I fenomeni religiosi si collocano naturalmente in due categorie fondamentali: le credenze e i riti. Le prime sono stati di opinione e consistono di rappresentazioni; i secondi costituiscono tipi determinati di azione. Tra questi due ordini di fatti c'è tutta la differenza che separa il pensiero dal movimento. I
riti possono essere definiti e distinti dalle altre pratiche umane,
specialmente da quelle morali, soltanto per la natura particolare del
loro oggetto. Una legge morale ci prescrive infatti, esattamente come
un rito, modi di agire che si rivolgono però a oggetti di un
genere diverso. È dunque l'oggetto del rito che occorre caratterizzare,
per poter caratterizzare il rito stesso; e la natura speciale di questo
oggetto si esprime nella credenza. Non si può dunque definire
il rito se non dopo aver definito la credenza.
Tutte le credenze
religiose conosciute, siano esse semplici o complesse, hanno uno stesso
carattere comune: esse presuppongono una classificazione delle cose
reali o ideali che si rappresentano gli uomini, in due classi o in due
generi opposti, definiti generalmente con due termini distinti - tradotti
abbastanza bene dalle designazioni di profano e di sacro. La divisione
del mondo in due domini che comprendono l'uno tutto ciò che è
sacro, e l'altro tutto ciò che è profano, è il
carattere distintivo del pensiero religioso: le credenze, i miti, gli
gnomi, le leggende sono rappresentazioni, o sistemi di rappresentazioni
che esprimono la natura delle cose sacre, le virtù e i poteri
loro attribuiti, la loro storia, i loro rapporti reciproci e con le
cose profane. Ma per cose sacre non bisogna intendere soltanto quegli
esseri personali che vengono chiamati dèi o spiriti; una roccia,
un albero, una fonte, un ciottolo, un pezzo di legno, una casa, insomma
qualsiasi cosa può essere sacra. Un rito può avere questo
carattere; ed anzi non esistono riti che in qualche grado non lo posseggano.
Esistono parole, espressioni, formule che possono essere pronunciate
soltanto dalla bocca di persone consacrate; esistono gesti e movimenti
che non possono essere eseguiti da chiunque. […]
Fin qui ci
siamo limitati a enumerare a titolo d’esempio un certo numero di cose
sacre: bisogna ora indicare in base a quali caratteri generali esse
si distinguono dalle cose profane. […]
Ma,
se una distinzione puramente gerarchica è un criterio ad un tempo
troppo generale e troppo impreciso, per definire il sacro di fronte
al profano non resta che la loro eterogeneità. Soltanto, ciò
che rende questa eterogeneità sufficiente a caratterizzare questa
classificazione delle cose, e a distinguerla da ogni altra, è
una qualità del tutto particolare: essa è assoluta. Non
esiste nella storia del pensiero umano un altro esempio di due categorie
di cose tanto profondamente diverse, tanto radicalmente opposte l'una
all'altra. L'opposizione tradizionale tra il bene e il male non è
nulla al confronto: il bene e il male sono due specie contrarie di uno
stesso genere, cioè il morale, così come la salute e la
malattia sono due aspetti diversi di uno stesso ordine di fatti, la
vita, mentre il sacro e il profano sono stati sempre e ovunque concepiti
dallo spirito umano come generi separati, cioè come due mondi
tra cui non c'è nulla di comune. Le energie dell'uno non sono
semplicemente quelle che si incontrano nell'altro, fornite di qualche
grado in più; esse sono di un'altra natura. […]
Questa
eterogeneità è anzi tale da degenerare spesso in un vero
antagonismo. I due mondi sono concepiti non soltanto come separati,
ma anche come ostili e gelosamente rivali l'uno dell'altro. Poiché
non si può appartenere pienamente all'uno senza essere del tutto
uscito dall'altro, l'uomo è incitato a ritirarsi totalmente dal
profano per condurre una vita esclusivamente religiosa. Da ciò
deriva il monachesimo, che a fianco e al di fuori dell'ambiente naturale
in cui gli uomini vivono la vita secolare ne organizza artificialmente
un altro, chiuso al primo, che tende quasi a costituirne l'opposto.
