Il fatto sociale. Tra esteriorità e costrizione

Quando assolvo il compito di fratello, di marito o di cittadino, quando soddisfo agli impegni che ho contratto, io adempio doveri che sono definiti - al di fuori di me e dei miei atti - nel diritto e nei costumi. Anche quando essi si accordano con i miei sentimenti, ed io ne sento interiormente la realtà, questa non è perciò meno oggettiva: non li ho fatti io, ma li ho ricevuti mediante l'educazione. Quante volte, d'altronde, ci succede di ignorare i dettagli delle obbligazioni a cui siamo tenuti e dobbiamo, per conoscerli, consultare il Codice ed i suoi interpreti autorizzati! Analogamente, per ciò che riguarda le credenze e le pratiche della vita religiosa, il fedele le ha trovate già fatte alla sua nascita; se esse esistevano prima di lui, è perché esistono al di fuori di lui. Il sistema di segni del quale mi servo per esprimere il mio pensiero, il sistema monetario che impiego per pagare i miei debiti, gli strumenti di credito che utilizzo nelle mie relazioni commerciali, le pratiche seguite nella mia professione, e così via, funzionano indipendentemente dall'uso che ne faccio. Se prendiamo gli uni dopo gli altri tutti i membri di cui è composta la società, ciò che precede potrà essere ripetuto per ognuno di essi. Vi sono dunque modi di agire, di pensare e di sentire che presentano la notevole proprietà di esistere al di fuori delle coscienze individuali.
Questi tipi di condotta o di pensiero non soltanto sono esterni all'individuo, ma sono anche dotati di un potere imperativo e coercitivo in virtù del quale si impongono a lui, con o senza il suo consenso. Indubbiamente, quando mi conformo ad essi di mia spontanea volontà, questa coercizione non si fa sentire, o si fa sentire poco, perché è inutile. Ma essa rimane tuttavia un carattere intrinseco di tali fatti; lo dimostra il suo affermarsi nel momento stesso in cui tento di resisterle. […]
Ecco dunque un ordine di fatti che presentano caratteri molto specifici: essi consistono in modi di agire, di pensare e di sentire esterni all’individuo, e dotati di un potere di coercizione in virtù del quale si impongono ad esso. Di conseguenza essi non possono venire confusi né con i fenomeni organici, in quanto consistono di rappresentazioni e di azioni, né con i fenomeni psichici, i quali esistono soltanto nella e mediante la coscienza individuale. Essi costituiscono quindi una nuova specie, e ad essi soltanto deve essere data e riservata la qualifica di sociali. […]
È vero che il termine “costrizione” mediante il quale li definiamo, rischia di impaurire i partigiani zelanti di un individualismo assoluto: professando la credenza che l’individuo è perfettamente autonomo, essi si sentono menomati tutte le volte che si rende l’individuo consapevole del fatto di non dipendere soltanto da se stesso. Ma dal momento che è ormai incontestabile che la maggior parte delle nostre idee e delle nostre tendenze non vengono elaborate da noi, ma ci vengono dal di fuori, esse non possono penetrare in noi se non imponendosi; ed è questo il significato della nostra definizione: Sappiamo d’altronde che la costrizione sociale non esclude necessariamente la personalità individuale.
(É. Durkheim, Le regole del metodo sociologico, op. cit., pp. 25-27)

Noi arriviamo dunque a rappresentarci in modo preciso il dominio della sociologia: esso comprende soltanto un gruppo determinato di fenomeni. Riconosciamo un fatto sociale in base al potere di coercizione esterna che esercita o che è in grado di esercitare sugli individui; e riconosciamo a sua volta la presenza di questo potere in base all’esistenza di qualche sanzione determinata o alla resistenza che il fatto oppone ad ogni iniziativa individuale che tenda a fargli violenza.(Ibidem, p. 31)
È necessario quindi considerare i fenomeni sociali in se stessi, distaccati dai soggetti coscienti che se li rappresentano; è necessario studiarli dal di fuori come cose esterne dato che si presentano a noi in questa veste. Se questa esteriorità è soltanto apparente, l’illusione si dissiperà con il progredire della scienza e vedremo l'esterno - per così dire - interiorizzarsi. Ma la soluzione non può essere presupposta; e anche se, alla fine, i fenomeni sociali non avessero tutti i caratteri intrinseci della cosa, bisogna cominciare considerandoli come se li avessero. […]
Lungi dall'essere un prodotto della nostra volontà, essi la determinano dal di fuori; sono in un certo senso gli stampi in cui siamo costretti a versare le nostre azioni. Spesso questa necessità è tale che non possiamo sfuggirle; ma anche quando riusciamo a trionfare di essa, l'opposizione che incontriamo basta ad avvertirci che siamo in presenza di qualcosa che non dipende da noi. Perciò, considerando i fenomeni sociali come cose, non faremo altro che conformarci alla loro natura.

(Ibidem, pp. 44-45)