“Il lavoro e la vita domestica”, in A. Giddens, Fondamenti di sociologia, il Mulino, Bologna, 2000, XI Capitolo.

Guida all'apprendimento

Giddens in questo capitolo si propone di chiarire quale sia il significato del lavoro nella nostra vita, cioè quale sia la sua natura nelle società moderne e quali siano i principali cambiamenti che interessano la vita economica.
Per fare questo procede selezionando alcuni degli aspetti e delle dimensioni che egli ritiene più rilevanti in riferimento al fenomeno lavorativo.

Il capitolo affronta, nell’ordine, i seguenti TEMI:
1) definizione di lavoro
2) divisione del lavoro
3) sindacati e conflitto industriale
4) donne e lavoro
5) disoccupazione
6) futuro del lavoro

Nel passare in rassegna tali temi Giddens privilegia un taglio descrittivo-concettuale, in cui i riferimenti teorici sono frequentemente integrati da dati statistici.
In questo come negli altri capitoli è fondamentale raggiungere un apprendimento che è di tipo sia contenutistico, sia terminologico, prestando quindi particolare attenzione anche al codice comunicativo sociologico.

In primo luogo, occorre sottolineare come il lavoro rivesta un’importanza che va oltre la semplice sfera economica, poiché esso mette in gioco aspetti che riguardano l’identità, la riconoscibilità sociale, la condizione psicologica, la relazionalità.

Secondo Giddens vi sono 6 caratteristiche particolarmente rilevanti del lavoro retribuito:
1) il denaro , che offre la possibilità di soddisfare i bisogni primari e secondari;
2) il livello di attività , che concerne la possibilità di acuire ed esercitare competenze e capacità;
3) la varietà , che si riferisce alla sperimentazione di ambienti diversi da quello domestico-familiare;
4) la struttura temporale , che chiama in causa il ritmo impresso da un’attività lavorativa nell’organizzazione di una giornata e della quotidianità;
5) i contatti sociali , che riguardano l’ampliamento delle occasioni di interazione sociale offerte entro il lavoro;
6) infine, come in parte anticipato, l’identità personale, che si richiama al senso di stabile identità sociale offerto dal possesso di un lavoro e di una remunerazione.
Un lavoro si trova, si esercita, si perde entro quello che viene definito mercato del lavoro, il cui studio vede una frequente presenza dei sociologi, accanto a quella tradizionale degli economisti.
Il concetto di lavoro appare più complesso ed articolato di quanto non possa sembrare in prima battuta.