E da ciò deriva pure l'ascetismo mistico, il cui scopo è
di estirpare dall'uomo tutto ciò che può rimanervi di
attaccamento al mondo profano, nonché tutte le forme di suicidio
religioso, che costituiscono il logico coronamento di questo ascetismo,
perché la sola maniera di sfuggire totalmente alla vita profana
è in definitiva quella di evadere totalmente dalla vita. L'opposizione
di questi due generi arriva d'altra parte a esteriorizzarsi con un segno
visibile, che permette di riconoscere facilmente, ovunque essa esista,
questa specialissima classificazione. […]
La
cosa sacra e per definizione quella che il profano non deve e non può
impunemente toccare. […]
Ma l'aspetto
caratteristico del fenomeno religioso è il fatto che esso presuppone
sempre una divisione dell'universo conosciuto e conoscibile in due generi
che comprendono tutto ciò che esiste, ma che si escludono radicalmente.
Le cose sacre sono quelle protette e isolate dalle interdizioni; le
cose profane sono invece quelle a cui si riferiscono queste interdizioni,
e che debbono restare a distanza dalle prime. Le credenze religiose
sono rappresentazioni che esprimono la natura delle cose sacre e i rapporti
che esse hanno tra loro e con le cose profane. I riti sono infine regole
di condotta che prescrivono il modo in cui l'uomo deve comportarsi con
le cose sacre.
(É.
Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa, op. cit, pp. 39-43)
Il sacro è essenzialmente
[…] ciò che occupa un posto a parte, ciò che è
separato; ciò che lo caratterizza è l’impossibilità
di mescolarsi al profano senza cessare di essere se stesso. Ogni mescolanza,
ed anzi ogni contatto, ha l’effetto di profanarlo, cioè di
privarlo di tutti i suoi attributi costitutivi.(É. Durkheim,
Sociologia e filosofia, op. cit., p. 197)
Questa
definizione non è però ancora completa, perché
si addice egualmente a due ordini di fatti che, pur essendo prossimi,
debbono per altro essere distinti - la magia e la religione
La
magia è costituita anch'essa da credenze e da riti. Come la religione,
essa ha i suoi miti e i suoi dogmi, che sono soltanto più rudimentali
perché, perseguendo fini tecnici e utilitari, essa non perde
tempo in pure speculazioni. Anch'essa ha le sue cerimonie, i suoi sacrifici,
le sue lustrazioni, le sue preghiere, i suoi canti e le sue danze. Gli
esseri che invoca il mago, le forze che egli mette in opera, non soltanto
hanno la stessa natura delle forze e degli esseri a cui fa appello la
religione, ma spesso sono del tutto identici. Così, nelle società
inferiori, le anime dei morti sono cose essenzialmente sacre ed oggetto
di riti religiosi; ma in pari tempo hanno assolto una funzione importante
nella magia. […]
Bisognerà
dire dunque che la magia non può essere distinta esattamente
dalla religione, che la magia è piena di religione e la religione
di magia e che quindi è impossibile separarle e definire l’una
senza l'altra. […]
Ecco come
si può tracciare una linea di demarcazione tra questi due domini.
