Natura dei fenomeni sociali e loro analisi (concetti di causa e funzione)

La maggior parte dei sociologi ritiene di aver reso conto dei fenomeni mostrando a che cosa servono e quale funzione assolvono. Si ragiona come se i fenomeni esistessero soltanto in vista di questa funzione e come se la loro unica causa determinante fosse la consapevolezza - chiara o confusa - dei servizi che sono chiamati a rendere. Ecco perché si crede di aver detto tutto quanto è necessario per renderli intelligibili quando si è stabilita la realtà di tali servizi, e mostrato a quale bisogno sociale essi soddisfino. È questo il motivo per cui Comte riconduce tutta la forza progressiva della specie umana alla tendenza fondamentale “che spinge direttamente l'uomo a migliorare la sua condizione”, e Spencer al bisogno di una maggiore felicità. In virtù di questo principio egli spiega la formazione della società in base ai vantaggi che risultano dalla cooperazione, l'istituzione del governo in base all'utilità che deriva dalla regolarizzazione della cooperazione militare, le trasformazioni attraverso cui è passata la famiglia in base al bisogno di conciliare sempre più perfettamente gli interessi dei genitori, dei figli e della società.
Ma questo metodo confonde due questioni molto differenti. Mostrare a che cosa un fatto sia utile non vuol dire spiegare né come esso sia nato, né come esso sia ciò che è, poiché gli impieghi ai quali serve suppongono sì le proprietà specifiche che lo caratterizzano – ma non le creano. Il bisogno che abbiamo delle cose non può far sì che esse siano proprio queste o quelle e, di conseguenza, non può trarle dal nulla e porle in essere: esse devono la loro esistenza a cause di altro genere. La consapevolezza della loro utilità può sì incitarci a mettere in opera tali cause e a trarne gli effetti che esse implicano, ma non a suscitare tali effetti dal nulla. […]
Ciò che mostra bene la dualità di questi due ordini di ricerche è la constatazione che un fatto può esistere senza servire a nulla, sia perché non ha mai collimato con uno scopo vitale, sia perché – dopo essere stato utile – ha perso completamente la sua utilità, continuando ad esistere soltanto per la forza dell’abitudine. Nella società, infatti, le sopravvivenze sono ancora più numerose che nell’organismo; e in qualche caso è accaduto che una pratica o un’istituzione sociale abbiano mutato funzione senza però cambiare di natura. La regola is pater est quem iustae nuptiae declarant è materialmente restata nel nostro codice ciò che era nel vecchio diritto romano. Ma, mentre allora essa aveva lo scopo di tutelare i diritti di proprietà del padre sui figli nati da moglie legittima, oggi essa protegge piuttosto i diritti dei figli. Il giuramento ha cominciato con l’essere una specie di prova giudiziaria, per diventare semplicemente una forma solenne e imponente di testimonianza. I dogmi religiosi del Cristianesimo non mutano da secoli; ma la loro funzione nelle società moderne non è più quella che era nel Medioevo. In questo modo anche le parole servono a esprimere idee nuove senza che la loro trama muti.
(É. Durkheim, Le regole del metodo sociologico, op. cit., pp. 91-93)

