Società a solidarietà meccanica e società a solidarietà organica: caratteri

Basta infatti gettare uno sguardo sui nostri Codici per constatare lo spazio ridotto che occupa il diritto repressivo, in rapporto al diritto cooperativo. Che cosa rappresenta il primo nei confronti del vasto sistema formato dal diritto domestico, dal diritto contrattuale, dal diritto commerciale e così via? L’insieme delle relazioni sottomesse alla regolamentazione penale rappresenta soltanto la più piccola frazione della vita generale, e di conseguenza i vincoli che ci collegano alla società e che derivano dalla comunità delle credenze e dei sentimenti sono molto meno numerosi di quelli che risultano dalla divisione del lavoro.
[…] abbiamo appena visto che quanto più un tipo sociale si avvicina al nostro, tanto più il diritto cooperativo diventa predominante; il diritto penale, invece, occupa un margine tanto maggiore quanto più ci si allontana dall'organizzazione attuale. Ciò significa che questo fenomeno è vincolato non a qualche causa accidentale, più o meno morbosa, ma alla struttura delle nostre società in ciò che essa ha di più essenziale; infatti, quanto più essa si determina, tanto più si sviluppa il diritto cooperativo. Perciò la legge che abbiamo stabilito nel capitolo precedente ci è doppiamente utile: oltre a confermare i principi sui quali riposa la nostra conclusione, essa ci permette anche di stabilirne la generalità.
Da questa comparazione non possiamo però dedurre quale sia la parte della solidarietà organica nella coesione generale della società. Infatti, ciò che fa sì che l'individuo sia più o meno strettamente fissato al gruppo, non è soltanto la quantità maggiore o minore dei punti di connessione, ma è anche l'intensità variabile delle forze che lo tengono ad esso collegato. Potrebbe quindi darsi che i vincoli risultanti dalla divisione del lavoro, pur essendo più numerosi, siano più deboli degli altri, e che la maggiore energia di questi ultimi compensi la loro inferiorità numerica. In realtà, è vero il contrario.
Infatti, ciò che misura la forza relativa dei due vincoli sociali è la facilità diseguale con la quale si infrangono. Il meno resistente è evidentemente quello che si rompe sotto la minima pressione; e proprio nelle società inferiori, presso le quali la solidarietà mediante somiglianza è la sola forma, o quasi la sola, di solidarietà, le rotture sono più frequenti e più agevoli. […]
La situazione muta completamente, a misura che il lavoro si divide. Le diverse parti dell'aggregato, per il fatto stesso di assolvere funzioni diverse, non possono venir facilmente separate. “Se - dice Spencer - separassimo dal Middlesex i suoi dintorni, tutte le sue operazioni si fermerebbero entro pochi giorni, in mancanza di materiali. Separate il distretto nel quale si lavora il cotone da Liverpool e dagli altri centri: l'industria si arresterà e la popolazione perirà. Separate le popolazioni che vivono dell'industria carbonifera dalle popolazioni vicine che fondono i metalli o fabbricano a macchina tessuti di abbigliamento: esse moriranno subito socialmente, ed in seguito moriranno individualmente. Indubbiamente, quando una società civile subisce una divisione tale che una delle sue parti resta priva di direzione centrale capace di esercitare l'autorità, non tarda a costituirsene un'altra; ma essa corre il grave rischio di dissolversi e - prima che la riorganizzazione ricostituisca un'autorità sufficiente - è esposta al rischio di restare per lungo tempo in uno stato di disordine e di debolezza”.
