Il suicidio egoistico

Dando un’occhiata alla carta europea dei suicidi, si nota a prima vista come il suicidio
sia poco sviluppato nei paesi puramente cattolici come la Spagna, il Portogallo, l’Italia, mentre lo è al massimo nei paesi protestanti, in Prussia, Sassonia, Danimarca. […]
Se vogliamo […] determinare con più esattezza l’influenza del cattolicesimo e quella del protestantesimo sulla tendenza suicida, dobbiamo confrontare le due religioni in seno alla stessa società.
(É. Durkheim, Il suicidio, op. cit, pp. 192-193)

Ambedue vietano il suicidio con la stessa precisione. […]

La sola differenza essenziale tra cattolicesimo e protestantesimo è che il secondo ammette il libero esame in proporzione più larga del primo. […]
Il protestante […] è l’autore precipuo della sua fede. Gli è stata messa in mano la Bibbia e nessuna interpretazione gliene è imposta. La stessa struttura del culto riformato rende sensibile questo stato di individualismo religioso. Ad eccezione dell’Inghilterra, il clero protestante non è gerarchizzato in nessun luogo e il prete, come il fedele, fa capo solo a se stesso e alla sua coscienza. […]
Il libero esame è di per sé effetto di un’altra causa. Quando esso appare, quando cioè gli uomini, dopo aver accettato per lunghi anni la tradizione costituita, invocano il diritto a farsela da soli, ciò non è tanto per le attrattive intrinseche del libero esame, che arreca più dolori che gioie, bensì perché hanno ormai bisogno di questa libertà. E questo bisogno può avere una sola origine: il crollo delle credenze tradizionali. Se esse si imponessero sempre con la stessa forza, nemmeno si penserebbe a farne la critica.
(Ibidem, pp. 198-199)
Giungiamo perciò alla conclusione che la superiorità del protestantesimo in materia di suicidio proviene dal fatto che la sua Chiesa è meno fortemente integrata della Chiesa cattolica.
(Ibidem, p. 201)
Insomma, l'influenza benefica della religione
non è dovuta alla speciale natura delle sue concezioni. Se protegge l'uomo dal desiderio di distruggersi, non è perché gli predica con argomenti sui generis il rispetto della sua persona, ma perché essa è una società. Ciò che costituisce questa società è l'esistenza di un certo numero di credenze e di pratiche comuni ad ogni fedele, tradizionali e quindi obbligatorie. Più numerosi e forti sono questi stati collettivi, più la comunità religiosa è fortemente integrata e maggiore è la sua virtù preservatrice. Il dettaglio dei dogmi e dei riti è secondario. È invece essenziale che essi siano di natura tale da alimentare una vita collettiva di sufficiente intensità. È proprio perché la Chiesa protestante non ha lo stesso grado di consistenza delle altre che essa non ha sul suicidio la medesima azione moderatrice. […]
Ma se la religione
preserva dal suicidio, solo in quanto e nella misura in cui è una società, è probabile che altre società possano produrre lo stesso effetto. Osserviamo perciò, da questo punto di vista, la famiglia e la società politica.
(Ibidem, pp. 213-214)
I fatti sono dunque ben lontani dal confermare la concezione corrente secondo la quale il suicidio sarebbe dovuto più che altro agli oneri della vita, perché esso diminuisce, invece, coll’aumentare di questi oneri. È questa una conseguenza del malthusianesimo non prevista dal suo inventore.
(Ibidem, p. 247; 249)
Questi fatti comportano un'unica spiegazione, che le grandi scosse sociali, come le grandi guerre popolari, ravvivano i sentimenti collettivi, stimolano lo spirito di parte come il patriottismo, la fede politica, la fede nazionalistica e, concentrando le attività verso un unico scopo determinano, almeno per un periodo, una più forte integrazione sociale. Non alla crisi è dovuta la salutare influenza di cui abbiamo stabilita l'esistenza, ma alle lotte di cui questa crisi è la causa. Esse costringono infatti gli uomini ad avvicinarsi per far fronte al comune pericolo, e l'individuo pensa meno a se stesso e di più alla cosa comune. D'altronde si capisce che questa integrazione possa non essere solo momentanea, ma sopravviva a volte alle cause che l’hanno immediatamente suscitata, specie quando sia stata intensa. […]
Abbiamo dunque successivamente stabilito le tre seguenti asserzioni:
- Il suicidio varia in ragione inversa al grado d'integrazione della società religiosa.
- Il suicidio varia in ragione inversa al grado d'integrazione della società domestica.
- Il suicidio varia in ragione inversa al grado d'integrazione della società politica. […]
La causa può trovarsi soltanto in una stessa proprietà che avrebbero in comune i tre gruppi sociali, sebbene in gradi diversi. L'unica che soddisfi a questa condizione è quella di essere tutti e tre dei gruppi sociali fortemente integrati. Arriviamo cosi a questa conclusione generale: Il suicidio varia in ragione inversa al grado di integrazione dei gruppi sociali di cui fa parte l’individuo.
La società non può disgregarsi senza che l’individuo in egual misura esca dalla vita sociale, senza che i suoi fini personali diventino preponderanti su quelli comuni, e la sua personalità – in una parola – tenda a porsi al di sopra di quella collettiva. Più deboli sono i gruppi cui appartiene, meno egli ne dipende per far capo solo a se stesso e riconoscere come regole di condotta soltanto quelle che si basano sul suo interesse privato. Se conveniamo di chiamare egoismo questo stato di eccessiva affermazione dell’io individuale nei confronti di quello sociale e ai danni di quest’ultimo, potremmo definire egoistico il particolare tipo di suicidio risultante da una smisurata individualizzazione. […]
