A BEAUTIFUL MIND
Di Ron Howard
John Nash, uno dei più brillanti matematici del nostro tempo. Le sue teorie sono oggi applicate in diversi campi non solo strettamente scientifici, dalla Fisica all’Economia.
John
Nash, l’uomo, i suoi problemi, la sua malattia, le sue aspirazioni profonde, il
suo relazionarsi in modo particolare, quasi sfuggente, rispetto al Mondo, ma la
sua grande dimostrazione di umanità. A discapito del suo presunto non avere
cuore, e del suo definirsi in tal modo.
La
figura di Nash è presentata, in modo diretto, poetico e spesso inquietante, da
questo lavoro di Ron Howard.
Il
vago umorismo, lo spirito un po’ trasognato, a tratti quasi fiabesco, di cui
buona parte del film
è
costituito, non intacca, ma anzi enfatizza ed accentua il personaggio e la sua
vita.
Subito
la sua figura è presentata, come dicevo, in modo quasi staccato dal resto del
Mondo, come se questo personaggio si muovesse in un “suo” universo, e come se
già, noi che osserviamo, non percepissimo il confine tra ciò che è vero e ciò
che invece non è oggettivo, ma solo una possibile proiezione mentale,
un’illusione, anche se sempre permeata di realtà.
Howard
ci conduce per quasi mezzo secolo (dal 1947 al 1994) nella vita di questa
personalità brillante, ponendosi sovente nelle sue percezioni, nel suo modo di
vedere la vita e la realtà, in modo che noi stessi possiamo esserne permeati,
magari stupiti, di certo, in alcuni momenti, resi attoniti.
Infatti,
se il vortice delle equazioni di questa mente decisamente acuta, di questo
stravagante ma interessante personaggio, ci può a tratti coinvolgere, ed è
bello seguirne le sue evoluzioni mentali, non possiamo rimanere indifferenti
alla sua malattia, la schizofrenia, che gli fa percepire un mondo non vero, una
realtà che è solo nella sua immaginazione. Lo fa parlare con entità non
esistenti (qui Ron Howard è comunque bravo a farci subito intuire, anche se non
scoprire, la cosa). Lo fa vivere in un mondo completamente suo, soggettivo. Un
mondo che va ad esulare da quello, se vogliamo imperscrutabile e difficilmente
penetrabile, ma oggettivo, del matematico. Lo scienziato, il matematico, spesso
è apparentemente in un mondo suo, difficile da comprendere se non si è degli
addetti ai lavori. Tuttavia, questo mondo è fortemente oggettivo, comunicabile,
ed altri esperti possono capirlo, in quanto appartiene ad un reale astratto ma
non per questo meno vero. John Nash, invece, vive in qualcosa che solo lui può
capire, dove si trova solo, nel suo sconforto, nella sua profonda disperazione.
La differenza tra queste diverse percezioni del mondo è mostrata molto bene dal
regista, e ci sono molto chiari i diversi piani di realtà tra qualcosa che,
comunque, è quantificabile in modo oggettivo e un qualcosa che, chiaramente, è
comprensibile e quantificabile solo da chi lo percepisce, e del quale non
esiste alcuna possibilità di comunicazione. In questo caso, lo sconforto è
ovviamente altissimo, e il film ce lo mostra in modo molto eloquente.
Una
disperazione che si tenta di curare, anche con tecniche brutali (il famigerato
electroshock). Cure che, comunque, se riusciranno ad alleviare i sintomi,
faranno piombare John nella depressione più cupa, nella tristezza più
incredibile, anche per la coscienza di
non poter essere nemmeno uomo in tutti i sensi del termine (compreso quello
fisico-sessuale, ma anche quello della comune vita di relazione).
Il
film, in questo, è comunque una grande apertura alla speranza. E fa capire,
davvero, come spesso è possibile convivere con la malattia (entro certi limiti,
naturalmente), accettando le sensazioni non oggettive, dopo avere preso
coscienza della loro soggettività (John lo capirà quando si accorgerà che i
personaggi delle sue allucinazioni “non crescono”). Senza reprimere,
verosimilmente (anche con cose che, se da una parte cancellano o attenuano i
sintomi, dall’altra tendono ad annullare la persona), la vita cambia, e tutto
si stempera, anche le cose più gravi.