(É. Durkheim, La divisione del lavoro sociale, op. cit, pp. 161-163)

Se dunque esiste una verità che la storia ha reso indubbia, questa è proprio l’estensione sempre minore della porzione di vita sociale che la religione
ricopre. In origine essa si estendeva a tutto; tutto ciò che era sociale e religioso: i due termini erano sinonimi. In seguito, a poco a poco, le funzioni politiche, economiche, scientifiche si sono rese indipendenti dalla funzione religiosa, costituendosi a parte ed assumendo un carattere temporale sempre più accentuato. Dio - per così dire - che in principio era presente a tutte le relazioni umane, si ritira progressivamente da esse; abbandona il mondo agli uomini e alle loro controversie. Per lo meno - anche se continua a dominarlo - lo fa dall'alto e da lontano; e l'azione che esercita, diventando più generale e più indeterminata, lascia un margine maggiore al libero giuoco delle forze umane. L'individuo si sente quindi - ed è realmente - meno diretto; diventa maggiormente una fonte di attività spontanea. In breve, non soltanto il dominio della vita religiosa non aumenta nello stesso tempo e nella medesima misura in cui aumenta quello della vita temporale, ma esso si restringe sempre più. La sua regressione non è cominciata a un dato momento della storia, ma possiamo seguirne le fasi fin dalle origini dell'evoluzione sociale : essa è quindi vincolata alle condizioni fondamentali dello sviluppo delle società, ed attesta in tal modo la crescente diminuzione del numero delle credenze e dei sentimenti collettivi che sono tali abbastanza, e abbastanza forti, per assumere un carattere religioso. Ciò equivale a dire che l'intensità media della coscienza comune sta essa stessa sempre più indebolendosi. […]
La diminuzione del numero dei proverbi, degli adagi, dei detti e così via, a misura che le società si sviluppano, è un'altra prova del fatto che anche le rappresentazioni collettive stanno diventando più indeterminate. […]
Perciò tutto concorre a provare che l’evoluzione della coscienza comune di compia nel senso da noi indicato. Essa progredisce verosimilmente meno della coscienza individuale – in ogni caso, diventa più debole e più vaga nel suo insieme. […]
L'individualismo ed il libero pensiero non datano né dai giorni nostri, né dal 1789, né dalla Riforma, né dalla Scolastica, né dalla caduta del politeismo greco-romano o delle teocrazie orientali: è un fenomeno che non comincia da nessuna parte, ma che si sviluppa incessantemente durante tutto il corso della storia. Non si tratta certamente di uno sviluppo rettilineo: le nuove società che si sostituiscono ai tipi sociali estinti non cominciano mai il loro corso nel punto preciso in cui l'altro è cessato. […]
Ciò non significa, d'altra parte, che la coscienza comune corra il pericolo di sparire completamente; essa consiste sempre più di maniere di pensare e di sentire estremamente generali e indeterminate, le quali lasciano un margine a una molteplicità sempre crescente di dissidenze individuali. Non manca anche un luogo in cui si è raffermata e precisata - quello che concerne l'individuo. A misura che le altre credenze e le altre pratiche assumono un carattere sempre meno religioso, l'individuo diventa oggetto di una specie di religione
. Abbiamo per la dignità della persona un culto che - come ogni culto fortemente sentito - ha già le sue superstizioni. Si tratta quindi, se vogliamo, di una fede comune; ma, in primo luogo, essa non è possibile se non in virtù del crollo delle altre, e di conseguenza non può produrre gli effetti che producevano le svariate credenze estinte. Non vi è compensazione. Inoltre, anche se è comune in quanto condivisa dalla comunità, essa è tuttavia individuale dal punto di vista del suo oggetto. Anche se essa volge tutte le volontà verso il medesimo scopo, questo scopo non è sociale. La sua è quindi una situazione del tutto eccezionale nella coscienza collettiva. Trae sì dalla società tutta la propria forza, ma non ci collega alla società, bensì a noi stessi. Pertanto essa non costituisce un autentico vincolo sociale. Si è potuto quindi giustamente rimproverare ai teorici che hanno fatto di questo sentimento la base esclusiva della loro dottrina morale, di dissolvere la società.
Possiamo quindi concludere dicendo che tutti i vincoli sociali che risultano dall'uniformità si allentano progressivamente.
Questa legge basta già di per sé a mostrare quale parte importante abbia la divisione del lavoro. Infatti, dato che la solidarietà meccanica si sta indebolendo, bisogna o che la vita propriamente sociale diminuisca o che un'altra solidarietà si sostituisca a poco a poco a quella che se ne va: occorre scegliere. Invano qualcuno sostiene che la coscienza collettiva si estende e si rafforza contemporaneamente alla coscienza degli individui. Abbiamo appena provato che i due termini variano in senso inverso. Tuttavia il progresso sociale non consiste in una dissoluzione continua: quanto più si procede, tanto più profonda è la consapevolezza che le società hanno di se stesse e della loro unità. Deve quindi esserci qualche altro vincolo sociale per produrre questo risultato; e non può essere se non quello che deriva dalla divisione del lavoro.
