Ogni ordinamento giuridico (non soltanto quello “statale”) agisce direttamente, mediante la sua configurazione sulla distribuzione della potenza caratteristica di una comunità – e ciò non soltanto per la potenza economica, ma anche per qualsiasi altra potenza. Per “potenza” intendiamo qui in generale la possibilità, che un uomo o una pluralità di uomini possiede, di imporre il proprio volere in un agire di comunità anche contro la resistenza di altri soggetti partecipi di questo agire […]. Le
“classi”, i “ceti” e i “partiti” costituiscono precisamente
fenomeni di distribuzione della potenza all’interno
di una comunità […].
Noi
parleremo di “classe” quando a una pluralità
di uomini è comune una specifica componente causale
delle loro possibilità di vita, nella misura
in cui questa componente è rappresentata semplicemente
da interessi economici di possesso e di guadagno - nelle
condizioni del mercato dei beni o del lavoro (“situazione
di classe”). È un fatto economico tra i più
elementari che il modo in cui la disposizione del possesso
materiale è distribuita tra una pluralità
di uomini che si incontrano e concorrono sul mercato
a scopo di scambio crea già di per sé
specifiche possibilità di vita […].
Il
“possesso” e la “mancanza di possesso” costituiscono
perciò le categorie fondamentali di tutte le
situazioni di classe, sia che queste agiscano nella
lotta dei prezzi o nella lotta di concorrenza. Ma nell'ambito
di queste due categorie le situazioni di classe si differenziano
ulteriormente, da un lato a seconda del genere del possesso
utilizzabile per il profitto, e dall'altro a seconda
delle prestazioni da offrire sul mercato. Si può
trattare del possesso di edifici di abitazione, o del
possesso di officine, magazzini, negozi, o del possesso
fondiario di terreno agricolo, e così pure nell'ambito
di queste forme, di grande o di piccolo possesso - che
rappresenta una differenza quantitativa con conseguenze
eventualmente qualitative; oppure si può trattare
di miniere, di bestiame, di schiavi, di disposizione
di mezzi di produzione mobili o di mezzi di guadagno
di ogni genere, e soprattutto di denaro o di oggetti
che possono in ogni tempo venire scambiati contro denaro
in modo particolarmente facile, o di prodotti del lavoro
proprio o altrui ( diversi a seconda dei diversi gradi
di usufruibilità) o di monopoli commerciali.
Tutte queste differenze caratterizzano la situazione
di classe dei possidenti, al pari del “senso” che essi
possono dare e danno all'utilizzazione del loro possesso,
soprattutto di quello avente valore monetario - a seconda
che essi appartengano, ad esempio, alla classe dei redditieri
o alla classe degli imprenditori. Altrettanto fortemente
coloro che, privi di possesso, offrono prestazioni di
lavoro, vengono a differenziarsi a seconda del genere
di queste, e anche a seconda che essi le valorizzino
in una relazione continuativa con un cliente oppure
caso per caso. Ma un elemento costantemente presente
nel concetto di classe è rappresentato dal fatto
che la qualità delle possibilità offerte
sul mercato rappresenta la condizione comune del destino
di tutti gli individui. In questo senso la “situazione”
di classe è in ultima analisi la “situazione
di mercato” […].
In
base a ogni esperienza, una differenziazione delle possibilità
di vita, per forte che sia, non produce di per se un
“agire di classe”, cioè un agire di comunità
degli appartenenti alla classe. Il condizionamento e
l'azione della situazione di classe devono essere chiaramente
riconoscibili. Soltanto allora, infatti, il contrasto
delle possibilità di vita può essere sentito
non come qualcosa di dato e da accettare, ma come il
risultato della distribuzione concreta del possesso
o della struttura dell'ordinamento economico concreto;
e soltanto allora è possibile una reazione che
si esprima non solamente in atti di protesta intermittenti
e irrazionali, ma sotto forma di un'associazione razionale
[…].