Probabilmente
il messaggio che Howard ci vuole mandare è proprio questo, ma può andare oltre,
su un piano più astratto e più universale: anche se, in taluni casi, le situazioni
appaiono impossibili, e la mente non ci sorregge, il cuore, i sentimenti, in
particolare l’Amore, possono operare il miracolo. L’Amore, in questo caso, è
quello di Alicia, brillante allieva di Nash, divenuta poi sua moglie. Grazie
all’Amore, alla comprensione, alla possibilità di sentirsi vivo, la grandezza
della “mente brillante davvero” del matematico può rifiorire, quasi per magia,
dal torpore in cui era stata posta, e produrre di nuovo grandi cose, ma
soprattutto esprimere il suo entusiasmo per la vita, per quella matematica,
misura della sua esistenza, ora più vera, perché unita al cuore ed alla
passione profonda. Nel film apparirà tra l’altro, in qualche modo, questa idea
della Matematica come Arte, nella sua eleganza di forme e costruzioni. Gli stessi
appunti che John prende sulle finestre assomigliano a una sorta di arte
astratta, e ci colpiscono per la loro precisione geometrica.
Ron
Howard, indimenticabile Ricky Cunningham di “Happy Days”, ha mostrato diverse
volte una certa passione per lo spazio, per il volare al di là della terra,
esplorando nuovi mondi, ed in generale per il fantastico (Una sirena a
Manhattan, Cocoon, Apollo 13) e comunque prospettando un’elevazione dell’uomo
al di là delle sue barriere fisiche.
Qui, di certo, la sua passione per il fantastico riappare (basta guardare a come viene inquadrato, in una scena, il cielo, e ai riflessi che John nota subito all’inizio per capire che il regista di “Cocoon” è ancora lui), ma stavolta il regista rivolge la sua attenzione dallo Spazio esterno a quello, non meno affascinante e di certo in buona parte ancora inesplorato, che ognuno ha dentro di noi, nei meandri della nostra mente, e di tutte le sue possibili reazioni. Senza dimenticare, chiaramente, lo spazio, o meglio gli spazi astratti della Matematica, che contengono molti universi possibili, e di certo offrono stimolanti esplorazioni per coloro che possono scoprirne i segreti, portandoci in modo logico e oggettivo al di là dei limiti del tangibile.
Un film che, a tratti, si lascia un po’ andare, forse in qualche ridondanza di troppo (alcuni lo hanno anche definito “troppo romanzato”). Ma non credo sia possibile non rimanere colpiti, fin dall’inizio, dalla nostra “entrata”, molto realistica, nel Campus di Princeton, luogo dove molte delle più brillanti menti del nostro tempo si sono ritrovate (lo stesso Einstein, che verrà velocemente menzionato), credo sia molto facile essere catturati dalle vicende di questo brillante matematico, sia facile seguirne le sofferenze, aiutati anche da una musica che tende a coinvolgere, e da atmosfere quasi sempre ovattate, in alcuni momenti quasi irreali. Le stesse ellissi temporali che vi sono evidenziano proprio i momenti più importanti della vita di John, e non fanno mai perdere di leggibilità alla vicenda.
La capacità di questo lavoro è quella di mostrarci le cose, le situazioni, senza che esse divengano troppo “grevi” da non poterle sopportare (in alcuni momenti, comunque, le immagini sono davvero “forti”), passando in modo efficace e mai confuso dal punto di vista di Nash a quello delle persone che gli stanno attorno, prima tra tutte la moglie Alicia, sino a quello delle persone immaginarie che il matematico vede ed ascolta. Dando comunque, sempre, sensazioni sempre molto realistiche.
Un lavoro in cui la realtà è spesso presente tra i riflessi di sogno, anche se ad occhi aperti, tra vortici di idee e slanci di passione e di amore, tra la voglia di costruire e la difficoltà nel farlo.
È, di certo, un film che fa riflettere. Sulla vita e le sue dinamiche. Sulla competizione individuale. Ma soprattutto sulla possibilità di rivedere il sole anche quando le nubi sembrano averlo cancellato per sempre. La chiave giusta per questo, senza dubbio, è la comprensione, l’Amore, il non isolamento, il dialogo con le persone, l’andare verso la vita senza paura. E tutto ciò vale, per Ron Howard (ma anche per John Nash e, di certo, per me), molto di più di qualsiasi riflessione logica (Alicia indicherà al marito che i suoi problemi non saranno superati con la mente, ma con il cuore), e spesso ne costituisce il propulsore per ottenere dall’uomo qualcosa di meraviglioso.
Sergio
Ragaini