Diremo in definitiva che: dicesi suicidio ogni caso di morte direttamente o indirettamente risultante da un atto positivo o negativo compiuto dalla stessa vittima pienamente consapevole di produrre questo risultato. Il tentativo di suicidio è l’atto così definito ma arrestato prima che ne risulti la morte. (É. Durkheim, Il suicidio,
in É. Durkheim, Il suicidio – L’educazione morale, Utet, Torino,
1977, p. 63; opera originalmente pubblicata nel 1897)
Ma il fatto
cosi definito interessa il sociologo ? Se il
suicidio Non
dobbiamo per adesso ricercare in quale misura e in quali condizioni
è legittimo studiare i suicidi da questo punto di vista; è
certo tuttavia che essi possono essere considerati sotto tutt'altro
aspetto. Se anziché scorgervi unicamente avvenimenti privati,
isolati gli uni dagli altri, che richiedono ognuno un esame a sé,
si contemplasse l'insieme dei suicidi commessi in una determinata
società, in una determinata unità di tempo, si constaterebbe
che il totale così ottenuto non è una semplice somma
di unità indipendenti, un tutto da collezione, bensì
un fatto nuovo e sui generis, avente una sua unità e
individualità, una propria natura quindi e, per di più,
una natura eminentemente sociale. Per una stessa società infatti,
finché l'osservazione non si svolge su di un periodo troppo
esteso, tale cifra è pressoché invariabile […].
È
vero che si verificano talora variazioni più importanti, ma
sono del tutto eccezionali. D'altronde, si può vedere come
esse siano sempre concomitanti con qualche crisi che tocchi in modo
passeggero la situazione sociale.
(Ibidem,
p. 65)
Se si considera
un intervallo di tempo più lungo, si notano dei mutamenti più
gravi, che diventano cronici e stanno a denotare che i caratteri costitutivi
della società hanno subìto, nel contempo, profonde modifiche.
[…]
Ogni società,
ad ogni momento della sua storia, ha dunque una caratteristica attitudine
al suicidio. L’intensità relativa di questa attitudine si valuta
facendo il rapporto tra la cifra globale delle morti volontarie e
quella della popolazione di ogni età e sesso. Chiameremo questo
dato numerico tasso della mortalità-suicida proprio della
società considerata. Lo si calcola, generalmente, in rapporto
a un milione o a centomila abitanti. Non solo questo tasso è
costante durante lunghi periodi di tempo, ma la sua invariabilità
è persino maggiore di quella dei principali fenomeni demografici.
La stessa mortalità generale varia assai più frequentemente
da un anno all’altro e le variazioni che subisce sono molto più
importanti.
(Ibidem,
pp. 67-68)
Il tasso
dei suicidi costituisce perciò un ordine di fatti unico e determinato;
il che è dimostrato, insieme, dalla sua persistenza e dalla
sua variabilità. Questa persistenza sarebbe inspiegabile se
non fosse per un insieme di caratteri distintivi, solidali tra loro,
che si affermano simultaneamente, nonostante la diversità delle
circostanze ambientali; e tale variabilità è testimonianza
della natura individuale e concreta di questi stessi caratteri, dato
che variano come varia la stessa individualità sociale. In
sostanza, questi dati statistici esprimono la tendenza al suicidio
da cui è affetta collettivamente ogni singola società.
[…]
Ogni
società è predisposta a fornire un contingente determinato
di morti volontarie. Questa predisposizione può quindi essere
oggetto di uno studio particolare di competenza della sociologia,
ed è appunto questo lo studio che ci accingiamo a compiere.Si
tratta di spiegare un fenomeno che deve essere attribuito o a cause
extrasociali di grande generalità, oppure a cause propriamente
sociali. Ci chiederemo in primo luogo quale sia l’influenza delle
prime e vedremo che essa è nulla o limitatissima.
Determineremo
poi la natura delle cause sociali, il modo con cui producono i loro
effetti e le loro relazioni con gli stati individuali che accompagnano
i vari tipi di suicidio. Ciò fatto, saremo in grado di precisare
in che consista l’elemento sociale del suicidio, quella tendenza collettiva,
cioè, di cui si è parlato, quali siano i suoi rapporti
con gli altri fatti sociali e con quali mezzi sia possibile agire
su di essa.
(Ibidem,
pp. 70-72)
Siamo
riusciti a stabilire che per ogni gruppo sociale esiste una tendenza
specifica al suicidio che né la costituzione organico-psichica
degli individui, né la natura dell’ambiente fisico potrebbero
spiegare. Ne consegue, per eliminazione, che questa tendenza dipende
necessariamente da cause sociali e costituisce di per sé un
fenomeno collettivo; alcuni di quei fatti che abbiamo esaminato e,
in particolare, le variazioni geografiche e stagionali del suicidio
ci avevano condotto a questa conclusione. Dobbiamo adesso studiare
questa tendenza più da vicino.
(Ibidem,
p. 183)
[…]
l’asserzione fondamentale che i fatti sociali sono obiettivi che già
abbiamo avuto modo di stabilire in un altro lavoro e che consideriamo
come il principio base del metodo sociologico trova nella statistica
morale e soprattutto in quella del suicidio una nuova riprova particolarmente
dimostrativa. Non v’è dubbio che urti il senso comune, ma ogni
volta che la scienza è giunta a rivelare agli uomini l’esistenza
di una forza da essi ignorata, ha incontrato l’incredulità.
(Ibidem,
p. 371)
Non
v'è ideale morale che non si combini, in proporzioni variabili
a seconda delle società, con l'egoismo, l'altruismo, e una
certa anomia. La vita sociale presuppone, infatti, che l'individuo
abbia ad un tempo una certa personalità, che sia pronto quando
la comunità lo esiga a farne la rinuncia e infine che sia aperto
in certa misura alle idee di progresso. Ecco perché non vi
è popolo in cui non coesistano queste tre correnti d'opinione
che fanno propendere l'uomo in tre direzioni divergenti e anche contraddittorie.
Dove esse si temperano vicendevolmente, l'agente morale è in
uno stato di equilibrio che lo pone al riparo da ogni idea di suicidio.
Ma basta che una di esse superi di qualche grado d'intensità
le altre, perché per le ragioni suesposte, diventi suicidogena
individualizzandosi.
(Ibidem, p. 383) |