L'eccessivo individualismo non ha soltanto il risultato di favorire l'azione delle cause suicidogene ma è di per sé una di queste cause. Non solo esso libera da un ostacolo utilmente ingombrante la tendenza suicida che spinge l'uomo a uccidersi, ma crea tale tendenza di tutto punto dando vita a uno speciale suicidio segnato dalla sua impronta. È necessario capire bene ciò che costituisce la natura propria del tipo di suicidio or ora distinto perché in questo trova giustificazione il nome che gli abbiamo dato. Cosa c'è nell'individualismo che possa spiegare questo risultato?
Si è detto talvolta che l'uomo, in virtù della sua costituzione fisiologica, non può vivere se non è legato a qualcosa che lo superi e gli sopravviva, e a motivo di questo bisogno si è dato la necessità che avremmo di non voler morire interamente. La vita è tollerabile, si suol dire, soltanto quando vi si scorge una ragione di essere, quando vi sia uno scopo che ne valga la pena. L’individuo, preso a sé, è troppo poca cosa, non è un fine sufficiente alla sua attività. Non solo egli è limitato nello spazio ma strettamente limitato nel tempo. Quando non si hanno altri obiettivi all'infuori di noi stessi, non possiamo sfuggire all'idea che i nostri sforzi siano destinati, in fondo, a perdersi in quel nulla dove dovremo finire. Ma l'annullamento ci terrorizza, e in tali condizioni non sapremmo trovare il coraggio di vivere, di agire, di lottare giacché di tanta fatica nulla deve restare. In una parola, lo stato egoistico sarebbe in contraddizione con la natura umana e troppo effimero perché abbia probabilità di durare.
In questa forma assoluta l'asserzione è molto contestabile. Se veramente l'idea che dobbiamo perire ci fosse tanto odiosa, , accetteremmo di vivere anche a patto di chiudere gli occhi sul valore della vita. Fino a un certo punto è possibile nasconderci la vista del nulla, ma non possiamo impedirgli di essere, e checché si faccia, esso è inevitabile. […]
Fintanto che l’uomo non ha altri bisogni, può bastare a se stesso e vivere felice senza altro obiettivo se non quello di vivere. Questo non è però il caso dell’uomo civile che ha raggiunto l’età adulta. In lui esistono una quantità di idee, di sentimenti, di esperienze che nulla hanno a che vedere con le necessità organiche. L’arte, la morale, la religione
, la fede politica, la scienza stessa non hanno il compito di riparare all’usura degli organi né di mantenerne il buon funzionamento. Né sono le sollecitazioni dell’ambiente cosmico a svegliare e sviluppare tutta questa vita ultra-fisica, ma quelle dell’ambiente sociale.
L'azione della società ha suscitato in noi questi sentimenti di simpatia e di solidarietà che ci predispongono verso gli altri; e modellandoci a sua immagine, essa ci ha impregnati di quelle credenze religiose, politiche, morali che presiedono alla nostra condotta. Se abbiamo lavorato a coltivare la nostra intelligenza lo si è fatto per poter svolgere il nostro ruolo sociale ed è sempre la Società che, trasmettendoci la scienza di cui è depositaria, ci fornisce gli strumenti di questo sviluppo.
Proprio perché sono di origine collettiva, queste forme superiori dell'attività umana hanno un fine di natura collettiva. Derivando dalla società, ad essa riconducono o, meglio, sono la società stessa incarnata e individualizzata in ognuno di noi. Ma perché esse abbiano una ragione d'essere ai nostri occhi, occorre che l'oggetto cui mirano non ci sia indifferente. E noi possiamo tenere alle une solo nella misura che teniamo all'altra, cioè alla società.
(Ibidem, pp. 257-261)
E gli incidenti della vita privata che sembrano gli immediati ispiratori del suicidio e che ne vengono ritenuti le condizioni determinanti, in realtà sono solo cause occasionali. Se l’individuo cede al minimo urto delle circostanze significa che lo stato della società lo ha reso facile preda del suicidio.
(Ibidem, p. 264)
Il suicidio egoistico deriva dal fatto che la società non ha in tutti i suoi punti una integrazione sufficiente a mantenere i membri in sua dipendenza. Se esso si moltiplica smisuratamente è perché questo stato da cui dipende si è a sua volta eccessivamente diffuso, perché la società, turbata e indebolita, si lascia sfuggire un eccessivo numero di soggetti. Unico modo di rimediare al male è quello di restituire ai gruppi sociali una sufficiente consistenza perché contengano più fortemente l'individuo e perché egli stesso tenga a loro. Egli deve sentirsi più solidale con l'essere collettivo che lo ha preceduto nel tempo, che gli sopravviverà e che lo supera da ogni parte. Solo a questa condizione egli cesserà di cercare in se stesso l'unico obiettivo di condotta e, consapevole di essere uno strumento per un fine che lo supera, si accorgerà di essere utile a qualcosa. La vita ritroverà un significato ai suoi occhi perché avrà di nuovo uno scopo e un orientamento naturali.

(Ibidem, p. 441)