Esso, infatti, è più ampio di quello di ‘lavoro retribuito’: le categorie di ‘occupato’ e ‘disoccupato’ non esauriscono una realtà che comprende anche la cosiddetta “economia informale” , non registrata in modo diretto dalle statistiche ufficiali sull’occupazione.
Entro l’economia informale si possono collocare evidentemente le transazioni economiche ‘in nero’, ma anche forme di attività in proprio (il ‘fai da te’) e di scambio tra persone (nel contesto amicale, parentale, di vicinato), nonché il lavoro di volontariato e il lavoro domestico.Nelle società moderne il lavoro è stato accompagnato e caratterizzato dalla comparsa e maturazione del sistema della produzione industriale, a sua volta connesso al più ampio contesto sociale ed economico.
Tale sistema ha al proprio centro l’elemento tecnologico ed anche gli attuali sviluppi sono fortemente correlati al cambiamento della tecnologia.
Il secondo dei temi affrontati da Giddens coglie uno degli aspetti centrali e distintivi della vita economica nella modernità: la divisione del lavoro.
Rispetto alla società tradizionali, dove a) frequentemente il lavoratore prendeva parte direttamente all’intero processo di produzione, b) i mestieri artigianali erano poche decine e pochissimi erano le attività specializzate (mercanti, soldati, sacerdoti ricorda Giddens), c) la maggior parte della popolazione era autosufficiente e si procurava il cibo ed i prodotti di uso quotidiano attraverso il proprio lavoro, con la famiglia che era unità di produzione e consumo, la società moderna ha specializzato le mansioni, i ruoli ed i processi lavorativi, aumentando enormemente l’interdipendenza economica tra i diversi individui.
Uno dei filoni di studio della divisione del lavoro, tra luci ed ombre che essa ha portato con sé, si rivolge agli aspetti più negativi di cui la divisione del lavoro stessa è sia espressione sia causa: uno dei concetti più dibattuti ed approfonditi, a partire dalla produzione hegeliana e marxiana, è quello di alienazione.
Giddens ricostruisce a grandi linee il percorso che ha portato il lavoro sino alla modernità ‘matura’.
Nel 1776 l’economista A. Smith descrisse, all’interno della sua celeberrima opera La ricchezza della nazioni, l’enorme aumento nel tasso di produttività ottenuto all’interno di una fabbrica di spilli attraverso la divisione del lavoro in mansioni specializzate.
Alla fine del XIX secolo un ingegnere statunitense, F.W. Taylor, formalizzò la filosofia della divisione e specializzazione del lavoro elaborando quello che egli stesso definì ‘management scientifico’, altrimenti noto come ‘organizzazione scientifica del lavoro’, in cui ogni singolo processo lavorativo veniva scomposto ed ottimizzato in termini di tempistica e di efficienza. Il cosiddetto taylorismo si diffuse ampiamente in molti Paesi occidentali, ma incontrò diverse resistenze ad Oriente, differenziandosi in particolare dal modello di organizzazione aziendale giapponese.
La ‘lezione’ di Taylor fu applicata entro la produzione di massa, quindi per la vendita di prodotti in mercati di massa, da H. Ford, il cui sistema basato su macchine e strumenti specializzati per la produzione di automobili (e sulla costruzione innovativa di una catena di montaggio mobile), sperimentato nel 1913 per la famosa Ford modello T, ebbe un tale successo di efficienza e di vendite da portare alla definizione di fordismo.
Il taylorismo ed il fordismo insieme sembravano poter rappresentare per lungo tempo il futuro della produzione industriale, ma Giddens sottolinea come una certa rigidità di tale sistema di fronte a modifiche del prodotto, la facilità di copiatura della produzione e, quindi, il vantaggio considerevole di chi può avere manodopera a basso costo, la costosità dell’allestimento di una catena di produzione meccanizzata lo rendono ottimale solo per alcuni settori.
In più occorre aggiungere che negli ultimi decenni si è assistito ad un sempre più marcato spostamento da un mercato di massa standardizzato verso una produzione flessibile, ‘personalizzata’, mutevole nell’arco di tempi piuttosto brevi, ‘su misura’ in relazione sia all’ammontare di richieste sia al tipo di richieste, spostamento di orizzonte che può sintetizzarsi attraverso espressioni come produzione ‘just-in-time’.
L’introduzione e la diffusione della progettazione computerizzata ha fortemente favorito il passaggio alla produzione flessibile, consentendo di creare su vasta scala prodotti progettati per clienti particolari. A tal riguardo Giddens ricorda come S. Davis abbia parlato della nascita di una ‘individualizzazione di massa’, sintetizzando efficacemente un fenomeno in cui si abbinano modifiche promosse dall’innovazione tecnologica e modifiche nella domanda di prodotti.
La produzione flessibile ha avuto origine, prima dello sviluppo della progettazione computerizzata, in Giappone, dove molto si è puntato, come si è visto in precedenza, sulle competenze dei lavoratori e su un’organizzazione più agile.
Al di là della competitività dei sistemi produttivi sul piano dell’efficienza e delle vendite, Giddens mette in evidenza un altro, importante aspetto del fenomeno lavorativo: la motivazione al lavoro o, in un’accezione più ampia e generale, la qualità del lavoro dal punto di vista del lavoratore.
