Ma solo in Occidente c'è stato un esercizio specialistico, razionale e sistematico della scienza, con la preparazione scolastica dello specialista, in qualsiasi senso paragonabile al significato raggiunto nella nostra civiltà, al significato di un'egemonia; solo in Occidente, soprattutto, si è affermata la figura del pubblico impiegato specializzato, pietra angolare dello Stato moderno e della moderna economia. Altrove se ne trovano solo spunti, germi, forme incipienti, che non sono mai diventati costitutivi dell'ordine sociale come lo sono divenuti in Occidente, in nessun senso. Ovviamente il “pubblico impiegato”, anche quello specializzato in un particolare lavoro, è un antichissimo fenomeno delle civiltà più diverse. Ma il fatto che tutta la nostra esistenza, che le condizioni fondamentali - politiche, tecniche ed economiche - della nostra vita siano assolutamente costrette nell'armatura di un'organizzazione burocratica specializzata, con i suoi pubblici impiegati tecnici, commerciali, ma soprattutto con preparazione giuridica, quali portatori delle principali funzioni quotidiane della vita sociale -, questo fenomeno non è stato conosciuto da alcun paese né da alcuna epoca nello stesso senso in cui ha luogo nell'Occidente moderno. L'organizzazione delle associazioni politiche e sociali secondo gli stati, ordini o ceti è stata ampiamente diffusa; ma già lo Stato degli ordini – “rex et regnum” - è stato conosciuto, nel senso occidentale, solo dall'Occidente. E più che mai i parlamenti di “rappresentanti del popolo” periodicamente, eletti, i demagoghi, e il dominio di capi-partito come “ministri” responsabili di fronte al parlamento, sono stati ingenerati solo dall'Occidente - anche se, com'è ovvio, ci sono stati in tutto il mondo “partiti”, nel senso di organizzazioni intese alla conquista e al condizionamento del potere politico. Soltanto l'Occidente conosce lo “Stato” in genere, nel senso di un'istituzione politica provvista di una “costituzione” razionalmente statuita, di un diritto razionalmente statuito e di un'amministrazione da parte di impiegati specializzati che osservano regole di origine e natura razionale – “leggi” -, in questa combinazione per esso essenziale delle caratteristiche decisive, a prescindere da tutti gli altri spunti e conati in tale direzione. E
questa è anche la situazione della potenza
più fatale della nostra vita moderna: del
capitalismo.
(M.
Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo,
op. cit., pp. 36-37)
Ma
l'Occidente ha ingenerato un grado d'importanza
del capitalismo, e suoi modi, forme e direzioni
(che di tale importanza sono la causa), quali
non sono mai esistiti altrove. In tutto il mondo
ci sono stati commercianti all'ingrosso e al minuto,
c'è stato il commercio locale e quello
con paesi lontani, ci sono stati prestiti di ogni
specie, banche, banchi con funzioni estremamente
diverse, eppure sostanzialmente analoghe almeno
a quelle del nostro secolo XVI all'incirca; prestiti
marittimi, commende e affari e associazioni in
accomandita sono stati ampiamente diffusi, anche
a livello aziendale. Ovunque ci furono finanze
pecuniarie degli enti pubblici, comparve
la figura del finanziatore - a Babilonia, in Grecia,
in India, in Cina, a Roma: per finanziare soprattutto
le guerre e la pirateria, per forniture e lavori
pubblici di ogni specie, nella politica coloniale
in qualità di imprenditore, piantatore,
conduttore di piantagioni lavorate da schiavi
o altri lavoratori costretti direttamente o indirettamente,
per l'appalto di demani, di uffici e soprattutto
di imposte, per il finanziamento di capi-partito
per le elezioni e di condottieri per le guerre
civili; infine: come “speculatore” su ogni specie
di probabilità pecuniarie. In tutto il
mondo c'è stato l'imprenditore di questo
tipo: il personaggio dell'avventuriero capitalistico.
A eccezione del commercio e degli affari creditizi
e bancari, le prospettive di questi imprenditori
avevano fondamentalmente un carattere meramente
speculativo-irrazionale, oppure erano orientate
secondo lo scopo di guadagnare con l'uso della
violenza, soprattutto con l'attività predatoria:
preda immediata guerresca, o preda cronica fiscale
(spennare i sudditi).
Il
capitalismo dei fondatori, dei grandi speculatori,
coloniale, e il capitalismo finanziario moderno,
già in pace, ma soprattutto ogni capitalismo
orientato specificamente verso la guerra, spesso
presentano ancora questo stile nello stesso Occidente
attuale; e gli sono vicini, oggi come sempre,
singoli rami (solo singoli) del grande commercio
internazionale. Ma l'Occidente conosce, nell'età
moderna, anche una specie di capitalismo del
tutto diversa, e che non si è sviluppata
in alcun'altra parte della terra: l'organizzazione
capitalistica razionale del lavoro (formalmente)
libero. Altrove se ne trovano solo i germi.
Persino l'organizzazione del lavoro non libero
ha raggiunto un certo grado di razionalità
solo nelle piantagioni e, in misura limitatissima,
negli ergasteri del mondo antico, e una razionalità
che diremmo ancora minore nelle curtes e
nei laboratori dell'età feudale o nelle
industrie domestiche dei signori terrieri, con
servi della gleba e lavoro servile, agli inizi
dell'età moderna. Quanto al lavoro libero,
fuori dell'Occidente persino l'esistenza di “industrie
domestiche” vere e proprie è testimoniata
con sicurezza solo in casi singoli e isolati;
e quell'impiego di braccianti o giornalieri in
genere che ovviamente s'incontra ovunque non ha
dato luogo a manifatture e nemmeno a un'organizzazione
razionale dell'apprendimento del mestiere analoga
a quella del Medioevo occidentale (tranne eccezioni
scarsissime e di specie molto particolare, e comunque
assai diverse dalle organizzazioni aziendali moderne;
si trattava specialmente di monopoli di Stato).