Ogni
classe può quindi essere portatrice di qualche
“agire di classe” - di cui sono possibili innumerevoli
forme - ma non lo è necessariamente: in ogni
caso essa non costituisce una comunità, e considerarla
concettualmente equivalente a una comunità è
fonte di equivoci. È vero che di regola uomini
posti in una stessa situazione di classe reagiscono
a situazioni così concrete come quella economica
con un agire di massa rivolto nella direzione più
adeguata agli interessi della media, e questo è
fatto in fondo semplice, ma importante per la comprensione
degli avvenimenti storici. Ciò non deve però
giustificare quell'impiego pseudo-scientifico del concetto
di “classe” e di “interesse di classe” che oggi ricorre
spesso, e che ha trovato la sua espressione più
classica nell'affermazione di un autore notevole secondo
la quale l'individuo si potrebbe ingannare per quanto
riguarda i propri interessi, ma la “classe” sarebbe
“infallibile” per quanto riguarda i propri.
(M.
Weber, Economia e Società, op. cit., Vol. II,
pp. 228-232)
Per
“situazione di classe” si deve intendere la possibilità
tipica del modo di procurarsi i beni, della condotta
esteriore di vita e dello stato interiore, che consegue
dalla misura e dalla specie del potere di disposizione
(o dalla mancanza di esso) sui beni o sulle qualificazioni
di prestazione, e dalla loro utilizzabilità per
conseguire un reddito o delle entrate nell'ambito di
un certo ordinamento economico.
Per
“classe” si deve intendere ogni gruppo di uomini che
si trova in un'eguale situazione di classe.
a)
Una classe deve essere chiamata classe possidente
quando le differenze di possesso determinano in modo
primario la situazione di classe.
b)
Una classe deve essere chiamata classe acquisitiva
quando le possibilità di utilizzazione sul mercato
dei beni o delle prestazioni determinano in modo primario
la situazione di classe.
c)
Classe sociale deve essere detto l'insieme di quelle
situazioni di classe tra le quali è agevolmente
possibile, e di solito avviene, uno scambio - o personale,
o nella successione delle generazioni.
Sul
terreno di queste tre categorie di classi potrebbero
sorgere associazioni tra gli individui che hanno interessi
di classe (gruppi di classe). Ma ciò non avviene
necessariamente: la situazione di classe e la classe
designano di per sé soltanto situazioni tipiche
di interessi eguali (o simili), nelle quali il singolo
si trova al pari di numerosi altri […].
Le
classi possidenti privilegiate in senso positivo sono
soprattutto costituite dai redditieri, i quali possono
essere: redditieri di uomini (possessori di schiavi);
redditieri fondiari; redditieri di miniere; redditieri
di impianti (possidenti di impianti di lavoro e di apparecchiature);
redditieri di navi; prestatori di bestiame, di denaro,
di derrate; ed, infine, redditieri di titoli.
Le
classi privilegiate in senso negativo rispetto al possesso
sono tipicamente: coloro che sono oggetto di possesso
(non liberi: cfr. l'analisi dei “ceti” ); i declassati
(proletarii in senso antico); i debitori; i “poveri”.
In
mezzo stanno le “classi medie” , che sono fornite di
un possesso o di una qualità di educazione, e
che comprendono gli strati sociali di ogni specie che
da ciò traggono il proprio profitto. Alcune di
esse possono essere “classi acquisitive” (gli imprenditori
con un privilegio essenzialmente positivo, e i proletari
con un privilegio essenzialmente negativo): non tutti
però lo sono - per esempio i contadini, gli artigiani,
i funzionari […].
Le
classi acquisitive privilegiate in senso positivo sono
soprattutto gli imprenditori: commercianti, armatori,
imprenditori industriali, imprenditori agricoli, imprenditori
bancari e finanziari - ed ancora, in certe circostanze,
le “libere professioni” fornite di capacità o
di preparazione privilegiata (avvocati, medici, artisti),
e operai con qualità monopolistiche (personali
o apprese o imparate).
Le
classi acquisitive privilegiate in senso negativo sono
soprattutto i lavoratori nelle loro specie così
differenti da un punto di vista qualitativo: lavoratori
specializzati, qualificati, non qualificati.
I
contadini egli artigiani indipendenti stanno anche qui
nel mezzo come “classi medie”. Inoltre ad esse appartengono
spesso anche i funzionari (pubblici e privati), le “libere
professioni” già ricordate e i lavoratori con
qualità monopolistiche (personali o apprese o
imparate).
