Dalla prefazione alla II edizione de “Le regole del metodo sociologico” (1901).

Fatti sociali e sociologia 


La proposizione in base alla quale i fatti sociali devono essere considerati come cose – proposizione che è alla base stessa del nostro metodo – rientra tra quelle che hanno provocato il maggior numero di opposizioni. Si è trovato paradossale e scandaloso il fatto che assimiliamo alle realtà del mondo esterno quelle del mondo sociale. […]
(É. Durkheim, Le regole del metodo sociologico, op. cit., p. 10)

Un’altra proposizione è stata discussa non meno vivamente della precedente – quella che presenta i fenomeni sociali come esterni agli individui. Ci viene oggi accordato volentieri che i fatti della vita individuale e quelli della vita collettiva sono in qualche misura eterogenei […].(Ibidem, p. 13)
Rimane da dire ancora qualche parola a proposito della definizione dei fatti sociali che abbiamo dato nel capitolo I di quest’opera: essi consistono in modi di fare e di pensare riconoscibili in base al fatto che sono in grado di esercitare un’influenza coercitiva sulle coscienze individuali.(Ibidem, p. 17)
[…] i modi collettivi di agiree di pensare hanno al di fuori degli individui una realtà a cui essi si conformano in ogni istante: essi sono cose ditate di esistenza propria. L’individuo li trova completamente costituiti, e non può far sì che non siano o che siano diversamente dal modo in cui sono : egli è quindi obbligato a tener conto di essi, ed è per lui tanto più difficile (non diciamo impossibile) modificarli per il fatto che essi sono dotati, in grado diverso, della supremazia morale e materiale che la società esercita sui suoi membri. Senza dubbio, l’individuo partecipa alla loro genesi; ma affinché ci sia un fatto sociale, occorre che diversi individui riuniscano la loro azione e che da questa combinazione risulti qualche prodotto nuovo. E dal momento che questa sintesi ha luogo al di fuori di ciascuno di noi (poiché in essa interviene una pluralità di coscienze), essa ha necessariamente l'effetto di fissare e di istituire al di fuori di noi certi modi di agire e certi giudizi che non dipendono dalle volontà individuali prese singolarmente. Come è stato fatto rilevare, c'è un termine che – a condizione di estenderne il significato corrente – esprime assai bene questo particolare modo di essere: il termine di istituzione. Si può infatti – senza svisare il senso dell’espressione – chiamare istituzione ogni credenza e ogni forma di condotta istituita dalla collettività; la sociologia può venir allora definita come istituita la scienza delle istituzioni, della loro genesi e del loro funzionamento.

(Ibidem, pp. 19-20)
Risulta in tal modo giustificata mediante un nuovo motivo la separazione che abbiamo prima stabilito tra la psicologia propriamente detta (o scienza dell’individuo mentale) e la sociologia. I fatti sociali non differiscono dai fatti psichici soltanto in qualità: essi hanno un altro substrato, non si sviluppano nello stesso ambiente, non dipendono dalle medesime condizioni. Ciò non vuol dire che non siano essi pure in qualche maniera fatti psichici, dal momento che consistono tutti in modi di pensare o di agire. Ma gli stati della coscienza collettiva hanno una natura differente da quella degli stati della coscienza individuale; essi sono rappresentazioni di un altro tipo. La mentalità dei gruppi non è quella dei singoli, e ha leggi che sono soltanto sue. Le due scienze sono perciò nettamente distinte nella misura in cui possono esserlo due scienze – quali che siano i rapporti che sussistono per altro verso tra di loro.

(Ibidem, p. 14)