Giddens ricorda come fordismo e taylorismo siano stati definiti ‘sistemi a basso affidamento’, in cui “le mansioni vengono stabilite dalla direzione e adattate alle macchine. Le persone che effettuano il lavoro sono strettamente sorvegliate e dotate di poca autonomia d’azione” (p. 278). Un ‘sistema ad alto affidamento’ “è quello in cui gli individui sono lasciati abbastanza liberi di controllare l’andamento, e anche il contenuto, del lavoro, all’interno di alcune linee guida prestabilite” (p. 278).
Le alternative all’organizzazione del lavoro a basso affidamento, in cui elevati sono tanto l’insoddisfazione e l’assenteismo dei lavoratori quanto il conflitto, sperimentate a partire dagli anni ’70, hanno puntato sull’automazione (si pensi ai robot, che certamente in un futuro prossimo avranno sempre più spazio nella produzione) e sulla produzione di gruppo, in cui i lavoratori collaborano e si incontrano per studiare e risolvere problemi della produzione.
Giddens giunge quindi al terzo tema individuato tra i più interessanti: il conflitto industriale, inteso come forma specifica del più ampio conflitto sociale legata al rapporto tra operai e datori di lavoro.
Dopo episodi e modalità di lotta premoderne quali rivolte e ribellioni per il cibo o contro le tasse eccessivamente elevate (che si trascinarono fino alla fine dell’Ottocento), nel XIX secolo il conflitto industriale cominciò a definirsi in maniera sempre più peculiare: dapprima attraverso forme semi-organizzate, poi con la formazione di un vero e proprio movimento di tipo sindacale.
Le reazioni furono spesso dure e drastiche, come a cavallo tra Settecento e Ottocento, quando in Gran Bretagna furono approvate normative che vietavano esplicitamente le riunioni tra operai organizzati e le dimostrazioni popolari. L’abolizione di tali divieti si ebbe circa 20 anni dopo e, nel corso del XIX secolo si registrò il graduale costituirsi del sindacalismo, consolidatosi tra la fine dello stesso secolo e l’inizio del successivo, trasformandosi in un movimento di massa.
Ancora agli inizi del XX secolo lo sciopero, strumento chiave della protesta dei lavoratori, era un evento abbastanza spontaneo, ma a partire dagli anni ’20 divenne sempre più il frutto di decisioni di gruppi organizzati.
In ottica europea e occidentale, il sindacato mostra storie e caratteristiche fortemente dipendenti dai vari contesti nazionali e dalle vicende ad essi interne.
Perché esistono i sindacati? “A parere di alcuni, i sindacati sarebbero di fatto una variante delle corporazioni medievali […] riproposta nel contesto dell’industria moderna. Questa interpretazione potrebbe aiutarci a capire perché i sindacati sono spesso emersi inizialmente tra gli operai di mestiere, ma non chiarisce il costante conflitto industriale. Una spiegazione più soddisfacente deve tener presente il fatto che i sindacati si sono sviluppati per proteggere gli interessi materiali dei lavoratori all’interno di contesti industriali che li uniscono, creando solidarietà, ma in cui essi dispongono di un potere formale assai scarso”, Giddens, p. 283.
Appare piuttosto evidente come alcune difficoltà di rappresentatività e di legittimazione in cui si muovono attualmente i sindacati siano da attribuirsi alla frammentazione del mercato del lavoro visibile ed in tendenziale aumento, tra flessibilità, lavoro precario, lavori in affitto, lavori atipici.
I sindacati nel corso della seconda metà del XX secolo sono cresciuti, si sono consolidati e burocratizzati, divenendo interlocutori autorevoli delle politiche nazionali.
In questo processo di radicamento vi sono stati passaggi critici: Giddens ricorda come la crescita di funzionari a tempo pieno può aver dato origine a gruppi dirigenti sindacali distanti dalla realtà quotidiana del lavoro e diversità di opinioni rispetto ai lavoratori, inoltre generalmente i sindacati non annoverano tra gli iscritti un’elevata percentuale di donne.
Oltre alla problematica richiamata più sopra, sono suggerite almeno tre questioni che minacciano la forza delle organizzazioni sindacali: la recessione economica mondiale, associata ad alti livelli di disoccupazione (si indebolisce il potere negoziale); la perdita di dinamismo ed importanza delle vecchie industrie manifatturiere (tradizionali roccaforti sindacali); l’apertura internazionale dei mercati del lavoro verso le aree dell’Estremo Oriente, dove il costo del lavoro - in particolare i salari - è sovente assai più basso rispetto ai Paesi occidentali.
Tendenzialmente si nota un indebolimento dei sindacati in periodi di sofferenza occupazionale.
Il tasso di sindacalizzazione appare in discesa in tutti i Paesi industrializzati, anche se il suo andamento varia da Paese a Paese.
La definizione di sciopero, precedentemente fornita in termini assai generali, sconta un’arbitrarietà abbastanza elevata, per cui diventa importante sapere a quale definizione si fa riferimento quando si presentano dei dati.
I principali indicatori utilizzati per ‘misurare’ gli scioperi su base annua sono: il numero (o frequenza); la percentuale di lavoratori coinvolta (partecipazione); il numero di giornate di lavoro perse per gli scioperi (volume).
Giddens sottolinea come lo sciopero sia una delle forme, certamente la più nota, del conflitto industriale (ci sono anche le serrate, le limitazioni della produzione, gli scontri in sede negoziale, l’elevato turnover della manodopera, l’assenteismo, il disturbo dell’attività produttiva)