(M.
Weber, Economia e Società, op. cit., Vol. I,
pp. 299-301)
In
antitesi alle classi, i ceti sono di regola comunità,
anche se spesso di genere amorfo. In contrapposizione
alla “situazione di classe” determinata in modo puramente
economico, definiamo “situazione di ceto” ogni componente
tipica del destino di un gruppo di uomini, la quale
sia condizionata da una specifica valutazione sociale,
positiva o negativa, dell’“onore” che è legato
a qualche qualità comune di una pluralità
di uomini. Questo onore può anche dipendere da
una situazione di classe: le differenze tra le classi
si intrecciano nelle relazioni più varie con
le differenze di ceto, e il possesso in quanto tale
- come si è già visto - raggiunge alla
lunga anche una validità nell'ambito del ceto;
ciò almeno come regola generale. Si osserva in
tutto il mondo che nel gruppo di vicinato ad economia
propria molto spesso l'uomo più ricco è
semplicemente in quanto tale il “capo” - cosa che sovente
implica una pura preferenza onorifica. Nella “democrazia
moderna” cosiddetta pura - cioè libera da privilegi
individuali espressamente stabiliti in relazione al
ceto - può accadere ad esempio che soltanto
i membri di famiglie appartenenti approssimativamente
alla stessa classe tributaria siano disposti a danzare
tra loro -come si racconta ad esempio di alcune città
svizzere minori. Ma l'onore di ceto non è
necessariamente legato a una “situazione di classe”,
essendo piuttosto di regola in netto contrasto con le
pretese del puro e semplice possesso. Possidenti e non
possidenti possono appartenere al medesimo ceto, e ciò
accade di frequente e con conseguenze molto tangibili,
per quanto precaria possa alla lunga diventare questa
“eguaglianza” della stima sociale […].
Quanto
al contenuto, l'onore di ceto si esprime normalmente
soprattutto nell'esigere una condotta di vita particolare
da tutti coloro i quali vogliono appartenere a una data
cerchia. Connessa con ciò è la limitazione
dei rapporti “sociali” - cioè dei rapporti che
non hanno scopi economici o per altro verso “oggettivi”
- e in particolare del connubio normale alla cerchia
del ceto, fino alla completa chiusura endogama. Il processo
di sviluppo “di ceto” è in atto non appena ci
troviamo di fronte non ad una pura e semplice imitazione
individuale - socialmente irrilevante - della condotta
di vita altrui, ma all'agire di una comunità
di consenso avente tale carattere […].
Quando
vengono tratte le estreme conseguenze, il ceto evolve
verso la “casta” chiusa. Ciò significa che la
separazione del ceto non ha più soltanto una
garanzia convenzionale e giuridica, ma anche rituale,
nel senso che ogni contatto fisico con un membro di
una casta considerata “inferiore” costituisce per gli
appartenenti alle caste “superiori” un marchio di impurità
rituale, che richiede un’espiazione religiosa; nelle
singole caste si possono poi in parte sviluppare culti
e divinità particolari. Naturalmente l’articolazione
in base a ceti conduce in generale a queste conseguenze
soltanto dove essa poggia su differenze che vengono
considerate “etniche” […].
Ma
la selezione personale non rappresenta affatto l'unica
fonte - o la fonte prevalente - della formazione dei
ceti: l'appartenenza politica o la situazione di classe
hanno sempre avuto un'importanza almeno altrettanto
decisiva, e oggi la seconda prevale decisamente. Infatti
la possibilità di una condotta di vita “conforme
al ceto” è naturalmente condizionata di solito
anche economicamente. Considerata praticamente, la distinzione
dei ceti si accompagna ovunque con una monopolizzazione
di beni o di possibilità ideali e materiali,
nella forma che abbiamo già visto essere tipica.