Quando ci si accinge a spiegare un fenomeno sociale, bisogna dunque ricercare separatamente la causa efficiente che lo produce e la funzione che esso assolve. Ci serviamo del termine “funzione” preferendolo ai termini “scopo” o “fine”, proprio perché i fenomeni sociali generalmente non esistono in vista dei risultati utili che producono. Ciò che dobbiamo determinare è se sussiste una corrispondenza tra il fatto considerato e i bisogni generali dell’organismo sociale e in che cosa consista questa corrispondenza, senza preoccuparsi di saperese essa sia stata intenzionale o meno. Tutte le questioni relative all’intenzione sono d’altra parte troppo soggettive per poter essere trattate scientificamente.Non soltanto i due ordini di problemi devono venire disgiunti, ma in generale conviene affrontare il secondo dopo il primo: quest’ordine corrisponde a quello dei fatti. […]
Anche se dobbiamo procedere soltanto in un secondo tempo alla determinazione della funzione, essa non cessa però di essere necessaria perché la spiegazione del fenomeno sia completa. Infatti, se l’utilità del fatto non è ciò che lo fa essere, occorre generalmente che esso sia utile per poter persistere: se non serve a niente, ciò basta a renderlo nocivo, poiché in questo caso costa senza rendere. Se la generalità dei fenomeni sociali avesse quindi questo carattere parassitario, il bilancio dell’organismo risulterebbe in passivo e la vita sociale sarebbe impossibile. Di conseguenza, per renderla sufficientemente intelligibile è necessario mostrare come i fenomeni che ne costituiscono la materia cooperino tra loro in modo da porre la società in armonia con se stessa e con l’esterno. Senza dubbio la formula corrente, che definisce la vita come una corrispondenza tra l’ambiente interno e quello esterno, è approssimativa; tuttavia essa è vera in generale – e, quindi, per spiegare un fatto di ordine vitale, non basta indicare la causa dalla quale dipende, ma occorre anche, nella maggior parte dei casi, trovare la parte che gli spetta nell’attuazione dell’armonia generale.(Ibidem, pp. 95-97)
Questo potere costrittivo dei fenomeni sociologici attesta che essi esprimono una natura differente dalla nostra, poiché penetrano in noi a viva forza o, per lo meno, gravando su di noi con un peso più o meno grande. Se la vita sociale fosse soltanto un prolungamento dell'essere individuale, non la vedremmo risalire così verso la sua fonte e invaderla impetuosamente. Dal momento che l'autorità a cui l'individuo si inchina agendo, sentendo o pensando socialmente lo domina a tal punto, ciò vuol dire che essa è un prodotto di forze che lo oltrepassano, e delle quali egli non sa perciò rendere conto. Non può certamente derivare da lui questa spinta esteriore che egli subisce; e quindi essa non può certamente venire spiegata in base a ciò che accade in lui. È vero che noi non siamo incapaci di sottoporci a costrizioni, in quanto possiamo frenare le nostre tendenze, le nostre abitudini, perfino i nostri istinti, e arrestarne lo sviluppo mediante un atto di inibizione. Ma i movimenti inibitivi non possono venir confusi con quelli che costituiscono la costrizione sociale: il processo dei primi è centrifugo, mentre quello dei secondi è centripeto. Gli uni si elaborano nella coscienza individuale e tendono poi a esteriorizzarsi; gli altri sono dapprima esterni all'individuo, e tendono quindi a modellarlo dal di fuori a loro immagine. L'inibizione è sì - se vogliamo - il mezzo mediante cui la costrizione sociale produce i suoi effetti psichici; ma non è questa costrizione.Scartato l'individuo, non resta che la società; perciò dobbiamo cercare la spiegazione della vita sociale nella natura della società stessa. Si ritiene infatti che essa, oltrepassando infinitamente l'individuo nel tempo come nello spazio, sia in grado di imporgli i modi di agire e di pensare che la sua autorità ha consacrati. Questa pressione, che è il segno distintivo dei fatti sociali, è quella che tutti esercItano su ognuno.Ma - qualcuno dirà - dal momento che i soli elementi di cui la società è formata sono gli individui, l'origine prima dei fenomeni sociologici non può essere che psicologica. […]
Un tutto non è identico alla somma delle sue parti, ma è qualcosa d'altro, le cui proprietà differiscono da quelle che presentano le parti dalle quali è composto.
[…] la società non è una semplice somma di individui; al contrario, il sistema formato dalla loro associazione rappresenta una realtà specifica dotata di caratteri propri. Indubbiamente nulla di collettivo può prodursi se non sono date le coscienze particolari: ma questa condizione necessaria non è sufficiente. Occorre pure che queste coscienze siano associate e combinate in una certa maniera; da questa combinazione risulta la vita sociale, e di conseguenza è questa combinazione che la spiega. Aggregandosi, penetrandosi, fondendosi, le anime individuali danno vita ad un essere (psichico, se vogliamo) che però costituisce un'individualità psichica di nuovo genere. Perciò bisogna cercare nella natura di questa individualità, e non già in quella delle unità componenti, le cause prossime e determinanti dei fatti che vi si verificano: il gruppo pensa, sente ed agisce in modo del tutto diverso da quello in cui si comporterebbero i suoi membri, se fossero isolati. Se si parte da questi ultimi, non si può quindi comprendere nulla di ciò che accade nel gruppo. […]
Una spiegazione puramente psicologica dei fatti sociali lascia quindi sfuggire tutto ciò che essi hanno di specifico – vale a dire di sociale.
(Ibidem, pp. 100-103)
Giungiamo così alla regola seguente: la causa determinante di un fatto sociale deve essere cercata tra i fatti sociali antecedenti, e non già tra gli stati della coscienza individuale. […]
Possiamo quindi completare la proposizione dicendo che la funzione di un fatto sociale
deve venir sempre cercata nel rapporto in cui si trova con qualche scopo sociale.
(Ibidem, p.106)
Questa concezione dell’ambiente sociale come fattore determinante dell’evoluzione collettiva è della massima importanza. Se la si rifiuta, infatti, la sociologia è nell’impossibilità di stabilire qualsiasi rapporto di causalità. […]
Le cause principali dello sviluppo storico non si troverebbero quindi tra i circumfusa, ma sarebbero tutte nel passato: anch’esse farebbero parte di questo sviluppo, del quale sarebbero semplicemente fasi più antiche. Gli avvenimenti attuali della vita sociale deriverebbero non già dallo stato attuale della società, bensì dagli eventi anteriori, dai precedenti storici, e le spiegazioni sociologiche consisterebbero esclusivamente nel collegare il presente al passato.

(Ibidem, pp.101-111)