I fenomeni socio-politici sono soggetti a vere leggi naturali e la filosofia positiva ha il compito di scoprirle
Qualunque sia il modo,
il cui esame particolareggiato sarebbe qui assolutamente superfluo,
il risultato, nell'una e nell'altra scuola, è sempre, in fondo,
di rappresentare egualmente l'azione politica dell'uomo come essenzialmente
indefinita e arbitraria, come si credeva prima nei riguardi dei fenomeni
biologici, chimici, fisici e astronomici, durante l'infanzia teologico-metafisica,
più o meno prolungata, delle scienze corrispondenti. Ora, questa
innegabile aberrazione costituisce oggi, a mio avviso, il carattere
più decisivo di tale infanzia, ancora persistente nell'ordine
delle idee sociali. Essa indica, infatti, nella maniera più
diretta e meno equivoca, una avversione sistematica a considerare
i fenomeni politici come soggetti a vere leggi naturali, la cui immediata
applicazione generale sarebbe necessariamente qui, come in ogni caso
precedente, d'imporre subito all'azione politica limiti fondamentali,
dissipando assolutamente la vana pretesa di governare a nostro piacimento
questo genere di fenomeni, così radicalmente sottratto quanto
ogni altro ai capricci umani e sovrumani. Combinata con la tendenza,
qui sopra rilevata, ai concetti assoluti, dai quali è naturalmente
inseparabile, come due aspetti correlativi d'una stessa filosofia,
vi si deve vedere, mi sembra, la principale causa intellettuale del
perturbamento sociale attuale; infatti il genere umano si trova così
abbandonato senza alcuna protezione logica, all'esperimento disordinato
delle diverse scuole politiche, ciascuna delle quali cerca di fare
indefinitamente prevalere il suo tipo immutabile di governo. Fin tanto
che la supremazia effettiva dell'antico sistema politico ha impedito
il libero esame delle questioni sociali, tali inconvenienti hanno
dovuto trovarsi dissimulati, e una certa disciplina intellettuale
ha potuto esistere, per una specie di pressione esteriore, nonostante
la natura teologica della filosofia politica. Ma il corso naturale
dei deviamenti individuali non poteva essere così che sospeso
o piuttosto contenuto, e l'irruzione filosofica ha dovuto operarsi
naturalmente, man mano che la supremazia graduale della politica metafisica
faceva prevalere il diritto generale d'esame. Il pericolo fondamentale
d'una simile filosofia politica ha potuto di conseguenza svilupparsi
liberamente in tutta la sua estensione, fino al punto da rimettere
direttamente in questione l'utilità generale dello stato sociale
stesso, poiché eloquenti sofisti non hanno affatto temuto,
come si sa, di proclamare sistematicamente la superiorità della
vita selvaggia, quale l'avevano sognata. Giunte a questo grado d'assurdità
e di divergenza, le utopie metafisico-teologiche provano senza dubbio,
con una completa evidenza, la grande impossibilità di stabilire
oggi, in politica, un qualunque concetto veramente stabile e comune
fin tanto che si continuerà a perseguire la vana ricerca assoluta
del miglior governo, astraendo da ogni stato determinato di civiltà,
o, ciò che è scientificamente equivalente, fin tanto
che la società umana vi sarà concepita come procedente
senza direzione propria, sotto l'arbitrario impulso del legislatore.
Non vi è dunque realmente ormai, in filosofia politica, ordine
e accordo possibili che assoggettando i fenomeni sociali, come tutti
gli altri, ad invariabili leggi naturali, il cui insieme circoscrive,
per ogni epoca, al sicuro da ogni grave incertezza, i limiti fondamentali
ed il carattere essenziale dell'azione politica propriamente detta:
in breve, introducendo per sempre nello studio generale dei fenomeni
sociali quello stesso spirito positivo che già ha successivamente
rigenerato e disciplinato tutti gli altri generi di speculazioni umane,
il cui stato primitivo non era stato, in fondo, più soddisfacente.
(pp. 209-211, I vol.) […] |