Accanto allo specifico onore di ceto, che è sempre
fondato sulla distanza e sull'esclusività, e
accanto a preferenze onorifiche quali il privilegio
riguardante determinati abiti o determinati cibi vietati
agli altri come tabù, o il privilegio di portare
armi - produttivo a sua volta di conseguenze molto tangibili
- o il diritto all'esercizio di determinate forme di
arte, non professionali ma dilettantistiche (ad esempio
il diritto all'uso di certi strumenti musicali), sussistono
monopoli materiali di ogni genere. Sono proprio questi
a costituire - seppur raramente in via esclusiva, ma
quasi sempre però in qualche misura - i motivi
più efficaci dell'esclusività di ceto
[…].
La
frequente squalificazione di chi svolge “attività
acquisitiva” in quanto tale è conseguenza diretta
- a parte i motivi particolari che vedremo in seguito
- del principio “di ceto” dell'ordinamento sociale e
della sua differenza rispetto al puro regolamento di
mercato della distribuzione di potenza. Il mercato e
i processi economici che vi si svolgono ignorano, come
si è visto, ogni “considerazione della persona”
: esso è dominato da interessi “oggettivi”,
e le considerazioni relative all’“onore” ne sono escluse.
L'ordinamento di ceto implica invece, all'opposto, una
distinzione in base all’“onore” e alla condotta di vita.
In quanto tale esso sarebbe minacciato alla radice
se il puro profitto economico e la semplice potenza
economica, che reca ancora scritta in fronte la sua
origine esterna al ceto, potessero conferire a tutti
coloro che lo hanno conquistato un “onore” eguale a
quello che i rappresentanti del ceto pretendono per
se in virtù della loro condotta di vita, o anche
un onore in complesso maggiore - dato che, a parità
di onore di ceto, il possesso costituisce pur sempre
qualcosa di più, anche se non confessato. Perciò
gli individui interessati a una distinzione di ceto
reagiscono sempre in modo particolarmente deciso proprio
contro le pretese del puro profitto economico in quanto
tale; e ciò di solito con tanta maggiore decisione
quanto più si sentono minacciati […].
Come
effetto dell'organizzazione in ceti si può stabilire
in generale soltanto un fatto molto importante, cioè
l'ostacolo al libero sviluppo del mercato. Ciò
vale anzitutto per quei beni che i ceti sottraggono
direttamente al libero commercio mediante una monopolizzazione,
sia giuridicamente che convenzionalmente.
(M.
Weber, Economia e Società, op. cit., Vol. II,
pp. 234-239)
Per
situazione di ceto si deve intendere un effettivo privilegiamento
positivo o negativo nella considerazione sociale, fondato
sul modo di condotta della vita, e perciò sulla
specie di educazione formale - sia essa un insegnamento
empirico oppure razionale, con il possesso delle forme
di vita corrispondenti - e sul prestigio derivante dalla
nascita o dalla professione […].
La
situazione di ceto può fondarsi su una situazione
di classe di tipo determinato o di vario tipo. Ma essa
non è determinata da questa soltanto; il possesso
di denaro e la posizione di imprenditore non sono di
per sé qualificazioni di ceto - sebbene possano
recare a ciò; e la mancanza di fondi non è
già di per se una qualificazione negativa di
ceto, sebbene possa recare a ciò. D'altra parte
una situazione di ceto può condizionare parzialmente
o totalmente una situazione di classe, pur senza identificarsi
con essa. La situazione di classe di un ufficiale, di
un funzionario, di uno studente - qual'è determinata
dalle sue possibilità economiche - può
essere straordinariamente diversa senza però
differenziarne la situazione di ceto, poiché
la condotta di vita creata dall'educazione è
la stessa per gli aspetti decisivi dal punto di vista
del ceto.
Per
“ceto” si deve intendere una pluralità di persone,
che, all'interno di un gruppo sociale, aspirano ad una
particolare considerazione di ceto, ed eventualmente
anche ad un particolare monopolio di ceto.
I
ceti possono sorgere:
a)
in primo luogo, in base alla condotta personale
di vita, e in particolare in base alla specie di professione
(ceti caratterizzati dalla condotta di vita e dalla
professione);
b)
in secondo luogo, su base carismatico-ereditaria,
cioè in base alla pretesa di prestigio in virtù
della discendenza di ceto (ceti per nascita);
c)
mediante l'appropriazione di ceto, in forma di monopolio,
di poteri di signoria politica o ierocratica (ceti politici
e ierocratici).
