Rappresentazioni individuali e rappresentazioni collettive 

Quando abbiamo detto - in altra sede - che i fatti sociali sono, in un certo senso, indipendenti dagli individui ed esterni alle coscienze individuali, abbiamo semplicemente affermato per il dominio sociale ciò che abbiamo stabilito adesso per il dominio psichico. Il substrato della società è l'insieme degli individui associati. Il sistema che essi formano unendosi - e che varia secondo la loro disposizione sulla superficie del territorio, secondo la natura ed il numero delle vie di comunicazione - costituisce la base su cui si eleva la vita sociale. Le rappresentazioni che ne costituiscono la trama scaturiscono dalle relazioni tra gli individui così combinati o tra i gruppi secondari che si interpongono tra l'individuo e la società totale. Se non si vede nulla di straordinario nel fatto che le rappresentazioni individuali, prodotte dalle azioni e dalle reazioni scambiate tra gli elementi nervosi, non siano inerenti a tali elementi, perché sorprendersi se le rappresentazioni collettive, prodotte dalle azioni e dalle reazioni scambiate tra le coscienze elementari di cui è costituita la società, non derivano direttamente da queste ultime e, di conseguenza, vanno al di là di esse? Il rapporto che unisce il substrato sociale alla vita sociale è del tutto analogo a quello che si deve ammettere tra il substrato fisiologico e la vita psichica degli individui - a meno di non negare ogni psicologia propriamente detta. Le medesime conseguenze debbono quindi prodursi in entrambi i casi. L'indipendenza e l'esteriorità relativa dei fatti sociali nei confronti degli individui è ancor più immediatamente evidente di quella dei fatti mentali nei confronti delle cellule cerebrali: infatti i primi, almeno i più importanti, recano visibile il marchio della loro origine. Infatti, anche ammesso che sia possibile contestare che tutti i fenomeni sociali senza eccezione si impongono all'individuo dal di fuori, il dubbio non sembra più possibile a proposito delle credenze e delle pratiche religiose, delle regole della morale e degli innumerevoli precetti del diritto, cioè per le manifestazioni più caratteristiche della vita collettiva. Esse sono tutte esplicitamente obbligatorie -e l'obbligazione è appunto la prova che questi modi di agire e di pensare non sono opera dell'individuo, ma emanano da un'autorità morale che l'oltrepassa, immaginata misticamente sotto forma di un dio oppure concepita in maniera più temporale e più scientifica.
(É. Durkheim, Sociologia e filosofia, in É. Durkheim, Le regole del metodo sociologico - Sociologia e filosofia, Edizioni di Comunità, Milano, 1969, p. 156, opera originalmente pubblicata nel 1895)