Tipi di agire sociale
 

Come ogni agire, anche l’agire sociale può essere determinato:
1) in modo razionale rispetto allo scopo – da aspettative dell’atteggiamento di oggetti del mondo esterno e di altri uomini, impiegando tali aspettative come “condizioni” o come “mezzi” per scopi voluti e considerati razionalmente, in qualità di conseguenza;
2) in modo razionale rispetto al valore - dalla credenza consapevole nell'incondizionato valore in sé - etico, estetico, religioso, o altrimenti interpretabile - di un determinato comportamento in quanto tale, prescindendo dalla sua conseguenza;
3) affettivamente - da affetti e da stati attuali del sentire;
4) tradizionalmente – da un’abitudine acquisita.
1. L'atteggiamento rigorosamente tradizionale - al pari della pura imitazione passiva (a cui si è accennato nel paragrafo precedente) - sta precisamente al limite, e spesso al di là di ciò che si può definire, in generale, un agire orientato “in base al senso”. Infatti esso è assai sovente una specie di oscura reazione a stimoli abitudinari, che si svolge nel senso di una disposizione una volta acquisita. La massa di tutto l'agire quotidiano acquisito si avvicina a questo tipo - il quale non soltanto si inserisce come caso-limite nella sistematica delle forme di atteggiamento, ma anche, dato che il legame con il patrimonio dell'abitudine può essere consapevolmente mantenuto in un grado e in un senso diverso (come si vedrà in seguito), viene ad accostarsi al tipo dell'agire affettivo.
2. Il comportamento rigorosamente affettivo sta esso pure al limite, e sovente al di là dell'agire consapevolmente orientato “in base al senso”; e può essere una specie di reazione, priva di ostacoli, ad uno stimolo che va oltre la vita quotidiana. Esso costituisce una sublimazione quando l'agire condizionato affettivamente si presenta come liberazione cosciente di una situazione del sentimento: esso si trova allora, nella maggior parte dei casi (anche se non sempre), sulla via della “razionalizzazione in vista di un valore” o dell'agire in vista di uno scopo, oppure di entrambi.
3. L'orientamento affettivo dell'agire e l'orientamento razionale rispetto al valore si distinguono per la consapevole elaborazione dei punti di riferimento ultimi dell'agire e per l'orientamento progettato in maniera conseguente, che si riscontrano nel secondo. Per il resto essi hanno in comune il fatto che il senso dell’agire è riposto non in un risultato che stia al di là di questo, ma nell’agire in quanto tale, configurato in un certo modo. Agisce affettivamente chi soddisfa il suo bisogno, attualmente sentito, di vendetta o di gioia. o di dedizione o di beatitudine contemplativa o di manifestazione di affetti (sia di carattere inferiore sia di carattere sublime).
Agisce in maniera puramente razionale rispetto al valore colui che - senza riguardo per le conseguenze prevedibili - opera al servizio della propria convinzione relativa a ciò che ritiene essergli comandato dal dovere, dalla dignità, dalla bellezza, dal precetto religioso, dalla pietà o dall'importanza di una “causa” di qualsiasi specie. L'agire razionale rispetto al valore (nel significato che assume nella nostra terminologia) è sempre un agire secondo “imperativi” o in conformità a “esigenze” che l'agente crede gli siano poste. Noi intendiamo parlare di razionalità rispetto al valore solamente in quanto l'agire umano si orienta in base a tali esigenze - ciò che avviene in misura assai diversa, ma il più delle volte alquanto modesta. Come sarà posto in luce, esso riveste un significato abbastanza rilevante perché lo si debba considerare un tipo particolare - sebbene non ci si proponga qui, del resto, di fornire una classificazione esauriente dei tipi dell'agire.
4. Agisce in maniera razionale rispetto allo scopo colui che orienta il suo agire in base allo scopo, ai mezzi e alle conseguenze concomitanti, misurando razionalmente i mezzi in rapporto agli scopi, gli scopi in rapporto alle conseguenze, ed infine anche i diversi scopi possibili in rapporto reciproco: in ogni caso egli non agisce quindi, né affettivamente (e in modo particolare non emotivamente) né tradizionalmente. La decisione tra gli scopi in concorrenza e in collisione, e tra le relative conseguenze, può da parte sua essere orientata razionalmente rispetto al valore: allora l'agire risulta razionale rispetto allo scopo soltanto nei suoi mezzi. Oppure l'individuo che agisce può - prescindendo da qualsiasi orientamento razionale rispetto al valore, in vista di “imperativi” e di “esigenze” - disporre gli scopi, concorrenti e contrastanti, considerati semplicemente come dati indirizzi soggettivi di bisogni, in una scala stabilita in base alla loro urgenza da lui consapevolmente misurata, e di conseguenza può orientare il suo agire in maniera che essi siano soddisfatti, se possibile, in tale successione (principio dell’“utilità marginale”). L'orientamento dell'agire razionale rispetto al valore può quindi essere in relazioni assai differenti con l'atteggiamento razionale rispetto allo scopo. Dal punto di vista della razionalità rispetto allo scopo, però, la razionalità rispetto al valore e sempre irrazionale - e lo è quanto più eleva a valore assoluto il valore in vista del quale è orientato l'agire; e ciò poiché essa tiene tanto minor conto delle conseguenze dell'agire, quanto più assume come incondizionato il suovalore in sé (la pura intenzione, la bellezza, il bene assoluto, l'assoluta conformità al dovere). Ma l'assoluta razionalità rispetto allo scopo è anche soltanto un caso- limite, di carattere essenzialmente costruttivo.
5. Assai di rado l'agire, e in particolare l'agire sociale, è orientato esclusivamente nell'uno o nell'altro modo. E così pure questi tipi di orienta mento non costituiscono affatto, naturalmente, una classificazione esauriente dei modi di orientamento dell'agire, ma sono tipi concettualmente puri - creati per scopi sociologici - ai quali l'agire reale si avvicina più o meno, o dei quali, ancor più di frequente, risulta mescolato. Soltanto il risultato può dimostrarne l'opportunità per noi […].
Per “relazione” sociale si deve intendere un comportamento di più individui instaurato reciprocamente secondo il suo contenuto di senso, e orientato in conformità. La relazione sociale consiste pertanto esclusivamente nella possibilità che si agisca socialmente in un dato modo (dotato di senso), quale che sia la base su cui riposa tale possibilità […].
Si richiede quindi, come caratteristica concettuale, un minimo di relazione reciproca dell'agire di entrambe le parti. Il contenuto può essere il più diverso: la lotta, l'inimicizia, l'amore sessuale, l'amicizia, la reverenza, lo scambio di mercato, l’“adempimento” o l’“elusione” o la “rottura” di una stipulazione, la “concorrenza” economica o erotica o di altro genere, la comunità di ceto o nazionale o di classe (nel caso che questi ultimi fenomeni producano, oltre a semplici legami di comunanza, un “agire sociale”) […]. Il concetto di relazione sociale non asserisce nulla in merito alla sussistenza, o meno, di una “solidarietà” tra gli individui che agiscono […].
Ciò non vuol dire che coloro i quali partecipano ad un agire instaurato reciprocamente attribuiscano in ogni caso alla relazione sociale il medesimo contenuto di senso, oppure si dispongano interiormente, nei confronti dell'altro termine della relazione, in modo corrispondente, per il senso, alla disposizione di questi, in maniera tale che vi sia una “reciprocità” anche in questo senso.
(M. Weber, Economia e Società, op. cit., Vol. I, pp. 21-24)