Novità ed efficacia del metodo della filosofia positiva

Considerata soprattutto in rapporto all'ordine, la politica positiva non avrà mai bisogno, senza dubbio, d'alcuna apologia diretta, per chiunque avrà sufficientemente valutato, in base alle parti precedenti di questo trattato, quale è, a tale riguardo, la tendenza necessaria d'una simile filosofia, a qualunque categoria d'idee essa si applichi. La scienza reale, considerata dal punto di vista più elevato non ha, infatti, altro scopo generale che stabilire e fortificare incessantemente l'ordine intellettuale che, non lo si rammenta mai abbastanza, è la prima base indispensabile di ogni altro vero ordine. Sebbene non sia qui il luogo conveniente per trattare direttamente questa questione fondamentale, riservata ad un ulteriore momento, non posso astenermi dall'indicare quanto il disordine ripugni profondamente allo spirito scientifico propriamente detto, il quale gli è certamente molto più contrario, per sua natura, dello stesso spirito teologico, come sanno oggi tutti coloro che hanno un po' approfondito l'una e l'altra filosofia. Per quanto riguarda le idee politiche, l'esperienza ha ormai sufficientemente provato che soltanto il metodo positivo può oggi disciplinare realmente intelligenze divenute sempre più ribelli all'autorità delle ipotesi metafisiche, come all'impiego delle finzioni teologiche. Non vediamo forse, al contrario, questo stesso spirito attuale, così inutilmente accusato di tendere allo scetticismo assoluto, accogliere sempre, con avida premura, la minima apparenza di dimostrazione positiva, anche quando essa è ancora prematura ? Perché dovrebbe accadere altrimenti nei confronti delle nozioni sociali, in cui il bisogno d'invariabilità deve essere certamente ancor meglio sentito, se, in effetti, esse possono, in fondo, essere dominate anche dallo spirito positivo ? Il sentimento fondamentale delle leggi naturali invariabili, fondamento primario d'ogni idea di ordine, relativamente a fenomeni qualunque, potrebbe non avere più la stessa efficacia filosofica, non appena, completamente generalizzato, s'applicherà anche ai fenomeni sociali, ormai ricondotti a simili leggi ?
La politica positiva è certamente la sola capace di frenare convenientemente lo spirito rivoluzionario, poiché essa sola può, senza debolezze ed incoerenze, rendergli un'esatta giustizia, e circoscrivere razionalmente entro i suoi veri limiti generali la sua indispensabile influenza. Fintanto che questo spirito non è attaccato, come si vede oggi, che in maniera essenzialmente assoluta, sotto l'ispirazione della Filosofia reazionaria, con la quale la politica stazionaria, priva di ogni principio proprio, coincide allora necessariamente, esso resiste spontaneamente a queste vane recriminazioni che, per quanto legittimo possa esserne il fondamento parziale, non potrebbero neutralizzare l'irresistibile bisogno che prova ora la nostra intelligenza di ricorrere a questa energica spinta, secondo la teoria precedentemente stabilita. Ma non può più essere così quando la nuova filosofia, pur manifestando il suo carattere eminentemente organico, si mostrerà spontaneamente ancora più idonea della filosofia rivoluzionaria stessa a sbarazzare finalmente la società da ogni qualsiasi traccia dell'antico sistema politico. Soltanto allora la tendenza anarchica dei princìpi puramente rivoluzionari potrà essere direttamente combattuta, nel nome stesso della rivoluzione generale, con un successo veramente decisivo, che finirà per determinare gradualmente l'intero assorbimento della dottrina rivoluzionaria attuale, il cui principale compito politico sarà ormai meglio espletato dalla filosofia positiva. (pp. 141-143, I vol.) […].