(M.
Weber, Economia e Società, op. cit., Vol. I,
p. 303)
Si
potrebbe quindi affermare, sia pure con una forte semplificazione,
che le “classi” si suddividono secondo la relazione
con la produzione e con l’acquisto dei beni, ed i “ceti”
invece secondo i principi del loro consumo di beni,
sotto forma di specifici modi di “condotta della vita”.
Anche un “ceto professionale” costituisce un “ceto”,
cioè pretende con successo un “onore” sociale,
di regola in virtù della specifica “condotta
di vita”, eventualmente condizionata dalla professione
stessa. […]
Mentre
le “classi” hanno a loro volta sede nell’“ordinamento
economico”, e i “ceti” nell’“ordinamento sociale”, cioè
nella sfera della distribuzione dell'“onore” - influenzandosi
quindi reciprocamente, influenzando l' ordinamento giuridico
e ricevendone a loro volta un'influenza - i “partiti”
appartengono in prima linea alla sfera della “potenza”.
Il loro agire è rivolto alla “potenza” sociale,
cioè a influenzare un agire di comunità
di qualsiasi contenuto: in linea di principio vi possono
essere partiti in un circolo sociale come in uno “stato”.
L'agire di comunità caratteristico di un “partito”
comporta sempre un'associazione, a differenza dell'agire
di comunità di “classi” e “ceti”, per i quali
ciònon avviene necessariamente. Esso è
infatti sempre rivolto ad un fine deliberato, sia esso
“oggettivo” come l'attuazione di un programma avente
scopi materiali o ideali, sia “personale”, cioè
diretto a ottenere benefici, potenza e pertanto
onore per i loro capi e seguaci - oppure, di solito,
rivolto a tutti questi scopi insieme. Perciò
i partiti sono possibili soltanto nell'ambito di comunità
(che siano a loro volta in qualche modo associate, e
cioè posseggano qualche ordinamento razionale
e un apparato di persone che si tengono pronte per la
sua attuazione. Il fine dei partiti è appunto
quello di influenzare questo apparato, e di formarlo
possibilmente con aderenti al partito. Essi possono
nel caso concreto rappresentare interessi condizionati
dalla “situazione di classe” o dalla “situazione di
ceto”, e reclutare i propri aderenti in modo corrispondente.
Ma essi non devono necessariamente essere puri partiti
“di classe” o “di ceto”; di solito lo sono soltanto
in parte, e spesso non lo sono affatto. Essi possono
rappresentare organismi effimeri o permanenti, e i mezzi
da essi usati per acquistare potenza possono essere
i più diversi - dalla pura e semplice violenza
di ogni speciealla propaganda elettorale condotta con
mezzi grossolani o raffinati, come il denaro, l'influenza
sociale, la potenza della parola, la suggestione e l'aperta
soverchieria, fino alla tattica, più o
meno grossolana o ingegnosa, dell'ostruzionismo nell'ambito
di organi parlamentari. La loro struttura sociologica
è necessariamente differente a seconda della
struttura dell'agire di comunità per la cui
influenza essi si battono - ad esempio, a
seconda che la comunità sia o no suddivisa in
ceti o in classi, e soprattutto a seconda della struttura
del “potere” nel suo ambito. Infatti per i loro
capi si tratta di regola di conquistare questo
potere.
(M.
Weber, Economia e Società, op. cit., Vol. II,
pp. 240-241)
Per
partiti si debbono intendere le associazioni fondate
su una adesione (formalmente) libera, costituite al
fine di attribuire ai propri capi una posizione di potenza
all'interno di un gruppo sociale, e ai propri militanti
attivi possibilità (ideali o materiali) - per
il perseguimento di fini oggettivi o per il raggiungimento
di vantaggi personali, o per entrambi gli scopi. Essi
possono costituire associazioni provvisorie o permanenti,
possono comparire in gruppi sociali di ogni specie e
sorgere come gruppi sociali di ogni forma - seguito
carismatico, servitù tradizionale, adesione razionale
(rispetto allo scopo o rispetto al valore, fondata su
una “intuizione del mondo”). Essi possono essere prevalentemente
orientati in vista di interessi personali e di fini
materiali. In pratica, essi possono essere diretti,
ufficialmente o di fatto, all'esclusivo conseguimento
di una posizione di potenza per il loro duce e all'occupazione
di cariche amministrative da parte del proprio apparato
(partiti di patronato); oppure possono agire prevalentemente
e coscientemente nell'interesse di ceti o di classi
(partiti di ceti e di classi) o in base a scopi concreti
più materiali o in base a principi astratti (partiti
ispirati a una intuizione del mondo). La conquista di
posizioni dell'apparato amministrativo per i propri
appartenenti è però di solito almeno uno
scopo concomitante, e il “programma” materiale non di
rado è soltanto un mezzo per attirare gli estranei
all'interno del partito.
