Dando un’occhiata alla carta europea dei suicidi, si nota a prima vista come il suicidio Se
vogliamo […] determinare con più esattezza l’influenza del
cattolicesimo e quella del protestantesimo sulla tendenza suicida,
dobbiamo confrontare le due religioni in seno alla stessa società.
(É.
Durkheim, Il suicidio, op. cit, pp. 192-193)
Ambedue vietano il suicidio con la stessa precisione. […] La
sola differenza essenziale tra cattolicesimo e protestantesimo è
che il secondo ammette il libero esame in proporzione più larga
del primo. […]
Il
protestante […] è l’autore precipuo della sua fede. Gli è
stata messa in mano la Bibbia e nessuna interpretazione gliene è
imposta. La stessa struttura del culto riformato rende sensibile questo
stato di individualismo religioso. Ad eccezione dell’Inghilterra,
il clero protestante non è gerarchizzato in nessun luogo e
il prete, come il fedele, fa capo solo a se stesso e alla sua coscienza.
[…]
Il
libero esame è di per sé effetto di un’altra causa.
Quando esso appare, quando cioè gli uomini, dopo aver accettato
per lunghi anni la tradizione costituita, invocano il diritto a farsela
da soli, ciò non è tanto per le attrattive intrinseche
del libero esame, che arreca più dolori che gioie, bensì
perché hanno ormai bisogno di questa libertà. E questo
bisogno può avere una sola origine: il crollo delle credenze
tradizionali. Se esse si imponessero sempre con la stessa forza, nemmeno
si penserebbe a farne la critica.
(Ibidem,
pp. 198-199)
Giungiamo
perciò alla conclusione che la superiorità del protestantesimo
in materia di suicidio proviene dal fatto che la sua Chiesa è
meno fortemente integrata della Chiesa cattolica.
(Ibidem,
p. 201)
Insomma,
l'influenza benefica della religione Ma
se la religione
(Ibidem,
pp. 213-214)
I fatti
sono dunque ben lontani dal confermare la concezione corrente secondo
la quale il suicidio sarebbe dovuto più che altro agli oneri
della vita, perché esso diminuisce, invece, coll’aumentare
di questi oneri. È questa una conseguenza del malthusianesimo
non prevista dal suo inventore.
(Ibidem,
p. 247; 249)
Questi
fatti comportano un'unica spiegazione, che le grandi scosse sociali,
come le grandi guerre popolari, ravvivano i sentimenti collettivi,
stimolano lo spirito di parte come il patriottismo, la fede politica,
la fede nazionalistica e, concentrando le attività verso un
unico scopo determinano, almeno per un periodo, una più forte
integrazione sociale. Non alla crisi è dovuta la salutare influenza
di cui abbiamo stabilita l'esistenza, ma alle lotte di cui questa
crisi è la causa. Esse costringono infatti gli uomini ad avvicinarsi
per far fronte al comune pericolo, e l'individuo pensa meno a se stesso
e di più alla cosa comune. D'altronde si capisce che questa
integrazione possa non essere solo momentanea, ma sopravviva a volte
alle cause che l’hanno immediatamente suscitata, specie quando sia
stata intensa. […]
Abbiamo
dunque successivamente stabilito le tre seguenti asserzioni:
-
Il suicidio varia in ragione inversa al grado d'integrazione della
società religiosa.
-
Il suicidio varia in ragione inversa al grado d'integrazione della
società domestica.
-
Il suicidio varia in ragione inversa al grado d'integrazione della
società politica. […]
La
causa può trovarsi soltanto in una stessa proprietà
che avrebbero in comune i tre gruppi sociali, sebbene in gradi diversi.
L'unica che soddisfi a questa condizione è quella di essere
tutti e tre dei gruppi sociali fortemente integrati. Arriviamo cosi
a questa conclusione generale: Il suicidio varia in ragione inversa
al grado di integrazione dei gruppi sociali di cui fa parte l’individuo.
La società
non può disgregarsi senza che l’individuo in egual misura esca
dalla vita sociale, senza che i suoi fini personali diventino preponderanti
su quelli comuni, e la sua personalità – in una parola – tenda
a porsi al di sopra di quella collettiva. Più deboli sono i
gruppi cui appartiene, meno egli ne dipende per far capo solo a se
stesso e riconoscere come regole di condotta soltanto quelle che si
basano sul suo interesse privato. Se conveniamo di chiamare egoismo
questo stato di eccessiva affermazione dell’io individuale nei confronti
di quello sociale e ai danni di quest’ultimo, potremmo definire egoistico
il particolare tipo di suicidio risultante da una smisurata individualizzazione.
[…]
L'eccessivo
individualismo non ha soltanto il risultato di favorire l'azione delle
cause suicidogene ma è di per sé una di queste cause.