Le
credenze propriamente religiose sono sempre comuni a una collettività
determinata, che fa professione di aderirvi e di praticare i riti ad
esse solidali. Esse non sono soltanto ammesse a titolo individuale da
tutti i membri di questa collettività, ma sono cosa del gruppo
e ne costituiscono l'unità. Gli individui che la compongono si
sentono legati gli uni agli altri per il semplice fatto di avere una
fede comune. Una società, i cui membri sono uniti per il fatto
di rappresentarsi allo stesso modo il mondo sacro e i suoi rapporti
col mondo profano, e di tradurre queste rappresentazioni comuni in pratiche
identiche, viene denominata chiesa. Ma nella storia non si incontra
nessuna religione senza chiesa. […]
Ma,
ovunque osserviamo una vita religiosa, essa ha per substrato un gruppo
definito. Anche i culti detti privati, come quello domestico o corporativo,
adempiono a questa condizione; essi sono sempre celebrati da una collettività,
cioè la famiglia o la corporazione. D'altra parte, come queste
religioni particolari sono il più delle volte forme particolari
di una religione più vasta, che abbraccia la totalità
della vita, così queste chiese ristrette sono in realtà
cappelle in una chiesa più vasta che, per questa stessa sua estensione,
merita ancor più di esser chiamata con questo nome.
Diverso è
il caso della magia. Indubbiamente le credenze magiche hanno sempre
una certa generalità: esse sono spesso diffuse tra larghi strati
di popolazione, ed esistono anche parecchi popoli in cui non hanno seguaci
in numero minore della religione propriamente detta. Ma esse non producono
l'effetto di legare gli uni agli altri gli uomini che vi aderiscono,
e di unirli in un medesimo gruppo che viva una stessa vita. Non esiste
una chiesa magica. Tra il mago e gli individui che lo consultano, come
tra questi ultimi, non sussistono vincoli durevoli che ne facciano i
membri di uno stesso corpo morale, comparabile a quello che formano
i fedeli di uno stesso dio, o i seguaci di uno stesso culto. Il mago
ha una clientela, non già una chiesa; e i suoi clienti possono
benissimo non avere tra loro alcun rapporto, al punto da ignorarsi l'un
l'altro: anche le relazioni che hanno con lui sono generalmente accidentali
e transitorie, del tutto simili a quelle di un malato col suo medico.
Il carattere ufficiale e pubblico di cui egli è talvolta rivestito
non cambia questa situazione; ed il fatto che egli lavora apertamente
non lo unisce in modo più regolare e durevole con quelli che
ricorrono ai suoi servigi. […]
Il mago non
ha alcun bisogno, per praticare la sua arte, di unirsi ai suoi confratelli.
Egli è piuttosto un isolato; in genere, anziché cercar
la società, egli la fugge. […] La religione è invece inseparabile
dall'idea di chiesa.
Sotto
questo primo aspetto si rivela subito una differenza essenziale tra
la magia e la religione. Inoltre queste specie di società magiche,
quando si formano, comprendono non già tutti gli aderenti alla
magia, ma i soli maghi, e ne sono esclusi - se ci si può esprimere
così – i laici, cioè quelli al cui profitto sono celebrati
i riti, e che rappresentano i fedeli dei culti regolari. Ma il mago
sta alla magia come il prete sta alla religione, e un collegio di preti
non è una chiesa, come non lo sarebbe una congregazione religiosa,
che dedicasse un culto particolare a qualche santo nell'ombra di un
chiostro. Una chiesa non è semplicemente una confraternita sacerdotale,
ma è la comunità morale costituita da tutti i credenti
in una stessa fede, fedeli o preti che siano. Ogni comunità di
questo genere manca normalmente nella magia.
(É.
Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa, op. cit, pp. 45-48)
Arriviamo dunque alla definizione
seguente: una religione è un sistema solidale di credenze e
di pratiche relative a cose sacre, cioè separate e interdette,
le quali uniscono in un’unica comunità morale, chiamata chiesa,
tutti quelli che vi aderiscono. Il secondo elemento che entra così
nella nostra definizione non è meno importante del primo: mostrando
che l’idea di religione è inseparabile dall’idea di chiesa
esso fa intravedere che la religione deve essere una cosa eminentemente
collettiva.(Ibidem, p. 50)
La
religione è, in definitiva, il sistema di simboli mediante i
quali la società prende consapevolezza di sé.
(É. Durkheim, Il suicidio, op. cit, p. 374) |