Se poi si tiene anche presente che, perfino dove essa è più resistente, la solidarietà meccanica non vincola l'uomo con la stessa forza con la quale lo vincola la divisione del lavoro, e che d'altronde la maggior parte dei fenomeni sociali attuali resta estranea alla sua azione, sarà ancora più evidente che la solidarietà sociale tende a diventare esclusivamente organica. La divisione del lavoro assume sempre più la funzione sostenuta un tempo dalla coscienza comune; essa principalmente realizza la coesione degli aggregati sociali dei tipi superiori.
Ecco una funzione della divisione del lavoro ben più importante di quelle che le riconoscono abitualmente gli economisti. […]
È quindi una legge storica che la solidarietà meccanica, che all'inizio è sola o quasi, perda progressivamente terreno e che la solidarietà organica diventi a poco a poco preponderante. Ma quando si modifica la maniera in cui gli uomini sono solidali, la struttura della società non può non mutare. […]
Se cercassimo di costituire col pensiero il tipo ideale di una società la cui coesione risultasse esclusivamente dalle affinità dei suoi membri, dovremmo concepirla come una massa assolutamente omogenea, le cui parti non si distinguerebbero le une dalle altre e perciò non si adatterebbero reciprocamente, e che - in conclusione - sarebbe del tutto priva di forma definita e di organizzazione. Essa rappresenterebbe il vero protoplasma sociale, il germe dal quale sarebbero scaturiti i tipi sociali. Proponiamo di chiamare orda l'aggregato dotato di tali caratteristiche. […]
Diamo il nome di clan all'orda che ha cessato di essere indipendente per diventare l'elemento di un gruppo più esteso, e il nome di società segmentarie a base di clan ai popoli che sono costituiti da un'associazione di clan. Diciamo che queste società sono segmentarie, per indicare che esse sono formate dalla ripetizione di aggregati simili, analoghi agli anelli del lombrico, e che l'aggregato elementare è un clan, perché questo termine esprime bene la sua natura mista, ad un tempo familiare e politica. Esso è una famiglia, nel senso che tutti i membri che lo compongono si considerano parenti e che effettivamente sono, nella maggior parte dei casi, consanguinei. Le affinità prodotte dalla comunità di sangue sono quelle che principalmente li tengono uniti; inoltre, tra essi intercorrono relazioni che possono essere qualificate domestiche, poiché le ritroviamo in altre società, il cui carattere familiare è incontestato: intendo parlare della vendetta collettiva, della responsabilità collettiva e - a partire dal momento in cui la proprietà individuale fa la sua apparizione - dell'eredità reciproca. Ma, d' altro canto, il clan non è una famiglia nel vero senso, della parola, poiché per farne parte non è necessario avere con gli altri membri del clan rapporti di consanguineità ben definiti; basta la sussistenza di un criterio esterno, che consiste generalmente nel fatto di portare il medesimo nome. Per quanto si creda che questo segno denoti un'origine comune, tale stato civile costituisce in realtà una prova molto poco dimostrativa e facile da imitare. Perciò il clan conta molti estranei, e ciò gli permette di attingere dimensioni che nessuna famiglia propriamente detta ha mai raggiunto: esso comprende infatti molto spesso diverse migliaia di persone. D'altronde, esso è l'unità politica fondamentale; i capi dei clan sono le sole autorità sociali. […]
Ma, quale che sia il suo nome, questa organizzazione - al pari di quella dell’orda, di cui non è che un prolungamento - comporta evidentemente soltanto la solidarietà derivante dalle uniformità, poiché la società è formata da segmenti similari i quali a loro volta non comprendono che elementi omogenei. Senza dubbio ogni clan ha una fisionomia propria, e si distingue quindi dagli altri, ma quanto più essi sono eterogenei, tanto più debole è la solidarietà, e viceversa. Perché l'organizzazione segmentaria sia possibile occorre nello stesso tempo che i segmenti si assomiglino - altrimenti non sarebbero uniti - e che differiscano - altrimenti si perderebbero gli uni negli altri e scomparirebbero. A seconda delle società, queste due esigenze contrarie vengono soddisfatte in proporzioni differenti; ma il tipo sociale resta il medesimo.