Nella tabella, ricavata da G. Della Rocca, Il sindacato, in G.P. Cella, T. Treu (a cura di), Le nuove relazioni industriali, il Mulino, Bologna, 1998, si veda la sindacalizzazione dell’Italia negli ultimi 50 anni.

 
Il quarto tema affrontato da Giddens è quello del rapporto tra donne e lavoro.
Si rinvia al Capitolo “Stratificazione e struttura di classe”, in particolare al Par. 4 “Genere e stratificazione”, sottolineando come ci si trovi di fronte ad una delle numerose interrelazioni entro la conoscenza sociologica, che solo per comodità analitico-espositive viene articolata in capitoli entro i manuali didattici.
Negli ultimi decenni il mercato del lavoro occidentale, caratterizzato tradizionalmente da un’ampia maggioranza di lavoratori maschi, ha visto un aumento progressivo della presenza femminile all’interno della forza lavoro.
Giddens fa notare come nelle società pre-industriali vi fosse una stretta corrispondenza e vicinanza tra attività produttive ed attività domestiche entro la famiglia, che assumeva nella grande maggioranza dei casi i connotati di ‘azienda’, essendo forte il suo carattere di aggregato con valenza produttivo-economica. Al suo interno i diversi membri erano impegnati nel lavoro, con un ruolo sovente di rilievo per le donne, mentre gli uomini mantenevano il monopolio su politica e guerra.
L’urbanizzazione e l’industrializzazione furono i processi che cambiarono profondamente questo stato di cose, in primis separando il luogo di lavoro dalla casa.
Nella prima parte dell’Ottocento molti imprenditori assumevano interi nuclei familiari, ma poi questa pratica scomparve e si la separazione tra luogo di lavoro e casa si istituzionalizzò, portando le donne a diventare le custodi dei ‘valori domestici’, tra lavoro di cura, assistenza e gestione della casa.
Per la maggior parte del XX secolo i livelli occupazionali femminili si mantennero tendenzialmente bassi, in maniera tutto sommato indipendente dalla condizione di classe.
 
La casa, cessando di essere luogo di lavoro ‘ufficiale’, divenne quindi luogo di lavoro domestico e di consumo, piuttosto che di produzione.
Lo sviluppo tecnologico diffuso attraverso prodotti di massa come gli elettrodomestici e, prima ancora, l’installazione di impianti di acqua calda e di impianti elettrici tolse parte della fatica ad un lavoro casalingo che era assai duro.
 