Dovevo qui preoccuparmi di segnalare soprattutto, essendo più frequentemente misconosciuta, questa proprietà fondamentale della politica positiva di potere essa sola oggi sviluppare spontaneamente, con una energica e feconda efficacia, il sentimento fondamentale dell'ordine, sia pubblico, sia anche privato, che lo stato presente dello spirito umano abbandona necessariamente alla difettosa ed insufficiente protezione della politica stazionaria e di quella reazionaria, in questo senso identiche. Relativamente al progresso, l'attitudine, molto meno contestata, di una simile filosofia non esige, in questo momento, spiegazioni così estese. Poiché, a qualunque soggetto si applichi, lo spirito positivo si mostra sempre, per sua natura, direttamente progressivo, essendo incessantemente occupato ad accrescere il cumulo delle conoscenze ed a perfezionarne il legame: così gli esempi usuali d'incontestabile progresso sono soprattutto presi oggi dalle diverse scienze positive. Dal punto di vista sociale, l'idea razionale del progresso, quale si comincia a concepirla, cioè di sviluppo continuo, con tendenza inevitabile e permanente verso uno scopo determinato, deve essere certamente attribuita, come avrò occasione di spiegare specialmente nella lezione seguente, all'influenza inosservata della filosofia positiva. Infatti essa è la sola capace di togliere irrevocabilmente questa grande nozione dallo stato vago e fluttuante nel quale si trova ancora, assegnando nettamente lo scopo necessario del progresso e il suo vero cammino generale. Sebbene il primo passo in avanti del senso del progresso sociale sia certamente dovuto in parte al cristianesimo, in virtù della sua solenne proclamazione d'una superiorità fondamentale della legge nuova sulla vecchia, è nondimeno evidente che la politica teologica, procedendo da un tipo immutabile, del quale soltanto un passato ormai lontano offre la sufficiente realizzazione, deve essere oggi considerata come radicalmente incompatibile con ogni vera idea di progresso continuo, e manifesta; al contrario, come ho già mostrato, un carattere profondamente retrogrado. La politica metafisica, dogmaticamente considerata, presenterebbe, in un grado quasi altrettanto pronunciato, per gli stessi motivi essenziali, un'analoga incompatibilità, se la coesione molto inferiore delle sue dottrine non la rendesse ben più accessibile allo spirito generale del nostro tempo. Si può rilevare infatti che le idee di progresso non hanno veramente cominciato a preoccupare vivamente la ragione pubblica che da quando la metafisica rivoluzionaria ha perduto il suo primitivo ascendente. È dunque essenzialmente alla politica positiva che è ormai riservato lo sviluppo generale dell'istinto progressivo, come quello dell'istinto organico. (pp. 147-148, I vol)[…].
Oltre alla comune partecipazione fondamentale di tutte le diverse classi della società all'anarchia intellettuale e morale che caratterizza così profondamente la nostra epoca, ognuna di esse ha anche la sua maniera di manifestare più particolarmente le proprie tendenze anarchiche. È ciò che fanno innanzitutto gli scienziati di oggi con gli inutili conflitti quotidiani che sorgono tra di loro a proposito delle rispettive attribuzioni, ogni volta che una stessa questione, che interessi contemporaneamente più branche principali della filosofia naturale, solleva dibattiti senza soluzione, che testimoniano chiaramente l'assenza di ogni vera disciplina scientifica. Qualunque sia l'importanza molto significativa di questa prima considerazione, l'anarchia scientifica si rivela oggi tuttavia, in maniera ben più caratteristica e pericolosa, con l'unanime avversione dei nostri scienziati contro ogni sorta di generalizzazioni, con la loro esclusiva predilezione, dannosamente presa a sistema, per le specializzazioni sempre più particolari. Non è questo il luogo adatto a porre in modo appropriato la grande questione filosofica della vera armonia fondamentale che deve regnare tra lo spirito del generale e quello del particolare, e la cui esatta valutazione non può costituire che una delle principali conclusioni finali di questo trattato. Nell'analisi storica dello sviluppo intellettuale avremo ben presto occasione di valutare più direttamente lo specioso paradosso, gradualmente elaborato durante gli ultimi due secoli, che permette oggi a tanti spiriti mediocri di farsi anche un facile merito scientifico dell'eccessiva restrizione delle loro occupazioni quotidiane, in nome di quella strana organizzazione del lavoro, incidentalmente segnalata nel secondo volume, la quale stabilisce minuziosamente i quadri rispettivi delle minime specializzazioni, senza lasciare alcun posto determinato allo studio dei rapporti generali, essenzialmente abbandonato alle digressioni accidentali dei diversi scienziati, che le coltiverebbero, a titolo di passatempo, senza alcuna preparazione adatta. Diventerà di conseguenza incontestabile che questo preteso principio costituisce un'irrazionale sistematizzazione metafisica, tendente a consacrare, come assoluta e indefinita, la situazione transitoria della nostra intelligenza durante il primo stadio della filosofia positiva, in cui lo spirito del particolare dovrebbe, in effetti, necessariamente regnare, fino a quando la positività non fosse successivamente penetrata in tutti gli ordini di fenomeni naturali, condizione ormai sufficientemente adempiuta. Comunque sia, devo qui indicare con esattezza, a questo riguardo, solo la semplice considerazione politica, che impone, con tanta evidenza, l'indispensabile obbligo d'una completa generalizzazione ad ogni filosofia che aspiri realmente al governo morale dell'umanità. È per questa unica qualità, come ho detto, già spesso, che la filosofia teologica e la metafisica, nonostante l'insufficienza e la decrepitezza incontestabile, prolungano ancora la loro inutile supremazia politica. Fintanto che la filosofia positiva non adempirà convenientemente questa condizione fondamentale, non potrebbe uscire dal suo stato presente di subalternità politica. (pp. 157-159, I vol)[…].

I più sdegnosi uomini di Stato non potrebbero mettere in dubbio che la teoria che tentiamo di costruire direttamente sia veramente suscettibile di una grande utilità pratica, poiché è ora dimostrato che il bisogno fondamentale delle società attuali è, per sua natura, eminentemente teorico, e che, di conseguenza, la riorganizzazione intellettuale, e perciò morale, deve necessariamente precedere e dirigere la riorganizzazione politica propriamente detta. (pp. 161-162, I vol).