Ma l'organizzazione dell'impresa razionale, orientata
secondo le prospettive e risorse del mercato,
e non secondo le probabilità di una
speculazione politicamente violenta, o comunque
irrazionale, non è l'unico fenomeno peculiare
del capitalismo occidentale. L'organizzazione
razionale moderna dell'azienda capitalistica non
sarebbe stata possibile senza altri due importanti
fattori di sviluppo: la separazione dell'amministrazione
domestica dall'azienda, che è assolutamente
invalsa nella vita economica attuale, e - strettamente
connessa con questo primo fenomeno - la contabilità,
o tenuta razionale dei libri […].
Ma
tutte queste particolarità del capitalismo
occidentale in ultima analisi hanno realizzato
il loro significato attuale solo grazie alla connessione
con l'organizzazione capitalistica del lavoro.
Le è connessa anche quella che si suole
chiamare la “commercializzazione”: lo sviluppo
della carta valore, e la razionalizzazione della
speculazione – la borsa.
(Ibidem,
pp. 40-43)
Ma,
soprattutto, il “summum bonum” di questa “etica”
- guadagnare denaro, sempre più denaro,
alla condizione di evitare rigorosamente ogni
piacere spontaneo - è così spoglio
di ogni considerazione eudemonistica o addirittura
edonistica, è pensato come fine a se stesso
con tanta purezza, da apparire come alcunché
di totalmente trascendente, in ogni caso, e senz'altro
irrazionale, di fronte alla “felicità”
o all’“utilità” del singolo individuo.
L'attività lucrativa non è più
in funzione dell'uomo quale semplice mezzo per
soddisfare i bisogni materiali della sua vita,
ma, al contrario, è lo scopo della vita
dell'uomo, ed egli è in sua funzione. Questa
inversione del rapporto “naturale” (se così
possiamo dire), che è addirittura assurda
per la sensibilità ingenua, è palesemente
e assolutamente un motivo conduttore del capitalismo,
come è estranea all'uomo non toccato dal
suo soffio. Ma contiene al tempo stesso una serie
di sentimenti che sono strettamente connessi a
certe rappresentazioni religiose. Se, infatti,
si chiede perché “gli uomini” debbano
fare “denaro”, Benjamin Franklin - sebbene fosse
un deista senza una tonalità confessionale
- risponde, nella sua autobiografia, con un versetto
della Bibbia che - come dice - il padre rigorosamente
calvinista gli aveva sempre martellato in testa,
quando era ragazzo: “Hai tu veduto un uomo spedito
nelle sue faccende? Egli starà al
servizio dei re”. Il guadagno di denaro - se ha
luogo legalmente - all'interno dell'organizzazione
economica moderna è il risultato e l'espressione
dell'abilità nella professione [Beruf],
e, come ora non è difficile riconoscere,
questa abilità è veramente
l'alfa e l'omega della morale di Franklin […].
In
effetti: quell'idea peculiare del dovere professionale,
che oggi è così corrente eppure
è tanto poco ovvia, in verità -
l'idea di un dovere che l'individuo leve sentire
e sente nei confronti del contenuto della sua
attività “professionale”, quale che possa
essere, e, in particolare, indipendentemente dalla
necessità che essa appaia, a una sensibilità
ingenua, come pura valorizzazione della propria
forza-lavoro o persino solo del suo possesso materiale
(come “capitale”), proprio questa idea è
caratteristica dell’“etica sociale” della civiltà
capitalistica, anzi in un certo senso ha per essa
un significato costitutivo. Non nel senso
che sia cresciuta soltanto sul terreno
del capitalismo; anzi, oltre cercheremo di seguirla
all'indietro, nel passato. E, ovviamente, meno
ancora si deve affermare che condizione della
sopravvivenza del capitalismo odierno sia
l'appropriazione soggettiva di queste massime
etiche da parte dei suoi singoli esponenti, per
esempio degli imprenditori o degli operai delle
aziende capitalistiche moderne. L'ordinamento
dell'economia capitalistica odierna è un
cosmo enorme in cui l'individuo è immesso
fin dalla nascita e che per lui, almeno come singolo,
è una dimora di fatto immutabile che gli
è data e in cui deve vivere. Impone all'individuo
le norme del suo agire economico, nella misura
in cui è intrecciato nel complesso del
mercato. Il fabbricante che agisce costantemente
contro queste norme è economicamente eliminato
con la stessa infallibilità con cui l'operaio
che non può o vuole adattarsi ad esse finisce
sulla strada, disoccupato.
Dunque
il capitalismo odierno, che è giunto a
dominare nella vita economica, si educa e si crea,
per la via della selezione economica, i
soggetti economici – imprenditori e operai – di
cui abbisogna. Ma proprio qui si possono toccare
con mano i limiti del concetto di “selezione”
come mezzo per spiegare fenomeni storici. Per
poter essere “prescelta”, ossia per poter riportare
la vittoria su altre, quella maniera di vivere
e di concepire la professione che è adatta
alla natura peculiare del capitalismo doveva prima
sorgere, evidentemente, e non in individui
singoli ed isolati, ma come un modo di veder che
era proprio di gruppi umani. Questa sua
genesi è dunque ciò che deve essere
davvero spiegato. Solo più avanti parleremo
più dettagliatamente di quella concezione
dell’ingenuo materialismo storico secondo cui
tali “idee” verrebbero alla luce in qualità
di “rispecchiamento” o “sovrastruttura” di situazioni
economiche.
(Ibidem,
pp. 76-78)
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