(Ibidem, pp. 180-187)
Che queste società siano il luogo d’elezione della solidarietà meccanica è dimostrato dal fatto che appunto da essa derivano le loro principali caratteristiche fisiologiche.
(Ibidem, p. 189)
Ecco perché la solidarietà resta meccanica fintanto che la divisione del lavoro non è più sviluppata. Proprio in queste condizioni, d’altronde, essa raggiunge il suo apice: l’azione della coscienza comune è infatti più forte quando si esercita non più in maniera diffusa, ma mediante un organo definito.
C’è dunque una struttura sociale di natura determinata, alla quale corrisponde la solidarietà meccanica. Ciò che la caratterizza è il fatto che essa costituisce un sistema di segmenti omogenei e simili tra loro. […]
La struttura delle società in cui prevale la solidarietà organica è completamente diversa.
Esse sono costituite, non già da una ripetizione di segmenti simili e omogenei, ma da un sistema di organi differenti, ognuno dei quali ha un compito specifico, e che sono formati essi stessi di parti differenti. Non soltanto gli elementi sociali non sono della medesima natura, ma non sono neppure disposti nella medesima maniera: non sono né posti l'uno accanto all'altro linearmente come gli anelli di un lombrico né incastrati l'uno nell'altro, ma sono coordinati e subordinati reciprocamente intorno al medesimo organo centrale, che esercita sul resto dell'organismo un’azione moderatrice. Anche quest'organo non ha più il carattere che aveva nel caso precedente: infatti, se gli altri dipendono da esso, questo dipende a sua volta da loro. […]
Questo tipo sociale riposa su principi talmente differenti da quelli del precedente, che non può svilupparsi se non nella misura in cui l'altro scompare. Infatti gli individui sono aggruppati non più in base ai loro rapporti di discendenza, ma in base alla natura specifica dell'attività sociale alla quale si consacrano.
(Ibidem, pp. 191-192)
Riassumendo, abbiamo distinto due sorte di solidarietà; ed abbiamo pure riconosciuto che esistono due tipi sociali ad esse corrispondenti. Come le prime si sviluppano in proporzione inversa, così l’uno dei due tipi sociali ad esse corrispondenti regredisce regolarmente a misura che l’altro progredisce, e quest’ultimo è definito in base alla divisione del lavoro. Questo risultato non soltanto conferma quelli precedenti, ma completa la dimostrazione dell’importanza della divisione del lavoro: come in massima parte è essa che rende coerenti le società in seno alle quali viviamo, così pure è essa che determina i tratti costitutivi della loro struttura; e tutto lascia prevedere che in futuro la sua importanza da questo punto di vista, crescerà sempre più.
(Ibidem, pp. 201-202)
[…] quanto è stato detto permette di constatare la falsità della teoria secondo cui l'egoismo sarebbe il punto di partenza dell'umanità, e l'altruismo una conquista recente. […]
In nome del dogma della lotta per la vita e della selezione naturale, i più tristi colori vengono adoperati per dipingere l'umanità primitiva - le cui sole passioni sarebbero state la fame e la sete, d'altronde mal soddisfatte - i tempi oscuri in cui gli uomini non avrebbero avuto che la preoccupazione e l'occupazione di disputarsi a vicenda alimenti miserabili. […]
Nulla è meno scientifico di questo partito preso in senso contrario. Ammesso che ci si possa servire delle ipotesi di Darwin in campo morale, lo si deve fare con ancor più riserva e misura che nelle altre scienze. Esse fanno infatti astrazione dall'elemento essenziale della vita morale, vale a dire dall'influenza moderatrice che la società esercita sui suoi membri, e che tempera e neutralizza l'azione brutale dalla lotta per la vita e della selezione. Dovunque vi siano società, c'è altruismo, perché c' è solidarietà. […]
Scientificamente, una condotta è egoistica nella misura in cui viene determinata da sentimenti e rappresentazioni esclusivamente personali. Se quindi terremo presente fino a quale punto la coscienza dell'individuo è nelle società inferiori pervasa dalla coscienza collettiva, saremo perfino tentati di credere che è interamente altro da sé, che è tutta altruismo […].