I
partiti sono concettualmente possibili soltanto entro
un gruppo sociale, di cui essi vogliono influenzare
o conquistare la direzione; è pure possibile,
e non è rara, un'alleanza di partito che riunisca
diversi gruppi.
I
partiti possono utilizzare qualsiasi mezzo per acquistare
potenza. Laddove la direzione è costituita mediante
un'elezione (formalmente) libera, e la statuizione avviene
mediante il voto, essi sono in primo luogo organizzazioni
costituite per la raccolta dei suffragi e - nel caso
che la votazione proceda nel senso prestabilito - partiti
legali. I partiti legali - in conseguenza del loro fondamento
in linea di principio volontario (cioè in quanto
fondati sulla libera adesione) - significano praticamente
sempre che l'esercizio della politica è un'attività
di interessati: qui rimane ancora da parte il principio
di interessi “economici”, in quanto si tratta di interessati
in senso politico, cioè su base ideologica o
in vista della potenza come tale. Ciò significa
che l'esercizio della politica:
a)
è nelle mani dei capi e degli apparati di
partito;
b)
che i militanti di partito compaiono per lo più
soltanto come acclamati e, in certe circostanze, come
istanze di controllo, di . i discussione, di appello
o di risoluzione;
c)
che i membri non attivi, insieme con le masse associate
(degli elettori e dei votanti), sono soltanto oggetto
di reclutamento nel periodo di elezione e di votazione
(“compagni” passivi), e la loro opinione viene considerata
soltanto come mezzo di orientamento per il lavoro di
reclutamento dell'apparato di partito, nei casi di una
lotta per la conquista del potere.
Di
regola (ma non sempre) restano nascosti i finanziatori
dei partiti.
Al
di fuori dei partiti organizzati in modo formalmente
legale, in un gruppo formalmente legale, possono in
primo luogo esservi :
a)
i partiti carismatici, costituiti per un dissenso
sulla qualità carismatica del detentore del potere,
cioè sul signore carismatico “vero” (in forma
di scisma);
b)
i partiti tradizionalistici, costituiti per un dissenso
sul modo di impiego del potere tradizionale nella sfera
del libero arbitrio e della grazia sovrana (in forma
di ostruzionismo o di rivolta aperta contro le “innovazioni”);
c)
i partiti di fede, di regola identici - anche se
non necessariamente - con quelli del caso a), costituiti
per un dissenso sui contenuti dell'intuizione del modo
o della fede (in forma di eresia, che può verificarsi
anche in partiti razionali, ad esempio il socialismo);
d)
i partiti di pura appropriazione, costituiti per
un dissenso con il detentore del potere e il suo apparato
amministrativo circa il modo di attribuzione delle cariche
amministrative, molto spesso (ma non necessariamente)
identici con quelli di cui al caso b).
Per
la loro organizzazione i partiti possono appartenere
ai medesimi tipi di tutti gli altri gruppi sociali,
e quindi essere orientati - sia per ciò che concerne
l'obbedienza degli aderenti che quella degli apparati
amministrativi - in senso plebiscitario-carismatico
(credenza nel duce) oppure tradizionale (attaccamento
al prestigio sociale del signore o di vicini preminenti)
oppure razionale (attaccamento al capo e all'apparato
creati mediante una votazione “conforme allo statuto”).
(M.
Weber, Economia e Società, op. cit., Vol. I,
pp. 282-283)
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