Nonostante l’innovazione tecnologica, l’emancipazione femminile da una serie di ruoli e consuetudini consolidatisi nel sistema culturale e la maggior partecipazione al mercato del lavoro, ancora oggi il tempo medio dedicato da una donna alle attività casalinghe in molti Paesi occidentali si è mantenuto piuttosto elevato.
Giddens ricorda, ad esempio, come sia aumentato il tempo dedicato alla cura dei bambini, agli acquisti e alla preparazione dei pasti.
Sempre in tema di rapporto tra donne e lavoro, viene poi sottolineato come sia rilevante il significato del lavoro casalingo non retribuito per l’economia, visto che esso fornisce (gratuitamente) un’ampia serie di servizi che vanno a sostegno di gran parte della popolazione attiva.

Giddens sottolinea come l’aumentata presenza delle donne nel mercato del lavoro sia da leggere in buona parte in chiave di copertura di posti di lavoro scarsamente retribuiti e tendenzialmente routinari, posti che magari un tempo erano di buon prestigio (si pensi all’attività impiegatizia) e che oggi, grazie alla meccanizzazione del lavoro d’ufficio, sono meno appetibili.

Anche se lo scarto si è ridotto negli ultimi anni, la retribuzione media femminile è alquanto inferiore a quella maschile, anche all’interno della stessa categoria occupazionale. Ciò comporta anche un rischio più elevato di povertà per le donne, rischio particolarmente forte tra quante hanno famiglia a carico e, in particolare, nella fase infantile dei figli. Giddens sottolinea come la condizione femminile, dal punto di vista del rapporto col mondo del lavoro, si presenti come un circolo vizioso in cui le non pari opportunità alimentano condizioni di precarietà e fragilità.
L’ingresso in attività e mansioni che sono appannaggio degli uomini è avvenuto, ma con casi ancora abbastanza isolati e partendo da posizioni piuttosto basse.
Ciò che appare evidente è che il sistema socio-culturale risulta ancora ‘ostile’, o perlomeno non adeguato, per quelle donne che raggiungono una collocazione lavorativa ed un successo economico sinora riservati ai maschi. In particolare, come emerge da alcune ricerche, la possibilità della maternità finisce per condizionare l’accesso al lavoro e/o a particolari livelli lavorativi, venendo rappresentata come elemento di ostacolo da imprenditori e dirigenti. La differenza nell’atteggiamento verso donne lavoratrici sembra essere rapportata, più che ad eventuali difficoltà nello svolgere un lavoro, sulla responsabilità nella cura dei figli, che viene comunemente attribuita in misura prevalente alle madri, andando a pregiudicare il raggiungimento di pari opportunità, nonostante la legislazione abbia cercato e cerchi di fare attività promozionale.
La Svezia appare come il Paese occidentale più avanzato per quanto riguarda l’uguaglianza tra i sessi, con un sistema di sussidi statali e di servizi che supportano la maternità e la cura dei figli e con un tasso di attività femminile elevato. Nonostante questo anche in Svezia la percentuale tra le donne di impieghi part-time, che offrono minori opportunità di carriera, benefici sociali e trattamenti pensionistici, è notevolmente superiore a quella maschile.
Il quinto tema riguarda una delle questioni più dibattute e delle sfide più pressanti degli ultimi anni: la disoccupazione.
Nella Tabella tratta da N. Smelser, Manuale di sociologia, il Mulino-Prentice Hall, Bologna, 1995, p. 496, con fonte R. Golinelli - edizione italiana de A.B. Abel, B.S. Bernanke, Macroeconomia, il Mulino, Bologna, 1994 (curata da Golinelli medesimo), si veda il tasso di disoccupazione italiano tra il 1925 e il 1992.
 