Non bisogna dunque dire che l'altruismo sia nato dall'egoismo: una derivazione di questo genere non sarebbe possibile che mediante una creazione ab nihilo. Ma, per parlare in termini rigorosi, queste due molle della condotta si sono trovate presenti fin dall'inizio in tutte le coscienze umane, poiché non possono esservi coscienze che non riflettano contemporaneamente sia le cose che si riferiscono all'individuo sia quelle che non lo riguardano personalmente. […]
Nell'uomo civile, invece, l'egoismo si introduce perfino nell'ambito delle rappresentazioni superiori: ognuno di noi ha le sue opinioni, le sue credenze, le sue aspirazioni, e tiene ad esse. L'egoismo si infiltra perfino nell'altruismo, poiché ci accade di avere un modo di essere altruisti che di.pende dal nostro carattere personale, dalla forma del nostro spirito, e da cui ci rifiutiamo di separarci. Non bisogna naturalmente concludere che il margine che l'egoismo occupa nell'insieme della vita sia diventato più grande: occorre infatti tener presente che l'intera coscienza si è estesa. Non è per questo meno vero che l'individualismo si è sviluppato in valore assoluto, penetrando in regioni che in origine gli erano precluse.
(Ibidem, pp. 205-207)
Indubbiamente, se gli uomini si uniscono mediante il contratto, ciò vuoI dire che in seguito alla divisione del lavoro, semplice o complessa, essi hanno bisogno gli uni degli altri. Ma per cooperare armonicamente, non basta loro entrare in rapporto e neppure essere consapevoli dello stato di reciproca dipendenza nel quale si trovano; occorre ancora che le condizioni di tale cooperazione siano stabilite per tutta la durata delle loro relazioni. Occorre che i doveri e i diritti di ognuno siano definiti, non soltanto in vista della situazione, quale si presenta nel momento i cui essi stipulano il contratto, ma anche in previsione delle circostanze che possono prodursi e modificarla: altrimenti vi sarebbero ad ogni istante nuovi conflitti e nuovi dissensi. Non bisogna dimenticare infatti che, se la divisione del lavoro rende solidali gli interessi, non per questo li confonde, ma li lascia distinti e rivali. Come all'interno dell'organismo individuale ogni organo è in antagonismo con gli altri, pur cooperando con essi, così ogni contraente, pur avendo bisogno degli altri, cerca di ottenere con il minimo della spesa ciò di cui ha bisogno, cioè di acquistare il massimo di diritti con il minimo di obbligazioni. […]
La maggior parte delle nostre relazioni con gli altri sono di natura contrattuale. Se quindi fosse necessario ogni volta ricominciare le lotte e intavolare le trattative necessarie per stabilire esattamente tutte le condizioni dell'accordo per il presente e il futuro, saremmo immobilizzati. Per tutti questi motivi, se fossimo vincolati soltanto dai termini dei nostri contratti, quali li abbiamo discussi, la solidarietà che ne risulterebbe non potrebbe essere che precaria.
Ma il diritto contrattuale è là appunto per determinare le conseguenze giuridiche dei nostri atti, che non avevamo determinate. […]
Esso ci sottomette a obbligazioni che non avevamo contratte nel vero senso della parola, perché non le avevamo deliberate e neppure talvolta conosciute in anticipo. Indubbiamente, l'atto iniziale è sempre contrattuale, ma ha conseguenze, e perfino conseguenze immediate, che vanno più o meno oltre i limiti del contratto. Cooperiamo perché l'abbiamo voluto, ma questa cooperazione volontaria ci crea doveri che non avevamo voluto.
(Ibidem, pp. 220-221)
Le proposizioni seguono riassumono […].
La vita sociale deriva da una duplice fonte: l'uniformità delle coscienze e la divisione del lavoro sociale
. Nel primo caso l'individuo è socializzato perché, non avendo un'individualità propria, si confonde con i suoi simili in seno allo stesso tipo collettivo; nel secondo caso perché, pur avendo una fisionomia e un'attività personale che lo distinguono dagli altri, dipende da essi proprio nella misura in cui da essi si distingue, e perciò dipende dalla società che risulta dalla loro unione.
