Tipo ideale e metodo delle scienze sociali

Noi abbiamo dinanzi a noi, nella teoria economica astratta, un esempio di quelle sintesi che si designano di solito come “idee” di fenomeni storici. Essa ci offre un quadro ideale dei processi che avvengono in un mercato di beni, sulla base di un'organizzazione sociale fondata sull'economia di scambio, di una libera concorrenza e di un agire rigorosamente razionale. Questo quadro concettuale unisce determinate relazioni e determinati processi della vita storica in un cosmo, in sé privo di contraddizioni, di connessioni concettuali. Per il suo contenuto questa costruzione riveste il carattere di un'utopia, ottenuta attraverso l'accentuazione concettuale di determinati elementi della realtà. Il suo rapporto con i fatti empiricamente dati della vita consiste soltanto in questo, che laddove vengono determinati o supposti operanti, in qualsiasi grado, nella realtà connessioni del tipo astrattamente rappresentato in quella costruzione, cioè processi dipendenti dal “mercato”, noi possiamo illustrare pragmaticamente e rendere comprensibile il carattere specifico di questa connessione in un tipo ideale. Questa possibilità è importante, anzi indispensabile, sia a scopo euristico sia a scopo espositivo. Il concetto tipico-ideale serve a orientare il giudizio di imputazione nel corso della ricerca: esso non costituisce un’“ipotesi”, ma intende orientare la costruzione di ipotesi. Esso non è una rappresentazione del reale, ma intende fornire alla rappresentazione strumenti precisi di espressione. Esso è quindi l’“idea” della moderna organizzazione della società, fondata sull'economia di scambio, storicamente data, la quale è stata sviluppata in base ai medesimi principi logici con cui si è proceduto a costruire l'idea dell’“economia cittadina” medievale come concetto “genetico”. Quando si fa questo, il concetto di “economia cittadina” non costituisce una media dei principi economici operanti di fatto in tutte le città che vengono osservate, ma costituisce appunto un tipo ideale. Esso è ottenuto attraverso l'accentuazione unilaterale di uno o di alcuni punti di vista, e attraverso la riunione di una quantità di fenomeni particolari diffusi e discreti, esistenti qui in maggiore e là in minore misura, e talvolta anche assenti - che corrispondono a quei punti di vista unilateralmente sottolineati - in un quadro concettuale in sé unitario. Considerato nella sua purezza concettuale, questo quadro non può mai essere rintracciato empiricamente nella realtà; esso è un'utopia, e al lavoro storico si presenta il compito di determinare in ogni caso particolare la maggiore o minore distanza della realtà da quel quadro ideale, stabilendo per esempio in quale misura il carattere economico dei rapporti riscontrabili in una determinata città possa venir qualificato concettualmente come proprio dell'“economia cittadina”. Utilizzato con cautela, quel concetto rende però i suoi specifici servizi a scopo di indagine e di illustrazione […].
Quale è però il significato di questi concetti tipico-ideali per una scienza empirica, quale noi intendiamo svilupparla? Si deve anzitutto sottolineare che la nozione di “ciò che deve essere”, vale a dire un “modello normativo”, dev’essere tenuta accuratamente lontana da queste formazioni concettuali, che sono “ideali” in senso puramente logico […].
La formazione di tipi ideali astratti dev’essere quindi considerata non come fine, bensì come mezzo. Ogni attenta osservazione degli elementi concettuali di un’esposizione storica mostra però che lo storico, non appena intraprende il tentativo di determinare, al di là della mera constatazione di connessioni concrete, il significato culturale di un processo individuale per quanto semplice, allo scopo di “caratterizzarlo”, lavora e deve lavorare con concetti che di regola possono venire definiti in maniera precisa e univoca soltanto sotto forma di tipi ideali […].
Se si deve tentare una definizione genetica del contenuto concettuale, rimane soltanto la forma del tipo ideale nel senso sopra fissato. Esso costituisce un quadro concettuale, il quale non è la realtà storica, e neppure la realtà “autentica”, e tanto meno può servire come uno schema al quale la realtà debba essere subordinata come esemplare; esso ha il significato di un concetto-limite puramente ideale, a cui la realtà deve essere commisurata e comparata, al fine di illustrare determinati elementi significativi del suo contenuto empirico […].
Il tipo ideale rappresenta, in questa funzione, specialmente il tentativo di concepire gli individui storici o i loro elementi particolari in forma di concetti genetici. Si prendano per esempio i concetti di “chiesa” e di “setta”. Essi possono essere risolti, in via puramente classificatoria, in complessi di caratteristiche in cui non soltanto il confine tra l'una e l'altra, ma anche il contenuto concettuale deve rimanere sempre fluido. Se, però voglio concepire il concetto di “setta” geneticamente, cioè in rapporto a certi significati culturali importanti che lo “spirito di setta” ha avuto per la civiltà moderna, allora diventano essenziali determinate caratteristiche dell'una e dell'altra, in quanto stanno in una relazione causale adeguata con quegli effetti. I concetti diventano però allora al tempo stesso tipico-ideali, cioè non si presentano mai, o si presentano soltanto in maniera isolata, nella loro piena purezza concettuale. Qui come ovunque ogni concetto non puramente classificatorio allontana dalla realtà. Ma la natura discorsiva del nostro conoscere, vale a dire la circostanza che noi possiamo cogliere la realtà soltanto attraverso una catena di mutamenti di rappresentazione, postula una siffatta stenografia di concetti. La nostra fantasia può certo fare sovente ameno di una formulazione concettuale esplicita come strumento di ricerca; ma per la rappresentazione, se vuol essere precisa, l'impiego di tali concetti sul terreno dell'analisi culturale è in innumerevoli casi del tutto indispensabile.
(M. Weber, L’“oggettività” conoscitiva della scienza sociale e della politica sociale, in M. Weber, Saggi sul metodo delle scienze storico-sociali, a cura di P. Rossi, Edizioni di Comunità, Torino, 2001, pp. 187-191. Il saggio fu pubblicato originalmentenel 1904, all’interno dell’“Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik”)
 