Nel corso del Novecento i tassi di disoccupazione hanno avuto diverse oscillazioni, con un picco negli anni ’30 nei Paesi occidentali.
Dopo la seconda guerra mondiale le idee di J.M. Keynes, economista, ebbero vasta diffusione e raccolsero ampio credito, in tal modo prevalse una politica economica in cui lo Stato era protagonista, in particolare attraverso l’incremento della domanda di lavoro e la creazione di nuovi posti di lavoro.
Nei tre decenni che seguirono la guerra vi fu una tendenziale crescita economica, con i governi tesi a raggiungere la piena occupazione in tutti i Paesi occidentali. Successivamente, tuttavia, la crescita rallentò, i tassi di disoccupazione ricominciarono a salire e il cosiddetto ‘keynesismo’ venne fortemente ridotto, quando non abbandonato.
Ritornando a quanto affermato in merito alla definizione di lavoro, occorre sottolineare come anche per il concetto di disoccupazione ci si trovi di fronte ad ambiguità e possibili fraintendimenti.
Giddens ricorda che essere disoccupati “significa ‘essere senza lavoro’. Ma ‘lavoro’ qui sta per ‘lavoro retribuito’ e ‘lavoro nel contesto di un’occupazione riconosciuta’” (p. 297). Appare chiaro che rimangono fuori le forme di lavoro non ufficiale, altrimenti detto ‘informale’, non registrato: persone definite disoccupate potrebbero pertanto svolgere questi tipi di lavori.
Due misure ulteriori e complementari, secondo alcuni economisti, possono meglio cogliere il fenomeno della disoccupazione: si tratta del ‘lavoratore scoraggiato’ (chi vorrebbe un lavoro ma, persa la speranza di trovarlo, ha smesso di cercarlo attivamente) e del ‘lavoratore a tempo parziale involontario’ (chi, pur desiderandolo, non ha un lavoro a tempo pieno).
Giddens ricorda l’importanza di indicatori e concetti.
Dalla tabella qui sopra si coglie l’articolazione del tasso di disoccupazione per età e genere in Italia, nel 1998. Volendo azzardare una sintesi estrema, si può affermare che - in Italia – la disoccupazione è prevalentemente giovanile, femminile e meridionale.
Il sesto (ed ultimo) tema affrontato da Giddens riguarda un interrogativo che, in tempi di globalizzazione e di accelerato sviluppo tecnologico, tocca uno dei nervi scoperti delle società contemporanee: quale sarà il futuro del lavoro?
Ritorna con prepotenza il concetto, ambiguo ed ormai abusato, di ‘flessibilità’: come si è già potuto in parte sottolineare entro tale concetto si può trovare sia un lavoratore con molteplici capacità e credenziali professionali (il ‘lavoratore-portafoglio’) che può muoversi da un lavoro all’altro senza ripetersi, sia un lavoratore indebolito dalla precarietà e, quindi, da un forte depotenziamento della progettualità lavorativa e sociale.

Anche se alcune ricerche sembrano mostrare una preferenza della maggior parte delle aziende e dei manager ad assicurarsi un personale stabile, magari impegnandosi a metterlo in formazione più di una volta, le grandi trasformazioni del lavoro sono caratterizzate da processi di reversibilità, ristrutturazione, tempo determinato, ecc.

Il vasto ed anche appassionato dibattito sviluppatosi intorno al destino del lavoro così come esso è giunto sino a noi, istituzione centrale del XX secolo, ha portato alcuni a parlare di declino dell’importanza del lavoro. L’argomentazione da essi sviluppata si basa sull’idea che l’identificazione tra lavoro ed occupazione retribuita sia limitativa: se il non possesso di un’occupazione retribuita cessasse di essere inteso come mancanza di lavoro, una possibilità potrebbe darsi - secondo questi studiosi – nel considerare come ‘lavoratori indipendenti’ coloro che attualmente sono definiti come disoccupati, distribuendo sussidi a quanti ne hanno bisogno per realizzare i propri progetti.

