori delle violenze, viene messo inequivocabilmente al bando. Non è di certo con il falso moralismo che si costruiscono persone diverse. Anzi, come vedremo a breve, è proprio il falso moralismo, il piangere sulle situazioni, il mostrare costantemente cose tristi e frustranti che genera, inevitabilmente, altra violenza. Lo scopo è mostrare cose edificanti, che facciano stare bene. Non di certo, comunque, evasione becera come quella, sovente, mostrata dalla televisione oggi. Un’evasione che non fa pensare, e che permette poi il passaggio di ogni struttura violenta, generando altra violenza.
Ma qui Moore va ancora oltre, quando parla di repressione. La psicosi della paura, l’educazione alla paura, l’educare al "pugno di ferro", è, senza dubbio, anche questa una causa scatenante di violenza. Infatti, anche atteggiamenti di questo tipo convertono la libido verso la distruzione. Basta guardare in natura per vedere che gli animali attaccano sovente come difesa, perché sono spaventati. Bene, il generare paura genera solo aggressività repressa, voglia di aggredire, ciò che poi tenderà a esplodere in violenza reale, quando se ne presenterà l’occasione idonea.
Il monito, qui, si estende a tutte quelle persone che, magari, si vantano della loro educazione repressiva, del riuscire ad ottenere quello che vogliono con metodi violenti e frustranti. Tra questi, i genitori che fanno della "cultura della sberla e della punizione" il loro credo, gli insegnanti che tengono la disciplina a votacci, note, dolore e punizioni e così via. Anche loro sono responsabili di questa violenza. Dalla frustrazione può nascere solo frustrazione, e dalla repressione può nascere solo libido deviata, e volontà di aggredire a sua volta. In fondo, anche questi metodi educativi sono metodi violenti, che portano senza alcun dubbio con loro un altro carico di violenza. Una mina vagante pronta ad esplodere in ogni momento, anche con la responsabilità di chi, di certo, era in buona fede. La prova è data dal regista quando mostra che, in fondo, metodi repressivi negli Stati Uniti hanno solo portato altra violenza ed aumentato l’uso delle armi da fuoco.
Ma Moore, infine, porta il discorso sulla vera religione di quest’epoca: il profitto. Mostrando come le lobby che producono armi da fuoco, per loro profitto personale, hanno interesse a diffondere la psicosi della paura, la psicosi della violenza, perché la gente compri armi e munizioni. Per profitto e denaro le armi vengono vendute a popoli, a stati, per denaro vengono provocate guerre, carneficine e così via. Salvo poi trovarsi ad avere generato mostri incontrollabili, costruiti dagli stessi uomini e difficilmente governabili. Come mostri crea, senza dubbio, la cultura dell’uomo forte (di cui parlavo prima), l’ergersi a salvatori della Patria, a giustizieri più o meno mascherati.
Le immagini che vanno a mostrare come Bin Laden sia stato addestrato dalla Cia e cospicuamente armato, come Saddam sia stato foraggiato di aiuti ed armi quando era utile, ed altro ancora, mostrano senza dubbio come la logica del profitto e del Mercato, se spinte all’estremo, generino più danni e distruzioni di ogni altra cosa. Quanto è accaduto negli anni successivi (fino al tragico 11 settembre 2001) ne è la prova: quando costruisci mostri, questi non sono più fermabili in alcun modo. Mostri costruiti nel solo nome del profitto, da realizzarsi a tutti i costi, senza preoccuparsi del carico di sofferenze che, in nome di questo nuovo Dio, si possono generare.
Il film è tutto un inno, invece, al dialogo ed alla comprensione, alla possibilità di risolvere le cose con le parole e con la trattativa piuttosto che con l’uso indiscriminato della forza. Solo il dialogo e la capacità di comprendere sino in fondo il bisogno delle persone (e non realizzare ciò che noi crediamo, superficialmente, che sia il loro bisogno!) può portare ad un Mondo nuovo, ad un uomo nuovo e ad una vita davvero migliore. Solo così la nostra forte carica di libido può essere utilizzata alla costruzione, alla creazione di qualcosa, e non di certo ad una violenza continua, anche se solo interna e pensata (ma il passo dalla violenza pensata a quella esplosa non è poi così lungo!). utilizzare le nostre forze per costruire, e non per distruggere, per creare positività e comprensione, armonia e dialogo. Questo l’unico modo, credo oggettivo, per fermare la violenza con le armi da fuoco, ma ogni tipo di violenza, verso una società dove, finalmente, si possa respirare positività.
Sergio Ragaini