L'uniformità delle coscienze dà origine a certe regole giuridiche che determinano la natura e i rapporti delle funzioni divise, la cui violazione produce soltanto misure riparatrici, prive del carattere di espiazione. Ognuno di questi corpi di regole giuridiche è d'altra parte accompagnato da un corpo di regole puramente morali. Dove il diritto penale è molto voluminoso, la morale comune è molto estesa: c' è quindi una molteplicità di pratiche collettive poste sotto la custodia dell'opinione pubblica. Dove il diritto restitutivo è molto sviluppato, per ogni professione c'è una morale professionale. All'interno di un gruppo di lavoratori esiste un'opinione, diffusa in tutta l'estensione di questo aggregato ristretto, che pur essendo sprovvista di sanzioni legali si fa tuttavia obbedire. Vi sono costumi e usanze, comuni ad un dato ordine di funzionari, che nessuno di essi può infrangere senza incorrere nel biasimo della corporazione.
[…] anche dove la società riposa completamente sulla divisione del lavoro, essa non si risolve perciò in una miriade di atomi giustapposti, tra i quali non possono stabilirsi che contatti esterni e passeggeri; ma i suoi membri sono uniti da vincoli che si estendono ben al di là dei brevi momenti in cui avviene lo scambio. Ognuna delle funzioni che esercitano è sempre dipendente dalle altre, e forma con esse un sistema solidale: dalla natura del compito scelto derivano quindi doveri permanenti. Dal momento che adempiamo a questa o quella funzione domestica o sociale, siamo coinvolti in una rete di obbligazioni dalle quali non abbiamo il diritto di renderci indipendenti. C'è soprattutto un organo nei confronti del quale il nostro stato di dipendenza aumenta sempre più - lo Stato. I punti in cui siamo in contatto con esso si moltiplicano, al pari delle occasioni nelle quali esso ha l'incarico di richiamarci al sentimento della solidarietà comune. […]
Ogni società è una società morale. Sotto certi aspetti, questo carattere è perfino più pronunciato nelle società organizzate. Dal momento che l'individuo non è autosufficiente, egli riceve dalla società tutto ciò che gli è necessario, in quanto lavora per essa. Si forma così in lui un sentimento vivissimo dello stato di dipendenza in cui si trova, ed egli si abitua a stimarsi per quello che vale, cioè a non considerarsi che la parte di un tutto, l'organo di un organismo. Sono questi i sentimenti che, per la loro stessa natura, ispirano non soltanto i sacrifici giornalieri che assicurano lo sviluppo regolare della vita sociale quotidiana, ma anche, all’occorrenza, atti di rinuncia completa e di abnegazione senza restrizioni. Da parte sua la società impara a considerare i membri che la compongono non più come cose sulle quali ha diritti, ma come cooperatori dei quali non può fare a meno e nei confronti dei quali ha doveri. A torto, dunque, si contrappone la società che deriva dalla comunità delle credenze a quella che ha per base la cooperazione, e si accorda soltanto alla prima un carattere morale, mentre non si vede nella seconda che un aggruppamento economico. In realtà la cooperazione ha essa pure una moralità intrinseca. […]
Ma la natura delle due forme di moralità è differente: quella che deriva dall'uniformità è forte soltanto se l'individuo non lo è. Costituita di regole praticate senza distinzione da tutti, essa riceve da tale pratica universale ed uniforme un'autorità che fa di essa qualcosa di sovrumano e che la sottrae, in misura maggiore o minore, alla discussione. L'altra invece si sviluppa a misura che si rafforza la personalità individuale. Una funzione, per quanto regolata, lascia sempre un ampio margine all'iniziativa dei singoli. Inoltre, molte delle obbligazioni così sanzionate hanno la loro origine in una scelta della volontà: scegliamo noi la nostra professione ed anche alcune delle nostre funzioni domestiche. Indubbiamente, a partire dal momento in cui la nostra risoluzione ha cessato di essere interiore, dando luogo a conseguenze sociali, siamo vincolati: esse impongono a noi doveri che non avevamo espressamente voluto. Eppure, esse hanno avuto origine da un atto volontario. […]
Esistono dunque due grandi correnti della vita sociale, alle quali corrispondono due tipi di struttura non meno differenti.
Di tali correnti, quella che trae origine dalle uniformità sociali procede all’inizio sola e senza rivali, e si confonde con la vita stessa della società. Poi, a poco a poco, essa si canalizza e si rarefa, mentre la seconda si ingrossa sempre di più. Analogamente, la struttura segmentarla viene sempre più ricoperta dall’altra, senza però mai sparire del tutto.

(Ibidem, pp. 231-234)