Infatti, qualsiasi contenuto abbia il tipo ideale razionale - sia che esso rappresenti una norma di fede etica, giuridica, estetica o religiosa, oppure una massima di politica giuridica o di politica sociale o di politica culturale, oppure una “valutazione” di qualsiasi specie espressa in forma il più possibile razionale - la sua costruzione ha sempre, nell' ambito delle indagini empiriche, soltanto lo scopo di “comparare” con esso la realtà empirica, e di stabilire il suo contrasto o la sua distanza da essa, oppure la sua relativa approssimazione a essa, per poterla descrivere e comprendere mediante l'imputazione causale, e quindi spiegarla, facendo uso di concetti intelligibili in modo il più preciso possibile.
(M. Weber, Il senso della “avalutatività” delle scienze sociologiche ed economiche, in M. Weber, Saggi sul metodo delle scienze storico-sociali, a cura di P. Rossi, Edizioni di Comunità, Torino, 2001, p. 592. Il saggio fu pubblicato originalmente nel 1917, all’interno di “Logos. Internazionale Zeitschrift für Philosophie der Kultur”)
 
Un “tipo ideale”, nel nostro senso – si deve ripeterlo ancora una volta – è completamente indifferente nei confronti della valutazione, e non ha nulla a che fare con una “perfezione” che non sia puramente logica. Vi sono tipi ideali tanto di bordelli quanto di religioni; e vi sono tipi ideali di bordelli che possono sembrare tecnicamente “conformi allo scopo” dal punto di vista dell’odierna etica pubblica, come ve ne sono di quelli per cui vale proprio l’opposto.
(M. Weber, L’“oggettività” conoscitiva della scienza sociale e della politica sociale, op. cit., p. 195)
 
Concetti di genere; tipi ideali; concetti di genere tipico-ideali; idee nel senso di combinazioni concettuali empiricamente operanti negli uomini storici; tipi ideali di queste idee; ideali che dominano gli uomini storici; tipi ideali di questi ideali; ideali a cui lo storico riferisce la storia; costruzioni teoriche effettuate mediante l'impiego illustrativo del dato empirico; indagine storica condotta mediante l'impiego di concetti teorici come casi-limite ideali; e inoltre ancora le diverse complicazioni possibili a cui qui si è potuto soltanto accennare - sono tutte pure formazioni concettuali, il cui rapporto con la realtà empirica del dato immediato resta, in ogni caso particolare, problematico. Questa elencazione mostra già da sola l'intrico senza fine dei problemi metodico-concettuali, che si presentano continuamente nel campo delle scienze della cultura.
(Ibidem, p. 200)
La mancanza di una precisa formazione di concetti può però diventare quanto mai pericolosa nelle discussioni pratiche di politica economica e sociale. Quale confusione abbiano qui prodotto per esempio l’impiego del termine “valore” – questo figlio del dolore della nostra disciplina, al quale può appunto essere dato un senso preciso soltanto su base tipico-ideale – oppure parole come “produttivo”, “dal punto di vista economico-politico”, ecc., che non reggono a nessuna analisi concettualmente chiara, è addirittura incredibile per il profano. E a recar danno sono qui prevalentemente i concetti collettivi tratti dal linguaggio quotidiano.
(Ibidem, p. 204)
Noi siamo alla fine di queste considerazioni, le quali miravano semplicemente a porre in luce la linea, spesso molto sottile, che separa scienza e fede, e a cogliere il senso dell'aspirazione alla conoscenza economico-sociale. La validità oggettiva di ogni sapere empirico poggia sul fatto, e soltanto sul fatto, che la realtà data viene ordinata in base a categorie che sono soggettive in un senso specifico, in quanto cioè rappresentano il presupposto della nostra conoscenza, e che sono legate al presupposto del valore di quella verità che soltanto il sapere empirico può darci. A chi non consideri fornita di valore questa verità - e la fede nel valore della verità scientifica è il prodotto di determinate civiltà, non già qualcosa di dato per natura - non abbiamo nulla da offrire con gli strumenti della nostra scienza. Invano egli andrà in cerca di un'altra verità che possa sostituire la scienza in ciò che essa soltanto può dare: concetti e giudizi che non sono la realtà empirica, e che neppure la riproducono, ma che consentono di ordinarla concettualmente in modo valido.
(Ibidem, pp. 206-207)