Una tendenza complessivamente riscontrabile, pur tra eccezioni e squilibri geografico-economici, è che la quantità di tempo dedicata al lavoro retribuito, grazie soprattutto allo sviluppo tecnologico, continua a diminuire e ciò potrebbe portare ad una forte modificazione di fasi, sequenze, tempi, interazioni, scambi tra vita e lavoro. La varietà delle forme e della durata del lavoro potrebbe portare sempre più persone a pianificare la propria vita con ‘andate’ e ‘ritorni’ tra dimensione socio-culturale e dimensione lavorativa.
Giddens suggerisce come molte persone sembrino apprezzare, ad esempio, “proprio la possibilità, offerta dal part-time, di combinare il lavoro retribuito con altre attività e di condurre una vita più varia” (p. 302).
Il sociologo francese A. Gorz ritiene che occorra ‘liberarsi dal lavoro’, una volta accertato che il processo di trasformazione in corso mostra come il lavoro retribuito e il lavoro a tempo pieno siano in diminuzione e siano destinati a diminuire ulteriormente, sotto la spinta delle ‘microtecnologie’.
Liberarsi dal lavoro, secondo Gorz, è importante soprattutto dove l’attività lavorativa segue schemi tayloristici o risulta oppressiva e monotona.
Gorz ritiene che già esista, accanto alla quota in calo di lavoratori stabili, una “non-classe di non-lavoratori”.
Questa trasformazione, nelle previsioni dell’autore francese, potrebbe portare ad un rifiuto della filosofia ‘produttivistica’ occidentale, a favore di una varietà di stili di vita che si porrà al di fuori della sfera del lavoro permanente retribuito.
Giddens raccoglie lo spunto di Gorz di provare a vedere la disoccupazione in una luce non necessariamente negativa, ma “come occasione di perseguire i propri interessi e sviluppare i propri talenti”. Tuttavia chiude con una sintesi decisamente concreta: “il lavoro retribuito rimane per molti la fonte principale delle risorse materiali necessarie a condurre una vita variata” (p. 303). Ed anche dignitosa.
Esercizi di verifica del percorso di comprensione e studio
 
1) Quali sono le sei caratteristiche del lavoro retribuito che Giddens ritiene particolarmente rilevanti? suggerimento
2) In quale modo si può dare una definizione soddisfacente di lavoro? suggerimento
3) Qual è una definizione sintetica di ‘economia informale’? suggerimento
4) Quali sono le due caratteristiche distintive del sistema economico moderno? In cosa consistono? suggerimento
5) Quali sono i principali passaggi - e i principali riferimenti teorici - che hanno contraddistinto la maturazione del lavoro dalla prime forme di
     specializzazione alla produzione industriale moderna? suggerimento
6) In cosa consistono i sistemi a basso e ad alto affidamento? suggerimento
7) In quale modo si può argomentare in termini introduttivamente sul concetto di ‘produzione flessibile’? suggerimento
8) Quali spiegazioni si possono dare della nascita e del consolidamento dei sindacati?suggerimento
9) Quali sono le lacune e le sfide che caratterizzano la condizione attuale del sindacalismo? suggerimento
10) Quali sono le forme di conflitto industriale? suggerimento
11) Quali sono i principali indicatori riguardanti gli scioperi? suggerimento
12) Quali sono le principali differenze tra società pre-industriali e società industriali che hanno a che fare con il rapporto tra donne e lavoro? suggerimento
13) Quali aspetti emergono nel processo di ampliamento della presenza femminile all’interno del mercato del lavoro? suggerimento
14) Quale riflessione si può fare sul concetto di disoccupazione? suggerimento
15) Qual è stato l’andamento della disoccupazione e delle politiche del lavoro nei Paesi occidentali durante il XX secolo? suggerimento
16) Quali considerazioni si possono fare intorno al concetto di ‘lavoratore flessibile’? suggerimento
17) Quali considerazioni si possono fare intorno al concetto di ‘declino dell’importanza del lavoro? suggerimento
18) Qual è, in sintesi, la posizione di A. Gorz? suggerimento