Non solo esso libera da un ostacolo utilmente ingombrante la tendenza
suicida che spinge l'uomo a uccidersi, ma crea tale tendenza di tutto
punto dando vita a uno speciale suicidio segnato dalla sua impronta.
È necessario capire bene ciò che costituisce la natura
propria del tipo di suicidio or ora distinto perché in questo
trova giustificazione il nome che gli abbiamo dato. Cosa c'è
nell'individualismo che possa spiegare questo risultato?
Si
è detto talvolta che l'uomo, in virtù della sua costituzione
fisiologica, non può vivere se non è legato a qualcosa
che lo superi e gli sopravviva, e a motivo di questo bisogno si è
dato la necessità che avremmo di non voler morire interamente.
La vita è tollerabile, si suol dire, soltanto quando vi si
scorge una ragione di essere, quando vi sia uno scopo che ne valga
la pena. L’individuo, preso a sé, è troppo poca cosa,
non è un fine sufficiente alla sua attività. Non solo
egli è limitato nello spazio ma strettamente limitato nel tempo.
Quando non si hanno altri obiettivi all'infuori di noi stessi, non
possiamo sfuggire all'idea che i nostri sforzi siano destinati, in
fondo, a perdersi in quel nulla dove dovremo finire. Ma l'annullamento
ci terrorizza, e in tali condizioni non sapremmo trovare il coraggio
di vivere, di agire, di lottare giacché di tanta fatica nulla
deve restare. In una parola, lo stato egoistico sarebbe in contraddizione
con la natura umana e troppo effimero perché abbia probabilità
di durare.
In
questa forma assoluta l'asserzione è molto contestabile. Se
veramente l'idea che dobbiamo perire ci fosse tanto odiosa, , accetteremmo
di vivere anche a patto di chiudere gli occhi sul valore della vita.
Fino a un certo punto è possibile nasconderci la vista del
nulla, ma non possiamo impedirgli di essere, e checché si faccia,
esso è inevitabile. […]
Fintanto
che l’uomo non ha altri bisogni, può bastare a se stesso e
vivere felice senza altro obiettivo se non quello di vivere. Questo
non è però il caso dell’uomo civile che ha raggiunto
l’età adulta. In lui esistono una quantità di idee,
di sentimenti, di esperienze che nulla hanno a che vedere con le necessità
organiche. L’arte, la morale, la religione L'azione
della società ha suscitato in noi questi sentimenti di simpatia
e di solidarietà che ci predispongono verso gli altri; e modellandoci
a sua immagine, essa ci ha impregnati di quelle credenze religiose,
politiche, morali che presiedono alla nostra condotta. Se abbiamo
lavorato a coltivare la nostra intelligenza lo si è fatto per
poter svolgere il nostro ruolo sociale ed è sempre la Società
che, trasmettendoci la scienza di cui è depositaria, ci fornisce
gli strumenti di questo sviluppo.
Proprio
perché sono di origine collettiva, queste forme superiori dell'attività
umana hanno un fine di natura collettiva. Derivando dalla società,
ad essa riconducono o, meglio, sono la società stessa incarnata
e individualizzata in ognuno di noi. Ma perché esse abbiano
una ragione d'essere ai nostri occhi, occorre che l'oggetto cui mirano
non ci sia indifferente. E noi possiamo tenere alle une solo nella
misura che teniamo all'altra, cioè alla società.
(Ibidem,
pp. 257-261)
E
gli incidenti della vita privata che sembrano gli immediati ispiratori
del suicidio e che ne vengono ritenuti le condizioni determinanti,
in realtà sono solo cause occasionali. Se l’individuo cede
al minimo urto delle circostanze significa che lo stato della società
lo ha reso facile preda del suicidio.
(Ibidem,
p. 264)
Il suicidio
egoistico deriva dal fatto che la società non ha in tutti i
suoi punti una integrazione sufficiente a mantenere i membri in sua
dipendenza. Se esso si moltiplica smisuratamente è perché
questo stato da cui dipende si è a sua volta eccessivamente
diffuso, perché la società, turbata e indebolita, si
lascia sfuggire un eccessivo numero di soggetti. Unico modo di rimediare
al male è quello di restituire ai gruppi sociali una sufficiente
consistenza perché contengano più fortemente l'individuo
e perché egli stesso tenga a loro. Egli deve sentirsi più
solidale con l'essere collettivo che lo ha preceduto nel tempo, che
gli sopravviverà e che lo supera da ogni parte. Solo a questa
condizione egli cesserà di cercare in se stesso l'unico obiettivo
di condotta e, consapevole di essere uno strumento per un fine che
lo supera, si accorgerà di essere utile a qualcosa. La vita
ritroverà un significato ai suoi occhi perché avrà
di nuovo uno scopo e un orientamento naturali.
(Ibidem, p. 441)
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